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Flessibilità in uscita e perfomance del diritto del lavoro: profili problematici per la

Sul piano empirico è possibile interrogarsi sulla validità del modello economico che correla la presenza di alti livelli di flessibilità in uscita con buone performance del mercato del lavoro.

Esiste davvero una correlazione tra rigide forme di protezione in materia di recessi e alti livelli disoccupazione? L’Italia è (era) davvero un paese caratterizzato da un mercato del lavoro vischioso e immobile232?

232 Un giudizio negativo è stato più volte espresso da Pietro Ichino, pertanto si rimanda a P. ICHINO,

Inchiesta sul lavoro, Mondadori, 2012; P.ICHINO, Il Lavoro e il mercato, Mondadori, 1996; P. ICHINO,

Quando l’articolo 18 mette a repentaglio i posti di lavoro, Corriere della Sera, 7 agosto 2003; P.ICHINO,

perché in Italia è più difficile licenziare, Corriere della Sera 1 Settembre 2001; P.ICHINO, perché e come

riformare la disciplina sui licenziamenti, l’Unità 25 gennaio 2000 ; P.Ichino, Se al sud è più difficile licenziare,

L’idea di una rigida correlazione tra norme di protezione e disoccupazione nell’ordinamento italiano si fondava su due evidenze: la scarsa presenza di adulti disoccupati tra le persone in cerca di lavoro e l’altissimo livello raggiunto dall’indice di protezione dell’occupazione stimato dall’OCSE.

In realtà entrambi gli assunti possono trovare altre spiegazioni. La scarsa presenza di adulti disoccupati portava a ritenere che fosse difficile perdere il lavoro acquisito dalle generazioni precedenti, a causa delle alte protezioni accordate, e di conseguenza si determinava una condizione di difficoltà oggettiva per i giovani che ricercavano una prima occupazione.

In realtà, alcune ricerche condotte dagli Istituti previdenziali del nostro paese hanno mostrato come, sin dalla fine degli anni ottanta, nel settore privato non agricolo, il turnover dei lavoratori233, e il turnover dei posti di lavoro234 siano stati in Italia tra i più elevati in Europa. Nello specifico, mediamente ogni anno, in Italia un quarto degli occupati termina la propria relazione lavorativa235.

A livello teorico la reale correlazione tra “rigidità” delle regole di protezione avverso i licenziamenti e tassi di occupazione e disoccupazione è stata ampiamente contestata236, anche da chi come l’OCSE ne era stata fortemente sostenitrice. Invero lo stesso istituto economico ha chiarito che «complessivamente le analisi teoriche non forniscono una risposta ben delineata sugli effetti della legislazione in materia di licenziamenti sui livelli complessivi di occupazione o disoccupazione»237 .

Sulla base dei dati elaborati dall’OCSE tutti i paesi, con eccezione di Francia Austria e Irlanda, hanno ridotto in questi anni i livelli di protezione del lavoro rendendo complessivamente più flessibili i loro mercati.

lavoratori, Relazione al Convegno del Centro Studi Domenico Napoletano di Pescara – Relazione 11

maggio 2012, P. ICHINO, Il costo sociale del licenziamento, Rivista Italiana di Diritto del lavoro 2007.

233 Che corrisponde alla somma dei lavoratori che nel corso di un anno sono assunti e si separano da

un’impresa rispetto al totale della forza lavoro.

234 Che corrisponde alla somma dei posti di lavoro creati e distrutti in un anno rispetto al totale degli

esistenti.

235 Si rimanda alla completa analisi condotta da E. REYNERI, Luoghi comuni e problemi reali del mercato del

lavoro italiano, in Diritti lavori e mercati, 2006, pp. 1-12.

236 Come ricordato dalla dottrina, V. SPEZIALE, La Riforma del licenziamento individuale tra diritto ed

economia, Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2012, pp. 521 ss.

L’Italia in particolare è uno dei paesi che ha maggiormente ridotto i livelli di protezione facendo scendere il livello di protezione del lavoro dal valore di 3,82 del 1990 a quello di 2,26 del 2013.

Inoltre è opportuno sottolineare come l’indice di rigidità delle regole sui licenziamenti elaborato dall’OCSE - rivisto nel 2004 con l’eliminazione del tfr dai costi del licenziamento238 – classifica l’Italia al diciottesimo posto, su un dato complessivo di ventotto paesi239.

Sulla scorta di tale rilevazione, non è peregrino considerare il nostro paese tra quelli aventi un grado di flessibilità accettabile240 . A livello empirico occorre sottolineare come per mezzo del decremento delle protezioni il nostro ordinamento fa attualmente registrare un livello di protezione di poco superiore a quello di paesi come l’Olanda, la Finlandia, la Germania e il Belgio, ma sensibilmente inferiore a quello di Spagna, Portogallo, e Francia.

Per poter valutare se la deregolamentazione, e l’aumento della flessibilità, specie in uscita, determinino effetti positivi sui tassi di occupazione occorre porre la variazione della EPL in correlazione con i tassi di disoccupazione ufficiali.

238 Per una ricostruzione dell’”equivoco” che ha determinato una sovrastima dell’indice di rigidità del

mercato del lavoro italiano si rimanda a M. DEL CONTE, C. DEVILLANOVA, S. MORELLI, L’indice OECD di

rigidità del mercato del lavoro: una nota, Politica Economica, n. 3, pp. 335- 355. In particolare, la voce del

TFR ( Trattamento di Fine Rapporto) era stata considerata erroneamente dall’istituzione sovranazionale all’interno dei costi che l’imprenditore doveva sopportare. In realtà la voce del TFR rappresenta una variante retributiva, e quindi non è ricollocabile all’interno dei costi da licenziamento.

239 OECD, Employment outlook, Paris, 2004.

240 C. DELL’ARRINGA, Seminario sulla flessibilità in uscita , Il diario del lavoro, 30 settembre 2011,

Recenti studi economici hanno valutato la sussistenza di un nesso di causalità tra la riduzione dei livelli di protezione e la diminuzione della disoccupazione, rapportando la variazione assoluta dei livelli di EPL riscontrata tra il 1990 e il 2013, con la media annuale delle variazioni del tasso di disoccupazione241.

Dai risultati emerge un risultato opposto a quello che le teorie a sostegno della flessibilizzazione hanno propugnato. Invero, contrariamente a quanto ritenuto, la diminuzione dei livelli di protezione ha determinato un contestuale aumento del tasso di disoccupazione242.

Gli aumenti più significativi della disoccupazione sono avvenuti proprio in quei paesi, come Spagna, Portogallo, Grecia e Italia, che da ultimo hanno approvato riforme di liberalizzazione del mercato del lavoro, con particolare riferimento alla disciplina dei

241 R. REALFONZO, Deregolamentare per crescere? EPL, quota salari, e occupazione, in Rivista Giuridica del

lavoro e della previdenza sociale.

242 All’interno della bibliografia su citata è possibile ritrovare elaborazioni grafiche e numeriche a

licenziamenti. I paesi che hanno aumentato il livello di protezione hanno registrato diminuzioni poco significative dei tassi di disoccupazione, o addirittura – come nel caso dell’Irlanda- aumenti dei tassi di occupazione.

Inoltre, scomponendo le voci dell’EPL, e concentrandosi sul grado di protezione riconosciuto ai lavoratori a tempo indeterminato nei singoli ordinamenti nazionali, le premesse di fondo risultano totalmente smentite. In particolare, viene disattesa la tesi secondo cui l’ordinamento italiano si caratterizzerebbe – nonostante l’approvazione della riforma “Fornero” - per una oggettiva difficoltà dell’impresa di recedere dal proprio personale.

Nazioni ITALIA Francia Germania

1. Vincoli di procedura 2,75 2,50 3,50 2. Notifica e indennità di fine rapporto 1,29 1,90 1,86 3. Difficoltà nel licenziare 3,20 3,40 2,80 3.1.Definizione di licenziamento ingiusto 4 4 4 3.2.Periodo di prova 4 3 3 3.3.Indennizzi 4 3 3 3.4.Reintegro 2 0 3 4.Licenziamenti colettivi 3,75 3,38 3,63 EPRC 2,79 2,82 2,98

I risultati rilevati dal nostro ordinamento non si discostano in maniera significativa da quelli registrati nel mercato del lavoro tedesco, preso come punto di riferimento da più parti, per le positive performance occupazionali fatte registrare negli ultimi anni. Invero il potente depotenziamento del regime della reintegrazione previsto dalla vecchia formulazione dell’art. 18 ha sortito importanti effetti di flessibilizzazione nel mercato del lavoro italiano, pur senza determinare alcuna ripresa dei livelli di occupazione, che al contrario registrano un’ulteriore decrescita243. Tali ultime notazioni , pur in assenza di dati empirici aggiornati, potranno esser confermati alla luce dell’ultima flessibilizzazione operata, tramite il “Jobs act” dal Governo Renzi (v. supra).

I risultati su riferiti mostrano chiaramente l’insufficienza della sola deregolamentazione delle tutele in uscita nel determinare effetti positivi sul funzionamento del mercato del lavoro. Inoltre, l’Italia, dati alla mano, si caratterizzerebbe per un alto livello di mobilità, c.d. turn over, che risulta essere tra i più elevati d’Europa244.

Tale circostanza è stata confermata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze Italiane, che tramite una ricerca effettuata dal proprio Dipartimento del Tesoro ha rilevato come “ il mercato del lavoro italiano sembra caratterizzato da una sorta di liquidità e da una elevata mobilità piuttosto che da una semplice segmentazione insiders e outsiders”245 . Sulla base della ricerca menzionata, le imprese italiane ancora soggette al regime di tutela obbligatoria non fanno registrare livelli di turnover superiori a quelle soggette all’applicazione della tutela reale, poiché il meccanismo di firing cost applicabile alle stesse, in vece del meccanismo reintegratorio, ha effetti ridotti sugli accessi e le uscite dalle imprese, con un impatto insignificante sui livelli di occupazione netta246 .

243 R. REALFONZO, Deregolamentare per crescere? EPL, quota salari, e occupazione, in Rivista Giuridica del

lavoro e della previdenza sociale.

244 Tale dato è stato evidenziato da studi teorici, ed empirici, in particolare si segnala a livello teorico E.

REYNERI, Luoghi comuni e problemi reali del mercato del lavoro italiano, in Diritti, Lavori, Mercati, a. IV, gennaio-aprile, pp. 1-12. 2006, B. CONTINI, U. TRIVELLATO, Eppur si muove dinamiche e persistenze nel

mercato del lavoro italiano, 2005. A livello propriamente empirico Rapporto CNEL 2005, pp. 113 ss.

245 Per un approfondimento , si rimanda alla versione integrale del rapporto Dipartimento del Tesoro-

Fondazione Brodolini, 2012, p. 8.

246 A. KUGLER , G. PICA, The Effects of Employment Protection on the Italian Labour Market CSEF Working

Papers, 2005, p.135, Centre for Studies in Economics and Finance (CSEF), University of Naples, Italy; A. KUGLER, G. PICA, Effects of employment protection on worker and job flows: Evidence from the 1990 Italian

Non si può confermare l’opinione secondo cui l’incremento della flessibilità in uscita inciderebbe - vale la pena ribadire in assenza di interventi di accompagnamento sul mercato del lavoro - in positivo sulla quantità e sulla qualità dell’occupazione.

Con riferimento al profilo qualitativo si noti come la rigidità dell’impiego sia stata accusata di determinare una “fuga” dal lavoro stabile, scoraggiando il lavoro regolare, e determinando il proliferarsi di tipologie di lavoro flessibile. In realtà le cose stanno diversamente, in quanto, per ciò che concerne il dato sulla flessibilità in uscita, le imprese con meno di quindici dipendenti, soggette alla tutela c.d. obbligatoria, sono caratterizzate da un’ampia quantità di contratti flessibili247 , avvalorando la tesi per cui l’assenza di tutele “rigide”, o “forti”, contro il licenziamento non escluderebbe neanche il ricorso a forme contrattuali diverse dalla subordinazione248.

Le superiori osservazioni erano state in parte assunte dal Parlamento Europeo, che per mezzo di una risoluzione dell’11 luglio 2007, aveva precocemente individuato le problematiche, e indicato alcuni correttivi nel percorso di insinuazione nazionale del modello di flexicurity. Il Parlamento Europeo, facendo proprie le osservazioni dell’OCSE, ribadiva l’assenza di una chiara correlazione tra alte protezioni e livelli di occupazione249.

In tal senso è possibile ricordare che I paesi scandinavi, considerati cluster esemplare del modello di flexicurity, pur mantenendo elevati livelli di protezione, registrano un'elevata crescita dell'occupazione250.

Il Parlamento Europeo evidenzia che il modello di flexicurity debba raggiungere un equilibrio tra le istanze di flessibilità richieste dalle imprese, e la maggiore sicurezza da riconoscere ai lavoratori attraverso l’edificazione di un sistema di accompagnamento e protezione, che prescinda dalla situazione contrattuale del singolo lavoratore.

La flessibilità in uscita da sola non basta a rivitalizzare e aggiornare il funzionamento del mercato del lavoro. Gli Stati Nazionali dovrebbero completare la costruzione della

247 C. DELL’ARRINGA, Seminario sulla flessibilità in uscita , Il diario del lavoro, 30 settembre 2011,

http://www.ildiariodellavoro.it, 1.

248Una diversa analisi è condotta da P.ICHINO, La Riforma dei licenziamenti e i diritti fondamentali dei

lavoratori, cit.

249 Il testo completo è consultabile, Parlamento dell’Unione Europea, Risoluzione dell’11 Luglio 2007. 250 Va però evidenziato, come il modello scandinavo, e in particolare la Danimarca, generino alcune

perplessità. La recente crisi economica ha infatti fatto elevare un progressivo innalzamento dei tassi di disoccupazione, mettendo in crisi il “golden triangle” danese. In tal senso F. TROS, La Flexicurity in

flessibilità in uscita con l’approvazione contestuale di riforme che facilitino le transizioni occupazionali garantendo idonea protezione a chi transita nei diversi segmenti del mercato del lavoro.

Va in questo senso la posizione di contrapposizione espressa dal Parlamento Europeo, che promuove una revisione degli indirizzi emergenti dalla restante parte delle istituzioni comunitarie, e dalle riforme del mercato del lavoro operate nei singoli Stati, tendenti a sposare la logica della deregolamentazione delle tutele ad ogni costo, e a posticipare, o peggio non approfondire, le problematiche connesse alle nuove forme di tutele da riconoscere al lavoratore sans phrase all’interno del mercato del lavoro.

In realtà, la presa di posizione del Parlamento europeo andrebbe letta in un’ottica di recupero delle istanze originarie della flexicurity, disattese dalle recenti raccomandazioni, che hanno indirizzato gli Stati Membri, in particolare quelli mediterranei, ad adottare riforme del mercato del lavoro esigenti sull’edificazione di pilastri di “flexibility”, incerte sul modello di attuazione delle forme “security”251. Emblematici sono i casi di Italia e Spagna, laddove alla flessibilizzazione esaminata ( v. par. 3.1., 3.2.) , operata repentinamente, hanno fatto da contro altare, sul versante delle protezioni nel mercato del lavoro, solo auspici, e interventi largamente insufficienti.

Eppure, la transizione dalla tutela nel contratto alla tutela nel mercato non è un aspetto rinviabile, o ancora peggio, affrontabile con strumenti vaghi e generici. Se così si facesse, si tradirebbe l’intento della strategia di flexicurity, lasciando spazio solo a teorie disordinate della flexibility, incapaci di gestire la questione occupazionale e modernizzare il mercato del lavoro.

La dimunizione delle protezioni da sola non basta. Alla liberalizzazione delle discipline del licenziamento252 va associata la costruzione di un sistema di accompagnamento e protezione nelle transizioni occupazionali. Occorre in altre parole abbandonare la

251 Ci si riferisce alle indicazioni provenienti dalle istituzioni comunitarie attraverso gli strumenti di

soft law, implementati a seguito dell’istituzione del nuovo ciclo di governance. Come già esaminato, a

indicazioni precise sul versante della flessibilizzazione, si sono accompagnati obiettivi vaghi sulla sicurezza da assicurare nelle transizioni occupazionali. Sull’utilizzo della soft law nell’ambito delle politiche occupazionali europee M. BARBERA, A che punto è l’integrazione delle politiche dell’occupazione

nell’Unione Europea? Diritto delle Relazioni Industriali, 2, 2000.

252 Che vanno operate in ogni caso nel rispetto del set minimo di tutele riconosciute dai diritti sociali

riconosciuti a livello sovranzionale, superando ogni possibile tensione tra istanze di mercato, e istanze sociali, così come auspicato nel par.4.2

prospettiva di lasciare i lavoratori in balia del mercato, e abbracciare la diversa visuale della costruzione di un mercato del lavoro che possa prendersi cura dei percorsi e dei destini occupazionali delle maestranze253. Di questo si dirà nel prossimo capitolo.

253 Così come proposto da P. AUER, Security in Labour Markets: combining flexibility with security for decent