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Servizi per l’impiego e condizionalità, influenze sul sistema italiano: tra iure condito e iure

Capitolo III La tutela oltre il contratto: le politiche attive del lavoro, tra modelli organizzat

6. Servizi per l’impiego e condizionalità, influenze sul sistema italiano: tra iure condito e iure

Il virus della condizionalità e la costituzione di network nella gestione dei Servizi per l’Impiego hanno pervaso velocemente l’Unione Europea, trasmigrando dai suoi lidi natii nordici alle zone mediterranee del continente.

La recente crisi economica ha avuto un ruolo determinante nella velocizzazione della diffusione di un modello che si era lentamente fatto strada nell’ordinamento italiano, sul versante delle politiche attive del lavoro, con riflessi diretti sul sistema di gestione.

Si procederà pertanto illustrando le innovazioni nel ruolo dei servizi per l’impiego, prestando particolare attenzione al modello di condizionalità adottato nell’ordinamento italiano attraverso l’utilizzo di alcuni strumenti giuridici , come il patto di servizio e il contratto di ricollocazione, utilizzati per la sua implementazione.

Le recenti riforme del mercato del lavoro operate in Italia348 sono intervenute prepotentemente sulla regolamentazione delle attività rimesse servizi per l’impiego, e quindi sulla gestione delle politiche attive del lavoro, edificando un sistema di condizionalità che interseca il profilo delle politiche attive del lavoro, ma anche il raccordo con i sistemi passivi di sostegno al reddito.

Il versante delle politiche attive è stato in un primo momento modificato attraverso l’intervento diretto di modifica sulle disposizioni del d.lgs. 181/2000 che rappresentava la normativa cardine per i servizi per l’impiego nel raccordo tra domanda e offerta di lavoro.

Il versante delle politiche passive è stato invece riformato dapprima attraverso l’entrata in vigore del nuovo sistema di ammortizzatori sociali delineato dall’art. 2 della l. n. 92/2012 (c.d. Riforma Fornero) che ha istituito gli strumenti dell’Assicurazione Sociale per l’impiego ( ASpI e mini – ASpI), e successivamente dall’entrata in vigore della legge delega sul Jobs Act e dei relativi decreti delegati che hanno istituituito la nuova figura della NASpI e della Dis-Coll.

L’approvazione della legge delega sul Jobs Act, e la recente approvazione dei decreti legislativi delegati hanno rivoluzionato la materia , abrogando e riformulando il precedente

348 Ci si riferisce alle recenti riforme adottate dai Governi Monti e Renzi, le c.d. “Riforma Fornero” e

apparato normativo. Difatti, in attuazione dei principi contenuti all’interno della legge delega c.d. Jobs Act, sono stati approvati successivi decreti legislativi delegati, tra cui quello concernente la riforma dei Servizi per l’Impiego.

Questi recenti interventi hanno modificato i contorni delle politiche attive del lavoro, rafforzandone la condizionalità con riferimento al godimento dei servizi e dei benefit connessi allo stato di disoccupazione. Il sistema italiano è quindi al centro di una fase di assestamento a seguito delle scosse determinate dall’approvazione della recente riforma del mercato del lavoro.

Per riannodarne i fili della progressiva opera di metamorfosi dell’ordinamento italiano è opportuno seguire un percorso che parte dalle prestazioni che i servizi per l’impiego sono tenuti ad assicurare agli utenti , per poi addentrarsi nei profili della condizionalità italiana, indagando il ruolo che lo strumento contrattuale ha avuto nella sua implementazione e nel coinvolgimento degli operatori privati.

6.1. Le prestazioni dei servizi per l’impiego: il nodo dei livelli essenziali

Il tema delle prestazioni a cui sono tenuti i Servizi per l’impiego interseca il tema della ripartizione delle competenze tra Stato e Regione nell’ordinamento costituzionale italiano. Alle Regioni è infatti rimessa la competenza in materia di gestione delle politiche attive del lavoro, pur nel rispetto dei livelli minimi essenziali predisposti dallo Stato. In tal modo all’interno dell’ordinamento italiano vengono definiti delle soglie minime che devono esser garantite in maniera uniforme all’interno dell’intero territorio, con l’impegno da parte delle Regioni, ma anche una facoltà di prevedere dei livelli prestazionali superiori, rendendo di fatto possibile una gestione delle politiche attive del lavoro geopardizzata. Per oltre un lustro l’individuazione dei livelli essenziali delle politiche attive del lavoro è stata contenuta all’interno del d.lgs. 181 del 2000. L’art. 4 comma 33 della legge n. 92/2012 aveva apportato alcune modifiche al d.lgs. 181/2000, rivedendo il profilo delle prestazioni minime dovute dai servizi pubblici per l’impiego. La riforma, in coerenza con la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di livelli essenziali delle prestazioni349, individuava le prestazioni “base” che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale350.

349 La competenza esclusiva è sancita ai sensi dall’art. 117 comma 2, lett. m) della Costituzione.

In tal modo la legge nazionale si prodigava a definire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i servizi per l’impiego, chiamando le Regioni351 a definire gli “obiettivi e gli indirizzi operativi delle azioni” che i servizi competenti dovevano effettuare352 L’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, a opera dell’art. 3 del d.lgs. 181/2000, da un lato sopperiva alle possibili inerzie delle Regioni, e dall’altro individuava i principi fondamentali, a cui le stesse, tramite la loro legislazione concorrente devono attenersi353.

Nello specifico l’art. 3 del d.lgs. n. 181/2000 così come riformato, differenziava le prestazioni dovute in base alla natura del soggetto beneficiario, prevedendo differenti servizi minimi, a seconda che ci si trovasse di fronte a soggetti non percettori di ammortizzatori sociali (comma 1), soggetti beneficiari di ammortizzatori sociali in stato di disoccupazione ( comma 1 bis), e soggetti beneficiari di ammortizzatori sociali in costanza di sospensioni dell’attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi (comma 1 ter). In tal modo la normativa confezionava diversi contenitori di livelli minimi di prestazione dovuti dai servizi per l’impiego a seconda della natura assunta dai beneficiari.

Con riferimento ai soggetti non percettori di ammortizzatori sociali si prevedeva l’obbligo di offrire almeno un “ colloquio di orientamento entro tre mesi dall'inizio dello stato di disoccupazione” e di una “proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo o di formazione o di riqualificazione professionale od altra misura che favorisca l'integrazione professionale”.

Le prestazioni dovute erano ulteriormente rafforzate se il beneficiario fosse stato un soggetto percettore di ammortizzatori sociali in stato di disoccupazione. In tal caso doveva esser offerto “un colloquio di orientamento entro tre mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione”, “ azioni di orientamento collettive fra i 3 e i 6 mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione, con formazione sulle modalità più efficaci di ricerca di occupazione

E. ALES, Diritto all’accesso al lavoro e servizi per l’impiego nel nuovo quadro costituzionale: la rilevanza del

“livello essenziale di prestazione, Dir. lav. merc., 2003, p. 9.

351 In virtù della loro competenza concorrente in tema di “tutela e sicurezza del lavoro” ai sensi

dell’art. 117 comma 3 della Costituzione.

352 A. ALAIMO, Il diritto sociale al lavoro nei mercati integrati, i Servizi per l’Impiego tra regolazione nazionale e

comunitaria, Giappichelli, 2009.

353 Sulla facoltà delle Regioni di elaborare indirizzi diversificati in ordine al regime di condizionalità,

M. NAPOLI , A. OCCHINO, M. CORTI, I servizi per l'impiego, in Cod. civ. Comm. (fondato da P. Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli ) Giuffrè, 2010, 162 ss.

adeguate al contesto produttivo territoriale”, “ formazione della durata complessiva non inferiore a 2 settimane tra i 6 e i 12 mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione, adeguata alle competenze professionali del disoccupato ed alla domanda di lavoro dell’area territoriale di residenza”; “ la proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo entro la scadenza del periodo di percezione del trattamento di sostegno al reddito”.

Non è agevole tradurre nella pratica il contenuto esatto delle singole misure, stante la loro generica formulazione, tuttavia è possibile individuarne alcuni caratteri fondanti. La disciplina sembra tracciare una sequenza di azioni che partono dalle attività di orientamento (in forma individuale o collettiva), destinate a implementare le tecniche di ricerca dell’occupazione354, e prevedono successivamente lo svolgimento di azioni formative indirizzate all’adeguamento delle competenze professionali possedute alle richieste del mercato del lavoro. Infine veniva previsto l’obbligo da parte dei servizi per l’impiego di prevedere iniziative di promozione del reinserimento nelle traiettorie occupazionali355. Il legislatore aveva dunque dato vita a “un vero e proprio percorso di attivazione scandito da interventi, che in una logica di reciproca funzionalità si succedono l’un l’altro al fine di favorire le opportunità di nuova occupazione prima della scadenza del trattamento.”356

La complessiva normativa su riferita si chiudeva con l’obbligo di offerta di formazione professionale della durata complessiva non inferiore a 2 settimane adeguata alle competenze professionali del disoccupato. Tali attività venivano previste a favore dei soggetti con sospensione totale dell’attività lavorativa e la formulazione della norma si caratterizzava da una laconica genericità che non consentiva di trovare punti salienti di

354 Nel caso del colloquio di orientamento individuale l’attenzione cade sull’individuazione degli

specifici aspetti personali del disoccupato, nell’ipotesi delle azioni collettive invece ci si concentra su operazioni di orientamento nei confronti di gruppi di disoccupati, non necessariamente appartenenti a categorie omogenee, che si amalgama con un’azione formativa sulle modalità più efficaci di ricerca di occupazione adeguate al contesto produttivo territoriale.

355 Tra cui l’offerta di lavoro, ma anche qualsiasi forma di inserimento al lavoro come tirocini formativi

e di orientamento percorsi di formazione d’aula ove siano specificatamente finalizzati all’inserimento, o iniziative finalizzate all’autoimpiego e alla creazione di imprenditorialità; si vedano le Linee guida Accordo Stato regioni del 24 Gennaio 2013 e gli approfondimenti di In argomento v. M. MAROCCO, La

doppia anima delle politiche attive del lavoro e la Riforma Fornero, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT –

192/2013; P. PASCUCCI , Servizi per l’impiego, politiche attive, stato di disoccupazione e condizionalità nella

legge n. 92 del 2012, RDSS, 2012, 453.

356P. PASCUCCI, Servizi per l’impiego, politiche attive, stato di disoccupazione e condizionalità nella legge n. 92

differenziazione con le proposte formative a favore dei soggetti beneficiari di ammortizzatori sociali connessi allo stato di disoccupazione. In realtà le differenze avrebbero dovuto esser specificate con maggiore precisione, stante il differente obiettivo della formazione nei confronti dei due cluster di destinatari.

Il lavoratore sospeso, soprattutto se trattasi di sospensione che presuppone un recupero dell’attività, necessita di una formazione che sappia riadattare le competenze possedute al nuovo contesto produttivo in fieri. I soggetti espulsi dal contesto produttivo necessitano invece la predisposizione di attività formative che sappiano creare le competenze necessarie richieste dal mercato del lavoro.

Il quadro appena delineato è stato travolto dall’entrata in vigore del Jobs Act e in particolare del suo decreto delegato in materia di Servizi per l’Impiego, che ha ridefinito i principi generali in materia di politiche attive del lavoro. L’art. 18 del d.lgs. n. 150/2015 ha individuato i servizi e le misure di politica attiva del lavoro volti a costruire i percorsi più adeguati per l’inserimento e il reinserimento nel mercato del lavoro357, delegando le Regioni e le provincie autonome all’assicurazione dei servizi indicati, direttamente, o tramite i soggetti privati accreditati. A differenza del precedente sistema che differenziava le misure previste in ragione della qualità soggettiva dei beneficiari, la normativa del Jobs Act, enuncia una serie di attività che i Servizi per l’Impiego ( pubblici o privati) sono tenuti a svolgere con una particolare enfasi verso la valorizzazione della condizione soggettiva degli utenti.

357 Nello specifico l’art. 18 dello schema di d.lgs. 11 giugno 2015 ha previsto la predisposizione di

azioni di: a) orientamento di base, analisi delle competenze in relazione alla situazione del mercato del lavoro locale e profilazione; b) ausilio alla ricerca di una occupazione, anche mediante sessioni di gruppo, entro tre mesi dalla registrazione; c) orientamento specialistico e individualizzato, mediante bilancio delle competenze ed analisi degli eventuali fabbisogni in termini di formazione, esperienze di lavoro o altre misure di politica attiva del lavoro, con riferimento all’adeguatezza del profilo alla domanda di lavoro espressa a livello territoriale, nazionale ed europea; d) orientamento individualizzato all’autoimpiego e tutoraggio per le fasi successive all’avvio dell’impresa; e) avviamento ad attività di formazione ai fini della qualificazione e riqualificazione professionale, dell’autoimpiego e dell’immediato inserimento lavorativo; f) accompagnamento al lavoro, anche attraverso l’utilizzo dell’assegno individuale di ricollocazione; g) promozione di esperienze lavorative ai fini di un incremento delle competenze, anche mediante lo strumento del tirocinio; h) gestione, anche in forma indiretta, di incentivi all’attività di lavoro autonomo; i) gestione di incentivi alla mobilità territoriale; l) gestione di strumenti finalizzati alla conciliazione dei tempi di lavoro con gli obblighi di cura nei confronti di minori o di soggetti non autosufficienti; m) promozione di prestazioni di lavoro socialmente utile, ai sensi dell’articolo 26 del presente decreto.

Invero, la normativa prevede che le attività elencate possano esser svolte “in forma integrata” e “allo scopo di costruire i percorsi più adeguati per l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro”. La disciplina mostra quindi la volontà del legislatore di promuovere la discrezionalità dei Servizi per l’Impiego nel selezionare il mix di azioni necessarie all’inserimento o al reinserimento lavorativo dell’utente. Vengono quindi superate alcune delle problematiche interpretative presenti nella precedente disciplina, attraverso la valorizzazione delle esigenze individuali del singolo utente, con l’obiettivo di ottenerne la ricollocazione all’interno delle traiettorie occupazionali.

6.2 Il meccanismo di condizionalità nel difficile raccordo tra politiche attive e politiche passive Delineati i profili delle prestazioni che i servizi per l’impiego sono tenuti a garantire agli utenti è adesso possibile esaminare il meccanismo di condizionalità progressivamente delineato dalle modifiche normative succedutesi, all’interno dell’ordinamento italiano.

La condizionalità presuppone il coinvolgimento attivo dell’utente, ricollegando la fruizione dei benefit (in forma di sussidi o servizi) al rispetto delle obbligazioni individuate dalla legge. La frammentarietà del quadro legislativo di riferimento ha interrogato per lungo tempo la dottrina italiana sulla possibilità di individuare un sistema di condizionalità unica, nel quale siano individuabili le cause di decadimento contestuale dallo stato di disoccupazione, e quindi dalla titolarità delle politiche attive del lavoro, e dei sussidi di disoccupazione.

Per tentare di rispondere a questa domanda è innanzitutto necessario sottolineare che prima dell’entrata in vigore dei decreti attuativi del c.d Jobs Act, la decadenza dal diritto a usufruire dei servizi erogati dai servizi per l’impiego era contenuta in una disciplina differente rispetto alla normativa che disciplina la decadenza dalla fruizione dei sussidi di disoccupazione. La prima era infatti contenuta all’interno dell’art. 4 del d.lgs. 181/2000, la seconda era invece ricercabile all’interno dell’art. 4 comma 41 e ss. della l. 92/2012.

Nonostante la differenza delle fonti normative, era possibile individuare due cause determinanti la decadenza dai benefici: 1) la mancata partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro, 2) la mancata accettazione di un’offerta di lavoro congrua.

Con riferimento alla prima causa di giustificazione l’art. 4 comma 41 della Legge Fornero sanzionava il rifiuto di partecipare senza giustificato motivo a una iniziativa di

politica attiva o di attivazione358 proposta dai servizi competenti di cui all'articolo 1, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, o l’irregolare partecipazione.

L’area di iniziative di politica attiva che rilevavano secondo la normativa coincide con i servizi essenziali che i servizi per l’impiego erano tenuti a garantire ai sensi dell’art. 3 comma 1 bis del d.lgs. n. 181/2000; pertanto l’ingiustificata partecipazione ad anche una sola di tali iniziative avrebbe in astratto determinato la decadenza dal trattamento previdenziale.

La mancata partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro non generava particolari questioni interpretative, poiché l’inadempimento del beneficiario determina la decadenza contestuale dallo stato di disoccupazione e dal diritto alla fruizione dei trattamenti previdenziali.

La contesutale decadenza era difficilmente riscontrabile nel caso in cui il beneficiario non accettasse le offerte di lavoro congrue proposte. Difatti, l’art. 4 lett. c) del d.lgs. n. 181/2000 prevedeva la perdita dello stato di disoccupazione in caso di rifiuto senza giustificato motivo di una congrua offerta di lavoro a tempo pieno ed indeterminato o determinato o di lavoro temporaneo ai sensi della legge 24 giugno 1997, n. 196, nell'ambito dei bacini, della distanza dal domicilio e dei tempi di trasporto con mezzi pubblici, stabiliti dalle Regioni. La perdita dello stato di disoccupazione determinava la decadenza dai servizi garantiti dai Servizi per l’Impiego.

La normativa non definiva cosa dovesse intendersi per congruità dell’offerta di lavoro, non specificando neppure le cause di giustificazione che l’utente avrebbe potuto opporre.

L’art. 4 comma 42 della l. n. 92/2012 prevedeva invece che il lavoratore destinatario di una indennità di mobilità o di indennità o di sussidi, la cui corresponsione fosse collegata allo stato di disoccupazione o di inoccupazione, decadesse dai trattamenti medesimi, in caso di mancata accettazione di una offerta di lavoro. Questa volta, la normativa specificava che doveva intendersi come congrua l’offerta di lavoro che prevedesse a) un livello retributivo superiore almeno del 20 per cento rispetto all'importo lordo dell'indennità

358 Sulla non agevole distinzione tra politiche attive e politiche di attivazione nel recente linguaggio

normativo si veda il contributo di C. LAGALA, M. D’ONGHIA (a cura di), Politiche di attivazione dei

disoccupati in Europa. Le esperienze realizzate in Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Inghilterra, Spagna e Svezia, Ediesse, 2010.

percepita, b) con luogo di svolgimento del’attività nel raggio di 50 km , c) raggiungibile mediamente in 80 minuti dai trasporti pubblici.

L’assenza di una disciplina unica della condizionalità determinava delle difficoltà di raccordo tra il sistema delle politiche passive e quello delle politiche attive del lavoro.

Sul versante passivo la condizionalità del trattamento di disoccupazione assumeva un maggior grado di severità rispetto a quella dalla decadenza dallo stato di disoccupazione. La ragione di tale maggiore severità è probabilmente ricollegabile a comprensibili obiettivi di contenimento della spesa pubblica. Tuttavia l’assenza di un’armonica disciplina della condizionalità ostacolava la predisposizione dell’efficente raccordo tra politiche attive e politiche passive del lavoro.

Anche per tali ragioni la disciplina della condizionalità è stata rivista dal legislatore italiano con l’approvazione del Jos Act, e del decreto n. 22 del 4 Marzo 2015, che ha introdotto le nuove indennità NASpI, ASDI, e Dis-Coll, rivedendo la normativa sulla condizionalità.

La “Nuova Prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego” c.d. NASpI è un’indennità mensile di disoccupazione volta a garantire una forma di sostegno al reddito unica e uniforme per tutti i lavoratori subordinati che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione. L’erogazione dell’indennità è subordinata alla regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa nonché ai percorsi di riqualificazione personale, prevedendo l’istituzione di un sistema di sanzioni ulteriori in caso di inottemperanza agli obblighi di partecipazione alle azioni di politica attiva.

Oltre alla NASpI è istituito – in via sperimentale per l’anno 2015 – anche l’Assegno di Disoccupazione ASDI, che ha la funzione di fornire tutela e sostegno ai lavoratori percettori della NASpI che hanno esaurito il tempo disponibile per la fruizione della misura. La misura, di carattere temporaneo, è anch’essa subordinata a meccanismi di condizionalità, poiché il beneficio è condizionato all’adesione a un progetto personalizzato redatto dai competenti Servizi per l’Impiego contenente specifici impegni in termini di ricerca attiva di lavoro, di disponibilità a partecipare ad iniziative di orientamento e formazione, oltre all’accettazione di “adeguate” proposte di lavoro .

In particolare, attraverso l’entrata in vigore del decreto legislativo attuativo della delega sui Servizi per l’Impiego, sono state formalmente abrogate le su riferite norme: l’art. 4 del d.lgs. 181/2001 e l’art. 4 commi 40-45 della legge n. 92 del 2012. Il legislatore ha tentato di

ridisegnare razionalmente il meccanismo di condizionalità, definendo nuovi principi, e apportando nuove specificazioni. Con l’art. 25 del decreto legislativo n. 150 del 2015 si è provveduto a individuare i criteri per una successiva delineazione della nozione di offerta di lavoro congrua: a) coerenza con le esperienze e le competenze maturate b) distanza dal domicilio e tempi di trasferimento c) durata della disoccupazione d) retribuzione superiore almeno al venti per cento rispetto all’indennità percepita nell’ultimo mese. Attraverso questa disposizione sono stati delineati i principi della congruità dell’offerta di lavoro nell’ordinamento italiano, che andranno però tradotti in norme specifiche contenute in un successivo decreto ministeriale, che avrà il compito di delinare con esattezza i contenuti della tenaglia condizionale italiana.

Tuttavia è nella creazione di un sistema dettagliato di sanzioni che è possibile ricercare l’elemento di originalità del Jobs Act, che per la prima volta, ha elencato i comportamenti vietati e le sanzioni connesse359, delineando un sistema di “certezza della

359 Con riferimento all’Assicurazione Sociale per l’Impiego, alla Nuova Assicurazione Sociale per

l’Impiego (NASpI) ed alla Indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata (DIS-COLL), si applicano le seguenti sanzioni: a) la mancata presentazione, in assenza di