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La flessibilità in uscita nel recinto dei diritti sovranazionali: un cortocircuito possibile

Esaurita l’analisi delle recenti tendenze (de)regolatrici volte a implementare la flessibilità in uscita, è possibile verificare quanto le stesse siano coerenti con il catalogo dei

213 A. PERULLI, Il controllo del giudice nei licenziamenti economici in Italia, Francia e Spagna, in (a cura di) M.

Pedrazzoli, Le discipline dei licenziamenti in Europa, ricognizioni e confronti, Franco Angeli, 2014, p. 253.

diritti sociali riconosciuti a livello sovranazionale. Il modello di flexicurity assunto nella grammatica comunitaria – attraverso le recenti raccomandazioni (v. par. 3) - e fatto proprio dagli Stati Membri, ha dato un peso centrale alla necessità di superare la segmentazione nel mercato del lavoro attraverso la promozione della flessibilità in uscita.

Le recenti raccomandazioni provenienti dal nuovo modello di governance eurounitario si sono aggiunte al background già esistente, caratterizzato dai contenuti del Libro Verde del 2007 sulla flexicurity, che aveva omesso ogni riferimento alla grammatica dei diritti sociali che andava a sedimentarsi a livello sovranazionale. Ciò testimonia l’esistenza di due europee ideali, la prima – appena esaminata - dell’atteggiamento intransigente verso la costituzione di mercati del lavoro fluidi e funzionanti, la seconda, quella dei diritti, delle Carte, che ha trovato il punto di massimo approdo nell’elaborazione del progetto costituzionale europeo.

Dinnanzi a questa condizione la dottrina ha stigmatizzato l’atteggiamento della Commissione europea nell’elaborazione del Libro Verde del 2007 contenente i principi comuni di flessicurezza214. Infatti, il documento considerato, pur tangendo le fattispecie di molti dei diritti sanciti dalla Carta di Nizza, non menziona mai in modo diretto tale documento. Inoltre, il Libro Verde omette anche ogni collegamento con il complesso di tutele che alcune direttive hanno elaborato nel corso degli anni con riferimento alla disciplina dei recessi.

E’ dunque necessario verificare se l’omessa menzione, abbia rappresentato solo una svista, e nella sostanza i contenuti del Green Paper non confliggano con diritti considerati, o se al contrario si sia trattato di una voluta omissione dal confronto tra modello di flexicurity e campo dei diritti sociali.

Per rispondere a questo quesito è opportuno svolgere un’analisi sulle fonti che a livello sovranazionale determinano garanzie imprescindibili a favore del lavoratore licenziato. E’ in altre parole opportuno tracciare i confini oltre i quali le politiche occupazionali non dovrebbero addentrarsi, pena lo scontro con i diritti sociali riconosciuti.

214 G. BRONZINI, Dodici noterelle sul Green paper, in Riv. critica dir. lav., 2007, p. 9 ss; Si veda anche il

documento elaborato e sottoscritto da molti esponenti della dottrina italiana e non solo, I giuslavoristi e il Libro Verde, Modernizzare il Diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo. Una valutazione critica e prospettiva.

4.1. La tutela geopardizzata nel linguaggio delle direttive: part- time, licenziamento collettivo, trasferimento d’azienda, discriminazioni

Nonostante l’assenza di una direttiva europea in tema di licenziamento individuale215 il diritto europeo incide indirettamente sulle discipline nazionali, grazie alle prescrizioni contenute in altre direttive in materia di lavoro. L’Unione Europea è intervenuta a regolare peculiari aspetti connessi alla disciplina del recesso attraverso le direttive sul part time, sul trasferimento d’azienda, le direttive antidiscriminatorie, e la direttiva sul licenziamento collettivo.

La direttiva sul part- time prevede l’illegittimità del licenziamento del lavoratore in caso di rifiuto alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale , o viceversa216, inoltre la direttiva 2001/23, contenente la disciplina sul trasferimento di azienda, preclude al datore di lavoro di licenziare le proprie maestranze a causa del trasferimento stesso, sempre che non sussistano ragioni di carattere economico a base del recesso.

Il maggiore influsso “indiretto” sulla disciplina dei licenziamenti è ravvisabile all’interno delle direttive c.d. “antidiscriminatorie”, fondate sugli art. 18 e 19 del TFUE217. Attraverso queste fonti di hard law il fattore discriminatorio ha assunto un importanza crescente nella valutazione dell’illegittimità dei recessi 218. Il ruolo della normativa anti- discriminatoria è progressivamente aumentato a partire dai primi anni duemila, quando si è accresciuto il numero delle fattispecie discriminatorie riconosciute.

215 Sulle competezne e sul ruolo che l’Unione Europa può giocare in materia di licenziamento

individuale si rimanda all’analisi già svolta nel presente capitolo, par. 3.

216 Non è però escluda la possibilità di fondare il recesso su altre ragioni oggettive, connesse al

funzionamento dello stabilimento ( art. 5.2. Direttiva 97/81).

217 Direttiva 2006/54 sulle discriminazioni di genere, Direttive 2000/43 e 2000/78 relative agli altri fattori

di discriminazione: nazionalità, handicap, opinioni politiche, affiliazione sindacale, razza, religione.

218 Ne è testimonianza la riforma del lavoro adottata dal Governo Monti, c.d. “Legge Fornero”, che

nella riscrittura dell’articolo 18 ha attribuito un valore pregnante al fattore discriminatorio. Infatti sulla base della nuova formulazione della norma in esame il licenziamento discriminatorio è una delle poche ipotesi in cui sopravvive il vecchio regime reintegratorio. Tale trend ha trovato successivamente conferma nell’attuale dibattito che sta guidando l’approvazione dell’ambizioso progetto di riforma del mercato del lavoro italiano del governo Renzi, in cui il licenziamento discriminatorio sarebbe l’ultima ipotesi in cui residuerebbe la tutela ex art. 18.

Le basi giuridiche della legislazione comunitaria, in tema di licenziamenti discriminatori, sono rinvenibili in diverse fonti di hard law: la direttiva 76/207/EEC riguardante il principio di uguale trattamento tra uomini e donne nell’accesso all’impiego, alla formazione , e alle condizioni di lavoro; la direttiva 2000/43/EC che ha sancito il principio di uguaglianza tra le persone di diverse origini etniche e razziali; la direttiva 2000/78/EC che ha affermato il criterio di eguale trattamento nell’impiego, e infine la direttiva 2006/54 che ha stabilito il principio di uguali opportunità e uguale trattamento delle donne e degli uomini in materia occupazionale. Le direttive considerate hanno accresciuto i diritti dei lavoratori nella protezione contro i licenziamenti ingiusti determinati da motivi discriminatori219. La normativa comunitaria in tema di discriminazioni ha quindi fornito una cittadella di protezione minima avverso i recessi ingiustificati, al di sotto della quale gli Stati Membri non possono collocare i propri gradi di protezione220.

Il quadro delle protezioni minime riconosciute a livello eurounitario è infine completato dalla disciplina sui licenziamenti collettivi, contenuta nella Direttiva 98/59, che ha predisposto un accurato apparato procedurale a tutela dei licenziamenti per ragioni oggettive, di più personale contemporaneamente, in un determinato periodo di tempo.

La regolamentazione sui licenziamenti collettivi, a differenza della normativa antidiscriminatoria, non nasce solo da esigenze di carattere sociale, ma è funzionale al corretto funzionamento del mercato interno europeo attraverso la predisposizione di meccanismi procedurali che tutte le imprese comunitarie devono rispettare.

Tale direttiva trova la prima formulazione durante gli anni settanta, nel periodo “glorioso” del diritto del lavoro europeo, al fine di proteggere i lavoratori dai rischi derivanti

219 Per un’analisi completa sulla fattispecie del licenziamento discriminatorio si rinvia a M.BARBERA ,

Il licenziamento alla luce del diritto antidiscriminatorio, in RGL, 2013.

220 Per un’analisi completa delle influenze eurounitarie sulle fattispecie discriminatorie si rimanda a

M.BARBERA, Il principio di eguaglianza nel sistema europeo “multilivello”, in Paciotti E.(ed.), I diritti fondamentali in Europa, Roma, Viella, 2011; M.BARBERA, L’eguaglianza e il diritto del lavoro, in Scritti in onore di Tiziano Treu, Torino, Giappichelli, 2011; M.BARBERA, The ECJ Judgments on the

Anti-Discrimination Directives: Already a Doctrine? ERA Seminar on Current Reflections on EU

Antidiscrimination Law, 13-14 September 2010. Si rinvia altresì ai contributi di M. MILITELLO Le nuove

discriminazioni (cap. V), in Sciarra (ed.) Manuale di diritto sociale europeo, Giappichelli, 2010, 117‐131; Le nuove discriminazioni (cap. VI), in A. Alaimo, M. Militello, S. Sciarra, M. L. Vallauri, Diritto del lavoro e diritto sociale europeo, Giappichelli, 2009, p. 91‐126, Le nuove discriminazioni (cap. VI), in S. Sciarra, B.

dall’istituzione di un mercato comune europeo. I lavoratori in particolare, non avrebbero dovuto pagare il prezzo dell’istituzione del mercato unico europeo, vedendosi concesse delle forme minime di protezione nel contesto delle operazioni di ristrutturazione. Occorreva in altre parole bilanciare le esigenze di competitività con alcune forme di protezione sociale.

La direttiva sul licenziamento collettivo, definisce la fattispecie attraverso elementi temporali e geografici, statuendo degli obblighi di informazione e consultazione a favore delle organizzazioni sindacali, e un coinvolgimento degli apparati pubblici, prescrivendo in tal modo una rete di protezione minima, seppur prevalentemente procedurale, che deve esser assicurata all’interno dell’Unione Europea. Sullo stesso solco si pone la disciplina sul trasferimento d’azienda, che sul versante della flessibilità in uscita, dispone come il trasferimento d’azienda non può giustificare il recesso del personale, salva l’esistenza di cause oggettive indipendenti.

Il complessivo apparato di protezione su riferito è dunque ricompreso all’interno delle fonti di hard law cha hanno costruito un livello minimo di tutela , di cui le istituzioni sovranazionali , e di riflesso i governi nazionali, devono tener conto nelle opere di flessibilizzazione funzionale, che mirino al miglioramento delle performance dei mercati del lavoro, senza comprimere le tutele essenziali riconosciute ai lavoratori. Tali fonti, si completano con i diritti sociali fondamentali riconosciuti dalle Carte dei Diritti sovranazionali.

4.2. La tutela contro i licenziamenti nelle Carte dei Diritti: Carta di Nizza, Carta Sociale, Convenzione OIL.

Le prescrizioni minime, riconosciute a livello sovranazionale, in tema di recessi non si limitano alle enucleazioni contenute nelle fonti di hard law esaminate.

Difatti, principi di tutela minima a favore dei lavoratori sono ricavabili dalle Carte dei Diritti presenti a livello sovranazionale. In primo luogo all’interno delle fonti dell’Unione Europea va ricondotta - con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ( art. 6 TUE) - l’art. 30 della Carta dei Diritti Fondamentali221.

221 Per una ricostruzione sul ruolo, e sulla storia della Carta di Nizza nel percorso costituzionale

Europeo si vedano: R. ADAM, Introduzione al dossier “Da Colonia a Nizza: la Carta dei diritti fondamentali,

contenuto e principi ispiratori fondamentali dell’Unione europea, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2000, p.

L’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sancisce che “ogni lavoratore ha diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato”222. Tale disposizione rappresenta un elemento di riferimento imprescindibile per gli organi comunitari e la Corte di Giustizia, nella formazione e nell’attività di giudizio sul diritto dell’Unione Europea223. Da un lato le istituzioni comunitarie devono tener conto di quanto statuito dall’art. 30 della Carta di Nizza, e dall’altro la Corte di Giustizia Europea deve garantirne il rispetto nell’interpretare il diritto vigente dell’Unione Europea.

Tale norma, pur di rilevante valore, incontra però il limite di non poter estendere la propria efficacia diretta negli ordinamenti nazionali, in assenza di una direttiva che ne traduca il contenuto in disposizioni giuridicamente vincolanti per gli Stati. Infatti, sulla scorta di quanto su riferito, le Corti nazionali, in alcun modo potrebbero considerare un atto di recesso illegittimo per il solo fatto di aver violato l’art. 30 della Carta.

Tuttavia la giurisprudenza interna di molti paesi europei224, tra cui l’Italia225, ci consegna un utilizzo sempre maggiore dell’art. 30 della Carta di Nizza, in funzione di norma interposta per l’interpretazione del diritto interno, al fine di rafforzarne le tutele previste.

Europea, 2001, p. 241 ss.; A. BIFULCO, M. CARTABIA, A. CELOTTO (a cura di), L’Europa dei diritti, Bologna, 2001; M.P. CHITI, La Carta europea dei diritti fondamentali: una Carta di carattere funzionale?, in Riv. trim. dir. pubb., 2002, p. 1 ss. ; U. DE SIERVO, L’ambigua redazione della Carta dei diritti fondamentali

nel processo di costituzionalizzazione dell’Unione europea, in Diritto pubblico, 2001, p. 33 ss. ; A.

MANZELLA, P. MELOGRANI, E. PACIOTTI, S. RODOTÀ, Riscrivere i diritti in Europa, Bologna, 2001; A. PACE,

A che serve la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea? Appunti preliminari, in Giurisprudenza costituzionale, 2001, p. 193 ss.., in L.S. Rossi (a cura di), Carta dei diritti fondamentali e costituzione

dell’Unione europea, Milano, 2002; R. TONIATTI (a cura di), Diritto, diritti, giurisdizione. La Carta dei

diritti fondamentali dell’Unione europea, Padova, 2002; J.H.H. WEILER, Introduzione. Diritti umani,

costituzionalismo e integrazione: iconografia e feticismo, in M.E. Comba (a cura di), Diritti e confini. Dalle

costituzioni nazionali alla Carta di Nizza, Torino, 2002.

222 Per un approfondimento si rimanda a L. CALCATERRA, Diritto al lavoro e diritto alla tutela contro il

licenziamento ingiustificato. Carta di Nizza e Costituzione Italiana a confronto, Rassegna di diritto pubblico

Europeo, 2, 2008.

223 L’art. 51 comma 1 della Carta Europea dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sancisce che “

le disposizioni della Carta si applicano alle istituzioni , agli organi e agli organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, ma anche agli stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione.

224 Portogallo , Spagna, Francia, Irlanda, Belgio.

225 La sentenza della Cassazione n. 21697/10 richiama l’art. 30 della Carta di Nizza al fine di affermare

La disposizione afferma un generico diritto di giustificazione del recesso, senza però individuare nel dettaglio a) le ragioni che lo legittimerebbero, b) le sanzioni che devono esser previste in caso di illegittimità. Il nucleo essenziale della norma riconosce per la prima volta a livello europeo la proclamazione del principio di tutela contro ogni licenziamento arbitrario e ingiustificato. Tale norma porta con sé un doppio limite.

La disposizione non si è spinta oltre la formulazione del principio, rimettendo alle prassi e alle legislazioni nazionali l’implementazione e l’effettiva attuazione dello stesso. Inoltre, il diritto riconosciuto, alla pari degli altri diritti sociali, è condizionato alle gerarchie e agli equilibri interni dell’ordinamento comunitario, così come emerge dagli art. 51 e 52 della Carta di Nizza. Infatti, l’art. 51 statuisce che “le disposizioni della presente Carta, si applicano alle istituzioni e agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà dell’Unione, come pure agli Stati Membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’unione”. In altre parole, il riconoscimento di tale principio non crea nuovo diritto, ma criteri e linee guida da osservarsi esclusivamente nell’attuazione del diritto comunitario. L’applicazione dell’art. 30 della Carta di Nizza alle sole fattispecie in cui è in gioco l’applicazione del diritto dell’Unione Europea rappresenta un chiaro limite, così come può evincersi dalla recente sentenza della Corte di Giustizia Europea,226, che ha statuito come il

Contrato de Trabajo de Apoyo a los Eprendedores non rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, affermando di conseguenza la propria incompetenza in materia227.

giudice la possibilità di valutare se nel caso concreto questa prevalga o meno sulla tutela del posto di lavoro. Tale situazione va esclusa ove il datore di lavoro assuma un lavoratore somministrato per svolgere le mansioni proprie di un lavoratore licenziato.

226 La sentenza della Corte di Giustizia Europea a cui si fa riferimento è C – 117/14 Proclava vs

Toledano.

227 La Corte di Giustizia Europea è stata ferma nel ritenere la non riconducibilità della materia

all’interno del raggio di applicazione del diritto dell’Unione, nonostante alcuni richiami operati dalla difesa della lavoratrice, che aveva sottolineato la riconducibilità delle modifiche nella materia alle indicazioni provenienti dalla Commissione Europea, per il raggiungimento degli obiettivi di cui all’art. 151 del TFUE. Ciononostante i giudici sovranazionali, in un importante passaggio hanno statuito che “L’articolo 151 TFUE, che espone gli obiettivi dell’Unione e degli Stati membri in materia di politica sociale, non impone alcun obbligo particolare riguardo ai periodi di prova nei contratti di lavoro. Lo stesso vale per gli orientamenti e le raccomandazioni in materia di politica dell’occupazione adottati dal Consiglio in forza dell’articolo 148 TFUE, richiamati dal giudice del rinvio. Al riguardo va ricordato che la Corte, nell’esame del «contratto di nuovo impiego» francese, ha dichiarato che, sebbene la tutela dei lavoratori in caso di risoluzione del contratto di lavoro sia uno dei mezzi per

Sulla scorta dell’art. 52 invece “ la presente Carta non introduce competenze o compiti nuovi per la Comunità e per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati”. Inoltre, sempre lo stesso articolo puntualizza l’inderogabilità dei diritti nel loro “contenuto essenziale” e fa salvo il rispetto del principio di proporzionalità, con la puntualizzazione che possono esser apportate limitazioni ai diritti solo se necessarie al raggiungimento delle finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione Europea. Quest’ultima precisazione suggerisce qualche riflessione. Tra le finalità di interesse generale dell’Unione Europea vi è certamente – in via più o meno mediata, attraverso i precetti di flexicurity– il raggiungimento di un efficiente funzionamento del mercato del lavoro. La predisposizione di politiche occupazionali che – ingaggiando l’obiettivo – dimidino i livelli di protezione in materia di licenziamento rappresenterebbe una modalità di aggiramento delle protezioni riconosciute dalla carta. In quest’ottica le discipline protettive in materia di licenziamento rappresenterebbe un ostacolo al raggiungimento di alcuni degli obiettivi in materia occupazionali dell’Unione Europea.

Una lettura come quella considerata legittimerebbe in via astratta, la possibilità da parte degli Stati nazionali, e dell’Unione di comprimere, più o meno intensamente, gli spazi operativi del diritto in questione se dovesse rilevarsi troppo costoso per le imprese. In altre parole, la formula di compromesso utilizzata nella Carta di Nizza, subordina oltremodo l’affermazione dei diritti alle logiche del mercato.

La Carta di Nizza non è il solo documento che consacra – a livello sovranazionale – delle tutele minime avverso i recessi. Negli anni precedenti alla sua approvazione altre fonti avevano provveduto in tal senso, enucleando delle prescrizioni minime.

La Convenzione OIL n. 158 del 1982228 prevede un’articolata lista di indicazioni che le normative nazionali devono rispettare. Sul versante delle cause di giustificazione il licenziamento deve avvenire in presenza di una valida ragione (art. 4), non può avvenire per

raggiungere gli obiettivi fissati dall’articolo 151 TFUE e il legislatore dell’Unione sia competente in tale settore, in base alle condizioni di cui all’articolo 153, paragrafo 2, TFUE, le situazioni che non sono state oggetto di misure adottate sul fondamento di tali articoli non rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (ordinanza Polier, C- 361/07, EU:C:2008:16, punto 13). Inoltre, il fatto che il contratto di lavoro a tempo indeterminato di sostegno agli imprenditori possa essere eventualmente finanziato da fondi strutturali non è sufficiente, di per sé, per ritenere che la situazione di cui trattasi nel procedimento principale comporti un’attuazione del diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta.”

motivi discriminatori, o connessi al matrimonio, alla gravidanza, allo stato di salute, alle idee politico-sindacali (artt. 5 e 6), e deve esser assicurato al lavoratore un periodo adeguato di preavviso (art. 11). Sul versante dei rimedi, il lavoratore deve avere il diritto di agire in giudizio, davanti a un organo imparziale ( art.8) , ottenendo la reintegrazione, o un’adeguata compensazione finanziaria, in caso di licenziamento illegittimo (art. 12). Le disposizioni della Convenzione dell’OIL si contraddistinguono per l’elevata analiticità, se comparate alle affermazioni di principio contenute nella Carta di Nizza. Probabilmente la maggiore specificità della normativa deriva dalla peculiarità dell’istituzione sovranazionale che l’ha formulata (l’Organizzazione Internazionale del Lavoro), portatrice di istanze differenti rispetto a quelle dell’ordinamento eurounitario. Nonostante, non sussitano connessioni dirette tra l’OIL e L’Unione Europea, i contenuti della convenzione citata hanno influenzato l’elaborazione dei contenuti della Carta Sociale Europea.

L’art. 24 della Carta Sociale Europea, elaborata dal Consiglio d’Europa, prevede che qualsiasi licenziamento deve fondarsi su una valida ragione connessa o all’incapacità e al comportamento del lavoratore, o alle esigenze organizzative dell’azienda. Inoltre, il lavoratore ha sempre diritto a conoscere la ragione per cui viene licenziato, in modo da poterne valutare la fondatezza ed eventualmente contestarla davanti a un’autorità terza e imparziale. Sempre sulla base dell’art. 24, il lavoratore ingiustamente licenziato ha diritto a ricevere un adeguato indennizzo o altra forma di tutela appropriata. Nell’appendice della Carta Sociale, è inserito un elenco di ragioni inidonee a sorreggere un licenziamento: lo svolgimento dell’attività sindacale, congedi per motivi familiari, ragioni discriminatorie, malattia, rivendicazione dei diritti nei confronti del datore. Anche la Carta Sociale disegna un apparato di tutele di maggior dettaglio rispetto alle indicazioni contenute all’interno dell’art. 30 della Carta di Nizza.

I principi sanciti all’interno della Carta Sociale acquiscono rilevante importanza, anche alla luce delle interpretazioni fornite dal Comitato Europeo dei Diritti Sociali, che svolge il ruolo di organo incaricato nella sorveglianza del rispetto dei diritti sanciti dalla