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florio Bustron

2.2. Eruditi

2.2.3. florio Bustron

La Memoria redatta da Leonardo Donà attesta, da parte di un membro della classe dirigente veneziana, una concreta cognizione dello stato in cui versavano i monumenti e i siti archeologici di Cipro attorno alla metà del XVI secolo. un’opera di carattere storiografico sostanzialmente coeva, re-datta però da un erudito esponente della borghesia cipriota, ben documenta

219 BMCVe, ms. Donà dalle Rose 45, f. 163r. È probabile che l’area identificata come «piazza» da Donà corrispondesse al ‘foro di granito’ ubicato nei pressi della basilica di Sant’Epifanio: cfr. Munro-Tubbs 1891, pp. 63-66; Jeffery 1926, pp. 12-13, 20-21.

220 BMCVe, ms. Donà dalle Rose 45, f. 163r: «Da questo luoco si cavano di molte buone pietre per le fabriche di famagosta et da molti altri luochi vicini si cava la rocca e si lavora per la detta fabrica».

invece quali fossero le conoscenze indirette, ossia di matrice letteraria, diffu-se in epoca rinascimentale in relazione al passato classico e alla topografia an-tica dell’isola. Il suo autore, florio Bustron, notaio di Nicosia ed esponente di una famiglia di probabile origine levantina, fu per lungo tempo un fedele servitore dello Stato veneziano, nei cui confronti svolse un ruolo di referente privilegiato per la sua ineccepibile padronanza delle secolari tradizioni giuri-diche ed amministrative del regno di Cipro221.

Redatto attorno al 1560 e originariamente intitolato Historia di Cipro, lo scritto di Bustron fu dato alle stampe soltanto alla fine del XIX secolo da René de Mas Latrie con il titolo Chronique de l’île de Chypre, certamente riduttivo rispetto all’ampia gamma di argomenti trattati al suo interno222. Le critiche espresse di recente nei confronti di questa pubblicazione223, basata su testimoni filologicamente poco attendibili, inducono a sperare in una nuova edizione critica dell’opera, realizzata a partire dalla collazione dei suoi testimoni manoscritti, disseminati in numerose biblioteche italiane e stra-niere224. Composta da Bustron all’apice del proprio prestigio intellettuale, l’Historia costituisce, come è stato giustamente rimarcato, il primo tenta-tivo di sintesi storica del passato cipriota realizzato da un letterato locale e ben esemplifica il grado di erudizione che l’élite intellettuale dell’isola aveva raggiunto dopo lunghi decenni di stretto contatto con la classe dirigente veneziana225.

Ispirandosi ai canoni della storiografia rinascimentale italiana, lo scrit-to si apre con un prologo nel quale vengono esplicitati tanscrit-to la struttura e lo

221 Sull’opera di Bustron vd. Grivaud 1996a, pp. 1154-1168, con ampia bibliografia precedente; cfr. anche Coureas 2005b, pp. 30-32.

222 Mas Latrie 1886.

223 Cfr. Grivaud 1996a, p. 1155, nota 117: «`H œkdosh aÙt¾ bas…zetai st¾n parabol¾ pšnte ceirogr£fwn t¦ Ðpo…a dn œcoun perigrafe‹, kaˆ tîn Ðpo…wn dn œcei ¢podeicqe‹ ¹ sun£feia. 'ApÕ t¦ ceirÒgrafa aÙt£, Ð R. de Mas Latrie ¢koulouqe‹ kur…wj t¾n ™kdoc¾ ˜nÕj keimšnou ¢ntigrafšntoj st¾ Gšnoua (!) perˆ t¦ tšlh toà 17ou a„èna kaˆ tÕ Ðpo‹o ™mfan…zei, logikîj, glowssik¦ sc»mata ¢ntlhmšna ¢pÕ t¾ genouatik¾ di£lekto». Sulla base di queste considerazioni si è qui preferito seguire la lezione del testo di Bustron offerta da BNM, ms. It. VI, 33 (5943).

224 Dell’Historia di Bustron è stato possibile individuare i seguenti esemplari mano-scritti: BNM, ms. It. VI, 33 (5943); BMCVe, ms. Cicogna 3187/1; Bup, ms. 164; BuG, ms. C.V.3; BuG, ms. E.V.15; BNf, ms. It. 832; BNf, ms. It. 833; BL, Add. ms. 8630; ÖNB, ms. 6208.

scopo della narrazione, quanto le fonti utilizzate. L’erudito riferisce di aver compiuto le proprie ricerche «tra libri latini, greci et francesi, per trovar quel più che si poteva» e fornisce quindi un copioso catalogo di testi classi-ci, che egli dichiara di aver direttamente consultato226. Nell’ordine seguito da Bustron gli autori menzionati sono: Tolomeo, plinio il Vecchio, Livio, Ovidio, Erodoto, Tucidide, Arriano, Omero, Libanio, pindaro, Licofro-ne, Dionigi periegeta, plutarco, StraboLicofro-ne, Isocrate e pausania. A questo elenco si aggiungono i nomi di Boccaccio, con il preciso riferimento alle Genealogie deorum gentilium227, e di Teodonzio, mitografo medievale, la cui opera doveva risultare nota a Bustron soltanto tramite il filtro di Boccaccio stesso228.

Il contenuto dell’Historia segue un’articolazione in tre libri, nei quali gli argomenti trattati risultano organizzati secondo un criterio strettamente cronologico. A tale ottica sfugge tuttavia la sezione iniziale del primo libro, dedicata proprio alla fase più antica del passato di Ci-pro. Adottando uno schema già familiare fra gli altri a Domenico Silve-stri229, l’autore si occupa innanzitutto di celebrare la nobiltà e l’antichità dell’isola, facendo risalire il suo ordinamento monarchico alla mitica età di Minosse. Seguono l’elencazione dei nomi antichi di Cipro e la de-marcazione dei confini dell’isola, ovvero delle differenti denominazioni assunte dai mari che la bagnavano. primo fra gli eruditi moderni a noi noti ad attuare un raffronto fra le diverse fonti geografiche antiche rela-tive a Cipro, Bustron riporta quindi per intero il catalogo dei toponimi locali attestati dalla Geografia di Tolomeo230, precisando che a questa lista erano da aggiungersi i nomi di altre quattro città, la cui esistenza era invece testimoniata dall’opera di Strabone. Di queste ultime,

pun-226 BNM, ms. It. VI, 33 (5943), f. 1r.

227 Sull’importanza delle Genealogie boccacciane per la conoscenza in età tardo-medieva-le e rinascimentatardo-medieva-le degli episodi della mitologia classica inerenti a Cipro cfr. supra, par. 1.1.4.

228 Sugli scritti di Teodonzio, ampiamente utilizzati da Boccaccio, ma noti ora solo in forma frammentaria, vd. Jocelyn 1993; Zaccaria 1998, pp. 1613-1614, nota 24; pastore Stocchi 2007.

229 Cfr. supra, par. 1.2.1.

230 Cfr. Grivaud 1996a, p. 1162, nota 143, dove si suggerisce che Bustron non abbia svolto in tal senso un ruolo innovatore, dal momento che l’opera di Tolomeo circolava a Cipro sin dagli inizi del Quattrocento. L’autore dell’Historia fece comunque ricorso ad una traduzione latina della Geografia.

tualizza l’autore, «non si vede vestiggio, né si truova memoria alchuna dove erano fabricate»231.

A dispetto di queste velleità erudite, Bustron non rinuncia a volte a ricorrere ad interpretazioni fantastiche per spiegare eventi che gli apparivano altrimenti di difficile comprensione. Così, proprio a proposito della spari-zione di molti antichi insediamenti dell’isola, egli dichiara apertamente di aver «inteso d’alchuni vecchi che molte di queste città […] sieno destrutte da un mostro chiamato Lamia»232. Seguendo lo schema già inaugurato da francesco Attar, anche Bustron inserisce poi nella propria opera un’ampia digressione sugli antichi siti ciprioti, la cui esistenza risultava attestata da resti archeologici o dalla voce degli autori classici. In questa sezione topo-grafica egli introduce tuttavia una quantità di dettagli ben maggiore rispetto al proprio antecessore, dimostrandosi inoltre più propenso ad indicare in maniera esplicita le fonti a cui aveva attinto le proprie informazioni.

L’approccio allo stesso tempo archeologico e letterario che caratterizza questa parte dell’Historia è ben sintetizzato da un’iniziale dichiarazione di intenti, nella quale viene subito chiarita l’identità della fonte che Bustron scelse di utilizzare come auctoritas:

Quelle [delle antiche città cipriote] delle quali vi è qualche memoria nelli scritti et in fatto si vedeno vestigii, dirò quello ho possuto intendere et parte vedere: come et dove erano, cominciando per ordine nel mede-mo stile che Tolomeo le descrive233.

Ricalcando dunque il disegno della Geografia tolemaica, l’erudito ci-priota comincia il proprio excursus topografico descrivendo i siti della regio-ne di pafo. Nonostante la sua buona conoscenza delle fonti geografiche anti-che, per quanto riguarda quest’area egli si limita però a riportare soprattutto notizie di carattere mitologico, derivate da un’ampia rosa di autori classici (Cicerone, Ovidio, Giustino, Lattanzio etc.) e integrate spesso da passi delle Genealogie boccacciane. Riferendo uno dei coevi tentativi di identificazione dei resti del santuario di Afrodite, Bustron dimostra tuttavia di non voler di-pendere unicamente dalle indicazioni delle fonti letterarie, ma di possedere

231 BNM, ms. It. VI, 33 (5943), f. 2v.

232 BNM, ms. It. VI, 33 (5943), f. 2v. Il termine compare già nella letteratura greca e latina ad indicare una creatura mostruosa con corpo femminile che era solita nutrirsi di fanciulli: cfr. West 1991.

anche un’effettiva competenza della realtà territoriale della propria isola234. È questa una delle prerogative che conferiscono maggiore importanza all’opera dell’erudito, la cui testimonianza, più di ogni altra sinora esa-minata, rappresenta un punto di riferimento obbligato per ricostruire le tappe iniziali della storia dell’archeologia cipriota.

proseguendo la propria descrizione secondo l’ordine stabilito da To-lomeo, l’autore dell’Historia passa quindi ad illustrare le rovine dell’antico insediamento di Curio, localizzandole correttamente nei pressi dell’odierno villaggio di Episkopi, all’epoca feudo di un ramo della famiglia patrizia vene-ziana dei Corner (i Corner piscopia). Bustron ricorda inoltre il celebre san-tuario locale di Apollo e ne identifica le vestigia in un sito ubicato «appresso la città […] in loco eminente et spacioso». Tale «superba fabrica» sarebbe stata contraddistinta dalla presenza di «colonne di marmoro fino grossissime et altre colonne di mistura», nonché di «molte statue d’idoli grandi et picoli, di marmoro et altri di pietra et tutte rotte in più pezzi»235. Sebbene non sia certo a quale edificio intendesse riferirsi l’erudito, è assai probabile che i resti che egli individuò fossero effettivamente quelli dell’antico tempio di Apollo Ilate, il cui perimetro appariva costellato dalla presenza di colonne di marmo bianco e di granito ancora alla fine dell’Ottocento236.

A Sud-Ovest («garbin») di questo nucleo di rovine Bustron osservò gli avanzi di un antico «teatro, longo da circa cento passa et largo dieci, del quale anchora si vedeno le mura più di tre brazza alte»237. In questo caso l’identifi-cazione proposta non risulta corretta, in quanto la struttura descritta non era un teatro, bensì l’antico stadio della città238. A prescindere da quest’ultima inesattezza, i ragguagli forniti dall’erudito concorrono comunque a creare un’idea sufficientemente precisa dello stato di conservazione dei monumenti di Curio in età rinascimentale. L’autore attesta inoltre la presenza di «molte seppolture sotto terra fatte a scarpello, nelle quali si trovano vasi di pietra cotta, qualche anello d’oro, medaglie di rame et d’argento, qualch’una di

234 per un’analisi dettagliata di questo passo vd. infra, par. 4.2.5.

235 BNM, ms. It. VI, 33 (5943), f. 4v.

236 Cfr. Cesnola 1877, p. 343: «Its columns, in white marble and bluish granite, are lying scattered in every direction». Sul tempio di Apollo Ilate vd. Soren 1987.

237 BNM, ms. It. VI, 33 (5943), f. 4v.

238 Sullo stadio romano di Curio, posto però a Sud-Est del tempio di Apollo, vd. Whittingham 1982.

Tolomeo et d’altri re antiqui»239. È questo un chiaro riferimento a rinve-nimenti effettuati in una delle aree sepolcrali dell’antico insediamento, da identificare probabilmente con il sito della necropoli ellenistico-romana di Agios Ermogenis240.

Alla menzione di Curio segue, nell’elenco stilato da Bustron, il toponi-mo di Amatonte, all’epoca denominato anche Limassol Vecchia. In questo caso l’erudito si limita a ricordare l’ampiezza delle dimensioni dell’antica città e la presenza di un’acropoli (da lui denominata «castello»), che ne dominava il sito. Lungo il litorale sono ancora menzionate «una torre for-tissima, […] lavori di musaico, cave et seppolture»: strutture che recenti in-dagini archeologiche hanno permesso di localizzare con esattezza241. Con-cludendo la sua descrizione dell’insediamento, il notaio riferisce infine che «in la sumità del castello» erano visibili «due vasi di pietra grandi […] in forma di pitheri, ch’ognuno di quelli può capire formento moggia cento et atorno d’essi ci sono anse intagliate, le quale sono dui tauri»242. È questa la prima attestazione moderna dei due celebri vasi colossali di Amatonte, an-ticamente utilizzati per rituali sacri di lustrazione. Di essi uno fu trasportato al Louvre nel 1865, mentre l’altro, riscoperto dalla missione archeologica francese nel 1976, si trova ancor oggi in situ243.

Spostandosi verso oriente, il racconto di Bustron passa ad illustra-re il sito dell’antica Cizio, sul quale sorgeva il moderno «casal Larnica delle Saline». L’erudito ricorda come l£rnax in greco significhi «sep-poltura» e menziona di conseguenza i numerosi monumenti sepolcrali che aveva avuto modo di osservare in questa località: «si vedano in detto casal molte sepolture bellissime sotto terra, in foggia di camere quadre in volta et fodrate di marmoro, con suaze intorno et le porte et scalini di

239 BNM, ms. It. VI, 33 (5943), f. 4v.

240 Su questa necropoli vd. Oliver 1982.

241 BNM, ms. It. VI, 33 (5943), f. 5r. per un commento al passo di Bustron inerente alle rovine di Amatonte vd. Hellmann 1984, pp. 79, 95-98. per un approccio generale al sito vd. Aupert 1996.

242 BNM, ms. It. VI, 33 (5943), f. 5r. Sul termine «pitheri» (vasi di terracotta, solita-mente per fiori) vd. Boerio 1856, p. 514, s.v. Pitèr.

243 Sulla storia dei due reperti vd. Hermary 1981, pp. 83-84; fivel 1990; Hermary 2006. Il ritrovamento del secondo vaso da parte degli archeologi francesi è risultato determi-nante per l’individuazione dei resti del celebre santuario locale di Afrodite.

lavoro bellissimo»244. È questo, evidentemente, un riferimento alle tombe ipogee della necropoli nord-occidentale di Cizio, da lungo tempo nota alla critica archeologica245. La voce dedicata a Larnaca si conclude con la menzione di un secondo sepolcreto, da identificare verosimilmente con il prosieguo del precedente: «Et fuora del casale, in una valle, vi sono da l’una et l’altra banda molte seppolture per ordine sotto terra di marmoro finissimo»246.

Dopo un breve accenno all’ignota ubicazione dell’antico insediamen-to di Troni, Bustron passa a descrivere quello che in età rinascimentale era indubbiamente considerato il più importante dei siti archeologici ciprioti: Salamina. Come nel caso di pafo, anche qui l’inciso si apre con una sezione di carattere puramente letterario, all’interno della quale vengono ricordati la mitica fondazione della città da parte di Teucro e l’operato del celebre re Evagora. Bustron riferisce inoltre correttamente che nei primi tempi dell’impero cristiano Salamina fu ribattezzata Costanza e deduce, sulla base di osservazioni personali, che il sito doveva aver regolarmente sofferto di una grave carenza di acqua dolce: ne erano un chiaro indizio i monumen-tali fornici dell’acquedotto bizantino, nonché le numerose cisterne sparse per l’antica città, fra le quali se ne distingueva «una con LX boche fatta in volto, si ché in un tratto potevano da quella trar acqua LX persone»247. È probabile che quest’ultima struttura non fosse altro che il monumentale serbatoio idrico già osservato da alcuni viaggiatori nei secoli finali del me-dioevo e in particolare dal notaio di Calvi Nicola Martoni: in tal caso nelle «boche» descritte da Bustron sarebbero da riconoscere gli spiracula «unde auriebatur aqua» di cui parlava il pellegrino campano248.

L’esame delle testimonianze odeporiche ha dimostrato chiaramente come, nei decenni centrali del Cinquecento, l’area delle necropoli di

Sa-244 BNM, ms. It. VI, 33 (5943), f. 5r. Sul termine «soaze» (cornici) vd. Boerio 1856, p. 669, s.v. Soaza.

245 per un quadro d’insieme sulle aree necropolari di Larnaca vd. Karageorghis 1976, pp. 142-152; Nicolaou 1976, pp. 158-216; Yon 2006, pp. 115-128.

246 BNM, ms. It. VI, 33 (5943), f. 5r.

247 BNM, ms. It. VI, 33 (5943), f. 5v.

248 Cfr. BNf, ms. Lat. 6521, f. 89v (Le Grand 1895, p. 632). Sulla cisterna proto-bizantina di Costanza vd. Munro-Tubbs 1891, pp. 81-91; Jeffery 1926, pp. 10-12; Me-gaw 1958, p. 32; Callot 1985b, pp. 367-368; Baur 1990, pp. 213-215; Sodini 1998, pp. 622-623.

lamina fosse ormai divenuta oggetto di continue depredazioni da parte degli abitanti dei villaggi limitrofi, abituatisi a scavare le antiche sepolture per impossessarsi dei corredi conservati al loro interno. Questa prassi è confermata anche da Bustron, secondo il quale «ogni giorno» venivano ritrovate «molte medaglie d’oro, d’argento et di ramo, anelli d’oro, colla-ri, pendenti et manili d’oro, et monumenti fuora di marmoro et altri di pietra cotta»249. Alla generica menzione di questi rinvenimenti si aggiun-ge il ricordo di una scoperta ben precisa: «non è gran tempo», afferma l’erudito cipriota, «che fu trovata la sepoltura di santo Epiphanio, con lettere grece che ciò facevano noto». Sebbene priva di ulteriori riscontri, questa notizia deve essere senza dubbio collegata con quanto vide nel 1563 il pellegrino svizzero Christoph fürer, secondo il quale il sarcofago di sant’Epifanio e l’annessa iscrizione sepolcrale si trovavano all’interno della cattedrale ortodossa di San Giorgio dei Greci a famagosta250.

La descrizione degli antichi insediamenti ciprioti contenuta nell’Histo-ria prosegue con un breve richiamo ai toponimi della regione nord-orientale dell’isola. Qui erano visibili i resti di Carpasia, dove si segnalavano «molte chiese lavorate di musaico minutissimo in terra»251. Questa considerazione induce a ritenere che Bustron avesse correttamente individuato l’antico in-sediamento nei pressi del moderno villaggio di Agios philonas252. Alla men-zione di questo sito fa seguito quella di Lapito: di questa città rimanevano ancora «alchuni torrioni con pietre concie in forma di diamante, che sono cose superbissime, et torrioni fatti a scarpello in rocha viva»253. Si potevano

249 BNM, ms. It. VI, 33 (5943), f. 5v.

250 Cfr. supra, par. 2.1.3. Già nel Settecento il sarcofago non doveva più essere visibile all’interno della chiesa; cfr. Mariti 1769, p. 153: «In famagosta era il corpo di sant’Epifanio, vescovo di Salamina, né saprei che cosa ne sia stato dopo la presa della città». per un’ipotesi di identificazione del manufatto vd. Jeffery 1915-16, p. 130: «Within its walls, as already stated, was venerated the sarcophagus containing the body of S. Epiphanius […]. A very large sar-cophagus of native marble, now lying in the road close to the ruined church, may very possibly be the identical one, but there are no traces of any inscription remaining upon it».

251 BNM, ms. It. VI, 33 (5943), f. 6r. Su Carpasia vd. Mitford 1980, p. 1324.

252 una breve descrizione del villaggio di «Santo filo» compare anche nella Memoria di Leonardo Donà: vd. BMCVe, ms. Donà dalle Rose 45, ff. 165rv; cfr. Grivaud 1986, p. 23; patapiou 2006, pp. 226-227. Sul sito di Agios philonas vd. du plat Taylor 1980; du plat Taylor - Megaw 1981.

253 BNM, ms. It. VI, 33 (5943), f. 6r. Sullo scavo del sito di Lapito vd. SCE I, pp. 13-276; cfr. anche Mitford 1980, pp. 1325-1327.

poi distinguere i resti di alcune strutture facenti parte dell’antico porto e in particolare alcune «peschiere dentro nel mare, tagliate in rocha viva quadre, con alchuni canali dalli quali entrava l’acqua marina et il pesse»254. Come già Donà, anche Bustron riferisce inoltre che lungo il territorio dell’antica Lapito si trovavano numerosi sarcofagi e sepolture ipogee, nonché colonne e resti di pavimentazioni musive databili al periodo paleocristiano255.

procedendo il proprio itinerario in senso antiorario, Bustron passa ad occuparsi dell’antica Soli, nota per il leggendario soggiorno svoltovi dal le-gislatore ateniese Solone e per aver dato i natali a Stasanore, compagno di Alessandro Magno256. Anche in questo sito, ubicato nei pressi del casale di Leuca, venivano scoperte di frequente «seppolture bellissime di marmoro con li suo coperchi», dentro le quali si trovavano «anelli, pendenti et molte gentilezze antiche»257. fra i manufatti funerari provenienti da questa città se ne distingueva in particolare uno di eccezionale fattura, rinvenuto negli stessi anni in cui scriveva Bustron e menzionato anche nella Memoria di Donà: il celeberrimo ‘sarcofago delle Amazzoni’258. Dell’area urbana di Soli, ricorda infine l’erudito cipriota, erano ancora visibili il porto e molte rovine di edifici, sia civili che religiosi, fra le quali si stagliavano antiche colonne di marmo.

Sulla scorta della Geografia tolemaica, il catalogo degli antichi insedia-menti marittimi ciprioti stilato da Bustron si conclude con la menzione del sito di Arsinoe, di cui si ricorda la fondazione in età ellenistica. L’autore passa quindi ad elencare le città dell’entroterra, la cui esistenza risultava attestata sempre dall’opera di Tolomeo: Chitria, Tamasso e Treminthus. Di tutte e tre egli fornisce una corretta identificazione, ricordando tuttavia che nessuna traccia monumentale del loro passato risultava visibile ai suoi tempi.

Grazie alla sua dettagliata sezione topografica, l’Historia di Bustron si qualifica come il testo letterario più ricco di informazioni sullo stato in cui

254 BNM, ms. It. VI, 33 (5943), f. 5v. Su questa struttura vd. Nicolaou-flinder 1976.

255 BNM, ms. It. VI, 33 (5943), f. 6r: «Si vedeno molti monumenti sotto terra in

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