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Giovanni Matteo Bembo e il ‘sepolcro di Venere’

2.2. Eruditi

2.3.1. Giovanni Matteo Bembo e il ‘sepolcro di Venere’

Visitando l’interno della città murata di famagosta nell’estate del 1565, Johann Helffrich rimase particolarmente colpito dall’aspetto della piazza principale dell’abitato:

Mitten in der Statt hat es einen grossen platz oder Marckt, wel-chen sie Sanctus Marcus platz nennen. Darauff stehet ein palatium oder Rhathauss, welchs nicht fast köstlich oder gross, auff ihre art gebauwet ist, darinnen der Regent oder Gubernator in Kriegssläuff-ten und auch sonsKriegssläuff-ten Rhat zu halKriegssläuff-ten pflegt. Gegen diesem uber ste-hen zwo schöne auffgerichte Marmelsteinen Seulen, fast hoch und

starck, zwischen diesen in der mitten ist ein Marmelsteinen Grab, welchs sol seyn (wie die Innwohner sagen) der Göttin Veneris Be-gräbnuss278.

Il senso di stupore che traspare dalle parole del pellegrino tedesco è confermato anche dal racconto dell’olandese Adriaen de Vlaming, che visitò Cipro nello stesso anno:

Voor St. Nicolaes kerck op de plaets, daer staet het graf van de Go-dinne Venus, seer hoogh uyt der aerde verheven, en is daer gebracht van Baffa. ’t staet tusschen twee hooge pilaren, elck uyt een steen gehouwen, welcke daer gebracht zijn van Salamina, als men leest in de Handelingen der Apostelen, alwaer dat oudt famangusta plagh te staen279.

A distanza di quattro anni, anche Wolfgang Gebhardt inserì nel suo diario di viaggio un riferimento a quanto aveva potuto osservare nel centro di famagosta:

Giengen darnach in die Kirche de Sancto Nicolao, da der Bischof Hof hält. Vor dieser Kirche auf dem platz steht ein schöne Arka zwi-schen zweien Säulen von Steinwerk und zierlich ausgegraben, welche sie in dieser Stadt, da sie noch ungläubig waren, der Göttin Venusin zu Ehren gebaut haben280.

Situato nel cuore della più importante roccaforte militare cipriota e circoscritto dagli edifici del potere politico e religioso, il principale spa-zio pubblico famagostano sembra aver assunto, agli occhi di questi tre testimoni cinquecenteschi, una conformazione che poneva in risalto la valenza simbolica dei monumenti che vi si affacciavano. Oltre alla chiesa di San Nicolò, sede del vescovo cattolico della città, e al palazzo dove risiedeva il capitano veneziano281, la piazza ospitava anche alcuni reperti antichi, fra cui una coppia di monumentali fusti di granito (Helffrich: «zwo schöne auffgerichte Marmelsteinen Seulen»; de Vlaming: «twee ho-oge pilaren»; Gebhardt: «zweien Säulen von Steinwerk»), che, forse in

278 feyerabend 1584, f. 377r.

279 Verscheyde voyagien 1652, p. 83.

280 Khull 1897b, p. 64.

281 Su questi due edifici vd. ora rispettivamente plagnieux-Soulard 2006d; papa-costas c.s.a.

posizione leggermente spostata rispetto a quella originale, sono tuttora visibili in loco (fig. 16)282.

La provenienza di questi due manufatti dall’antica città di Salamina, più volte asserita in tempi moderni283, è confermata in maniera esplicita dalla testimonianza di Adriaen de Vlaming («daer gebracht zijn van Salamina»). Come a Venezia le due colonne di granito che si stagliano nella piazzetta prospiciente al palazzo ducale costituiscono la vera porta da mar della città lagunare, nonché il luogo dove venivano eseguite le condanne a morte284, in maniera analoga anche a famagosta un forte significato simbolico doveva connotare i due fusti cilindrici (anch’essi di granito), che si ergevano fra la cattedrale latina e l’edificio dove risiedevano le autorità della Dominante.

Lo conferma implicitamente Johann Helffrich, riferendo che la piazza principale della città cipriota sarebbe stata intitolata proprio a san Marco, patrono della Serenissima («Mitten in der Statt hat es einen grossen platz oder Marckt, welchen sie Sanctus Marcus platz nennen»). Non esistono altre testimonianze che confermino questa dedica e non è da escludere che il pellegrino fosse semplicemente incorso in un lapsus calami: ciò che conta, però, è che nella sua ottica lo spazio pubblico famagostano richiamasse senza indugio alla mente la piazza principale di Venezia. La funzione emblematica assegnata alle due colonne provenienti da Salami-na era d’altronde talmente evidente da essere sfruttata addirittura dalle forze ottomane che conquistarono la città nel 1571: non sembra infatti un caso che, per ordine di Mustafa paşa, il celebre e cruento supplizio capitale imposto a Marcantonio Bragadin sia stato eseguito proprio fra questi due reperti285.

282 Sulle due colonne famagostane vd. Jeffery 1918, pp. 60, 125-126; Gunnis 1936, p. 93.

283 Cfr. Jeffery 1918, pp. 125-126: «The columns stand on moulded pedestals of stone about two metres in height; the shafts are monoliths of grey granite about six me-tres long and presumably came from the same temple at Salamis which supplied the other columns evidently of the same order which may be found in other parts of famagusta»; Gunnis 1936, p. 93: «There, too, are the two Venetian columns, once crowned with the badges of the Republic. They are monoliths of grey granite and doubtless came from a public building at Salamis».

284 Sul valore simbolico delle due colonne veneziane, vera e propria soglia dell’area pubblica marciana e dell’intera città, vd. fortini Brown 1996, pp. 18-19, con bibliografia precedente.

mar-Nello stesso luogo in cui fu scorticato vivo il comandante veneziano si trovava inoltre un altro manufatto antico, al quale accennano tutti e tre i pellegrini che visitarono famagosta fra il 1565 ed il 1569. Le loro testimonianze ricordano infatti che nello spazio compreso fra le due colonne, forse sopra un piedistallo, era collocato un sarcofago marmoreo, la cui fama era quella di essere l’antico sepolcro della dea Venere (Helffrich: «ein Marmelsteinen Grab, welchs sol seyn […] der Göttin Veneris Begräbnuss»; de Vlaming: «het graf van de Godinne Venus, seer hoogh uyt der aerde verheven»; Gebhardt: «ein schöne Arka […] welche sie in dieser Stadt, da sie noch ungläubig waren, der Göttin Venusin zu Ehren gebaut haben»). unico fra i suoi contemporanei, Adriaen de Vlaming riferisce inoltre nello specifico che questo reperto era stato portato a famagosta da pafo («en is daer gebracht van Baffa»).

Le enigmatiche informazioni su questo manufatto, a prima vista alquanto anomale, divengono maggiormente comprensibili alla luce di altre testimonianze coeve, non appartenenti al genere della letteratura odeporica. un dettagliato resoconto delle circostanze inerenti al ritrova-mento di questo reperto è offerto innanzitutto dalla Cronica di Marco Guazzo (erudito mantovano di madre veneziana), pubblicata nella città lagunare nel 1553286. Narrando le gesta di Giovanni Matteo Bembo, ni-pote del celebre cardinale pietro, l’autore riferisce infatti:

Dopoi, essendo questo gentilhuomo capitano del regno di Cipro et essendo di elevato ingegno, nemico de l’ocio et in tutte le sue attioni prudentissimo, gli venne pensato che in famagosta il ridotto che vi era de i rettori di quel regno et isola mal corrispondeva a la grandezza loro. Adunque, facendo con diligenza cercare in più luoghi marmi antichi l’anno 1548 per ridurre quel luogo uguale a la sua dignità, trovossi di marmo bellissimo et sotto terra il sopolcro de la dea Venere conosciuto per le lettere che in quello sono intagliate et non dal tempo consumate. Cosa di gran contento a questo raro gentilhuomo, che lo fece portare nel mezzo de la piazza di famagosta et in luogo eminente tra due bellissime

tyrdom between these two columns»; Gunnis 1936, p. 93: «It was between these columns that the heroic Bragadino was flayed alive by the inhuman Mustafa after the fall of the city in 1571».

286 Su Marco Guazzo vd. petrella 2004, p. 107, nota 66, con bibliografia prece-dente.

colonne collocare, grand’ornamento di quella città, sì per bellezza quanto per l’antichità di quel sopolcro287.

Membro di un’importante famiglia patrizia veneziana, esperto uomo politico e valente comandante in tempo di guerra, Giovanni Matteo Bem-bo era stato nominato capitano di famagosta (la principale autorità milita-re dell’isola) nel 1546288. per ricoprire questa carica egli si trovò dunque a risiedere a Cipro per circa un biennio. Secondo la testimonianza di Guazzo, in questo arco di tempo Bembo si fece promotore di un’artico-lata opera di monumentalizzazione della principale piazza di famago-sta. In particolare, nell’anno in cui scadeva il suo mandato, il capitano commissionò la deliberata esecuzione di diverse ricerche archeologiche condotte «con diligenza» in vari punti dell’isola, al fine di reperire ma-nufatti antichi con cui ornare la residenza delle autorità veneziane che governavano la città289.

I siti in cui Bembo fece condurre tali indagini non sono nominati apertamente dal cronista mantovano, ma il riscontro incrociato con il rac-conto odeporico dell’olandese de Vlaming consente di dedurre, com’era presumibile, che fra essi figuravano in primo luogo le regioni di pafo e Salamina. Dalle rovine di quest’ultimo insediamento provenivano dunque i due fusti monolitici che l’erudito magistrato veneziano fece collocare nella piazza di famagosta: non si sa a quale edificio dell’antica città essi appar-tenessero, ma non è da escludere un loro precedente utilizzo nell’area del cosiddetto foro di granito290. Dalla regione di pafo era giunto invece il ‘se-polcro di Venere’, le cui complesse vicissitudini nei secoli successivi al suo ritrovamento meritano di essere brevemente ripercorse.

Ammirato da Helffrich, de Vlaming e Gebhardt al centro delle due monumentali colonne di granito, il manufatto è lì individuato anche da una celebre incisione raffigurante l’assedio di famagosta, realizzata dal

bre-287 Guazzo 1553, f. 413v.

288 Cfr. Arbel 1995, p. 535.

289 Dati biografici su Giovanni Matteo Bembo in Mazzuchelli 1760, pp. 731-733; Cicogna 1830, pp. 318-323; Scrinzi 1899-1900, pp. 513-517; Secchi 1966. Sul suo operato a famagosta vd. anche Arbel 2001, pp. 652-653.

290 Sulla provenienza delle colonne reimpiegate a famagosta vd. Jeffery 1918, p. 158. per un’analisi petrografica delle colonne granitiche conservate nei siti archeologici ci-prioti o attestate in contesti di reimpiego vd. Williams-Thorpe - Webb 2002, part. p. 342 per un fugace accenno alle colonne del ‘foro di granito’ di Salamina.

sciano Stefano Gibellino proprio nel 1571, anno in cui le armate ottomane conquistarono la città (fig. 17). In essa compare una minuscola rappresen-tazione grafica del sepolcro marmoreo, collocato davanti alla mole della cattedrale, individuata nella legenda con la dicitura «San Nicolò, domo di franchi, davanti al qual gli è l’arca di Venere posta fra due colonne»291.

Dopo l’annessione di Cipro all’impero della Sublime porta l’accesso a famagosta fu a lungo interdetto ai Cristiani. In questo periodo la collocazio-ne del ‘sepolcro di Vecollocazio-nere’ dovette però restare sostanzialmente immutata. Quando, infatti, fu nuovamente consentito ai primi viaggiatori occidentali di entrare all’interno della città murata, essi osservarono il sarcofago ancora nei pressi dell’antica cattedrale di San Nicolò dei Latini, allora (come oggi) trasformata in moschea. Lo attesta innanzitutto il racconto del sacerdote anglicano Richard pococke, che visitò famagosta nell’autunno 1738:

The antient piazza seems to have been very beautiful. The house of the governor with a portico before it is on one side and the western front of the church of Saint Sophia on the other. It is a most beautiful Gothic building, now converted into a mosque, but about three years ago two thirds of it was thrown down by an earthquake, together with the great-est part of the city. Before it there is a Greek inscription on a black stone, which might be part of a pedestal for a statue. Near the north west corner of the church there are two pillars, which probably had on them the Venetian ensigns. Near these there is a coffin of white marble adorned with lyon heads and festoons held by cupids292.

pur ignorando la leggenda diffusa negli ultimi anni della dominazione veneziana, pococke rimase comunque evidentemente colpito dall’aspetto del reperto. La descrizione che egli ne fornisce consente inoltre per la prima volta di intuire almeno in parte quali ne erano le sembianze: il ‘sepolcro di Venere’ era in realtà un sarcofago di marmo bianco, le cui facce erano ornate da protomi leonine e ghirlande sorrette da eroti.

Secondo il reverendo anglicano nei pressi dell’antica arca funeraria si trovava anche un’iscrizione greca, incisa su una base lapidea di colore scuro («a Greek inscription on a black stone»), che egli non trascrisse

nell’edizio-291 Cfr. Enlart 1899, p. 637; Scrinzi 1899-1900, p. 516; Otten-froux 2006, p. 112.

ne a stampa del suo diario di viaggio, ma inserì invece nella sua silloge di iscrizioni greche e latine pubblicata a Londra nel 1752293. È assai probabile che questo reperto inscritto, una dedica a Traiano da parte della città di Salamina, fosse stato collocato nella piazza principale di famagosta dallo stesso Giovanni Matteo Bembo. Non è inoltre da escludere che la sua prossimità al sarcofago sia da correlare con la leggendaria identificazione di cui quest’ultimo era stato oggetto in epoca veneziana: sembra infatti che la leggenda diffusa in quel periodo fosse stata sostenuta su basi epi-grafiche, come ricorda Marco Guazzo, secondo il quale il ‘sepolcro di Venere’ era stato «conosciuto per le lettere che in quello sono intagliate et non dal tempo consumate».

La testimonianza di pococke è confermata e parzialmente integrata da quella di un suo contemporaneo, il console britannico ad Aleppo Ale-xander Drummond, che visitò per la prima volta Cipro nella primavera-estate del 1745:

In the front of this church, upon the right, are two granite pillars, detached from it, with capitals and bases of white marble; and between them stands a sarcophagus, adorned with festoons, but altogether unin-scribed; which is a very extraordinary circumstance. Why should such expence be laid out upon a burying-place, when nobody knows to whom it belongs294?

In forma più sintetica, anche Drummond rileva la presenza dell’antico sarcofago e dei due fusti di granito, ai quali erano state affiancate due coppie di basi e capitelli in marmo bianco (oggi ricomposte sulle colonne). Enfatiz-zando con ironia il fatto che l’antico sepolcro fosse manifestamente anepigra-fe, il racconto del console britannico non contiene invece alcun riferimento all’iscrizione greca che pococke aveva osservato e trascritto pochi anni prima.

Alla fine del XVIII secolo i reperti con cui i Veneziani avevano ornato la piazza principale di famagosta erano ancora visibili nei pressi della loro

col-293 pococke 1752, p. 42, n. 3. Cfr. CIG 2634; pouilloux - Roesch - Marcillet-Jaubert 1987, p. 62, n. 139: «[AÙtokr£tor]a Nšrouan TraianÕn Ka…sara/ [Seba-stÕ]n GermanikÒn, uƒÕn qeoà/ [Nšroua Se]bastoà, ¹ pÒlij. (”Etouj) g/». Il reperto, a lungo conservato nella piazza principale di famagosta, è stato in seguito trasferito nel locale museo archeologico, dove dovrebbe tuttora trovarsi (il museo è inaccessibile dal 1974).

294 Drummond 1754, p. 139. Sul soggiorno di Drummond a Cipro cfr. Gilet 2005, p. 142.

locazione originaria. Lo attesta un’acquaforte tratta da un disegno del pittore francese Louis-françois Cassas, autore di una ricognizione dei siti archeolo-gici e dei monumenti del Levante intrapresa su commissione dell’ambascia-tore di Luigi XVI alla Sublime porta. Cassas visitò Cipro nei primi mesi del 1785 e rimase colpito tanto dall’arca funeraria e dalle colonne, quanto dal contesto esotico e decadente in cui esse si trovavano inserite (fig. 18)295.

Anche durante i decenni finali del governo ottomano su Cipro il ‘se-polcro di Venere’ non subì significativi spostamenti. In un’epoca impre-cisata l’area dell’antico sagrato a Nord-Ovest della facciata di San Nicolò iniziò ad essere utilizzata come cimitero islamico e l’antico sarcofago fu trattato alla stregua delle altre tombe che lo circondavano296. poco dopo la trasformazione dell’isola in protettorato inglese, esso divenne però og-getto di una singolare forma di reimpiego297. Nel 1883, infatti, si decise di utilizzare l’antico sepolcro per accogliere le spoglie del capitano James Argyll Spalding Inglis, già Commissioner di famagosta, morto il 1 aprile di quell’anno, mentre ricopriva la stessa carica a Nicosia298. Con il consenso della comunità islamica, il sarcofago fu così trasportato nel sobborgo di Varosha, dove fu posto nel giardino dell’ottocentesca chiesa della Santa Croce, trasformato in una sorta di cimitero privato299. Qui esso risultava ancora visibile attorno alla metà degli anni ’60 del Novecento300.

295 Sul soggiorno di Cassas a Cipro vd. Severis 2000; Gilet 2005, part. pp. 149, 153, fig. 4b. Sul sarcofago il disegnatore commentò: «Tout trop long et les ornements très saillants».

296 Cfr. Gunnis 1936, p. 455: «During the Moslem period it was covered with a medieval tomb slab torn up from the floor of the cathedral and used as a bier for the bodies of dead Turks».

297 Vd. Jeffery 1918, p. 126: «The “tomb of Venus” naturally fell into oblivion dur-ing the Turkish Occupation, and its subsequent history is obscure. At the time of the Eng-lish Occupation the sarcophagus appears to have stood in the place to which it was assigned by the Venetians, but owing to some alterations in the Moslem cemetery surrounding it, the opportunity was taken for its removal to do duty of a totally different kind»; cfr. anche Enlart 1899, p. 637.

298 per gli estremi cronologici degli incarichi ricoperti da Inglis a Cipro vd. Harfield 1978, p. 162.

299 La vicenda è ampiamente descritta (seppur con alcune imprecisioni) da Jeffery 1918, pp. 126, 226; cfr. Close 1934, p. 115; Gunnis 1936, p. 455; Luke 1965, p. 70; Sacopoulo 1966, pp. 139-140, 145-146.

poco tempo dopo il reperto fece tuttavia ritorno all’interno delle mura di famagosta. prima del 1974 esso si trovava infatti nel cortile di una scuo-la media femminile delscuo-la città vecchia, come attesta Cornelius Vermeule, che per primo ne fornì un’analisi stilistica, classificandolo come un sarcofa-go neoattico, scolpito verso il principio del III secolo d.C. e decorato con maschere dionisiache ed eroti sorreggenti ghirlande. Lo studioso avanzò inoltre l’ipotesi che il manufatto provenisse da Salamina, ove sarebbe giun-to dalle cave di marmo della frigia301. Di recente esso è stato trasferito nei pressi della piazza principale della città ed è oggi visibile all’interno dell’area dove un tempo sorgeva la residenza delle autorità veneziane, appoggiato su uno zoccolo rialzato e circondato da una catenella protettiva (fig. 19).

Sebbene l’aspetto di questa antica arca marmorea risulti ormai noto con sufficiente chiarezza, la critica archeologica non ne ha esplicitamente colto l’identità con il leggendario ‘sepolcro di Venere’302. A ciò si aggiunge il fatto che le motivazioni che indussero a fornire questa lettura del reper-to non sono state finora sufficientemente indagate. Se la documentazione strettamente inerente al territorio cipriota non offre per il momento altre notizie utili, ulteriori delucidazioni provengono però da una serie di fonti letterarie ed iconografiche ascrivibili alla matura stagione rinascimenta-le veneziana. una prima indicazione esegetica è fornita innanzitutto dal breve dialogo sulle «cose notabili e belle» della città lagunare dato alle stampe nel 1556 da francesco Sansovino sotto lo pseudonimo di Ansel-mo Guisconi303. Soffermandosi ad illustrare la decorazione plastica della loggetta del campanile di San Marco (fig. 20), opera a bassorilievo realiz-zata fra il 1537 e il 1546 da suo padre Iacopo, l’autore dichiara:

301 Vermeule 1976, p. 73: «The sarcophagus now in the yard of a girls’ middle school at old famagusta was probably imported from the phrygian quarries in the upper Maeander Valley to Roman Salamis. Its designs follow Attic models at second hand and its date ought to be fairly close to A.D. 200». La testimonianza di Vermeule si riferisce verosimilmente ad un momento antecedente all’invasione di Cipro attuata dalle forze militari turche nell’ago-sto 1974.

302 Cfr. Hermary 1985a, p. 30: «Je ne sais si, depuis la fin du siècle dernier, quelqu’un s’est penché sur cette question du ‘sarcophage de Venus’»; Hermary 1990, p. 7: «Cet objet […] n’est peut-être que le sarcophage romain […] vu au même endroit par pococke en 1738».

303 Sulla figura di francesco Sansovino vd. Bonora 1994, part. pp. 163-194 per un esame delle successive edizioni del trattato su Venezia composto dal letterato.

Venere, dea delle delizie, nacque in Cipri e ne fu regina non finta, ma vera, sì perché gli scrittori di ciò dicono e sì anco perché messer Gian Matteo Bembo, che fu in reggimento in quell’isola, ha trovato la sua tomba304.

L’inconsueta affermazione trova eco nella successiva e celeberrima gui-da a stampa di Venezia che lo stesso francesco Sansovino pubblicò nel 1581 con il titolo Venetia città nobilissima et singolare:

Nei tre quadri di basso rilievo posti di sopra alle predette quattro

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