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Fondazione dei Musei Civici

CAPITOLO 3: i Musei Civici di Padova

3.2 Fondazione dei Musei Civici

I Musei Civici sono un’istituzione che si costituì nei secoli, pertanto non esiste un documento ufficiale che possa dirci con esattezza quando e come essi si siano formati; è possibile, però, individuare nel passato una tradizione divenuta prassi nella Serenissima e che fu applicata anche alle varie dominazioni veneziane, tra cui Padova, che può essere considerata come un primo sviluppo della raccolta dei musei patavini. Quest’ultima consisteva in un lascito, generalmente di oggetti artistici come quadri, fatti realizzare dai magistrati di terraferma con intenti encomiastici o religiosi, che venivano mantenuti per abbellire i vari luoghi governativi una volta finito l’incarico dei loro committenti.

A tale usanza si aggiunse un’importante acquisizione, avvenuta nel 1783 a causa della soppressione del monastero di Giovanni di Verdara. Il monastero, infatti, era divenuto la sede di un’immensa raccolta eterogenea di beni artistici che vennero collocati, dopo la liquidazione dell’ente religioso, nei vari locali del Comune di Padova e disposti senza uno specifico criterio di allestimento in essi. Si nota già, come fu la sede comunale a fare da polo d’attrazione per la conservazione di opere d’arte, nonostante la mancanza, ancora, di una precisa intenzione municipale.

Negli anni appena precedenti alla caduta della Serenissima, compresi tra il 1793 e il 1795 a Padova venne compiuta dall’illustre Giovanni De Lazara un’ispezione riguardante tutti i dipinti

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situati non solo nella città, ma anche nelle sue zone limitrofe. Questo fu un primo segnale che indicava l’attenzione nei confronti della tutela dei beni artistici. Successivamente, una volta instaurato il governo napoleonico, Pietro Edwards si occupò di catalogare i materiali d’arte, questa volta non limitandosi alla sola municipalità patavina, ma in tutto il Veneto, prima che i due inviati di Bonaporte, Giuseppe Appiani e Ignazio Fumagalli arrivassero per compiere una cernita su quali opere inviare a Brera e a Venezia per incrementarne le collezioni museali. Quelle non considerate idonea a essere spedite alle due città rimasero depositate nei luoghi di provenienza (Banzato, 2000). In questi anni si manifestò un passaggio di consegne tra il potere religioso e quello secolare, scaturito dalla soppressione degli enti sacri avvenuto con la perdita di potere della Serenissima: venendo a mancare le funzioni conservative che svolgevano le varie congregazioni religiose nei confronti delle collezioni artistiche che si erano andate a creare al loro interno, furono le varie municipalità a farsi carico della loro protezione. A Padova tale fenomeno raggiunse il suo apice nel 1857, nel momento in cui l’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe decretò che i beni artistici, che un tempo erano di proprietà degli istituti sacri soppressi e ora, come si è visto, erano dislocati in vari centri abitativi, dovevano essere affidati alle cure della città (Banzato, 2008).

Durante questo lasso di tempo però, e precisamente nel 1825, prese forma la prima raccolta archeologica, composta essenzialmente da materiali rinvenuti sia a Padova, che nelle sue vicinanze, il cui nucleo principale proveniva da quella di origini cinquecentesche dell’intellettuale Alessandro Maggi da Bassano. Nel mese di luglio dello stesso anno venne celebrata la sua inaugurazione da Francesco I d’Austria e intitolata Museo (Banzato, 2000). La denominazione della collezione, però, non deve indurre a pensare che si originò automaticamente un’istituzione autonoma, come la intendiamo oggi; la sua nascita fu collegata alla Commissione conservatrice dei pubblici monumenti di Padova fondata tra il 1817 e il 1818 con il compito specifico di tutelare il patrimonio artistico presente sia in edifici sacri, che in quelli pubblici. L’organo nonostante si fosse costituito senza gravare sulle finanze della municipalità, per quanto riguardava gli esborsi derivanti dal suo operato avrebbe dovuto usufruire delle risorse fornitegli dalla Delegazione provinciale e per diversi anni non fu operativo. Fu nel 1824, quando il presidente della Commissione, l’allora podestà Saggini, conferì all’abate Giuseppe Furlanetto il compito di sviluppare e implementare le norme disciplinari dell’ente, che esso diede i suoi primi risultati. Lo specialista, infatti, aveva già elaborato l’anno precedente un resoconto attraverso il quale aveva informato il Comune della

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quantità dei materiali archeologici presenti sul territorio padovano, contando pressappoco 760 oggetti di origine lapidea. In aggiunta, con questo documento l’abate Furlanetto, oltre a evidenziarne l’importanza per lo studio degli sviluppi storici locali, mise in luce come essi fossero a rischio di essere dispersi e propose di collocarli nelle logge del Palazzo della Ragione. La Commissione appoggiò la mozione dello studioso e si adoperò per realizzarla: fece redigere un elenco di oggetti da esporre nel loggiato; cercò di incoraggiare i lasciti da parte dei cittadini in possesso di oggetti lapidei; si adoperò in modo tale che il podestà potesse incentivarne la rimozione da parte di enti sia pubblici che religiosi e si premurò di organizzarne il trasferimento dalla sede originaria a Palazzo della Ragione. Il ruolo della municipalità padovana sarebbe stato quello di appoggiare ma soprattutto promuovere tale operazione, attraverso la diffusione delle informazioni, per i singoli proprietari del materiale archeologico, inerenti alle modalità con cui sarebbe avvenuta la consegna al Comune (Boaretto, 2019). L’allestimento del Museo archeologico fu progettato dal protagonista della sua formazione, l’abate Giuseppe Furlanetto, il quale decise di far adottare alla collezione una sistemazione ragionata su basi scientifiche (Banzato, 2000). Le logge del Palazzo della Ragione, però, non furono gli unici ambienti interessati al raggruppamento del patrimonio lapideo, perché, benché sia ancora prematuro parlare di un programma di raccolta delle testimonianze civiche del passato nella sede comunale, che si svilupperà successivamente come si vedrà, la Commissione conservatrice nel suo regolamento previde anche l’utilizzo di un’apposita mobilia, da poter sigillare, per oggetti antichi che non fossero realizzati esclusivamente con il medesimo materiale di quelli nel loggiato. Il podestà e un componente della Commissione ne avrebbero tenuto le chiavi.

Dall’inaugurazione della collezione, fregiata già all’epoca con il titolo di museo, passarono tre anni prima di completare i lavori di trasferimento dei vari materiali rinvenuti; è proprio in questo momento che si evince chiaramente il collegamento molto forte esistente tra la raccolta e la Commissione che ne plasmò la creazione. Ciò avvenne precisamente dopo che la Regia Delegazione provinciale convalidò lo statuto dell’ente patavino, nel 1828, in cui erano contenuti, tra gli altri, degli indirizzi specifici da seguire inerenti alla tutela e all’amministrazione del Museo. Quest’ultimo, così, venne definito a tutti gli effetti come collezione di materiali archeologici della Commissione conservatrice.

Si volle provvedere anche alla realizzazione di una giuda al patrimonio esposto nel loggiato del Palazzo della Ragione, prendendo a modello quelle di Brescia e Bologna. La sua pubblicazione,

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però, avvenne con molto ritardo, nel 1847, questo a causa delle difficoltà riguardanti il reperimento di fondi da utilizzare per poterla stampare; il Comune, infatti, finanziò circa la metà del progetto, pagando una somma di L. 1400. Come si può notare, il fatto che la Commissione fosse economicamente legata alla municipalità causava due riscontri opposti, ma tra loro connessi: l’ente riuscì comunque a implementare tutti i suoi programmi inerenti al Museo, ma sempre con molte complicazioni e lentezza (Boaretto, 2019).

Dopo due anni dall’apertura del Museo, nel 1828, il Comune padovano volle riordinare i propri archivi, fu in questo contesto che venne creata la figura del direttore d’Archivio, da cui poi sarebbe sorta quella del direttore dei Musei Civici (Banzato, 2000). Padova nel 1839 ricevette un’altra donazione degna di nota: in questo caso non si trattò di beni artistici, bensì il conte Girolamo Polcastro lasciò la propria biblioteca, costituita da 4.115 volumi di eccezionale pregio, in eredità al Comune. Solitamente è con questa data che si tende a individuare la fondazione della Biblioteca patavina, anche se il patrimonio librario arrivò a destinazione sei anni più tardi ed era già presente nel Comune un nucleo iniziale di volumi, che non erano, però, accessibili al pubblico (Boaretto, 2019). Il conte Polcastro, comunque, non fu il solo a tramandare alla propria comunità il suo patrimonio costituito da libri, ma molte donazioni aventi materiali simili si riversarono alla città (Banzato, 2008).

Da tale sviluppo storico, quindi, è evidente come una prima raccolta archeologica, ma anche artistica, vennero create parallelamente allo sviluppo della biblioteca e degli archivi, già presenti, della città e non in modo distinto. Il primo direttore delle tre istituzioni appena menzionate, museo-biblioteca-archivio, che verranno definite nel loro insieme Museo Civico fu Andrea Gloria. Il suo principale intento, infatti, voleva essere quello di creare a favore del Comune di Padova un’istituzione che ne contenesse tutte le testimonianze che narrassero le sue vicende locali.