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La nascita del Museo Bottacin

CAPITOLO 3: i Musei Civici di Padova

3.5 Il ruolo centrale delle donazioni

3.5.4 La nascita del Museo Bottacin

Nicola Bottacin nel 1863 decise di dedicarsi a vita privata, chiudendo anche la propria attività a Trieste, in questo modo riuscì a dedicare il suo tempo libero ai suoi svariati interessi, specialmente quelli inerenti alle sue raccolte artistiche. In quell’epoca la collezione di monete aveva raggiunto grandi dimensioni, addirittura risultando molto più ampia rispetto ad alcuni istituiti museali con cui scambiava i pezzi. È a partire dai primi anni Sessanta, che nel protettore delle arti vicentino iniziò a manifestarsi l’idea di spostare la propria raccolta a un ente pubblico che potesse conservare e proseguire le ricerche scientifiche della propria raccolta numismatica e sapeva già a quale avrebbe voluto farne dono: al Civico Museo patavino. Bottacin, infatti, conosceva già l’istituzione museale gestita da Andrea Gloria, in quanto andò personalmente a visitarlo, oltre ad avere avuto dei contatti con il suo personale per lo scambio di alcuni materiali di pregio artistico (Boaretto, 2015).

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Il direttore del Museo di Padova riportò in alcuni suoi scritti le condizioni che Bottacin propose al Comune in cambio del suo primo lascito, tra questi compaiono anche le motivazioni, date dal mecenate vicentino, per la scelta dell’istituzione a cui affidare le sue collezioni. Il cavalier Bottacin definì i cittadini di Padova pieni di orgoglio municipale e amore verso il proprio comune. Questa tendenza non appare però particolarmente originale, in quanto l’epoca in cui scrisse il cavaliere è quella in cui si manifestò una certa attenzione verso le virtù civiche in un contesto che più ampiamente vide il diffondersi di ideali comuni per lo stato che lentamente si stava formando. Ciò che più interessa, nelle parole redatte dal benefattore è come lo stesso volesse lasciare un ricordo ai postumi della sua persona, attraverso la donazione, in una città a cui si sentiva molto legato. A Padova, infatti, il padre di Nicola Bottacin trascorse i suoi ultimi giorni di vita (Gloria, 1867). Inoltre, per quanto riguarda le discipline legate alla numismatica a Padova e precisamente nella sua Università, a partire dal 1734, era presente un «Gabinetto di Numismatica ed antiquaria», che nel secolo seguente, nel 1817 circa, divenne un vero e proprio insegnamento. È, da quest’ultimo, che successivamente vennero create le cattedre di Archeologia e Numismatica (Parise, 2004). Si può rilevare, quindi, come furono un insieme di fattori, sia privati, che legati alla formazione di interessi storico disciplinari, che diedero a Nicola Bottacin l’impulso a dare proprio a Padova le sue raccolte.

Risulta poco chiaro dai documenti che sono arrivati fino ai giorni nostri capire come mai Nicola Bottacin iniziò a staccarsi dalla città giuliana per andare a Padova; come si è detto, nonostante la sua partecipazione assidua nella vita sociale triestina non fu mai considerato un suo pieno cittadino. Sicuramente rispetto alla prima metà del secolo Trieste era mutata: Massimiliano Ferdinando si traferì in Messico; il clima stava iniziando ad essere meno sereno a causa del manifestarsi di nervosismi tra le varie aggregazioni di cittadini aventi differenti nazionalità; il barone Pasquale Revoltella, considerato dal Bottacin come possibile oppositore, dopo un periodo di assenza ricomparve sulla scena politica.

Fu essenziale che il collezionista andò a visitare di persona il Civico Museo di Padova, in quanto tale visita infuse in Bottacin l’idea che quello fosse il luogo ideale dove le sue raccolte sarebbero state tutelate e conservate nel tempo (Boaretto, 2015).

Come si è più volte ribadito, il primo lascito di Bottacin avvenne nel 1865; le varie negoziazioni iniziarono ufficialmente nell’agosto di quell’anno, quando il mecenate ne diede la notifica sia ad Andrea Gloria, che l’allora podestà di Padova Francesco de Lazara. Il dono consisteva principalmente dalle varie successioni di monete che Nicola riuscì a mettere insieme nella sua

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residenza triestina e della dattilioteca. I progressi degli accordi furono abbastanza lenti, infatti, solo verso fine anno vennero messi a punto i termini per la donazione della raccolta (Callegher, 2004). Similmente a quanto era stato deciso attraverso il legato dal conte Leonardo Emo Capodilista per la quadreria, e come lo stesso regolamento museale disciplinava, venne assicurato al collezionista vicentino dal Comune che il suo lascito sarebbe stato posto in una specifica sala battezzata da adesso in avanti «Museo Bottacin». La grande differenza tra la donazione di Emo Capodilista e quella di Nicola Bottacin, come si è già ribadito, fu che se il primo non si occupò personalmente delle sorti della sua collezione di quadri, perché donata a Padova come legato dopo la sua morte, Bottacin, invece, poté e soprattutto era intenzionato a seguire gli sviluppi del suo lascito personalmente. Inoltre, se il primo si limitò a fare un dono al Civico Museo, il proprietario della collezione di monete voleva che il suo fosse conservato non in un aula intitolata semplicemente alla sua persona, ma che fosse denominata Museo (Gloria, 1867).

Inizialmente, Nicola si affidò al direttore del Museo Civico, Andrea Gloria, in quanto grazie ai suoi anni di servizio all’ufficio padovano aveva ormai acquisito una notevole preparazione per l’organizzazione delle raccolte. Nicola, infatti, richiese al direttore di definire come sarebbe dovuto avvenire il lascito, ma successivamente questo documento vennero rivisto e aggiustato dallo stesso benefattore (Boaretto, 2015). Nel testo che il cavaliere mandò alla municipalità appare come lo stesso mecenate avrebbe continuato a investire sulle collezioni per permetterne la loro crescita, anche questa fu una grande differenza rispetto al legato del conte Leonardo Emo Capodilista, che invece affidò i costi del restauro dei quadri interamente al Comune. Il collezionista, inoltre, si rivolse ai termini che avrebbe dovuto accettare la municipalità, definendoli suoi desideri: una volta cedute le sue serie di monete, sarebbe stato lui in primis a gestirle, precisamente curando la loro espansione e quando necessario apportandovi anche delle modifiche. Ogni volta che ci sarebbero stati dei mutamenti avrebbe informato il direttore del Civico Museo, che avrebbe anche provveduto alla disciplina del nuovo Museo (Gloria, 1867).

La municipalità patavina il 28 dicembre 1865 confermò ufficialmente di aderire ai desideri di Nicola Bottacin e quindi si assunse la responsabilità di conservare il suo lascito (Boaretto, 2015). Grazie questo gesto filantropico al collezionista, vicentino di nascita, venne concessa la cittadinanza patavina (Callegher, 2004) e addirittura anche la realizzazione della sua effige in marmo che sarebbe stato situato nel Museo (Gloria 1867).

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Sin dall’inizio della sistemazione della collezione, appare molto chiaro come il suo benefattore fu sempre presente, a partire dalle modalità espositive dei materiali artistici, in quanto si occupò direttamente dell’esecuzione della mobilia, che avrebbe contenuto le sue monete, commissionandola a maestranze triestine e alla catalogazione in maniera dettagliata dei pezzi. Il Comune, da parte sua, si premurò di ingaggiare Luigi Rizzoli, scelto esplicitamente dal collezionista, per affiancarlo come aiutante nel lavoro di classificazione delle monete (Boaretto, 2015). L’anno successivo, invece, richiese l’aiuto anche di Carlo Kunz, che conobbe a Trieste nei primi anni di avvio della sua attività collezionistica (Banzato 2018).

Fu nello stesso anno, il 1866, che il nuovo cittadino padovano si impegnò verso un nuovo proponimento, ossia di trasformare il suo lascito civico in qualcosa di più ampio: un’istituzione che delineasse le vicende storiche della numismatica. Avvenne così che propose alla municipalità, ottenendone l’approvazione, di aggregare i materiali civici, inerenti alla disciplina in questione, alle sue collezioni, andando così a formare un’ulteriore sezione del Civico Museo, citata anche dal suo direttore Andrea Gloria.

In questo modo si andarono a sovrapporre le due dimensioni, quella scientifica e quella gestionale, insite nei due istituti: del Museo Civico e del Museo Bottacin. Per quanto riguarda la prima, il neonato ente fece proprie le modalità già utilizzate dall’ufficio civico nelle sue varie sezioni; mentre per la seconda, inizialmente, furono molto influenti le decisioni prese da Nicola Bottacin stesso, come fu, d’altronde, definito nei termini che accompagnarono la donazione nel 1865. A livello finanziario la maggior parte delle spese vennero compiute dal collezionista, per l’allestimento, il pagamento del suo dipendente Carlo Kunz e l’ingrandimento continuo delle raccolte, che comprendeva anche manuali specialistici sul tema. Risale al 1870 la decisione dello stesso di portare a Padova anche gli altri oggetti che aveva raccolto negli anni triestini, che venne accolta dal Comune. Come già si è analizzato in precedenza, gli ambienti del Civico Museo erano ormai colmi di opere d’arte, quindi non avrebbero potuto ospitare anche questo ingente lascito. Fu così, che ebbe il permesso dalla Giunta di poter sistemare gli oggetti nella Loggia della Gran Guardia, di poco distante a Palazzo della Ragione. Nonostante la municipalità patavina fosse così pronta ad accettare le donazioni di Nicola Bottacin, come avvenne per la quadreria di Emo Capodilista non fu, invece, tanto presente nella loro sistemazione. Si può riscontrare che il Museo Bottacin, infatti, subì la stessa sorte che stava oscurando il Museo Civico nel suo insieme, ossia entrambi gli istituti sarebbero sicuramente rimasti abbandonati o non avrebbero assunto le loro attuali dimensioni se non

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fosse stato per gli sforzi personali dei loro dipendenti, precisamente di Andrea Gloria per il Civico Museo e di Nicola Bottacin per il Museo di numismatica. Addirittura, il secondo cercò di attirare l’attenzione della Giunta Municipale per sottolineare la rilevanza e il peso dell’istituto, cercando di renderlo noto attraverso la diffusione di una breve descrizione delle collezioni. Ugualmente alle sorti del catalogo voluto molti anni prima per il Lapidario, anche questa idea subì dei rallentamenti relativi soprattutto alle spese di divulgazione. A differenza della vicenda che interessava il Museo Archeologico, i tempi per la realizzazione delle descrizioni dell’istituto numismatico furono meno lunghi, comparirono così una decina di contributi in una rivista specializzata che successivamente vennero riuniti in un unico volume (Boaretto, 2015).

Per evitare che le sue raccolte venissero sminuite e non avessero le giuste cure il collezionista prese degli importanti provvedimenti per cercare di rendere più indipendente possibile il suo istituto; per riuscire a fare ciò nel modo più corretto possibile, si avvalse anche della collaborazione di un avvocato. Nicola Bottacin, così, provvide personalmente a dotare il Museo di un suo specifico statuto, la direzione scientifica sarebbe stata riservata a un conservatore, nonostante dovesse comunque far riferimento al direttore del Museo Civico, che si impegnava a verificare che gli articoli che disciplinavano l’ente venissero rispettati correttamente (Callegher 2004). Il mecenate ormai padovano, inoltre, rese disponibile al suo Museo una rendita fissa di L. 2.400, da utilizzare esclusivamente per l’ingrandimento delle collezioni e della biblioteca che si stava formando all’interno dell’ente, ma anche per tutto ciò che lo riguardasse nel suo complesso. Lui avrebbe corrisposto la somma ogni anno, fino al termine della sua vita, e la municipalità ne avrebbe preso il posto, riservando al museo la stessa cifra. Quest’ultimo termine che avrebbe, quindi, comportato una spesa considerevole per il Comune patavino originò delle diatribe, ma infine il 12 agosto 1870, le condizioni dettate da Bottacin ottennero l’approvazione (Boaretto, 2015).

Le sorti del Museo da questa data mutarono positivamente, in quanto venne nominato «gabinetto numismatico del Comune di Padova» e iniziò a essere trasferito con tutti gli altri oggetti del Civico Museo nella nuova sede in Piazza del Santo nel 1871. Questo stesso anno risulta essere anche quello dell’ufficiale lascito da parte di Nicola Bottacin, delle opere conservate nella Gran Guardia, insieme ad altri materiali, ossia i suoi dipinti e altre sculture, anche a questa donazione si accompagnarono degli specifici vincoli, che comportarono dei mutamenti dell’assetto museale. Se prima Bottacin volle istituire la figura di un conservatore

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per gestire le questioni prettamente scientifiche, ora istituì quella del patrono, e del suo vice, che invece si sarebbe occupato di questioni amministrative e del monitoraggio che tutte le condizioni volute dal mecenate e sottoscritte dal Comune, venissero mantenute come pattuito.

Infine, Bottacin consegnò gli ultimi pezzi da inserire nella sezione di numismatica. Dal momento in cui il Museo trovò una più appropriata collocazione in Piazzi del Santo, iniziò ad investire nell’acquisizione di opere d’arte e del mobilio per rendere più armoniosa l’esposizione nelle sale che aveva a diposizione.

Ecco come gli iniziali lasciti forniti da Nicola Bottacin alle collezioni civiche di Padova divennero essi stessi grazie al suo donatore un Museo istituito all’interno del Civico Museo ma con una propria indipendenza (Boaretto, 2015).