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Il personale tra Museo Civico e Museo Bottacin

CAPITOLO 3: i Musei Civici di Padova

3.6 Il personale tra Museo Civico e Museo Bottacin

La pianta dell’organico impiegato dal Comune di Padova per le mansioni da svolgere all’interno del Civico Museo fu disciplinato dallo statuto che il suo direttore e la commissione, appositamente selezionata, crearono verso gli anni Sessanta dell’Ottocento. Inizialmente, non ci furono sostanziali differenze tra le modalità con cui la municipalità gestiva il personale dell’Archivio con quelle del Museo, in quanto a occuparsene dovevano essere tre dipendenti comunali: il direttore, l’assistente e il custode. Lo statuto, inoltre, definiva le competenze che essi avrebbero dovuto possedere per accedere a questi ruoli; per quanto riguarda l’assunzione del direttore e dell’assistente, essi avrebbero dovuto conseguire un esame nella discipline afferenti alle mansioni che più servivano per lavorare in un ufficio avente caratteristiche storico conservative. Queste ultime, infatti, riguardavano lo studio dell’evoluzione della scrittura, l’organizzazione e classificazione dei testi e la storia; mentre il custode doveva dimostrare di saper almeno leggere e scrivere. Dopo l’approvazione dello statuto museale, però, l’assunzione degli impiegati avvenne con qualche ritardo, fino a che non fu affidato, come si è già visto, a Pietro Baita il ruolo di assistente e ad Antonio Favaro quello di custode del Civico Museo. Dopo l’annessione del Veneto al Regno italiano, venne rivisto il regolamento museale, apportando quindi delle modifiche soprattutto sulle competenze che il personale avrebbe dovuto possedere. Il Museo, infatti, si stava delineando sempre di più come un’istituzione che, oltre ad avere il compito principale della conservazione dei materiali civici, era caratterizzata anche da un indirizzo marcatamente scientifico, mettendosi così al servizio

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dei cittadini e degli studiosi. Le conoscenze richieste aumentarono, andando a comprendere anche l’archeologia e lo studio delle monete e delle medaglie. Ciò dipese anche dal fatto che le raccolte museali stavano iniziando a spaziare in ambiti differenti. Fondamentale risulta essere la specificazione posta dall’aggiornamento dello statuto, che vietava ad altri dipendenti comunali di venire assunti per le uniche tre posizioni che all’epoca esistevano per il Civico Museo, per evitare che si mettessero a rovistare tra le preziose carte dell’Archivio (Boaretto, 2019).

Tale situazione fu spesso denunciata da Andrea Gloria, durante la sua lunga carriera di direttore del Museo, in quanto la presenza di soli due addetti al riordinamento effettivo di tutti i materiali presenti nell’ufficio patavino era un numero estremamente esiguo. Lo stesso Andrea Gloria, infatti, ribadì che istituzioni dalla mole che aveva assunto ormai il Museo patavino, erano costituite da almeno venti dipendenti in totale, suddivisi nelle diverse sezioni dell’ente, che per quanto riguarda il Museo analizzato erano: la biblioteca, l’archivio, la Pinacoteca e il Lapidario.

Quando, come si vedrà, venne trasferito il Museo in Piazza del Santo, coloro che vennero incaricati alla sua intera sistemazione furono solamente Andrea Gloria, perché ovviamente ricopriva il ruolo del direttore, e il suo assistente. Il Comune decise di allargare la pianta del personale del Museo Civico solamente verso la fine degli anni Settanta, dopo che Andrea Gloria fece in modo che venisse creato un comitato che presentasse al Comune le sue iniziative, tra cui c’era la mozione di aumentare, appunto, il numero degli impiegati che lavorassero nel Museo. Quest’ultima venne approvata in sede comunale e da tre iniziali impiegati, essa fu ingrandita a sei: «Direttore, Vicedirettore, Assistente I, Assistente II, Applicato e Distributore» (Gloria, 1887). È da ribadire, che tale cambiamento venne fatto adottare solamente all’ufficio gestito dal Gloria, non coinvolgendo ancora la pianta dell’organico del Museo Bottacin, per questa bisognerà aspettare fino al 1889. Per quanto concerne quest’ultimo, di fondamentale importanza fu la carica che ricopriva il conservatore, in quanto era colui che si occupava sia delle mansioni prettamente scientifiche dell’istituto, che di quelle gestionali. Il ruolo del conservatore venne affidato, dopo la rinuncia di Carlo Kunz, chiamato alla dirigenza del Civico Museo di Storia ed Arte a Trieste, a Luigi Rizzoli, anche se temporaneamente, proprio perché secondo lo statuto approvato dal direttore Andrea Gloria nel 1874 avrebbe dovuto assumerne la carica chi avesse vinto il concorso indetto appositamente per nominarlo. Nonostante questo, Rizzoli assunse ufficialmente il ruolo di

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conservatore, grazie all’esperienza che aveva ormai maturato dai suoi dieci anni lavorativi alle dipendenze di Nicola Bottacin. A pochi anni di distanza dall’ampiamento degli impiegati del Civico Museo, nel 1879, anche Rizzoli fece appello al Comune per richiedere un assistente, anche temporaneo, che avrebbe potuto assumere il ruolo fisso di diurnista, venendo pagato attraverso l’ingente fondo di cui era provvisto il Museo Bottacin (Boaretto, 2015). L’aumento del personale del Civico Museo anche se appare costituito di sei impiegati, a livello effettivo, fu come se fosse stato ingrandito di solo due persone in più, perché «l’Applicato e il Distributore» non vennero assunti. In questo modo i pochi che si trovarono a lavorare all’istituto furono oberati da molti compiti. Gli impiegati «l’Assistente II» e il «Diurnista» non poterono far altro che occuparsi di prestare servizio agli ormai numerosi frequentatori dell’ufficio, mentre «l’Assistente I», su volere dell’amministrazione, dovette occuparsi esclusivamente del Lapidario. Tutte gli altri incarichi sarebbero dovuti essere adempiti dal personale che rimaneva, ossia dal Direttore e dal suo Vice (Gloria, 1887).

La situazione del personale del Museo Bottacin trovò una soluzione nel 1889, quando l’amministrazione decise di concedere annualmente al conservatore una retribuzione di L. 3.000, evitando così l’assunzione di almeno un altro dipendente, come venne richiesto anche per questo museo. Tale soluzione comportò, quindi, che la gestione del Museo fosse interamente conferita alla figura del conservatore, allora ricoperta, come si è detto, da Luigi Rizzoli. Solo successivamente i compiti e soprattutto le gerarchie esistenti tra l’organico dirigenziale del Civico Museo e del Museo Bottacin verranno meglio definiti (Boaretto, 2015). Per entrambi i Musei è riscontrabile da parte comunale lo stesso atteggiamento, cioè quello di evitare di assumere altri impiegati, per non appesantirne il bilancio.

Il direttore Andrea Gloria nei suoi scritti menzionò tre Assessori comunali dell’epoca, che si resero conto della situazione in cui versava il Civico Museo sulla questione della carenza del personale che gravava sul medesimo istituto. L’avvocato Cosma notò che, nonostante la pianta del personale fosse stata ben definita nella seconda metà degli anni Settanta, non fosse però adeguata alla grandezza e soprattutto alle necessità dell’ufficio patavino e avrebbe voluto velocizzare le tempistiche di assunzione dei dipendenti dell’ente. All’avvocato seguì il professore Manfredini, che riuscì a convincere la Giunta municipale a chiudere la sala lettura, in quanto, come si è visto, teneva occupati da altre mansioni ben due dipendenti di quella scarna pianta del personale, che si sarebbero così dedicati alle attività inerenti alla catalogazione. Infine, l’Assessore Lupati, ingegnere, fece in modo, anche se

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temporaneamente, che venissero assunti altri due aiutanti e rese possibile la realizzazione di due bandi per quei ruoli che rimasero sempre vuoti (Gloria, 1887). Il direttore dei Civici Musei, continuò, fino alla data del suo pensionamento nel 1887 (Boaretto, 2019) a evidenziare che per riuscire a mantenere aperte al pubblico le raccolte del Civico Museo e a conservarle adeguatamente, attraverso anche il supporto della strumentazione atta alla loro classificazione, l’organico dell’ufficio sarebbe dovuto essere costituito dai nove impiegati, che lo stesso aveva richiesto quasi dieci anni prima (Gloria 1887).

Dopo il ritiro del primo direttore del Civico Museo, ne prese il posto Pietro Baita, l’assistente del Gloria e successivamente, nel 1895, fu Andrea Moschetti ad assumere tale carica, dopo aver passato l’apposito concorso indetto dalla municipalità (Moschetti, 1903; Boaretto 2019). Le prime azioni che compì Moschetti, come direttore, furono quelle inerenti al riordino amministrativo sia del Civico Museo, che di quello Bottacin, in quanto dalla decisione di conferire massima autorità al conservatore per la gestione del Museo nato in seno a quello Civico, la situazione risultava poco definita. A causa di una svista da parte di Luigi Rizzoli riguardante delle questioni di sicurezza, il neo-direttore fece in modo che il sindaco Barbaro si occupasse di risolvere la questione gestionale. Venne così, per la prima volta, marcato il rapporto di subordinazione presente tra il personale del Museo Bottacin che doveva rispondere a quello del Museo Civico, conferendo, quindi, al direttore di quest’ultimo il grado amministrativo più autorevole. Nonostante ciò, però, il Museo Bottacin, non venne privato dell’indipendenza che assunse, come si è visto, grazie al volere del suo benefattore, il cavaliere Nicola Bottacin; in particolare, il direttore Moschetti lasciò al conservatore dell’istituto, Rizzoli, e quindi di rimando al museo stesso totale libertà per quanto riguardava le attività di ricerca e studio sulle raccolte che ne conservava.

La municipalità nel 1898 diede il suo benestare allo statuto del Museo Bottacin, che per quella data venne ridefinito, dando, così, ulteriore ufficialità all’istituzione museale, la quale si distingueva dal Civico Museo, sia attraverso la sua denominazione, che grazie alle collezioni in esso conservate; il regolamento, nei confronti dell’assetto amministrativo, ribadiva, invece, che doveva essere il direttore dell’intero ufficio ad occuparsene, e confermava l’assunzione del conservatore attraverso la vincita del concorso.

Si è visto che per motivi d’urgenza, in quanto il Museo non poteva restare per un periodo superiore ai sei mesi senza conservatore, e con l’avallo di Nicola Bottacin, Luigi Rizzoli senior venne assunto per tale carica; nello stesso periodo e per il resto della sua carriera venne

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affiancato nel suo lavoro dal nipote Luigi Rizzoli junior. Quest’ultimo prese il posto dello zio, anche se sarebbe dovuto essere temporaneamente, in attesa che il nuovo statuto venisse ben definito, solo in un secondo momento, quindi, si sarebbe provveduto ad instaurare a tale carica chi avesse vinto il concorso. Ciò non avvenne mai, perché come per Rizzoli senior, nel 1901 anche Rizzoli junior venne confermato conservatore, ma non prima di un lungo dibattito in sede comunale sulla correttezza di tale decisione, per non aver bandito alcun concorso. Luigi Rizzoli junior, inoltre, una decina di anni più tardi, precisamente nel 1911, a ridosso dell’inizio del primo conflitto mondiale, assunse anche il ruolo di vice direttore del Museo Civico, dopo che, quello che era l’attuale vice si licenziò. La municipalità, decise, così, di rivedere e riorganizzare nuovamente il personale impiegato per i due musei, dando al conservatore del Museo Bottacin l’incarico di poter sostituire, quando necessario, il direttore di quello Civico.

Infine, nel 1930, una volta approvato il Regolamento che rimase in vigore fino a quello attualmente esistente, oltre a confermare la decisione di rendere il conservatore anche vicedirettore e a riprendere, per quanto riguarda il Museo Bottacin, molte disposizioni da quello precedente del 1898, vennero posti dei limiti di età per accedere alle cariche sia del direttore, che del suo vice, che corrispondevano ai 40 anni. Inoltre, con il nuovo statuto venne data la possibilità anche agli assistenti di accedere alla carica di conservatore del Museo Bottacin, rimanendo comunque presente anche il superamento del concorso. Nel 1934, per la prima volta, venne organizzato un bando; esso, venne aperto due volte, una nel mese di dicembre del 1934 e la seconda a gennaio dell’anno seguente, perchè nessuno rispose a causa della mancanza delle competenze che venivano richieste, tra cui il diploma di laurea e la conoscenza di alcune discipline storico e artistiche. L’incarico venne affidato, ancora una volta, senza l’ausilio del concorso, ad Andrea Ferrari nel 1935, che prima ricopriva nel Civico Museo, il ruolo di assistente (Boaretto, 2015).