L’EVOLUZIONE DEI MUSEI PROVINCIAL
MART 4.736.000,00 4.499.000,00 4.274.000,00 Fondazione museo storico
del trentino 985.000,00 936.000,00 889.000,00
Castello BConsiglio 1.199.000,00 1.139.000,00 1.082.000,00 Usi e Costumi Gente trentina 1.143.000,00 1.086.000,00 1.032.000,00
Teoricamente i musei potrebbero cercare di affrontare il problema della riduzione del finanziamento agendo sulla politica tariffaria e sugli accessi gratuiti : infatti i Consigli d’Amministrazione (organo non previsto per il Castello del Buonconsiglio) dei singoli musei possono per statuto (regolamento) determinare le tariffe, canoni e prezzi. Tuttavia l’art . 25 legge 15/2007 stabilisce, tra l’altro, che per l'attuazione delle politiche museali della Provincia la Giunta provinciale definisce direttive e indirizzi per la programmazione e l'attuazione delle attività dei musei disciplinati dal medesimo articolo, sentito un organismo composto dall'assessore provinciale competente in materia e dai direttori dei musei della Provincia e prevede che “per favorire il coordinamento, l'efficienza e l'economicità del sistema dei musei, la Provincia definisce le modalità di coordinamento e i servizi per il funzionamento e la gestione ordinaria di ogni museo da svolgere in forma associata direttamente o indirettamente tramite affidamento a soggetti terzi. Con apposita convenzione i musei definiscono i rapporti giuridici e finanziari e le modalità di svolgimento dei predetti servizi”.
La legge citata non menziona competenze e modalità esecutive riguardo alla politica dei prezzi per l’accesso ai musei . Tuttavia ciò non comporta la libertà di decidere in materia , dato che questa rimane disciplinata dall’art. 7 della legge provinciale 25 febbraio 1985, n.3, modificato dall’art 10 della l.p. 9 settembre 1996, n. 8. Questa disposizione stabilisce che la Giunta provinciale determini con propria deliberazione: a) le tariffe, anche distinte per le diverse sedi e per specifiche iniziative, per l'ingresso alle istituzioni museali di cui la Provincia abbia la gestione
diretta; b) le categorie che possono fruire normalmente dell’accesso gratuito o
ridotto; c) le circostanze eccezionali e in cui è possibile l’accesso gratuito. La disposizione in questione prescrive inoltre che le tariffe siano stabilite in base di criteri economici, tenendo conto delle particolari condizioni delle diverse fasce di utenza nonché dell'esigenza di uniformità con le tariffe applicate per l'accesso ai monumenti e ai musei dello Stato.
La norma incide sulle competenze formalmente assegnate dagli statuti ai Consigli d’amministrazione in quanto prevede che le determinazioni delle tariffe stabilite dalla Giunta provinciale per i musei gestiti direttamente dalle sue strutture costituiscono “riferimento per la determinazione delle tariffe e delle particolari condizioni di accesso da parte degli enti funzionali della Provincia che gestiscono istituzioni museali” per cui la competenze tariffaria demandata ai singoli consigli d’amministrazione di questi enti , dove esistono, è di fatto limitata dalla possibilità di ingerenza della Giunta provinciale. In effetti questa ha emanato direttive precise in ordine alla tipologia di soggetti che possono godere di tariffe ridotte o di accesso gratuito.
Non solo, ma secondo il comma 6 del medesimo articolo 7 estende ulteriormente la competenza della Giunta stabilendo che “al fine di favorire l'uniformità delle modalità di accesso alle istituzioni museali stesse, la Giunta provinciale è autorizzata a stipulare convenzioni in materia di tariffe con i soggetti gestori di istituzioni museali che fruiscono di finanziamenti o contributi provinciali. Delle tariffe concordate può esser tenuto conto in sede di determinazione dei finanziamenti o contributi provinciali”.
In base a queste disposizioni la Provincia ha un potere di indirizzo decisivo in materia tariffaria sia sui musei gestiti direttamente dalla strutture provinciali (es Museo Retico), sia di quelli gestiti dai suoi enti strutturali/funzionali, ma anche sui musei che più in generale fruiscono di contributi provinciali.
E’ da aggiungere che in un periodo di crisi difficilmente i singoli musei potrebbero azzardare una politica tariffaria in aumento, ma potrebbero essere disposti a ridurre i soggetti beneficiari del biglietto gratuito i ridotto. Dal punto di vista della funzione culturale questa misura condurrebbe sicuramente a ridurre il numero dei visitatori complessivi pregiudicando le finalità, assegnate quantomeno ai musei pubblici, di diffusione culturale specie nel mondo giovanile.
La crisi economica nazionale e la conseguente diminuzione della disponibilità di spesa da parte delle persone congiunta ai forti tagli sul bilancio provinciale dovuti alla politica finanziaria statale che ha comportato la
diminuzione delle risorse disponibili per il finanziamento dei musei hanno indotto la Giunta a prendere atto che quantomeno per far fronte agli ingenti costi degli allestimenti delle mostre occorrono forme innovative di finanziamento aprendo alla collaborazione con il settore privato. (Delibera 842 del 10 maggio 2013).
La soluzione, individuata sentito il tavolo provinciale di valutazione e orientamento politiche tariffarie, ha portato a modificare le direttive precedenti nel senso di prevedere che qualora un privato intenda finanziare la realizzazione di una mostra o di altri eventi rivolti al pubblico, organizzati presso le sedi dei musei, questi possa trattenere gli incassi derivanti dalle entrate da biglietti di ingresso con possibilità, per il solo periodo di durata dell’evento, di determinare le tariffe stesse e le categorie che godono della gratuità e/o della riduzione fermo restando che venga garantita la gratuità o la riduzione ai soggetti portatori di handicap e loro accompagnatori , ai ragazzi fino al 14 anni, ai gruppi e comitive di studenti delle scuole di ogni ordine e grado, statali e non statali, accompagnati dai loro insegnanti. In questo modo il rischio di “flop” ricadrebbe sul privato, mentre i “risparmi” conseguenti al venir meno del contributo pubblico per spese di allestimento, consentirebbero di mantenere entro livelli accettabili la contribuzione per le spese di funzionamento. Se e quanto questa soluzione si riveli almeno in parte idonea a supportare una valida politica culturale e a consentire al Museo di funzionare regolarmente è tutta da accertare
Le critiche positive o negative al livello di investimento pubblico esistente in campo culturale e in particolare in quello museale riflettono spesso diverse concezioni sulla funzione della cultura e del Museo. Si va da chi dà importanza fondamentale alla cultura, considerata in quanto tale, e vede nel Museo uno strumento di promozione e diffusione culturale importante che va continuamente supportato per renderlo sempre più ricco e attraente al fine di promuovere la conoscenza e la scienza, a chi, passando attraverso diversi gradi e tipologie di combinazione di interessi, vede nell’investimento culturale e anche museale solo uno strumento per raggiungere finalità pratiche esterne alla pura conoscenza , di tipo economico aziendale (capacità di produrre reddito aziendale) o collettivo (sviluppo economico del territorio) o finalità socio-politiche, quali l’integrazione
sociale, l’indipendenza politica ecc. Il giudizio sull’opportunità di investire risorse pubbliche in cultura e musei e sulla misura accettabile o desiderabile dell’intervento non dipende quindi solo dai costi da sostenere ma dal tipo di effetti che dall’investimento ci si aspetta di poter realizzare.
I grandi musei sono centri di cultura innanzitutto, presentano dei costi di gestione e di allestimento elevati che necessitano di finanziamenti pubblici rilevanti in quanto non si dimostrano in grado di autosostenersi. La domanda che i critici più attenti ai risvolti economici si pongono è se l’investimento pubblico in musei si giustifichi oltre che culturalmente anche economicamente in base al contributo che i musei apportano allo sviluppo del territorio e quale territorio si deve prendere in considerazione : la città, il territorio comunale, i comuni confinanti, la valle, il distretto, la provincia, ecc.
Al Mart si è chiesto troppo dalle categorie economiche . L’arte contemporanea non può, quasi ontologicamente produrre feticci, cioè opere consacrate nel tempo quali capolavori indiscutibili riconosciuti universalmente da molte generazioni e che pur riprodotte in quantità “industriali”, anzi proprio per questo, hanno acquisito quell’aura che Benjamin , riteneva invece compromessa dalla loro riproducibilità tecnica. Un museo che abbia nelle sue collezioni una vasta dotazione di opere originali feticizzate diventa un polo d’attrazione turistica permanente per cui può godere di entrate sicure senza dover esporsi troppo finanziariamente. Un analogo effetto può produrre il contenitore quando sia costituito da un monumento storicamente prestigioso o da una struttura architettonica innovativa capace di imporsi come elemento che merita di essere visitato quantomeno fin che costituisce una novità adeguatamente pubblicizzata (il Mart è ancor oggi visitato da persone che dichiarano come motivo della visita la sua struttura e non le collezioni). Un museo di arte moderna e contemporanea che non sia in possesso di una vasta collezione di opere “moderne” di artisti famosi e considerate capolavori di questi ultimi può richiamare un vasto pubblico solo organizzando grandi mostre attraverso scambi con altri Musei, il che implica dei costi di allestimento gravosi che difficilmente vengono coperti dalle entrate derivanti dalla vendita biglietti ecc. e che quindi producono un deficit che deve
essere coperto da ulteriori contribuzioni pubbliche. Rimane da esaminare l’effetto sul territorio. Il Mart ha potuto fruire per un decennio di un successo di pubblico dovuto a un mix di novità architettoniche e di allestimento di grandi mostre temporanee di alto valore e gradimento che hanno anche contribuito a valorizzare le collezioni permanenti. Dal punto di vista dei visitatori non si può negare che abbia contribuito a portare a Rovereto 2,5 milioni di persone che non vi si sarebbero mai recate. Giustamente il Sindaco di Rovereto nel marzo 2013 poteva affermare che il Mart aveva conseguito l’obiettivo di attrarre masse di turisti a Rovereto e che se questo successo non aveva prodotto il livello di sperato di sviluppo economico per la città, ciò era imputabile alla città stessa; nella medesima occasione il Presidente del Museo, Bernabè rimarcava che la scommessa del Mart era stata “azzardatissima” ma non impossibile tanto che i notevoli limiti, derivanti dal fatto che si trattava dell’unico museo al mondo di queste dimensioni inserito in una piccola città anziché in una delle metropoli già oggetto di forti flussi turistici, che il bacino d’utenza, pur esteso alle province venete, lombarde e emiliane più vicine era comunque modesto, erano stati superati ed il Museo è riuscito a emergere ottenendo un soldo riconoscimento internazionale. Bernabè aggiungeva che la delusione per il mancato rilancio turistico economico della città era imputabile al fatto che mentre il museo si era dato degli obiettivi ambiziosi ma ma con realistici (nel senso di non impossibili) altri avevano covato sogni impossibili pensando che il Mart potesse da solo risolvere i problemi della deindustrializzazione senza un progetto corale coinvolgente tutte le forze sociali ed economiche della città. (cfr. Marsilli, 2013, 23).
Da un’analisi condotta a dall’Osservatorio provinciale per il turismo (cfr Betta, Maccagnan, maggio 2010) emerge un quadro interessante sulla rilevanza del Mart per il contesto roveretano e più in generale trentino che si può così riassumere. “Ci si illudeva” in altri termini che bastasse il Museo per fare diventare Rovereto quello che non era mai stata, una città a tutti gli effetti turistica, cioè una città che invogliasse i turisti a soffermarvisi per alcuni giorni. Il fatto è che oltre ad essere piccola, ha un centro storico che seppur pregevole non possiede caratteristiche distintive rispetto alle cittadine venete in quanto risale al periodo
della dominazione veneziana , non è ubicata neppure in un ambiente di particolare bellezza, manca cioè di quel quid di elementi che possono rendere una cittadina meritevole di un soggiorno prolungato. I Turisti culturali disposti a fermarsi un una città sono “in realtà dei consumatori dell’atmosfera di una città d’arte piuttosto che dei consumatori d’arte” e le città del Trentino pur offrendo monumenti interessanti non possiedono l’atmosfera delle città d’arte di grande richiamo: nell’immaginario collettivo il Trentino è terra che merita un soggiorno per le bellezze naturalistiche che offre. In assenza di un’atmosfera viva tipica delle città d’arte di dimensioni ben più rilevanti, come Verona o Firenze, i visitatori del Museo di Rovereto, come pure di qualsiasi museo ubicato in una normale città italiana, sono quindi soprattutto escursionisti . Da una ricerca effettuata per alcuni mesi nel corso della primavera e autunno/inizio inverno del 2008 è emerso che circa il 47% dei visitatori erano qualificabili come escursionisti diretti (provenienti dalla loro residenza diversa dal Trentino) per visitare il Mart) o indiretti (escursionisti con altre motivazioni principali), il 4% è composto da turisti venuti a soggiornare in Trentino aventi come motivo principale il Mart, il 16% è dato da turisti soggiornanti in Trentino per altri motivi principali ma comunque interessati anche a visitare il museo facendo un’escursione a Rovereto (la ricerca li definisce escursionisti di
rimbalzo),l’11% circa da residenti a Rovereto o nella Vallagarina, il 21% da
residenti in altre parti del Trentino. La ricerca ha assunto come dato di partenza per l’analisi il numero di visitatori forniti dal museo per l’anno 2008: 75mila paganti- biglietto intero o ridotto-, di cui 20mila riconducibili a scolaresche e 11mila over 65 fruitori di entrata gratuita; il campione di rilevazione è stato riferito solo agli adulti per un totale di 67mila visitatori. I visitatori extraprovinciali risiedevano per il 28% in Veneto, il 30% in Lombardia, il 17 % in Emilia Romagna , il 6 % era costituiti da stranieri, specie tedeschi, in vacanza e il 6% dall’Alto Adige. Nel periodo successivo alla apertura del Mart si è assistito a un incremento dei pernottamenti rispetto al decennio precedente ( media annuale passati da 82mila ai 97mila del periodo 2002-2008) ma non si sa in che misura l’aumento sia dovuto alla presenza del museo.In ogni caso si tratta di soggiorni medi di poco più due notti. (cfr Betta, Maccagnan, maggio 2010)
Quanto alle ricadute economiche la ricerca aveva preso in considerazione solo quelle dirette e non quelle indotte dal Museo , che pur sarebbe importante poter valutare (ditte coinvolte negli allestimenti, personale da occupare ecc), Quelle dirette sono state calcolate in modo diverso a seconda della tipologia del turista :tutte le spese sostenute dai turisti culturali durante la loro permanenza in Trentino - in quanto hanno motivato la presenza del Mart come motivo principale del soggiorno -; per gli altri turisti, i prezzo del biglietto, le spese di vitto ed extra sostenute nella giornata di permanenza a Rovereto, per gli escursionisti di qualsiasi tipo e per i residenti in Trentino sono tate prese in considerazione le spese sostenute a Rovereto nella giornata di visita del Museo, per i residenti a Rovereto e Vallagarina le sole spese del biglietto in quanto non apportanti risorse aggiuntive al sistema economico locale. La ricerca ha stimato ricadute economiche sul territorio provinciale generato dal Mart per un importo compreso tra 2,6 e 5,9 milioni di euro. Per precauzione nel prosiego delle valutazioni la ricerca ha preso come riferimento l’importo minore. Ne hanno beneficiato il comune di Rovereto per il 95% circa e il resto del Trentino per il 5%. Guardando alle categorie, hanno tratto beneficio dalla presenza del Mart soprattutto bar, ristoranti e pubblici esercizi (42% pari a 1,1 milione di euro), distribuzione commerciale compreso il book shop del museo (33% pari a 845mila euro). Solo poco più del 7% (186mila euro) delle ricadute dirette ha visto come beneficiari gli esercizi alberghieri e il settore della ricezione in genere.
Come si vede le ricadute dirette, se calcolate al minimo, sono notevolmente inferiori al costo di mero funzionamento del Museo. Il Museo puntava sulla capacità di attirare i numerosi turisti stranieri che specie in estate popolano il lago di Garda. L’indagine non ha riguardato il periodo estivo in cui la presenza straniera è massiccia sul Garda ma è forse significativa se nei periodi analizzati si concentra gran parte dell’affluenza: il turismo attuale dell’Alto Garda è un turismo sportivo che poco o nulla ha a che vedere con il turismo culturale e raffinato dell’epoca imperiale; un museo dislocato in una citta lontana dal lago e poco animata in estate e spesso molto calda, non aperto, salvo casi eccezionali, nelle ore serali, quelle meno calde che possono indurre i turisti a mettersi comunque in auto per
raggiungerlo, difficilmente può attirare turisti già poco propensi a immergersi in un bagno culturale.
Se il Museo fosse stato istituito nell’Alto Garda avrebbe comunque avuto più chance estive e soprattutto nei mesi primaverili e della tarda estate inizio autunno avrebbe potuto costituire un ulteriore richiamo persuasivo per un turismo più interessato alla cultura che allo sport.
Questi dati risalgono a un periodo precedente la crisi. La domanda fondamentale rimane: ferma restando l’importante funzione culturale e social identitaria i grandi musei ubicati in località medio piccole possono determinare una ricaduta reddituale sul territorio tale da compensare almeno i costi riferibili al funzionamento? Possono fungere da moltiplicatore economico in certe circostanze e in presenza di un quadro economico positivo, se non locale, almeno nazionale? In epoca di intensa crisi economica nazionale e non emramente locale, possono servire quale volano a rilanciare l’economia del territorio o diventano mostri che assorbono le poche risorse disponibili?