ANALISI DEL MUSEO DELL’ALTO GARDA IN UN CONTESTO TURISTICO
1 Presentazione del Mag, la sua storia, la sua mission
Nell’ambito dei musei che la legge provinciale 15/2007 definisce “a carattere provinciale” figura il Museo dell’Alto Garda comunemente denominato MAG. Attualmente il MAG comprende il Museo civico di Riva del Garda e la Galleria civica Segantini ad Arco, rispettivamente di proprietà del comune di Riva del Garda il primo, del comune di Arco la seconda. La galleria civica è ubicata da una decina d’anni nel Palazzo dei Panni di Arco, un edificio risalente agli ultimi decenni del XVII secolo appartenuto alla famiglia dei Conti d’Arco potenti feudatari del principe vescovo di Trento, trasformato in sede di un lanificio (da cui il nome attuale) un secolo dopo e poi adibito a usi diversi (sede negli anni a seguire di diversi enti comunali quali caserma dei pompieri, asilo infantile e teatro cittadino, poi ospizio per bambini orfani o abbandonati), con l'avvento del Fascismo mutò la denominazione in Palazzo del Littorio, successivamente divenne anche scuola. Attualmente ha al suo interno la Biblioteca civica e, da una diecina di anni, al piano terra la Galleria civica, con sale adibite a mostre temporanee di vario genere ma anche, da qualche anno, sale dedicate al pittore arcense Giovanni Segantini contenenti la collezione permanente di opere dello stesso appartenenti al comune di Arco integrate a rotazione con quelle in dotazione di altri musei trentini, in particolare del Mart. In tal modo la funzione della galleria è stata trasformata in senso museale.
Il museo rivano, la sede principale del MAG, è inserito in una struttura antica, la Rocca, risalente all’epoca medievale costruita a seguito di un accordo stipulato tra il principe vescovo Altemanno di Trento ed i cittadini rivani nel 1124
affinché fungesse come ulteriore fortificazione in difesa della città. La rocca cambiò molte volte il suo aspetto e funzione in relazione alle vicende storiche che interessarono la città di Riva del Garda.
La trasformazione di maggior consistenza avvenne durante la dominazione Scaligera che trasformò maggiormente la rocca con i tratti tutt’ora visibile, cui seguì l’occupazione viscontea per arrivare poi sotto la sfera veneziana ed i provveditori veneti ne curarono l’armamento, il presidio e la manutenzione ordinaria. La rocca presenta l’aspetto di una fortificazione quadrilatera con il fossato che la circonda riempito di acqua , all’interno ha una corte e da ogni angolo della rocca si ergono 4 torri, 3 di livello pari e una più alta detta mastio.
L’imperatore Massimiliano I d’Asburgo nel corso della guerra promossa dalla Lega di Cambrai (cui aveva aderito nella prima fase -1508-1510- assieme alla Francia, Spagna, Stato Pontificio, Ducato di ferrare e Ducato di Urbino) per bloccare l’espansionismo veneziano sulla terra ferma, venne in possesso nel 1509 del territorio rivano: la struttura portuale della Rocca utilizzata come arsenale marittimo. Nel 1516 Riva del Garda ritornò di fatto dopo circa 400 anni, nuovamente parte del principato vescovile di Trento che, durante la reggenza del principe vescovo Bernardo Clesio, ne ottenne il riconoscimento formale nel 1521 dal nuovo imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V. Il Clesio trasformò in parte la Rocca per destinarla a corte principesca in cui si rifugiò nel 1525 durante la guerra rustica che dalla Germania si era estesa fino al Trentino (lavori di adattamento e di abbellimento, di cui si è trovata traccia in un affresco a rimesso in luce in occasione dei lavori di restauro del corpo occidentale dell’edificio, dove compaiono le imprese araldiche personali del Cles. personali del Cles).
Dopo essere divenuta, all’inizio del Seicento, residenza del capitano Gianangelo Madruzzo la Rocca tornò poco dopo a svolgere funzioni militari durante l’ennesimo conflitto di sovranità e potere fra il principato vescovile e il suo “avvocato”, la contea tirolese (invasione del Principato da parte da parte dell’arciduca Ferdinando, conte del Tirolo nel 1867- che mise in discussione il potere temporale del principe vescovo Ludovico Madruzzo fino a che la dieta di Spira del 1587 riconfermò il potere vescovile). Nell’Ottocento quando Riva fu sotto dominio austro-ungarico, la Rocca venne adattata a caserma militare con attorno le
strutture di un arsenale marittimo e divenne presidio dei territori a sud della Alpi subendo quindi le modificazioni più sostanziali alle strutture tardomedioevali della sua storia fra il 1850 e il 1852.
Le torri angolari furono abbassate, rimase però il mastio come punto di osservazione sul lago, anche l’insieme delle scale, prima frammentato sistema di collegamenti verticali, fu sostituito da nuovi corpi scale a più rampe e l’ala fronte al lago fu sostituita con un nuovo corpo di fabbrica. Nel ‘900 la struttura rimase tale e quale, a parte il muro perimetrale esterno al canale che ormai danneggiato, fu abbattuto alla conclusione del primo conflitto mondiale.
(Cfr Comune di Riva del Garda, 30/5/2013 e Consiglio provinciale di Trento, 30/5/2013)
La Rocca è sede del Museo esclusiva del museo dal 1985. In precedenza negli anni del secondo dopoguerra era divenuta una sede multifunzionale ospitando magazzini, offrendo sale per conferenze, e anche sede sindacale. A Metà anni 70 la struttura era utilizzata da vari soggetti a diversi scopi: al piano terra la sede AGS (per i servizi di acqua luce e gas), al 1 piano venne ricavato l’auditorium, la biblioteca e la sede degli “Amici dell’arte”, al 2 piano figurava invece il museo composto dalla sezione di archeologia da quella del risorgimento, da collezioni mineralogiche e quadri pinacoteca, da stanze dedicate a personaggi noti del territorio , ad es. Segantini, don Porta ed infine da una collezione zoologica. Il sottotetto era suddiviso tra ambienti dedicati folclore locale e cucina degli avi, collezione armi, collezione dell’arte fanciullo di Matteotti, ma vo era ricavato anche uno studio per gli artisti Pizzini e Pignatari. Una parte del sottotetto rimase deposito. All’interno della Rocca c’era pure ristorante. La Rocca fu pesantemente compromessa dal terremoti del 1976 per cui la Provincia autonoma di Trento, ottenutane la proprietà dallo Stato nel 1973, dovette dare inizio nel 1979 a un insieme di lavori volti al recupero dell’edificio e del parco circostante per una cifra complessiva corrispondente a circa 5.500.000 euro attuali. Durante i lavori di restauro nella Rocca rimase solo la Biblioteca; al termine vi si reinstallò solo il Museo. (Pellegrini, intervista 11/7/2013) Nell’agosto del 2006 conclusi i lavori di
restauro la Rocca è divenuta di proprietà comunale a seguito della donazione effettuata dalla Provincia.
In occasione della cerimonia per il trasferimento proprietario veniva sottolineato che l’edificio avrebbe avuto la funzione di ospitare iniziative culturali (spettacoli e feste) destinate sia alla popolazione che ai numerosi turisti che frequentano il lago:
"La Rocca – ha concluso il sindaco Molinari - avra' una duplice valenza: grazie al suo ripristino, sara' sede istituzionale e culturale. Oltre al museo e la pinacoteca, troveranno anche ospitalita' una serie di spettacoli e feste, aumentando il fascino della citta' verso la comunita' e i turisti". (ASCA, 2006)
L’attuale MAG è l’esito di un accordo intercomunale recente ma le sue radici risalgono ben più lontano nel tempo e cioè ad una lunga vicenda che ha condotto faticosamente alla costituzione di un museo civico a Riva del Garda. Il collezionismo che poi portò alla formazione di un museo pubblico si sviluppò a Riva del Garda tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 quando alcune famiglie aristocratiche iniziarono a conservare oggetti e reperti facendone quindi una collezione personale. Erano oggetti di appassionati che amavano raccogliere e conservare ma non avevano alcuna intenzione di esporli, anzi, questi materiali venivano depositati in stanze che la città metteva a disposizione degli appassionati affinché avessero dei luoghi dove poterli accumulare. Tra i vari luoghi deputati a ciò si possono menzionare la sacrestia della Chiesa delle Discipline e il deposito sito nel Palazzo pretorio entrambi in centro a Riva del Garda.
La nascita del museo dell’Alto Garda è storia abbastanza critica fatta di momenti di buona volontà ma anche di inerzia e di rassegnazione.
Nell’archivio del museo sono raccolti dei documenti che riguardano la storia del museo. In realtà solo da una certa data in poi la sua storia è stata ben documentata con atti, mentre la storia precedente è invece stata raccontata e trascritta da Giacomo Vittone, uno dei principali promotori del museo rivano nel secondo dopoguerra, sulla base di alcune ricerche effettuate per consentire di rintracciare e lasciar memoria delle varie fasi che avevano portato alla costituzione del museo e da un documento compilato dal museo, risalente al 1986, redatto allo scopo di tracciarne, a grandi linee, le tappe fondamentali.
La costituzione del museo è recente in quanto risale al 1946, ma le premesse che hanno portato a quel momento risalgono a molto tempo prima, al tempo di appartenenza della città all’Impero austroungarico precedente di poco più di un decennio lo scoppio della prima guerra mondiale. Un periodo in cui già da quasi mezzo secolo le due principali città del Trentino avevano ritenuto di recuperare le proprie memorie storiche istituendo musei “civici”.
Dalla documentazione esaminata emerge immediatamente un dubbio: quella del 1946 fu la data di una costituzione o una ricostituzione?
La nascita del Museo di Riva del Garda sembra avvolta, come per la nascita della città antiche, da una fitta coltre di mistero. In effetti rimane oscuro se le premesse cui si è fatto cenno debbano considerarsi semplicemente tali e quindi il museo sia venuto a esistenza per la prima volta nel 1946 o se già si fossero concretizzate nell’istituzione già all’inizio del Novecento di un vero museo. Il primo documento ufficiale rintracciato risale al 1901 quando la rappresentanza comunale di Riva del Garda dichiarò sotto la voce “Archivio e Museo” di voler dotare il Museo Civico dell’interessante collezione mineralogica “Wiebig” approvando lo stanziamento per acquisirla. La terminologia adottata lascerebbe intendere che il museo fosse in quell’anno già in funzione anche se le memorie depositate negli archivi del museo da coloro che si erano interessati a ricostruirne la storia nel 1986 lasciano trasparire una sorta di accordo dei ricercatori nell’individuare tale data addirittura come quella di semplice “ideazione” e non di fondazione del Museo (tantomeno quindi questo poteva preesistervi). Quest’ultima tesi sarebbe supportata da un articolo comparso sul giornale “L’Eco del Baldo” del 1905 dal titolo “Per un museo civico” dove si fa riferimento all’”attuazione del Museo civico”.
Come da archivio si può tener per buona la data 1901 come quella della
nascita dell’idea di istituire un museo pubblico. (Vittone G., 1955)
La collezione ebbe inizio nei primissimi anni del Novecento con l’acquisto della raccolta di tipo mineralogico posseduta dalla berlinese Giovanna Lutz, vedova Viebic che risiedeva a Riva del Garda ove morì il 25 febbraio del 1901. Il municipio decise immediatamente di contattare gli eredi per trattare l’acquisto della raccolta fatta preventivamente valutare da don Luigi Baroldi: gli eredi
accondiscesero a venderla a poco prezzo ma a condizione che il nome della defunta venisse iscritto nel libro dei benefattori del civico museo e che la raccolta stessa fosse indicata col nome della defunta. Anche don Baroldi, originario di Fiavé ma vissuto per molti anni in Val di Fassa avanti divenire curato prima nella frazione Campi di Riva del Garda e poi di Pranzo, dove morì nel 1904, nutriva passione scientifica per lo studio geologico e mineralogico e possedeva una sua collezione mineralogica che alla sua morte fu acquistata dal Comune rivano.(cfr Mazzolini R.G, 1999, 139)
Alcuni articoli citati nel documento riassuntivo della vita del museo, apparsi sul giornale “L’Eco del Baldo” nel corso del 1905, riportavano la lista dei donatori e depositanti di materiali per il Museo di Riva e indicavano anche la sede del nuovo museo (“tre belle sale di via Disciplini nell’ex palazzo dell’Ospedale civile”) illustrando che le raccolte erano riferite a “minerali, monete antiche e quadri”. Ma anche qui rimane il dubbio che si trattasse di una semplice collezione, seppur divenuta di proprietà comunale, anziché di un vero museo aperto al pubblico se si vuol prendere per vero quanto contenuto in qualche articolo e in particolare nella lettera di protesta indirizzata al giornale da un lettore dell’epoca : “i materiali delle collezioni giacciono male custoditi e affastellati in locali indecenti, esposti al pericolo della manomissione e all’inevitabile deperimento e si intende naturalmente inaccessibili”.
Anche Giacomo Vittone, pittore torinese nato nel 1898 trasferitosi nel rivano nel 1935 ove rimase fino al 1963, uno dei principali artefici della costituzione del museo del 1946, quando decise nel 1955 di scrivere degli appunti per la storia del museo, mostrava di essere mosso da dubbi circa l’individuazione della data di nascita dello stesso, come si evince sfogliando l’archivio: “Prima della guerra 14/18, da informazioni vaghe, doveva esserci una stanzetta o due al secondo piano del Palazzo Pretorio che ospitavano precisamente la collezione mineralogica e geologica “Wiebig Baroldi”, molti libri, qualche quadro e forse materiale d’archivio.” (Vittone G., 1955)
Si è già detto che Giuseppe Gerola nell’articolo del 1911 “La unificazione dei musei trentini” proponeva di unificare i musei trentini tramite la
specializzazione dei musei con lo scambio reciproco di quella parte delle raccolte che non corrispondesse alla specializzazione del museo. Gerola proponeva di destinare tutto il materiale etnico antropologico a Riva del Garda dove, secondo una sua successiva proposta si sarebbe potuto istituire un apposito museo etnografico. Sembrerebbe quindi che secondo Gerola un museo di qualche tipo a Riva già esistesse.
Anche negli anni successivi all’annessione del Trentino al Regno d’Italia le donazioni di materiale per il museo continuarono e vennero anche costituite delle commissioni per il museo e l’archivio. Vittone nei suoi appunti per la storia del Museo riferiva di aver trovato tra gli atti del 1919 un documento riportante la nascita di un comitato per il museo con a capo l’avvocato Poli (la persona che più si interessava per ordinare il museo) e un pro memoria dello stesso Poli del novembre 1919 in cui questi notava che il figlio del gen. Andreis si era dichiarato disponibile a donare tutti i cimeli paterni (medagliere, brevetti, autografi ecc.) se il Museo si fosse fatto sul serio. Dal carteggio risulta che anche negli anni si susseguirono svariati comitati che non riuscirono a far prendere corpo all’idea.
Un articolo del Corriere Tridentino datato 10 marzo 1949 nel riepilogare con poche parole la storia del Museo riferisce dati indicanti la sua effettiva esistenza già nei primi anni del secolo specificando che “prima della guerra di redenzione aveva la sua sede in alcune sale vicine all’archivio storico”, (dove, alla data dell’articolo, si trovava l’Ufficio del Catasto) e che la guerra disperse gran parte del materiale trafugato ad Innsbruck. Secondo il giornale qualche recupero fu possibile ma le cose più preziose andarono nel patrimonio di altri musei. La lettura dell’articolo in questione ci fornisce altre notizie: nel 1935 L’Azienda Autonoma di Soggiorno decise ricostruire il museo ed ottenne dal Municipio alcuni locali nella Rocca e nella vetrina dell’Azienda veniva esposto il recupero e la raccolta del materiale che vi affluiva; una parte delle raccolte , quelle di minerali, di monete e quella di piante di Don Porta (prete cultore di scienze botaniche originario della Valvestino trasferito a Riva nel 1898 che aveva donato parte del suo erbario personale al Museo Civico di Riva del Garda) era stata consegnata a Trento su deliberazione del municipio di Riva ed sembrava ormai impossibile riconoscere i
cimeli provenienti da Riva del Garda quando il Museo di Riva venne costituito o ricostituito nel 1946.
Nel 1936 si tenne una riunione del comitato costituito presso il municipio per discutere sulla riorganizzazione del museo (annunciata da Ettore Righi). Vittone, negli appunti, si diceva meravigliato che si parlasse all’epoca di riorganizzazione del museo perché lui non aveva mai trovato prova di un complesso organico.
Nel 1938, a seguito di una riunione, il segretario Ettore Righi comunicava agli interessati la distribuzione degli incarichi e diramando anche una circolare in cui evidenziava che pur con mezzi a disposizione molto limitati si era riusciti a dare all'iniziativa di istituzione del museo una base sufficientemente sicura soprattutto per il largo appoggio concesso dal municipio che aveva destinato alcuni locali posti al 2° piano della Rocca togliendo uno dei più gravi ostacoli all'attuazione del progetto.
Il presidente del Direttorio (Righi Ettore) scriveva: "In una città, come la nostra, che visse attraverso i secoli le fasi più varie della storia; che, colla fede e con le opere diede segni inconfondibili d'indomita italianità nei tempi del duro servaggio; che, tenute presenti le proporzioni degli abitanti ha dato alle lettere, all'arte, all'industria un contributo non trascurabile, moltissimi di Riva della zona circostante dovrebbero essere coloro che possono, con l'offerta dei più disparati oggetti, dare testimonianza delle vicende storiche e delle peculiari caratteristiche del popolo e dell'ambiente in quello che dovrebbe diventare il sacrario della nostra storia.
E poiché accanto al museo dovrebbe sorgere, dal piccolo nucleo già esistente una modesta biblioteca, riusciranno assai gradite, oltre gli oggetti suaccennati, le offerte di libri, di manoscritti, di giornali, di qualsiasi pubblicazione in generale, specialmente quando, sia per gli autori, sia per la materia, avviano attinenza con Riva o con la sua zona." " Il museo così formato sarà non solo un'istruttiva raccolta di memorie, ma avrà altresì un alto valore educativo come manifestazione di comune lavoro e di concorde volontà di cittadini"
Nella stessa circolare veniva invitata la cittadinanza a contribuire e in calce veniva riportato anche luogo e orari in cui si potevano fare le offerte.
Dopo questa riunione Righi mandava ai membri del curatorio una lettera di ringraziamento "Per l'accordata collaborazione per merito della quale sarà possibile realizzare e dar vita al nostro museo". A Vittone questa dichiarazione pareva “sufficiente per far ritenere che fino a quel giorno il museo non esisteva” portando inoltre a supporto del suo convincimento anche "una lettera del segretario Righi al Municipio, in data 18 luglio 1938 (che) invitava il Podestà a consegnare al Camerata Santorum tutto il materiale recuperato del vecchio museo”.
Per la verità questa lettera sembra contraddire le deduzioni di Vittone in quanto lascia presupporre che un vecchio museo fosse esistito nel passato per un certo periodo.
In una lettera del 23 aprile 942 indirizzata all”Ente Finanziario per il Risorgimento Culturale di Trento”, si legge che il Museo civico di Riva che andava sistemandosi nella sua nuova sede e aveva bisogno urgente di mezzi per poter continuare la sua opera appena iniziata per la sistemazione del materiale già esistente e per acquisire l'attrezzatura necessaria al fine di esporre il materiale che i cittadini e le istituzioni si dimostravano disposte a offrire solo a patto fosse conservato degnamente e in modo sicuro.
Pochi giorni dopo la conclusione ufficiale del secondo conflitto mondiale alcuni giovani vandali (25-30 aprile del 1945) dopo aver sfondato una porta sigillata dietro la quale vi era una stanza contenente tutto ciò che era stato spostato dalle sale del museo dato che la Rocca a quell’epoca era utilizzata dai tedeschi come ospedale asportarono molti pezzi impoverendo così la collezione già in parte andata persa durante la guerra.
A seguito di questi eventi la possibilità di ricostruire il museo sembrava ormai tramontata ma alcuni dei promotori del museo riuscirono a superare le perplessità ridando vigore all’idea di realizzare il museo. Tra questi i principali sostenitori erano per l’appunto Giacomo Vittone e Luigi Pizzini, (pittore rivano che negli anni precedenti la pima guerra mondiale si era trasferito in Italia e aveva aderito alla così detta “scuola di Burano”, aventi tra i principali esponenti Umberto Poggioli, Gino Rossi e Pio Semeghini), entrambi impegnati nella scuola di disegno
serale fondata da quest’ultimo nel 1943 e in procinto di dar vita, con un gruppo di artisti di una certa fama locale, all’associazione “Gruppo amici dell’arte” tuttora esistente. Grazie all’ìmpulso dato da Pizzini (che in seguito cambiò idea optando