L’EVOLUZIONE DEI MUSEI PROVINCIAL
2 Musei trentini dall’annessione all’Italia alla fine della seconda guerra mondiale
2.1 Problemi connessi all’annessione al Regno d’Italia
Al termine della guerra il Tirolo a sud delle Alpi venne direttamente incorporato, senza alcun referendum, nel regno d’Italia, col nome di Venezia Tridentina. Il nome, di ascendenza romana (X regio Venetia et Histria), venne adottato per indicare che si trattava di un’entità composta da un’unica provincia, quella di Trento, che oltre che al Trentino comprendeva anche il Sudtirolo.
La decisione di creare una provincia unica era il frutto di un lungo e difficile confronto tra le forze politiche sia nazionali che locali. In estrema sintesi la decisione rispondeva alla preoccupazione nazionalista, condivisa anche dalle correnti liberali, di veder garantita la sicurezza del nuovo confine del Brennero inserendo la minoranza tedesca, riottosa al nuovo stato di cose, in un contesto regionale a guida italiana, ma era vista con favore anche dai trentini autonomisti che di fronte al nazionalismo dilagante avevano ritenuto che per ottenere
l’autonomia non potevano contare solo sulle loro forze, ma dovevano aggrapparsi alla minoranza tirolese (cfr Gatterer, 1994, 441) Veniva in tal modo negata alla popolazione di lingua tedesca altoatesina quell’autonomia che i nazionalisti trentini avevano inutilmente rivendicato ai tempi dell’impero d’Austria. Ma anche la speranza di ottenere l’autonomia regionale veniva meno nel 1923 quando, malgrado una forte rappresentanza di sindaci trentini accompagnata dai rappresentanti di quasi tutti i partiti locali avesse nell’ottobre del 1922 reclamato con vigore la conservazione delle autonomie provinciali e comunali previste dall’ ordinamento comunale austriaco che era rimasto in vigore anche dopo l’annessione, con l'entrata in vigore del R.D. di data 11.1.1923 n. 9, fu adottato un ordinamento provinciale e comunale unico, negante ogni autonomia, per tutte le province italiane.
In questo contesto alla nuova classe dirigente trentina proveniente dalle file irredentiste veniva affidato dallo stato il duplice compito, pure dalla maggioranza di questa rivendicato, di esercitare un efficace controllo sulla popolazione autoctona tirolese di lingua tedesca data la profonda conoscenza che aveva della mentalità di quest’ultima (cfr Gatterer, 1994, 434) e di assumere il ruolo di traghettatrice della comunità trentina verso una identità nazionale tutta da costruire: la vittoria aveva premiato gli irredentisti che ora divenivano interlocutori privilegiati del regno e si ponevano come gli interpreti indiscutibili della volontà popolare trentina. (cfr. Antolini, 2006, 147).
Per svolgere questi compiti occorreva agire sul piano culturale e politico. Entrambi i piani vennero fatti propri in particolare dalla “Legione trentina”, associazione costituita nel dopoguerra dai trentini che avevano combattuto come volontari nell’esercito italiano (circa 900 persone) e che fornirà poco dopo quadri politici al fascismo ma successivamente anche qualcuno all’antifascismo.
Rispetto al problema della minoranza tedesca la Legione condivideva le idee del senatore fascista Ettore Tolomei circa la necessità della sua assimilazione ma non tutta l’élite trentina era di questo avviso. Sta di fatto che per incapacità o poca convinzione trentina di gestire la politica di assimilazione degli alloglotti il governo fascista decise di creare nel 1927 la Provincia di Bolzano, con l’approvazione dell’anzidetto senatore e tra la costernazione dei legionari e degli
irredentisti nazionalisti trentini cui veniva in tal modo revocato il ruolo di guida della regione. (cfr. Antolini Paola, 2006, 235) Il provvedimento stava a significare una svolta nelle relazioni con la minoranza tedesca nel senso che ora si voleva procedere alla snazionalizzazione forzata essendosi rivelata agli occhi impazienti del nazionalismo fascista poco produttiva l’opera di mediazione svolta fino a quel momento per il completo inserimento della popolazione di lingua tedesca nel quadro nazionale. In effetti negli anni successivi divenne chiaro che il regime non si fidava della disponibilità dei trentini a prestarsi alla nuova politica come è dimostrato dal fatto che il personale insegnante e gli impiegati di origine trentina presenti nella provincia di Bolzano vennero improvvisamente trasferiti e sostituiti da centinaia di insegnanti e personale amministrativo proveniente dalle altre regioni italiane. (cfr. Covelli, 2013)
Nel Trentino, malgrado l’infelice esperienza della dittatura militare austriaca durante la guerra, durata fino al luglio 1917 quando venne riaperto il parlamento dell’Impero,(cfr. Egg, 2013) permanevano sentimenti austriacanti specie nelle valli e nel mondo contadino e aristocratico.
Si trattava di un problema già previsto da Cesare Battisti, il socialista trentino, parlamentare austriaco, divenuto nazionalista e “martire” essendo stato condannato a morte nel 1916 per alto tradimento dopo essere stato catturato mentre sotto falso nome era al comando di un’unità dell’esercito italiano . Questi non si era nascosto che dopo la guerra si sarebbe posta l’urgenza di trasformare in italiani molti che italiani erano “ solo per lingua e per cuore, il cui spirito, il cui modo di pensare sono tuttavia tutt'altro che italiani” e che non bastava “grattar via tutta la pece austro tedesca” attaccata addosso ma che era necessario anche detrentinizzarsi un poco; per questo aveva prospettato l’idea che ,in caso di vittoria italiana, gli impiegati pubblici trentini venissero trasferiti in altre province italiane affinché potessero farvi “un bagno di italianità” e al contempo negli uffici pubblici locali venissero trasferiti dirigenti e impiegati da queste altre regioni. La soluzione consisteva dunque nel far compiere un tuffo nel milieu italiano, che secondo lui anche se “avverrà in modo un po' repentino, non farà male". ( Baldi M., 2013).
Occorreva quindi sradicare alla radice ogni traccia di nostalgia asburgica agendo sul piano politico e culturale. In sostanza la conseguita unificazione all’Italia non segnava il termine dell’azione culturale e politica svolta in precedenza dalle élites cittadine per sviluppare un forte sentimento identitario nazionale tra popolazione trentina.
Sul piano politico si riteneva necessario procedere ad un’epurazione degli austriacanti dagli uffici pubblici, e dalla società. A tal proposito la Legione trentina il 10 aprile 1919, inviò alle autorità un proprio “Memorandum su l’opera di epurazione” il cui testo rende perfettamente l’idea dell’esistenza di un vecchio antagonismo sull’identità collettiva trentina, esasperato durante la guerra, che si intende ora estirpare:
“Esistono delle persone che, per pochezza d’animo, o perché nate e
cresciute nell’aulico ossequio all’autorità, costituita, o per interesse, hanno offeso il sentimento del nostro popolo mostrando ostentatamente il loro attaccamento agli Absburgo; degli individui che l’austrofilia esasperarono fino al disprezzo ed all’odio per quanto era italiano, taluno giungendo fino a manifestare la propria gioia per un rovescio delle armi nostre, tal altro scendendo fino all’obbrobrio di chiedere “l’onore” di combattere al fronte italiano. Accanto a questi ultimi, esiste un numero per fortuna limitatissimo di esseri abbietti, strumenti coscienti dell’oppressione straniera, che, per lucro, per vendetta, o per altri turpi moventi, emularono la ferocia degli sbirri austriaci.
Questi individui non possono restare impuniti: ogni generosità, ogni clemenza suonerebbe ingiuria a quanti hanno sofferto per aver amato la patria, sarebbe considerata segno di debolezza dalla stessa gente indegna.
Non rappresaglie chiedono i volontari trentini, sibbene quella giusta sanzione che i colpevoli stessi attendono:
per gli austriacanti, freddezza da parte del pubblico, esclusione dalle Associazioni, eliminazione dai pubblici uffici o trasferimento in altra regione;
per i rinnegati, per i disonesti, per i fiduciari dell’Austria, per le spie, per i vermi della società, il disprezzo della pubblica opinione, il boicottaggio da parte dei cittadini, l’esclusione da qualsiasi impiego pubblico e privato
Compiuta questa giusta e doverosa opera di epurazione e raggiunte in tal modo la tranquillità del Paese e la concordia degli animi, il Trentino nostro riprenderà fiducioso e con animo forte il lavoro intenso necessario per il suo risorgere dopo le perdite inestimabili di vite e di beni”. (Legione trentina,
1919) .
Sul piano culturale l’azione di costruzione di una nuova identità sociale era affidata a varie associazioni, alla stampa, alle cerimonie, e a musei di nuova istituzione e di diversa tipologia rispetto ai vecchi musei civici.
Era necessario sviluppare in modo più coerente e incisivo la relativa attività alla quale erano chiamati anche i musei che ora non erano più limitati, come in precedenza, dalla presenza di autorità ostili allo sviluppo del sentimento nazionale. I musei civici d’anteguerra, pur con tutti i limiti che li avevano caratterizzati, avevano avuto il merito di raccogliere, preservare e mostrare materiali naturali e culturali che adeguatamente organizzati avrebbero poi consentito loro, se supportati nel loro sviluppo, di contribuire alla diffusione di conoscenze scientifiche e storiche, ma non si erano rivelati idonei a sviluppare un sentimento nazionale tra chi non lo avesse già acquisito attraverso esperienze di altro genere. Nella nuova situazione l’espediente del museo civico onnicomprensivo per suscitare lo sviluppo della “coscienza” nazionale diveniva obsoleto; l’esposizione di materiali arcaici e naturalistici poteva rivestire valore scientifico o soddisfare curiosità ma non era in grado di “commuovere”. Ora si potevano utilizzare materiali capaci di produrre emozioni. Materiali dell’Ottocento che non era stato possibile esporre durante il dominio austriaco e materiali ancor più stimolanti in quanto forniti dalle vicende belliche appena concluse.