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La ripresa dell’attività museale e l’istituzione di nuovi musei.

L’EVOLUZIONE DEI MUSEI PROVINCIAL

2 Musei trentini dall’annessione all’Italia alla fine della seconda guerra mondiale

3.1 La ripresa dell’attività museale e l’istituzione di nuovi musei.

di fondi del periodo successivo compromisero il buon funzionamento dell’Istituzione. Per di più un bombardamento distrusse nel 1944 un’ala dell’edificio arrecando danni a collezioni e laboratori e paralizzando ogni attività (cfr. Tomasi, 2008).

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Lo sviluppo museale dal secondo dopoguerra ad oggi

3.1 La ripresa dell’attività museale e l’istituzione di nuovi musei.

Al termine della seconda guerra mondiale la situazione museale del Trentino risultava precaria. Tuttavia i principali musei vennero riattivati in tempi brevi seppur incontrando poi notevoli difficoltà finanziarie. Può essere utile distinguere due fasi delle vicende museali trentine: un periodo che va fino alla riforma costituzionali del 1971 che portano all’approvazione del secondo statuto d’autonomia (1972) in cui le competenze legislative provinciali in materia di musei “a carattere provinciale” sono rimaste limitate in assenza dell’adozione delle previste norme d’attuazione; un periodo successivo al nuovo statuto le cui norme di attuazione del 1973 precisano che tutti i musei istituiti con leggi provinciali e anche quelli comunque esistenti nel territorio sono da considerarsi “provinciali” salvo l’eccezione, poi eliminata, del Museo della guerra di Rovereto e quella, non esplicita del Museo nazionale storico degli Alpini sul Doss Trento.

Durante la vigenza del primo statuto la Provincia ha comunque provveduto a sostenere i musei prevedendo con legge 11/11/1952, n 3 “Concessione di contributi e sussidi ad enti, associazioni ed istituzioni, a carattere provinciale, aventi per scopo l'incremento della cultura, la conservazione e la valorizzazione degli usi e costumi caratteristici e la promozione di manifestazioni artistiche locali” un fondo

per la concessione di contributi o sussidi ad enti, associazioni ed istituzioni a carattere provinciale tra i quali figurano quelli aventi per scopo l’incremento della cultura mediante la fondazione e l'esercizio di biblioteche, accademie, istituti e musei. Sostegno è stato offerto anche dai comuni interessati. In questo periodo oltre alla riattivazione e riorganizzazione dei musei di vecchia data si è assistito alla istituzione di altri musei su iniziativa di privati.

Per quanto concerne i principali musei preesistenti la loro evoluzione si può così riassumere per ciascuno di essi:

1) Museo di Storia Naturale della Venezia Tridentina. Venne riattivato nel 1946, la direzione fu “riaffidata a G.B. Trener, che all’indirizzo operativo tradizionale di raccolta, ricerca ed esposizione, aggiunse, con particolare abilità organizzativa, l’azione di un nuovo ente ospite, il “Centro di studi alpini”, emanazione locale del Consiglio nazionale delle ricerche, da lui voluto con impegnativi programmi, estesi anche ad altre zone dell’Arco alpino. La sua costante volontà di operare anche in Alto Adige trovò attuazione nella creazione di due Osservatori climatici, a Gries e a Merano, e nella predisposizione per l’allestimento di una sede staccata a Bolzano, per la quale era già stato approntato il materiale espositivo. La duplicità di campi operativi relativa al Museo e al Centro, e di fonti per il loro finanziamento, è continuata fino al 1954, data del suo decesso.

Seguì un decennio, quello 1954-1964, caratterizzato da una incessante attesa di provvedimenti, in cui il Museo sopravvisse stentatamente sotto la guida di due Direttori-Commissari – rispettivamente per la parte scientifica e per quella amministrativa, nominati dall’Amministrazione comunale d’intesa con quella regionale. L’incarico “provvisorio” si protrasse per anni fino a quando la morte del commissario responsabile della parte scientifica costrinse le parti interessate a giungere ad una ridefinizione del museo. Ciò determinò l’urgenza di riformare la struttura giuridica e la rinuncia alla regionalità. …Finalmente, nel 1964, si istituì il “Museo tridentino di scienze naturali”, dotato di nuovo Statuto rispecchiante le necessità e le prospettive di questo ormai saldamente affermato centro di cultura, configurato nei confronti della pubblica amministrazione come Ente funzionale

della Provincia autonoma di Trento” (cfr. Tomasi, 2008) Questo Museo rimase ubicato all’ultimo piano del palazzo di Via Verdi che però dovette ben presto lasciare, assieme alla scuola elementare che occupava i piani sottostanti, a favore dell’ università appena istituita. Dopo un periodo di riassestamento e in attesa di traferirsi nella nuova sede di Palazzo Sardagna (1975) -edificio eretto nel Cinquecento e ristrutturato nella prima metà del Settecento, dalla potente famiglia dei Sardagna, assumendo l’aspetto attuale di architettura di transizione tra la rinascimentale e la barocca, dove venne tuttavia riaperto al pubblico solo nel 1981, il Museo colse l’opportunità di agire sul territorio collaborando alla progettazione di alcuni parchi naturali riserve, biotopi, organizzando corsi naturalistici per operatori ambientali e turistici, problemi idrologici, ecc. Contemporaneamente si potenziò in tutte le sue funzioni, e venne ampliato realmente, il “Giardino botanico alpino del Monte Bondone” e trovarono solida realizzazione due nuove sezioni staccate: il “Museo delle palafitte del Lago di Ledro” (inaugurato nel 1972) e l’“Osservatorio climatico-meteorologico” di Roncafort (inaugurato nel 1975), con funzioni didattiche oltre che informative. Il Museo continuava in tal modo la tradizionale vocazione di ricerca scientifica editando anche periodici scientifici.

2) e 3) Museo del risorgimento e Museo nazionale Dopo La seconda guerra mondiale Bici Rizzi provvide a ricostituire il Museo avendo recuperato il materiale portato dai nazisti in Alto Adige; nella prima seduta della direzione del Museo venne deciso di adottare il nome di “Società del Museo del Risorgimento e della lotta per la Libertà” in omaggio a quei trentini che si erano impegnati nel movimento di lotta della resistenza al nazismo. Il Museo nel passato era vissuto di mezzi propri con un capitale , che a seguito della svalutazione della lira, era divenuto addirittura irrisorio, e rischiava la chiusura, ma nel 1947 venne salvato dall’intervento del Comune che si accollò una parte delle spese per il personale. (Benvenuti, 2003, 23). Il Museo manteneva l’impronta militante precedente e anche la Resistenza era vista più come prosecuzione della lotta di liberazione nazionale piuttosto che come lotta contro le forze dittatoriali in quanto tali, interne e

straniere che fossero. La storia del trentino rimaneva, come prima, monca nella sua unilateralità.

Nel 1963 si accentuarono le difficoltà, già presenti da tempo, di convivenza nel castello del Museo del Risorgimento con la Sovrintendenza delle belle arti che mirava a valorizzare il Castello come Museo d’arte. Malgrado le proteste della direttrice che minacciò le dimissioni sostenendo che “la storia del nostro Risorgimento e della lotta nazionale della Resistenza devono avere lo stesso posto morale dell’arte e, quindi, allo stato delle cose, il nostro museo non può cedere per altri scopi nemmeno un metro quadrato in più di quanto già concesso”, Il Museo fu costretto a cedere a questa il Salone clesiano che era stato destinato dalla Rizzi a sistemarvi l’archivio di Battisti di cui la vedova Ernesta Bittanti aveva promesso la donazione al Museo e a chiudere le “celle dei martiri” per mancanza di un custode (Benvenuti, 2003, 24) . La questione riesplose alla fine del 1967 quando il nuovo Sovrintendente alle belle arti nonché direttore del Museo Nazionale, Nicolò Rasmo, propose di spostare il Museo nelle marangonerie del castello e quando poco dopo lo stesso decise di recuperare la sala più sacra , quella del tribunale, a “locus refectionis” com’era al tempo del Clesio togliendo i mobili del tribunale e asportando lo strato di intonaco bianco per riportare alla luce gli affreschi del pittore Dossi, che il vecchio sovrintendente Gerola aveva ritenuto di non restaurare per non alterare l’impressione di drammaticità che quell’ambiente incuteva . La prima operazione fu temporaneamente bloccata mentre la seconda venne messa in atto anche se dopo che la direttrice Rizzi ebbe mobilitato il Consiglio comunale, associazioni combattentistiche, culturali e politiche e la stampa locale e nazionale, il Presidente della Repubblica e i Ministri competenti, il Sovrintendente ricevette l’ordine di ripristinare il tribunale nel suo primitivo aspetto e arredo (Rizzi, 1973, pp. 65-67) Nonostante ciò le polemiche proseguirono, dal momento che Rasmo tardò ad applicarne le disposizioni per la mancanza di fondi stanziati all’uopo, sperando che le polemiche si attenuassero e l’opinione pubblica si abituasse. La situazione perdurò così fino al 1974, anno in cui Rasmo lasciò la Soprintendenza, dopo il passaggio delle competenze in materia di tutela e di conservazione del patrimonio storico e artistico dallo Stato alla Provincia autonoma di Trento. Due

anni più tardi, sarà disposta la ricollocazione originale del mobilio sito nella Sala del Tribunale nel Castello del Buonconsiglio, quindi nuovamente allontanato nel 2002 (Fondazione Nicolò Rasmo –Adelheid von Zallinger Thurn).

4) Museo Civico di Rovereto e Galleria roveretana d’arte. Venne riaperto al pubblico solo nel settembre del 1946 sempre presso il Palazzo Scopoli-Jacob essendo stati alcuni locali occupati da uffici pubblici . Permanevano gravi difficoltà imputabili al fatto che si trattava di un’istituzione totalmente basata sul volontariato. Era stata proposta anche l’idea di un biglietto unico col Museo della Guerra ma i tentavi di integrazione museale finirono nel nulla. Nel 1953 il Sindaco di Rovereto propose di trasportare o sopprimere il Museo per destinare il palazzo a scopi abitativi ma trovando una certa opposizione da parte di chi riteneva assurdo cancellare un’istituzione storica centenaria, lasciò cadere la proposta. Anzi poco dopo il comune aumentò i contributi economici al Museo ma la situazione rimaneva precaria. La galleria roveretana d’arte a sua volta decadde rapidamente (Rasera, 2004, pp. 110-115), vivendo alterne vicende di apertura e chiusura. (Gabrielli, 1986, pag. 191)

5) Museo della guerra di Rovereto. Il Museo della Guerra roveretano vide confermata la sua ubicazione nel Castello di Rovereto di proprietà comunale e rimase un’istituzione autonoma cui il Comune di Rovereto, proprietario del Castello, contribuì, nel periodo interessato, in piccola misura (cfr Rasera, 2004, pp. 110-115)

6) Museo diocesano di Trento. Era stato fondato con lo specifico intento di salvaguardare il patrimonio di arte sacra della diocesi e di porsi quale strumento didattico per la scuola d’arte e di archeologia cristiana del seminario teologico, presso cui venne collocata la prima sede. Nel 1963, in occasione del IV centenario del Concilio di Trento, il museo venne trasferito in una sede molto più ampia e prestigiosa nel cosi detto Palazzo Pretorio, adiacente il Duomo, che in realtà era stata la residenza dei Principi Vescovi prima che questi la traferissero poco dopo il 1250 nel Castello del Buonconsiglio. Si trattava di una rifondazione del museo

che ora acquisiva una sede definitiva e centrale e veniva messo a disposizione della collettività. (cfr. settore didattico del Castello del Buonconsiglio, Monumenti e collezioni provinciali, Museo Diocesano Tridentino, novembre 1996)

7) Continuava la sua esistenza il Museo mineralogico di Predazzo

Nel periodo considerato furono istituiti anche nuovi musei per lo più su iniziativa di soggetti privati di tipo individuale o associativo, in particolare si possono menzionare:

1)Museo degli alpini. L'idea di costruire un complesso in onore del Corpo degli Alpini fu della Legione Trentina, con pieno sostegno del Comando superiore delle truppe alpine e dell'Associazione Nazionale Alpini.

La proposta fu accolta dal Governo nel 1938 che, istituì un ente denominato Fondazione Acropoli Alpina, avente per fine la raccolta e la conservazione della documentazione storica degli alpini.

La dislocazione dell'opera era prevista sul Doss Trento (o Verruca), parco naturale e memoria dei primi insediamenti preistorici, poi Romani, accanto al mausoleo dedicato all'alpino e a Cesare Battisti.

Il primo progetto prevedeva la costruzione di una mastodontica opera delle linee del castrum romano. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale la Fondazione, a causa dell'altissimo costo dell'opera, rinunciò al progetto iniziale e predispose un progetto più austero.

Nel 1953 il Comune di Trento, donò alla Fondazione dell'Acropoli una ex polveriera austriaca, e così il 24 maggio 1956 fu posta la prima pietra. Il 15 marzo 1958, in occasione della 31ª adunata nazionale degli alpini a Trento, ebbe luogo l'inaugurazione ufficiale del Museo - Sacrario. La Prima guerra mondiale ha grande rilevanza ed occupa circa metà degli spazi espositivi. Il Museo è gestito dall’Esercito. Questo museo, mai citato come tale nelle norme di attuazione, rientra nel sito riconosciuto di interesse nazionale individuato sul Doss Trento dal decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 1973,n. 48, la cui rilevanza nazionale sarà confermata successivamente dalle norme di attuazione statutarie

emanate con D.Lgs. 15.12.1998, n. 48. In sostanza questo museo è rimasto escluso dalla competenza provinciale in materia di beni culturali. Il 2 aprile 2008 si è costituita l’Associazione “Amici del Museo Storico Nazionale degli Alpini”, con lo scopo di sostenere le attività del Museo attraverso ricerche, pubblicazioni, eventi e convegni per divulgare la storia del Corpo degli Alpini. Tra i soci sostenitori figurano l’Associazione Nazionale Alpini, il Comune di Trento e la Provincia autonoma di Trento. Risposta all'interrogazione n. 2120 del 05 ottobre 2010 “Valorizzazione del sito storico del Doss Trento” l’Ass. Panizza precisava: “ Per quanto concerne la possibilità di inserire il Museo delle Truppe alpine nel contesto della circuitazione museale provinciale, in questo momento è in fase di elaborazione il sistema di qualificazione dei soggetti culturali di cui all’art. 16 della L.P. 3 ottobre 2007, n. 15 e s.m.. Se il Museo delle Truppe alpine avrà i requisiti necessari, sarà a pieno titolo inserito nel sistema museale, di cui all’art. 23 della L.P. 15/2007. Se ciò non accadesse, la Provincia all’interno delle politiche museali metterà in campo le opportune iniziative per valorizzare tale Museo.

2) Museo Depero. L’idea di una Galleria d’arte degli artisti roveretani era stata lanciata da Fortunato Depero nel 1936: si trattava nel progetto di una galleria che non aveva obiettivi di conservazione ma di fungere da centro di promozione dell’arte viva e degli artisti operanti , nella cornice delle ritualità pubbliche del fascismo e nell’organizzazione del consenso. (Rasera, 2004, 94) Il suo progetto era stato contrastato dall’intenzione del Comune di istituire una Quadreria civica per valorizzare il piccolo patrimonio di opere in dotazione al museo civico e anche in previsione di un notevole arricchimento della collezione grazie alle promesse di donazioni e lasciti di notevole consistenza (promesse poi effettivamente mantenute). Si trattava di un progetto conservativo e storico che nulla aveva a che vedere con l’idea di una galleria civica “militante” di Depero, cui era sì riuscito di indurre il Comune a mutarne il nome da Quadreria a Galleria, per significare il passaggio da una concezione “museale” a una “viva e militante” ma non a impedire che la Galleria rimanesse comunque una Quadreria. Ancor prima dell’inaugurazione Depero ruppe definitivamente ogni rapporto con la nuova istituzione. (Rasera, 2004, pp. 96).

Per capire le ragioni di questa rottura si deve tornare alla formazione ideologica politica e artistica di Depero. Questi era un esponente del così detto “secondo futurismo”, termine introdotto alla fine degli anni cinquanta per distinguerlo dal "primo Futurismo" , quello eroico ", ovvero il nucleo storico del 1909-1916 che, su Le Figaro del 20 febbraio del 1909, aveva pubblicato in francese il proprio manifesto già apparso sui giornali italiani poche settimane prima:

” Nous voulons démolir les musées, les bibliothèques…L'Italie a été trop longtemps le grand marché des brocanteurs. Nous vouIons le débarrasser des musées innombrables qui la couvrent d'innombrables cimetières. Musées, cimetières!... Identiques vraiment dans leur sinistre coudoiement de corps qui ne se connaissent pas. Dortoirs publics où l'on dort à jamais côte à côte avec des êtres hais ou inconnus. Férocité réciproque des peintres et des sculpteurs s'entre-tuant à coups de lignes et de couleurs dans le même musée. Qu'on y fasse une visite chaque année comme on va voir ses morts une fois par an... Nous pouvons bien l'admettre !... Qu'on dépose même des fleurs une fois par an aux pieds de la Joconde, nous le concevons !... Mais que l'on aille promener quotidiennement dans les musées nos tristesses, nos courages fragiles et notre inquiétude, nous ne l'admettons pas!.. Voulez vous donc vous empoisonner? Voulez-vous donc pourrir.”

Il programma di «portare l'Arte nella vita” enunciato dal primo

Futurismo era rimasto sostanzialmente inapplicato, essendo quel movimento rimasto chiuso dentro gallerie e musei (fatta eccezione per le "Serate futuriste") e si era limitato ad esprimersi tramite arti regine quali la pittura e la scultura. (cfr. Scudiero, 1998).

Era stato il “secondo Futurismo”, ovvero quello di Depero, invece, proprio a partire dalla "Ricostruzione futurista dell'universo" di Balla e Depero, a entrare veramente nella vita quotidiana della gente, e lo aveva fatto grazie alla pubblicità, all'arredamento, agli allestimenti teatrali, alla moda, all'architettura, all'arte postale, e via dicendo.

Fu proprio quel Depero il “ più futurista degli stessi futuristi” (Scudiero, 1998) che già si era inutilmente impegnato nel progetto di Galleria d’arte sopraricordato, a fondare nel 1959 a Rovereto il primo Museo Futurista d’Italia, tradendo il diktat antimuseale per creare uno spazio futurista aperto al pubblico (cfr Vetrugno, 2012, pp. 93-94).. Alla fondazione del Museo contribuì in modo decisivo il Comune di Rovereto grazie ad un accordo stipulato con Depero nel 1957 mettendo a disposizione la vecchia sede del Monte dei Pegni debitamente trasformata su progetto dello stesso artista. (Rasera, 2004, pp. 110 e segg) Alla fondazione della Galleria permanente e Museo Depero, inaugurata nel 1959, L’idea di museo di Depero era di un luogo di scambi culturali, dove il pubblico poteva andare a chiacchierare e confrontarsi, consultare cataloghi e ritagli si stampa, ma anche acquistare le opere dell’artista secondo la vecchia concezione ottocentesca” (Vetrugno, 2012, 94).

3) Museo civico di Riva del Garda . Viene fondato nel 1946 su iniziativa privata. Di questo museo si tratterà in altra parte del presente lavoro.

4) Museo palafitticolo di Ledro . La legge provinciale 6 agosto 1968,n12 autorizza l’acquisto da parte della provincia di un’area nella zona palafitticola del lago di Ledro e la costruzione su di questa di un immobile da dare in uso gratuito al Museo Tridentino di Scienze Naturali, per l'organizzazione ed il funzionamento di un Museo palafitticolo.

5) Museo degli Usi e costumi della gente trentina. Questo museo è formalmente istituito con legge provinciale 31 gennaio 1972, n. 1 a cavallo tra la riforma costituzionale del 1971 e l’approvazione del Nuovo statuto d’autonomia (1972). Tuttavia il Museo era già stato ideato e messo in opera da un eclettico personaggio trentino-boemo, Giuseppe Sebesta, a partire dal 1965. Questi aveva convinto le autorità politiche del tempo circa la concreta possibilità , nel nuovo Trentino dell’imminente autonomia provinciale, di realizzare un grande museo delle tradizioni locali. Ottenne quindi di installarlo nel vecchio monastero agostiniano di san Michele all’Adige, già espressione meridionale del monachesimo germanico, liberatosi a seguito del trasferimento in altra sede dell’Istituto agrario

che lo occupava. Il Museo venne inaugurato nel 1968. Lo statuto allegato alla legge così indicava gli scopi del museo:

“Il Museo degli usi e costumi della gente trentina ha lo scopo di creare un centro di cultura nel campo etnografico con le seguenti finalità: a) raccogliere, ordinare e studiare i materiali che si riferiscono alla storia, alla economia, ai dialetti, al folklore, ai costumi ed usi in senso lato della gente trentina; b) promuovere e pubblicare studi e ricerche a carattere etnografico; c) promuovere ed aiutare la propaganda per la conservazione degli usi, costumi e tecnologie che sono patrimonio della gente trentina; d) di contribuire alla diffusione della conoscenza degli usi e costumi della gente trentina in modo particolare attraverso la collaborazione con la scuola di ogni ordine e grado e promuovendo iniziative ad essa adatte e mettendosi a disposizione per le attività didattiche e di ricerca richieste dalla scuola stessa; e) collaborare nel campo della ricerca con istituti universitari”. Come si vede un forte accento veniva messo sulla ricerca e sulla didattica. (cfr. Kezich, 2002)

Le difficoltà in cui versavano i musei trentini nel secondo dopoguerra e negli anni ’60 sembrano essere state comuni ai musei non solo italiani ma anche europei. Si è detto che nel dopoguerra “ nell’Europa sempre più ‘vecchia’ i musei tendono a diventare polverosi depositi di cose morte, progressivamente disertati dal pubblico dei ceti medi…nell’Europa della ricostruzione non c’è posto per i musei che, privi di finanziamenti e di personale, muoiono davvero” e che “ In coincidenza del boom economico ci si avvia verso una società dei consumi di massa animata da un esercito di “consumatori”. In questo contesto in cui l'Italia contadina si avviava, inaspettatamente, verso una modernizzazione economica e sociale, del tutto accelerata, l’istituzione museo non interessa più neanche le classi borghesi, attratte irresistibilmente dai “valori” del consumo” (Gioia, 2012/2013). Tuttavia limitando l’esame all’Italia, dai dati esposti dall’Istat nel 2011 relativi alle presenze nei