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La forma di emanazione degli atti del CSM come

Nei paragrafi precedenti si sono presi in esame gli orientamenti che risolvono il problema dell’autonoma rilevanza delle delibere consiliari e della loro assoggettabilità al sindacato del giudice amministrativo sulla base dell’assunto che nulla si opporrebbe ad estendere la giurisdizione di quest’ultimo anche agli atti solo oggettivamente amministrativi, o viceversa considerando direttamente il CSM come organo della pubblica amministrazione. Così argomentando, risulterebbe del tutto inutile il meccanismo di esternazione predisposto nell’art. 17 della legge istitutiva, potendo gli atti del Consiglio essere automaticamente impugnati innanzi al Consiglio di Stato o al Tar Lazio.

Tuttavia, si è avuto modo di vedere come la coerenza di simili concezioni sia fondata su presupposti difficilmente condivisibili, soprattutto ove si voglia condurre una lettura del fenomeno fedele al testo costituzionale. Sulla base di queste premesse, si spiega l’atteggiamento di quella parte della dottrina che, in ordine al controllo giurisdizionale delle delibere del CSM sullo status dei magistrati, ha incentrato l’attenzione essenzialmente sulla ricostruzione dogmatica del rapporto intercorrente tra deliberazione consiliare e decreto presidenziale o ministeriale di emanazione, al fine di giustificare l’intervento del giudice amministrativo.

Partendo dalla comune premessa che, da un lato, i provvedimenti in materia di status dei magistrati spettano in via esclusiva al CSM e, dall’altro lato, tale organo è estraneo alla P.A., le soluzioni prospettate in merito ai rapporti tra delibere e decreti sono però ampiamente divergenti.

Coerentemente con una scelta espositiva che tenga conto della progressiva rilevanza del ruolo di volta in volta riconosciuto al Consiglio nell’ambito del procedimento formativo dei provvedimenti “nei riguardi dei magistrati”, secondo una prima tesi45, inizialmente recepita, come si è visto46, dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, la delibera consiliare sarebbe un mero atto preparatorio del decreto, di cui determinerebbe il contenuto. Si verificherebbe, pertanto, una “scissione tra la determinazione del contenuto dei possibili interventi degli organi esecutivi e la effettiva concretizzazione ed attuazione di questi”47, cosicché le delibere del CSM, non avendo efficacia nei confronti dei magistrati, sarebbero vincolanti soltanto nei confronti del Ministro di giustizia, il quale sarebbe tenuto a darvi esecuzione nelle forme previste dall’art. 17 della l. 24 marzo 1658, n. 153. Di conseguenza, gli atti del Consiglio sarebbero collocabili nella categoria delle decisioni, ossia tra quegli atti “volti a creare una situazione giuridica che delimita il campo di azione dell’organo attivo il quale ad essa è vincolato”48.

Similmente, affermando l’effetto di “determinazione di contenuto” delle delibere ma escludendone la “forza costitutiva dell’effetto giuridico”, si ritiene49 che queste ultime siano da inquadrarsi “nella categoria delle proposte vincolanti, ossia di quegli atti che, pur determinando il contenuto dell’atto finale, mantengono la loro natura preparatoria di ‘manifestazione mista di volontà o desiderio’ ”, e non rivestono, quindi, carattere costitutivo dell’effetto giuridico.

In merito, non si è mancato di rilevare che, mentre la prima concezione risultava “più ossequiosa del dovuto”50 al disposto dell’art. 17 della legge istitutiva e al contrario troppo poco rispettosa della posizione di autonomia riservata al Consiglio dalla Costituzione, la ritenuta estraneità di quest’ultimo all’amministrazione implicava l’esclusione delle delibere consiliari dagli schemi e dal regime tipico dell’atto amministrativo, rendendo poco plausibili teorie, come la seconda appena esposta, che si

45

BARTOLE, Op. ult. cit., 126 ss. 46

Supra, § 3.6. 47

IDEM, Op. ult. cit.,161. 48

IDEM,Appunti in tema di deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura, in Giur. cost., 1962, 1261.

49

SPAGNA MUSSO, Sulla sindacabilità degli atti del Consiglio Superiore della Magistratura, in Giur. cost., 1962, 1617. In senso dubitativo sull’esistenza di tale categoria, GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 1981, 276 ss.

50

basavano essenzialmente su una data ricostruzione del procedimento amministrativo.

Altro orientamento51 fa allora riferimento alla categoria degli atti presupposti, concependo i provvedimenti in oggetto, piuttosto che come meri atti preparatori destinati ad essere assorbiti nel provvedimento conclusivo del procedimento, come “entità facenti parte a sé”, distinte ed autonome dall’atto finale con il quale non vengono a fondersi, ma del quale costituiscono, appunto, il presupposto, “nel senso che l’autorità governativa non può legittimamente provvedere se non sul presupposto di essi”52.

Ancora, si ritiene53 che le delibere siano l’elemento sostanziale preponderante di un atto composto ineguale, ad indicare che “l’ineguaglianza formalmente indica la prevalenza del Ministro, ma sostanzialmente esprime la prevalenza del CSM alla cui esclusiva volontà risale il contenuto dell’atto”54. Quella consiliare e quella ministeriale sarebbero dunque due volontà disomogenee, ispirate a “due intenti diversi (l’una ha di mira il contenuto, l’altra la forma, e quindi l’efficacia ed i controlli), anche se cospiranti in un unico provvedimento finale”55.

Secondo un’ulteriore classificazione, la predominanza, costituzionalmente imposta, del Consiglio superiore nell’ambito del procedimento formativo dell’atto porterebbe a ritenere che la fase propriamente costitutiva sarebbe da rinvenirsi soltanto nella delibera del CSM, mentre gli atti di esternazione atterrebbero esclusivamente alla fase “integrativa dell’efficacia”56.

Portando alle estreme conseguenze la distinzione tra “forma” e “sostanza” degli atti nei riguardi dei magistrati, si afferma infine che tali provvedimenti non possano essere considerati come atti del Ministro, poiché questi, nell’emanarli, non li fa propri, ma gli conferisce soltanto una veste formale, restando tali manifestazioni di volontà sostanzialmente imputabili al CSM. In sintesi, il provvedimento sulla carriera del magistrato

51

SANDULLI, Op. ult. cit. 52

IDEM, Op. ult. cit., 5. 53

CUOCOLO, Deliberazioni del CSM e sindacato giurisdizionale del Consiglio di Stato, in Giur. it., 1962, 241 ss.;TERESI, Il Consiglio superiore della magistratura: venticinque anni di applicazione della Legge 24 marzo 1958, n. 195, Napoli, 1984; ONIDA, La posizione costituzionale del CSM e i rapporti con gli altri poteri, in AA.VV., Magistratura, CSM e principi costituzionali, a cura di Caravita, Roma-Bari, 1994, 22 ss.; ZANON-BIONDI, Il sistema costituzionale della magistratura, Bologna, 2006.

54

CUOCOLO, Op. ult. cit., 253. 55

Così, chiaramente, VOLPE, Op. ult. cit., 395. 56

MEALE, Del sindacato giurisdizionale delle deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura, in Rass. dir. pubbl., 1963, 56.

“è pur sempre del Consiglio superiore salvo che è prescritta una forma ad substantiam consistente nel d.m. o nel d.p.r.”57.

Pur dovendo dare atto degli sforzi dottrinali, quello della corretta ricostruzione dogmatica del rapporto tra delibera e decreto sembra essere in realtà un falso problema o, meglio, una diatriba teorica che “non presenta soverchia utilità ai fini dell’approfondimento che qui interessa”58. Ma ciò, evidentemente, non in ragione dell’inutilità del meccanismo predisposto dalla legge istitutiva, bensì del fatto che tale meccanismo è stato imposto ex auctoritate, direttamente dal Legislatore. In altre parole, l’Assemblea parlamentare, sul presupposto che il CSM sia un organo estraneo alla P.A. e che la giurisdizione amministrativa sia invocabile soltanto “contro gli atti della pubblica amministrazione” (art. 113 Cost.), ha stabilito con legge un procedimento idoneo a consentire che le deliberazioni del CSM, le quali di per sé costituiscono provvedimenti solo oggettivamente amministrativi, in seguito all’intervento “esecutivo” del Ministro o del Presidente della Repubblica divengano atti anche soggettivamente amministrativi. Si è quindi optato per la predisposizione di un sistema che, lasciando intatto il contenuto delle delibere determinato dal CSM, consentisse la trasformazione di queste in un atto dell’Esecutivo, così permettendone l’imputazione formale a quest’ultimo, con l’effetto di garantire la possibilità del controllo contabile alla Corte dei Conti e di quello giurisdizionale al giudice amministrativo. E la peculiarità di tale anomalo risultato, ossia della non identità tra organo deliberante ed organo al quale è ascrivibile l’atto, è proprio quella di essere assicurato dalla legge. E’ evidente che ci si trova innanzi ad una fictio, la quale è però predisposta dallo stesso Legislatore e, una volta appurato che non sembra porsi intrinsecamente contro l’ordine costituzionale, non necessità di essere giustificata, rectius, legittimata, dalle elaborazioni della dottrina. Analogamente a quanto si verifica, ad esempio, in merito al concetto di “persona giuridica”, il sein cede il passo al sollen.

4.5. CSM, Presidente della Repubblica e Ministro: controllo