• Non ci sono risultati.

I provvedimenti nei riguardi dei magistrati come att

L’idea che il CSM, in virtù della sua particolare posizione costituzionale, fosse dotato di poteri di governo della Magistratura idonei a tradursi in c.d. atti politici (i quali sarebbero intrinsecamente non assoggettabili al sindacato giurisdizionale) pur venendo inizialmente prospettata, non trovò seguito22. Sul punto, è eloquente il dato che nemmeno fu presa in considerazione nelle fondamentali sentenze 23 dicembre 1963, n. 168 e 14 maggio 1968, n. 44, attraverso le quali il Giudice costituzionale chiarì la sua posizione sulla sindacabilità e sulla natura degli atti consiliari.

Secondo la dottrina tradizionale23, atti politici sarebbero quelli che trovano la loro causa nella suprema direzione degli interessi generali dello Stato. In tale categoria andrebbero poi ricondotti sia gli atti liberi nel fine, propri degli organi rappresentativi titolari della c.d. funzione di indirizzo politico, sia quelli espressione della funzione di garanzia svolta dagli organi di garanzia costituzionale, i quali (atti) sono però vincolati ai fini posti nella stessa Costituzione24.

In particolare, in considerazione della norma di cui all’art. 31 del t.u. sul Consiglio di Stato25, gli atti politici – o, più propriamente, con una definizione che ne mette in rilievo la caratteristica di produrre effetti giuridici in senso tecnico, gli atti amministrativi di rilievo politico26 – sarebbero sottratti all’impugnazione in sede giurisdizionale.

Tuttavia, l’applicabilità della sopraccitata disposizione agli atti del CSM sembra doversi escludere per un triplice ordine di ragioni:

a) in primo luogo, sembrerebbe di dubbia costituzionalità la stessa categoria degli atti politici. Infatti, o ci si trova innanzi ad atti di indirizzo

22

Su questo aspetto v., tra gli altri, BARILE, voce Atto di governo, in Enc. dir., 1959; MAZZIOTTI, Questioni di costituzionalità della legge sul CSM, in Giur. cost., 1963, 1673 ss.; CUOCOLO, Deliberazioni del CSM e sindacato giurisdizionale del Consiglio di Stato, in Giur. it., 1962, 241 ss. Più di recente DAGA, Il Consiglio superiore della magistratura, Napoli, 1973, spec. 372 ss.; SERGES, Sulla diretta impugnabilità degli atti del CSM relativi allo “status” dei magistrati, in Giur. cost., 1986, 1907 ss.

23

Tra gli altri, ZANOBINI, L’amministrazione pubblica del diritto privato, in Riv. dir. pubb., 1918, 169 ss.

24

SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1969, spec. 12 ss.; CHELI, Atto politico e funzione di indirizzo politico, Milano, 1961.

25

R.D. 26 giugno 1924, n. 1054. 26

Così NIGRO, L’azione dei pubblici poteri, in Manuale di diritto pubblico, a cura di Amato- Barbera, III, L’azione dei pubblici poteri, Bologna, 1984, 813 ss.

improduttivi di effetti giuridici, ed allora nemmeno si pone il problema della loro impugnazione; oppure ci si trova in presenza di veri e propri atti giuridici, produttivi di effetti nei confronti di terzi, ma allora si ricade nello spettro di applicazione degli artt. 24, che impone un’attuazione perentoria e generalizzata del diritto azione, e 113 della Costituzione, che con specifico riguardo agli atti della pubblica amministrazione sancisce che “è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei propri diritti e interessi legittimi”. Parrebbe, cioè, che le deroghe a quel “sempre” enunciato nell’art. 113 richiedano, quantomeno, un fondamento positivo di rango costituzionale, del tutto mancante nell’ipotesi di specie;

b) la titolarità di poteri in senso proprio di “governo della Magistratura” in capo al Consiglio sembrerebbe opinabile, e questo se non altro perchè il Potere giurisdizionale è per sua natura privo di un vertice dotato di poteri “di governo”. Rinviando al § 3.8 per una più compiuta analisi sul ruolo e sulla posizione istituzionale del CSM, basti per ora anticipare che il Potere giudiziario è stato concepito, a differenza degli altri, come Potere a carattere “diffuso”27, nel senso che titolare della funzione giurisdizionale non è la Magistratura complessivamente considerata, ma il singolo organo giurisdizionale. Ciò, com’è noto, si desume dal combinato disposto degli artt. 107, terzo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione. Il primo, col consentire la distinzione dei magistrati soltanto in relazione alle funzioni, esclude l’impostazione gerarchica della Magistratura, e tutela il singolo organo giurisdizionale anche dalle ingerenze provenienti dall’interno dell’ordine giudiziario, e ciò proprio in considerazione dell’assunto che titolare della giurisdizione è il singolo giudice. Il secondo, ad analogo risultato conduce sancendo la soggezione dei giudici soltanto alla legge28, e quindi escludendo l’ingerenza tanto di superiori gerarchici quanto di organi posti a capo dell’Ordine. Pertanto, il CSM “non potrebbe neppure svolgere una funzione d’indirizzo dell’attività degli amministrati, ossia dei magistrati, proprio per non alterare l’indipendenza delle funzioni giudiziarie da loro svolte”29.

27

Per tutti PESOLE, I giudici ordinari e gli altri poteri nella giurisprudenza sui conflitti, Torino, 2002.

28

Risulta ora più chiara la scelta dei costituenti di definire, nell’art. 104, la Magistratura come “ordine” e non come “potere”. Il dato che Potere non sia tanto la Magistratura, quanto il singolo giudice, sembra infatti rappresentare la ragione centrale per la qualificazione della stessa come ordine, in modo da differenziarla dagli altri Poteri dello Stato, pur mantenendo ferma la pari dignità della stessa con questi ultimi.

29

Oltre al dato che i magistrati non possono essere “governati” come gli altri dipendenti pubblici, resta poi il fatto che il CSM nemmeno potrebbe essere configurato quale organo di governo propriamente inteso, in quanto tale rappresentativo o comunque “esponenziale” degli interessi dell’Ordine. Esso è infatti composto non solo da magistrati eletti all’interno dello stesso, ma anche da membri di promanazione parlamentare, a tacere della provenienza del soggetto che lo presiede.

Seguendo questa impostazione, la Corte costituzionale ha respinto la tesi che “il Consiglio superiore rappresenti, in senso tecnico, l’ordine giudiziario, di guisa che, attraverso di esso, se ne realizzi immediatamente il cosiddetto autogoverno (...). La composizione mista dell’organo, solo in parte – anche se prevalente – formato mediante elezione da parte dei magistrati, e per altra parte, invece, da membri eletti dal Parlamento (tra i quali dev’essere scelto il Vicepresidente), oltre che da membri di diritto, tra cui il Capo dello Stato, che lo presiede, si oppone chiaramente ad una simile raffigurazione”30.

In conclusione, si potrebbe dire che più che come potere “bicefalo”31 (ossia fornito dei due vertici rappresentati il primo, per quanto concerne l’esercizio della giurisdizione, dalla Cassazione; il secondo, relativamente all’autogoverno, dal CSM) la Magistratura sembrerebbe configurarsi come potere “a-cefalo”.

c) quanto all’art. 31 del t.u. sul Consiglio di Stato, esso è una disposizione di rango legislativo: da un lato, simile caratteristica non permette di farlo assurgere quale generale criterio interpretativo della Carta costituzionale, cosa che darebbe luogo ad una palese inversione di prospettive; dall’altro lato, è messa in dubbio la stessa legittimità costituzionale di tale articolo, e naturalmente proprio in riferimento ai sopra citati artt. 24 e 113 Cost.32.

Inoltre, tale disposizione, escludendo la giurisdizione del Consiglio di Stato nell’ipotesi in cui “trattasi di atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico”, non è evidentemente riferibile al CSM. Per quest’ultimo si pone, semmai, il problema della sua

30

Corte cost., sent. 18 luglio 1973, n. 142. 31

Secondo la celebre definizione di MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1976, 1165. 32

Per tutti: CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 2002, 381 ss. La stessa giurisprudenza amministrativa interpreta tale disposizione in senso restrittivo, applicandola soltanto in ipotesi eccezionali, nell’ambito delle quali è posta in dubbio la stessa configurabilità di lesioni a situazioni giuridiche soggettive direttamente tutelabili.

riconducibilità alla nozione di Amministrazione in senso lato (infra, Cap. IV), ma è senz’altro da escludersi la sua collocazione all’interno della struttura Governativa, consistendo anzi la stessa ratio istitutiva del CSM nel garantire l’indipendenza dell’Ordine giudiziario dall’Esecutivo.

Conformemente a questa impostazione, la giurisprudenza amministrativa, pur ammettendo che sia “del tutto coerente con la natura e la funzione dell’Organo di autogoverno la presenza di un margine insindacabile di valutazione e di apprezzamento discrezionale”33, è granitica nel ritenere che le scelte del CSM, ancorché espressione di attività di alta amministrazione o comunque ampiamente discrezionale, non si sottraggano in alcun modo al controllo del giudice amministrativo34.

Più in dettaglio, è soprattutto in materia di conferimento di incarichi direttivi che si riconosce come l’organo di “autogoverno” della Magistratura eserciti “un potere discrezionale che incide su interessi di rango elevato e che involge valutazioni particolarmente complesse, che attengono alla professionalità, competenza ed attitudine dei magistrati (...) che attuano le competenze costituzionali dell’organo di autogoverno e che concorrono alla garanzia dell’indipendenza ed autonomia della magistratura”35. E tale potere discrezionale diviene “elevatissimo”36 in sede di nomina a primo presidente della Corte di cassazione. E se ciò non porta ad escludere “il sindacato giurisdizionale, induce tuttavia a circoscriverlo all’accertamento estrinseco della legittimità dell’atto, cioè al riscontro dell’esistenza dei presupposti, alla congruità della motivazione, nonché all’esistenza del nesso logico di consequenzialità fra presupposti e conclusioni”37.