• Non ci sono risultati.

Una rilettura della problematica alla luce del sistema

Magistratura versus indipendenza del singolo giudice

Ripercorrendo ancora una volta l’iter argomentativo della giurisprudenza costituzionale, si è ribadito come né la separazione dei poteri, né il rilievo costituzionale del Consiglio possano essere invocati per escludere forme di sindacato giurisdizionale. In ordine, poi, all’obiezione che l’art. 105 della Costituzione attribuisce in via esclusiva al CSM tutti i provvedimenti sullo status dei magistrati, ed al rilievo che il Consiglio riveste il ruolo di supremo garante dell’autonomia e dell’indipendenza della Magistratura ex art. 104, ai sensi del quale diviene un organo sottratto all’influenza del Potere esecutivo, tali precetti dovrebbero cedere innanzi al fondamentale principio sancito nell’art. 24 Cost., la cui completa attuazione finisce, in ultima analisi, per travolgere, di fatto, anche gli artt. 103 e 113 della Costituzione nel loro significato tradizionale101.

Evidentemente, il momento centrale della ricostruzione operata dal Giudice delle leggi è rappresentato dal bilanciamento tra gli artt. 104 e 105 della Costituzione da un lato, e l’art. 24 dall’altro, i quali sono concepiti come disposizioni rispondenti a ratio differenti e miranti alla tutela di valori antinomici. Stando a questa prospettiva si rende necessario porre in raffronto tali istanze facendo prevalere quella che risulti, attraverso una lettura del complessivo sistema costituzionale, preponderante.

Nondimeno, in linea teorica il risultato di simile operazione di bilanciamento potrebbe anche non essere necessariamente quello affermato dalla Consulta. A ben vedere, si potrebbe dissentire (ed in effetti la dottrina è tutt’altro che concorde) sulla premessa che, indipendentemente dalla “natura” del CSM, la generale regola posta dall’art. 24 debba valere anche per i magistrati. Le attribuzioni del CSM, se non bastano a conferire allo stesso natura di organo costituzionale (e comunque, anche se così fosse, tale

100

Idem, sent. 19 novembre 2002, n. 457. 101

In tal senso, a commento della sentenza n. 44 del 1968, ELIA, Postilla alla sentenza n. 44 del 1968, in Giur. cost., 1968, 711.

qualifica sarebbe di per sé sola irrilevante ai fini dell’inammissibilità di forme di sindacato esterno) sono poste però pur sempre da norme di rango costituzionale. Non sembrerebbe quindi preclusa dall’analisi della Carta fondamentale la ricostruzione del rapporto tra l’art. 24 e gli artt. 104 e 105 della Costituzione, piuttosto che sulla base di una pretesa “gerarchia” tra norme che hanno formalmente lo stesso rango, nei termini della specialità. Simile opzione interpretativa implicherebbe la prevalenza dei precetti tendenti a garantire specificamente l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura, su quelli più generali posti a tutela del diritto di azione.

Inoltre, se è vero che, sulla scorta della giurisprudenza costituzionale, vi è uno stretto legame, o meglio una relazione di strumentalità necessaria tra le competenze costituzionali del CSM, l’indipendenza dello stesso e quella dell’Ordine giudiziario, in altre parole se l’assolutezza e l’esclusività delle competenze del Consiglio rappresentano “i cardini dell’autonomia e dell’indipendenza della Magistratura”102, allora potrebbe essere messa in discussione anche l’opportunità di far prevalere, in sede di bilanciamento, il principio sancito nell’art. 24, nella misura in cui il controllo sugli atti del CSM possa pregiudicare, compromettendo l’esclusività del potere decisionale del Consiglio sulla carriera dei magistrati, anche la stessa indipendenza della Magistratura. Si potrebbe giungere a sostenere che, alla luce dei dati costituzionali, la soluzione prescelta dal Legislatore ed avallata dalla giurisprudenza sia non solo non imposta, ma nemmeno preferibile. Proprio in quest’ottica si spiegano le riserve di quella parte della dottrina che, come si è visto, si esprime in senso critico in merito al conferimento al giudice amministrativo del sindacato giurisdizionale sugli atti dell’organo di “autogoverno” della Magistratura.

Un apporto risolutivo assume dunque l’analisi sistematica delle norme costituzionali sulla Magistratura, al fine di valutare se effettivamente il principio sancito nell’art. 24 della Costituzione, in virtù del quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti o interessi legittimi, qualora sia applicato ai singoli magistrati per far valere le proprie situazioni soggettive giuridicamente rilevanti nei confronti del CSM, si ponga effettivamente in contraddizione con il sistema delineato dagli articoli 101 e seguenti della Carta fondamentale, o non si riveli piuttosto uno strumento

102

TERESI, Il Consiglio superiore della magistratura: venticinque anni di applicazione della Legge 24 marzo 1958, n. 195, Napoli, 1984, 93.

volto al raggiungimento delle medesime finalità cui tali norme sono preposte.

Concentrando l’attenzione all’interno del Titolo IV, Parte II, della Costituzione, un primo indice è rappresentato dalla riserva di legge relativamente alla disciplina dell’ordinamento giudiziario ex art. 108. La norma richiamata trova eco sia nell’art. 107 comma 1, nel quale, come si è visto, l’amovibilità dei Magistrati da parte del CSM è subordinata, in assenza di consenso di questi ultimi, al rispetto dei motivi e delle garanzie stabilite dall’ordinamento giudiziario, sia, e soprattutto, nell’art. 105, che vincola l’attività del CSM alle norme (legislative) sull’ordinamento giudiziario. Ci si chiede, in particolare, che senso avrebbe imporre esplicitamente al CSM il rispetto della legge, se poi non fossero assicurate le procedure giurisdizionali volte a garantire l’azione secundum legem del Consiglio stesso, che cesserebbe così di essere soggetto alla legge sull’ordinamento giudiziario per divenire organo legibus solutus.

Inoltre, occorre considerare che la possibilità, per il singolo magistrato, d’impugnare in sede giurisdizionale i provvedimenti relativi alla propria carriera, se per un verso si pone senz’altro come lesiva dell’assoluta ed incondizionata discrezionalità del Consiglio superiore, per altro verso rappresenta un’ulteriore garanzia che lo stesso giudice, nell’esercizio della sua attività, sia soggetto soltanto alla legge (e non anche alla discrezionalità del CSM). In altri termini, il diritto alla difesa attraverso gli organi giurisdizionali e l’indipendenza del singolo giudice non soltanto non contrastano, ma sembrano convergere nella piena realizzazione del fondamentale principio sancito nell’art. 101, comma 2, della Costituzione.

Così assodata la complementarità tra gli artt. 24 e 101 della Carta fondamentale, l’attenzione si sposta dal rapporto tra diritto ad agire in giudizio e soggezione soltanto alla legge (vale a dire: indipendenza) del giudice, a quello tra indipendenza del singolo organo giudiziario da un lato ed autonomia ed indipendenza dell’Ordine complessivamente considerato (e quindi dell’Organo di “autogoverno” dello stesso) dall’altro. In altre parole, in caso di conflitto tra giudice e CSM, quale esigenza è preponderante? la tutela dell’indipendenza del giudice anche nei confronti dell’organo di autogoverno della Magistratura, di cui s’impone la legalità dell’agire, o viceversa l’indipendenza del CSM nei confronti di ogni ingerenza esterna, la quale deve essere garantita in maniera assoluta e senza eccezioni? Evidentemente, dall’istanza che, alla luce del dettato

costituzionale, deve essere fatta prevalere, dipende la risposta al quesito sulla legittimità costituzionale di un sistema che preveda l’introduzione di “giudici” del CSM, quale appunto quello istituito con l’art. 17 della l. n. 195 del 1958.

3.8. Il CSM come garante dell’autonomia e dell’indipendenza