La situazione della formazione iniziale e in servizio degli insegnanti in Europa è stata per anni molto eterogenea, in parte per la diversità dei sistemi scolastici, dei sistemi di assunzione e progressione di carriera, del rapporto fra Università e istituti scolastici per quanto riguarda formazione in ingresso, tirocini, e formazione continua; in parte per la struttura e i criteri di accesso ai curricoli formativi, nonché per le norme che disciplinano l’obbligatorietà o meno della formazione professionale (Euridyce, EACEA, 2002; OCSE, 2009). Nella maggior parte degli Stati europei, la formazione all’insegnamento per la scuola primaria avviene secondo il modello simultaneo (la formazione professionale avviene contemporaneamente alla formazione disciplinare, come in Italia nelle Facoltà di Scienze della Formazione), mentre per quanto riguarda la formazione all’insegnamento nella scuola secondaria prevale il modello consecutivo (come in Italia nelle SSIS e TFA, fino al 2017). Storicamente cioè, la formazione disciplinare precede quella didattica e professionale e soltanto con i primi cicli delle suole di specializzazione (a.a. 1999/2000) viene espletato in Italia l’obbligo di tirocinio presso gli istituti scolastici nel corso del curricolo (Cajani, 2002). All’epoca degli studi menzionati sopra, l’inserimento professionale di nuovi insegnanti della scuola secondaria in modo progressivo, grazie al tirocinio, veniva indicato negli studi della Commissione europea (EACEA, 2002) come pratica relativamente nuova. Tale fase transitoria era caratterizzata dall’applicazione di misure formali di orientamento e di sostegno, che implicavano la nomina di un tutor o di un mentore riconosciuto. Anche la formazione in servizio, a disposizione di tutti gli insegnanti, compresi quelli che si affacciavano alla professione, così come il lavoro d’équipe, venivano individuati quali strategie per permettere un travaso di conoscenze e competenze tra neoassunti e colleghi con più esperienza. Gli studi OCSE degli anni successivi (OCSE 2009; 2013) hanno tuttavia continuato a registrare per l’Italia livelli inadeguati di accesso alla formazione iniziale (a causa dello scarso ricambio generazionale e dell’anzianità del corpo insegnanti) e in servizio (par. 1.2).
La situazione è in costante evoluzione, almeno per la scuola secondaria, in particolare con il recente Piano per la formazione dei docenti (MIUR, 2016), all’interno del quale si rinnovano sia i principi a sostegno della formazione continua, che diviene obbligatoria per il triennio di riferimento, sia l’esigenza di
fornire ai docenti le conoscenze, le abilità e le competenze complesse di progettazione didattica, per supportare gli alunni nei processi di apprendimento e creazione di prodotti di conoscenza, e nell’uso delle tecnologie (UNESCO, 2011).
Al di là della formazione negli ambiti disciplinari quindi, la necessità di sviluppare competenze specifiche nell’uso pedagogico delle tecnologie digitali (finalizzate sia alla crescita in conoscenze disciplinari dei propri studenti sia allo sviluppo delle competenze trasversali descritte negli Assi Culturali e nelle Competenze di cittadinanza) (cfr. Sugliano, 2015) viene trasferita nei documenti di indirizzo e nei decreti ministeriali, come già con il PNSD. Per la prima volta, il Piano di formazione pone inoltre attenzione esplicita allo sviluppo professionale tra pari, alle potenzialità del peer-learning (apprendimento tra pari) e del cosiddetto job-shadowing (apprendimento mediante osservazione diretta in situazione di lavoro) (MIUR, 2016), indicando priorità, linee guida e risorse per incoraggiare le metodologie di lavoro collaborative e la ricerca sul campo, in una logica strategica e funzionale al miglioramento del sistema. Infine, dal 2017, il nuovo modello di formazione iniziale e tirocinio (FIT) pone le basi per un nuovo percorso triennale in cui le attività di studio vengono affiancate da quelle di tirocinio diretto e indiretto e si concludono con un inserimento nella funzione docente (incarico di supplenza annuale) (MIUR, DL 59/17).
1.3.2. Formazione tra pari
Il principio della formazione professionale tra pari, intesa come modalità di apprendimento privilegiata tra apprendenti adulti, diviene tanto più attuale quanto più si insiste sulla necessità di una formazione life-long (UNESCO, 2011; Cropley & Dave, 2014) e sta alla base di numerosi studi e progetti di sviluppo che individuano gli insegnanti quali risorse umane attive all’interno della scuola (Indire, MIUR, 2012; MIUR, 2015). La trasmissione di saperi e competenze tra pari non è ovviamente l’unico obiettivo di tali interventi, intesi a migliorare la qualità dell’insegnamento diffondendo abilità, esperienze professionali e buone pratiche mediante la comunicazione e la condivisione, sostenendo nuclei di lavoro allargati, ambienti collaborativi e riflessivi, nonché interventi di potenziamento dell’azione didattica, capaci di stimolare il loro ruolo di facilitatori nei processi di apprendimento (Dettori, 2013; Donadio & Cipolli, 2014).
La formazione tra pari si sviluppa contemporaneamente sulle riflessioni provenienti dagli studi sull’apprendimento cooperativo e sulla disponibilità di ambienti di lavoro e di apprendimento sempre più evoluti. Gli ambienti digitali e gli strumenti Cloud-based hanno dato un impulso molto forte ai processi di condivisione tra pari, garantendo momenti di confronto asincroni e moltiplicando le possibilità di scambio di materiali e risorse. La letteratura scientifica in materia si concentra dapprima sulle opportunità ed esperienze di condivisione di risorse educative (Learning Objects e OER) (Dettori, Forcheri & Ierardi, 2008; Dettori, Forcheri, & Ierardi, 2009; UNESCO 2011, 2016), quindi di processi (Calvani, 2008; Dettori, 2013).
In Italia è dopo le indagini OCSE PISA 2009 che si sono avviati i primi interventi e sperimentazioni (Piano Nazionale Qualità e Merito) a supporto della qualità (e valutazione) dell’insegnamento basati su formazione tra pari, condivisione dei saperi e lavoro in team, all’interno dei quali le nozioni di tutoring e coaching (sia di progetto, sia di rete) acquisiscono una rilevanza specifica. Ma è soltanto nel 2011 che, negli orientamenti ministeriali per la formazione dei docenti neo- assunti, compaiono indicazioni su come realizzare, documentare e valutare la formazione tra pari (e nel 2016 sulla piattaforma Indire per la formazione dei neoassunti appare una sezione Peer-to-peer) (MIUR, 2015, cfr. decreto N. 850, art. 9).
1.3.3. Il caso dei docenti di lingua straniera
La formazione dei docenti di lingua straniera – che costituiscono un’ampia porzione del campione considerato per questo studio – ha beneficiato di orientamenti formativi armonici ed avanzati più di altri ambiti disciplinari, in quanto il Quadro comune di riferimento messo a punto dal Consiglio d’Europa (QCER, 2001) ha costituito fin dalla uno strumento descrittivo che è stato alla base di tutti i metodi di insegnamento e di aggiornamento professionale, promuovendo l’idea di una educazione plurilinguistica e interculturale e omologando i livelli di competenza linguistica delle principali certificazioni europee (Chini, M., & Bosisio, C., 2014). In parallelo, lo sviluppo di risorse dedicate (manuali, materiali didattici, portfolio, certificazioni, progetti di scambio) ha sostenuto e in parte uniformato lo scenario entro cui operano i docenti di lingue. Inoltre, la glottodidattica beneficia di studi epistemologici e scientifici approfonditi già dalla seconda metà del XX secolo, quindi ha avuto l’opportunità di svilupparsi ampiamente, consolidando uno statuto teorico e un approccio interdisciplinare, declinati in ambiti di ricerca, obiettivi e tecniche (Balboni, 2009, 2012) che sono stati oggetto di un dibattito attivo e proficuo. Ci limiteremo qui a sottolineare due aspetti fra i tanti approcci, metodi e modelli descritti in letteratura: da un lato, la didattica delle lingue è strettamente correlata alla selezione e/o elaborazione di modelli operativi, materiali e strumenti, quindi fortemente (e da sempre) interconnessa all’evoluzione delle glottotecnologie in contesti di apprendimento autentici; dall’altro, la disponibilità di un quadro teorico di riferimento ha gradualmente e positivamente influito sulla consapevolezza dei docenti, sulla riflessione condivisa e sulle pratiche, anche nell’ambito dell’utilizzo e della formazione alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
CALL, Computer Assisted Language Learning
L’uso della tecnologia nell’ambito dell’educazione linguistica è un fenomeno abbastanza consolidato negli ultimi anni. Esso si limita tuttavia, nella maggior parte dei casi, ad un utilizzo superficiale, ovvero non prevede rielaborazione delle implicazioni cognitive ed operative dei processi (Torsani, 2016). Il passaggio da una competenza passiva ad una conoscenza attiva ed esplicita delle tecnologie per l’apprendimento è l’obiettivo degli studi sul CALL (Computer Assisted Language Learning). Inoltre, nell’apprendimento delle lingue straniere, l’integrazione dell’innovazione viene riconosciuta come una necessità primaria
al fine di adattare costantemente gli strumenti disponibili al funzionamento della lingua, in costante evoluzione. Le difficoltà legate a tale integrazione vengono individuate, nella letteratura scientifica, come per le altre discipline, nei limiti delle strutture e delle attrezzature scolastiche, nella mancanza di formazione efficace a destinazione dei docenti e nella rapida evoluzione delle tecnologie, che rende arduo aggiornare sia gli strumenti sia le strategie didattiche. Esplorare percorsi che possano superare tali ostacoli e definire che cosa può rendere efficace la formazione al CALL appare quindi una delle chiavi fondamentali per l’integrazione (Torsani, 2016).
Se storicamente l’apprendimento delle lingue mediante le tecnologie segue le fasi di evoluzione (strutturalista, comunicativa e integrativa) degli approcci socio-linguistici, dal punto di vista concettuale è soltanto con gli studi di Bax (Bax, 2011, cfr. par. 1.1.1) che la presenza delle tecnologie si concepisce come normalizzata all’interno delle attività di apprendimento di tipo linguistico, ovvero è percepita come naturale, grazie alla sempre più estesa diffusione dei dispositivi digitali e delle tecnologie di Rete (si veda anche par. 1.4), a seguito dell’integrazione consolidata delle TIC nella vita quotidiana di formatori e apprendenti.
Dal punto di vista della didattica delle lingue straniere, tali studi vanno ad innestarsi e a sostenere gli approcci glottodidattici comunicativi (Balboni, 2012; Caon, 2012; Freddi, 2012) che risultano significativamente favoriti e potenziati dalle glottotecnologie e dalle opportunità dell’apprendimento Web-based in genere. Dal punto di vista della formazione professionale, incoraggiare l’apprendimento situato e riflessivo e sviluppare nei docenti l’abilità di combinare le risorse tecnologiche ad appropriate strategie pedagogiche appaiono negli studi considerati (Bax, 2011; Guichon, 2012; Chao, 2015; Torsani, 2016) quali passaggi fondamentali al fine di poter integrare le tecnologie in situazioni di apprendimento complesse. Ad oggi infine, le strategie alternative all’apprendimento formale (mentoring, comunità di pratica, self-directed learning) rappresentano per i docenti di lingue modelli esperienziali alternativi o complementari che possono ovviare ad alcuni dei limiti legati agli ambienti di apprendimento tecnologici (rapida evoluzione delle tecnologie, dei software, delle piattaforme didattiche), fornendo supporto, occasioni di condivisione di scopi, abilità e competenze e dovrebbero costituire gli elementi fondanti del sillabo per il CALL (Torsani, 2016). Per una più estesa definizione, per applicazioni e valutazione del curriculum in Computer Assisted Language Learning, si veda ulteriormente Torsani, 2016.
1.4. APPRENDIMENTO CON LE TECNOLOGIE DIGITALI