• Non ci sono risultati.

Forme e figure della contraddizione: la dialettica della modernità

Capitolo 4: modernità e anti-modernità in Luigi Meneghello

3. Forme e figure della contraddizione: la dialettica della modernità

3. 1 Preamboli

Nel corso di questo lavoro è stata sovente proposta un’interpretazione della scrittura di Meneghello all’insegna di una forte tensione cognitiva, il rischio che ne deriva è quello di suggerire che le opere dell’autore siano interamente controllate dalla razionalità e prive di ambiguità interne. Per bilanciare una simile lettura può essere utile una ricognizione delle contraddizioni interne ai testi, motivo per cui è fondamentale osservare alcune figure. Intendendo (con Orlando442) la figuralità come il luogo d’eccellenza in cui l’opera può rivelare le proprie contraddizioni sotto forma di coppie di opposti tra loro in equilibrio dinamico e conflittuale, è possibile individuare un’ambiguità di fondo sottesa alle tre opere dell’autore, e in particolare coglierne la vocazione a un tempo conservatrice ed eversiva: una plurivocità capace di dar fiato a ciò che l’ideologia (anche autoriale) proibisce o nasconde.

Tale operazione è tuttavia complicata dal sistema di interazioni predisposto dall’autore; l’indagine cosciente della dialettica della modernità implica che molte zone dell’opera si servano di catene metaforiche volutamente ambigue, proprio perché irrisolto e aporetico è il giudizio dell’autore sull’esito dell’industrializzazione italiana.

In alcune dichiarazioni, o all’interno delle Carte, Meneghello giudica positivamente l’avvento dell’industrializzazione italiana: lavori meno faticosi; vita generalmente più comoda; maggior prosperità; miglioramento della condizione femminile; aumento di diritti civili. Tali giudizi sembrano anche un tentativo di difendere la società uscente dal boom economico dalle accuse più radicali; basti ricordare che i cambiamenti socio-culturali derivati dall’industrializzazione furono descritti da Pasolini e dalla Morante nei termini di mutazione antropologica e genocidio del mondo contadino e sottoproletario. Per questo aspetto è significativo il dialogo di Meneghello con Paolini (in corsivo la domanda di Paolini):

Hai la sensazione che ci sia qualcosa di diverso nel processo che riguarda l’Italia o pensi che sia affatto simile a quanto è accaduto negli altri paesi europei che conosci?

Perfettamente uguale no, qua ha le sue caratteristiche. Mi preoccupano abbastanza i possibili sviluppi dell’attuale civiltà italiana e europea, ma, del resto, la situazione non mi pare molto diversa in Belgio, in Francia, in

442 Si veda F. Orlando, Per una teoria freudiana della letteratura, Einaudi, Torino, 1992, in particolare il capitolo quattro: La letteratura fra eccesso e difetto di retorica, alle pp. 56-73.

196

Germania o, soprattutto, in Inghilterra. No, a me non pare. Qui ha forme più volgari, per ovvie ragioni, perché abbiamo corso di più. È stata solo una questione di corsa. In principio, quello che è accaduto l’abbiamo pagato a un prezzo carissimo, ma secondo me ne è valsa davvero la pena, perché per i ceti più bassi degli italiani ciò ha significato avere delle case più comode e poter mandare i figli a scuola. Il paese, per certi versi, si è arricchito molto. All’inizio questo processo di… incivilimento è stato certamente positivo, anche se dopo è andato troppo avanti. La vita di un tempo, pur culturalmente raffinata, era pochissimo civile riguardo ai diritti, al modo di educare i figli… Capisci? O forse dovrei essere più pessimista per avere la tua approvazione?443

Meneghello si presenta sobrio, giudicando gli esiti della modernizzazione italiana non ha posizioni né apocalittiche, né euforiche; ciò vale sia per le dichiarazioni, sia per quanto si riscontra nelle opere: si è visto come l’interazione tra passato e presente non produca il trionfo di un polo sull’altro. Le interpretazioni di Meneghello si muovono sempre tra l’impressione che la vita nella società industriale del Novecento abbia perso intensità e senso, e l’idea che l’Italia – paese arretrato e a vocazione agricola – doveva necessariamente modernizzarsi; gli esiti di questo processo però avrebbero potuto essere migliori, ma non si può «decentemente opporsi» alla «linea di condotta che il nostro popolo ha scelto da sé»444. Meneghello critica la società contemporanea, ma non cede a nostalgie o generici rimpianti per un passato idealizzato; lo spazio dedicato alla critica del cattolicesimo, del fascismo o anche solo alla violenza del mondo contadino non lascia dubbi.

443 Il Veneto che amiamo. Incontri con Fernando Bandini, Luigi Meneghello, Mario Rigoni Stern e

Andrea Zanzotto, edizioni dell’Asino, Roma, 2009, p. 120.

197

3. 2 Figure

Proprio la sobrietà critica di Meneghello rende particolarmente interessante un fenomeno testuale, ossia che le interazioni tra passato e presente rimandino alla coppia oppositiva moderno e anti-moderno, declinata in vari modi (nuovo-vecchio; attuale-superato; funzionale-irrazionale) e connotata attraverso l’antitesi vita-morte. Colpisce che sia più spesso ciò che indica il moderno a rimandare alla morte o a campi semantici affini: perdita di energia, decadenza, malattia, invecchiamento. Come anticipato, il fenomeno richiede prudenza interpretativa, infatti l’autore rappresenta la dialettica della modernità attraverso un uso della figuralità volutamente ambiguo, motivo per cui non la si può ricondurre direttamente a un sistema di contraddizioni indipendenti dal contenuto che le opere si sforzano di comunicare. Infatti, accade anche l’opposto, ossia è l’antico a essere connotato in modo mortifero.

Abbiamo già analizzato la chiusura di LN: con un gesto volontario i personaggi distruggono l’ultima luce del vecchio mondo decretandone la fine. Significativo allora che il conflitto tra nuovo e antico, tra modernità e anti-modernità compaia anche a metà libro. Il capitolo 13 di LN, solitamente considerato come il primo della seconda parte445, è suddivisibile in 14 paragrafi ed è interamente dedicato alla descrizione di Malo, in particolare alle trasformazioni che ne alterano l’assetto materiale. Il paragrafo 7 tematizza esplicitamente la questione del rinnovamento del paese:

Il paese non è cambiato come tanti altri, ma è pur cambiato. Fino a questi ultimi anni era restato quasi fuori dello sviluppo industriale e commerciale del dopoguerra, ma ora ci è arrivata una piccola brezza di prosperità. Tra il paese e la nuova strada di Schio è sorto un quartiere di case nuove, nel vecchio centro le case si sono rinnovate, molte hanno ora anche il bagno, le osterie e i negozi si sono rammodernati, ci sono lampioni al posto delle vecchie lampadine col piatto di ferro appese ai fili.

Il rinnovamento è cominciato sette o otto anni fa. Prima di allora il solo senso che pareva venire dal paese (dopo la guerra) era un’immagine di stanchezza e di decadenza. Guardando dall’inferriato della mia finestra, quando venivo a casa, il palazzotto del conte Brunoro qua di fronte, mi pareva di vederlo agonizzare […].

Era uno spettacolo funebre: morivano i prati verdi, la siepe troppo folta, gli alberi sovraccarichi di foglie. Mi pareva di non poter comunicare con

445 Si veda, anche per un’analisi approfondita del capitolo in questione, P. De Marchi, «Riprodurre in

pietra serena». Per una lettura lenta del capitolo 13 di Libera nos a malo di Luigi Meneghello, in Per libera nos a malo, cit.

198

nessuno. Passavano automobiline col motore imballato, stupidi corvi spennacchiati, e una gracchiò.

Le strade, le persone, gli edifici: tutto pareva soltanto che invecchiasse, che si preparasse a morire senza altro senso. Sarà stato nel 1953: era certo un errore di prospettiva anche allora; ad ogni modo in seguito la modesta ripresa della vita del paese ha cancellato queste impressioni. Qualche anno fa, tornando dopo un’assenza d’un paio d’anni, abbiamo sentito dappertutto un’aria di nuovo. In questo paese che si svecchia e si sgretola, mi dicevo, le cose di prima avranno più senso, non meno. Il cromo scaccia il legno, i finti marmi la pietra, il neon le lampadine; i bagni entrano nelle case, le cucinette moderne soppiantano le vecchie cucine; verranno i termosifoni, i frigoriferi, i tappeti. Non importa: è perché la gente ha ricominciato o forse ha sempre continuato a vivere. È come “le campane d’argento sopra il borgo”, e poi il resto che non si può fermare, le antiche travi, i mattoni rossi delle camere, gli intonachi, i corridoi, i ciottoli della corte, il vecchio cesso nel cortile446

Il brano è costruito con la coppia oppositiva di vecchio e nuovo, attraversata dall’antitesi morte vita, per cui il vecchio rimanda alla morte e il nuovo alla vita. Tutto il capitolo si regge sull’opposizione moderno anti-moderno, colpisce che però l’associazione alla polarità morte e vita non rimanga costante, ma vari nel succedersi dei paragrafi, in sintesi: non sempre l’antico corrisponde alla morte e il nuovo alla vita. Tutto il capitolo è attraversato da immagini di morte: i gattini annegati nei boji, la mosca morta nel tinello di casa, il palazzo del conte agonizzante, i cadaveri degli ingranaggi, le ossa spolpate dei motori che arrugginiscono alla pioggia; è significativo che sia questo il capitolo in cui compare la preghiera che invoca la liberazione dal male: Libera nos amaluàmen.

Se si osserva la sequenza in cui sono montati i vari paragrafi si può sciogliere la contraddizione apparente dettata da un’associazione non univoca della morte ai due elementi della coppia oppositiva antico-nuovo. Il capitolo si apre all’insegna della sospensione temporale. I tempi verbali sono ridotti ai minimi termini, nel primo capoverso mancano verbi principali e il primo vero verbo di azione (reazione) compare nell’ultima frase: «Rabbrividivo al sole».

Mezzogiorno col sole, quando l’estate è ancora illimitata, ai tavoli del caffè in Piazzetta con un bicchiere di vino bianco, io e mio padre scambiando poche parole, attendendo gli amici, osservando la gente che conosciamo.

Gioia somma e perfetta, astratta dal tempo, in mezzo al paese, come fuori della portata della morte. Rabbrividivo al sole447

446 LN, pp. 103-105.

199

La sospensione del tempo elide il pericolo della morte, e indica un rifiuto della Storia che nel suo divenire travolge gli uomini, le loro esistenze come le loro costruzioni culturali e materiali. A questo incipit segue una descrizione del paese, sia da diverse prospettive sia in diversi suoi aspetti. Domina – fino all’estratto che si focalizza sul cambiamento – un tempo sospeso, lirico, attraversato ma non veramente segnato dalla morte. Due estratti sono particolarmente emblematici rispetto all’atmosfera che attraversa i primi 6 paragrafi del capitolo:

Allora si resta lì, con la bicicletta appoggiata a un moraro, e improvvisamente si sentono le voci di milioni e milioni di piccole bestie: la tarda primavera pare un luogo, non più una forma del tempo, e da in mezzo a questo luogo così grande, così folto, il paese a cui questa caviàgna [stradicciola rurale] riconduce sembra lontano e senza importanza, e per un po’ non si sa più cosa pensare448

Oppure:

I dossi dietro al Castello erano tutta una rete di sentierini-strosi, e stròso è avventura. Stròso rimonta contrafforte, scala gobbetta, adduce a pino in cresta; penetra, infrasca disinfrasca; punge con rùsse, consola con primule. Da stròso si rubano pere pome ùe.

Chi ze che ròba la ùa spienéla?

La ùa-mericàna, la bromba idropica, l’àmolo acido, il pèrsego che dà nel verdastro e sente di màndola, l’armellino che allega?

Stròso da còrnole, còrnole garbe; stròso da dùdole. Nosèlle appena fatte, e nello spiàccico verde le tenere nóse nuove, e le more.

Quale vùto, quele rosse o quele negre? Quel che vien vien! Quel che vien vien!

Per questi viottoli si ruba, si esplora; viottolo turba, eccita, se ne sbuca correndo a mezzogiorno, si rivede dall’alto il paese, ridendo, con la faccia tutta impiastricciata di more449

448 LN, p. 100.

200

L’atmosfera del brano è pervasa da una situazione di sospensione lirica, dalla preponderanza del suono e dell’associazione di immagini sui nessi logici o anche solo sulla descrizione del paesaggio; tale atmosfera è intensificata dall’affiorare di canzoni infantili e dall’emergere finale della prospettiva del fanciullo.

Al contesto descritto subentra la descrizione del cambiamento del paese in seguito all’industrializzazione. Nei paragrafi successivi al 7, la riemersione dell’antico determina un continuo affioramento di immagini che rimandano alla morte, si approda alla descrizione della casa-officina familiare, e nel paragrafo 10 compare la preghiera Libera nos amaluàmen che costituisce una richiesta di liberazione dalla morte.

La casa familiare diviene il luogo massimo di condensazione dell’antitesi morte-vita; infatti si afferma che nonostante «tutte queste insidie e queste minacce» – cioè i rimandi alla morte – «la casa apparteneva tuttavia alla vita»450. Nel capitolo si realizza, dunque, una descrizione del mondo antico di Malo, della civiltà contadina, rivissuta attraverso una sospensione temporale che interrompe l’azione della morte e rimanda alla vita. Tale sospensione temporale però è attraversata comunque dalla morte, ma solamente nei luoghi in cui la Storia si mette in moto è mostra una Malo di passaggio, non più vitalmente contadina – civiltà ormai erosa e sfiancata – ma non ancora industrializzata. La preghiera è sia una richiesta di superamento della violenza del passato, sia un momento di allontanamento apotropaico della morte. Per cui dal paragrafo 11 si può tornare a parlare della vita, significativamente vista all’interno della casa familiare. La chiusura del capitolo, tuttavia, ribalta questa situazione e presenta la coppia morte vita sotto il profilo di una nuova associazione che illumina retroattivamente le altre.

Si osservi la contrapposizione del brano seguente alla situazione di sospensione temporale dell’incipit del capitolo: i verbi di movimento sono coniugati al passato remoto, tempo della narrazione; è qui rappresentato il tempo che si rimette in moto, l’avvento della Storia che rompe l’idillio di un mondo magico. Le novità viste dal personaggio, indicano la presenza del moderno, e quindi alludono metaforicamente all’avvento di quel rinnovamento che nel paragrafo 7 aveva segnato il ritorno alla vita di Malo, e che qui appare come mortifero. «Tutto è in pericolo» si dichiara all’inizio del paragrafo 13; a cui segue l’ultimo paragrafo:

Il putèlo sceso per la prima volta dal monte con la mamma a vedere Malo, aveva veduto tanto, troppo. Tutto gli pareva possibile, anche l’orrenda cosa che veniva su lentamente per via Borgo. Era una Sàura [un autocarro]