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Descrivere il fenomeno della partecipazione in architettura significa mettere assieme una grande varietà di pratiche progettuali. In effetti il classico workshop progettuale con i futuri utenti non è il solo modo per coinvolgere il pubblico in un progetto: questo può avvenire in diversi modi e in diversi momenti, a seconda del tipo di programma, di edificio o di attori coinvolti.

Per questo l’interesse di questa tesi non si concentrerà su uno specifico metodo di progettazione architettonica partecipata ma considererà il fenomeno in maniera ampia, includendo forme della partecipazione che vadano dalla semplice raccolta fondi tramite crowd-funding alla cooperativa che cura tutti gli aspetti della concezione, realizzazione e gestione dell’edificio passando per più tradizionali incontri tra cittadini e amministrazioni.

Questa varietà di casi evidenzia quanto il fenomeno partecipativo in architettura non sia un movimento definito ma piuttosto rientri in quella tendenza contemporanea che vede i progettisti assumere una maggiore responsabilità sociale, già descritta nei precedenti capitoli. Una caratteristica che accomuna i casi considerati è invece la loro scala dimensionale: si analizzeranno specificatamente processi partecipativi che abbiano riguardato progetti alla scala architettonica, con tipologie dimensionali comprese tra quella del piccolo edificio didattico a quella dello spazio pubblico di quartiere.

ad esempio tutti quelli che possono essere associati alla definizione di

tactical urbanism, né progetti di pianificazione alla grande scala, urbana o

paesaggistica, che hanno caratteristiche che li rendono profondamente diversi dai processi partecipativi in interventi a scala architettonica: i progetti di pianificazione hanno infatti una dimensione tale che la partecipazione delle popolazioni alla loro stesura diviene uno strumento di controllo democratico sul governo del territorio più che un metodo di progetto. I progetti di pianificazione riguardano il più delle volte degli indirizzi programmatici più che dei veri e propri progetti dello spazio fisico e questa loro caratteristica, se da un lato ne rende più opportuna la negoziazione con le comunità coinvolte, dall’altro trattando questioni più generali può in un certo senso semplificare gli obiettivi del processo partecipativo. Ciò è evidente dal fatto che, quantomeno in ambito occidentale, siano ormai rari i casi di progetti urbanistici o paesaggistici che non siano sottoposti a qualche forma di verifica con la popolazione, il che ha peraltro permesso lo svilupparsi di una importante mole di letteratura scientifica sull’argomento, decisamente più ampia e approfondita rispetto a quella sulla partecipazione in architettura.

Al contrario, i progetti di scala architettonica concepiti, realizzati o gestiti tramite metodi partecipati, nonostante una maggiore fortuna in tempi recenti, rimangono una minima parte della produzione architettonica complessiva.

Tra gli aspetti che differenziano i progetti partecipati di grande scala da quelli a piccola scala c’è il fatto che per questi ultimi il coinvolgimento degli utenti nel processo tende ad essere più profondo, data la maggiore immediatezza e il maggiore dettaglio con cui le questioni progettuali devono essere affrontate; inoltre, il numero delle persone coinvolte tende ad essere inferiore e i gruppi più omogenei.

Ciononostante, i progetti partecipati di architettura tendono comunque ad inserirsi in una dimensione urbana: quando riguardano edifici pubblici questi tendono di per sé ad essere considerati parte integrante della città mentre quando interessano gli edifici residenziali questi sono spesso caratterizzati da un certo grado di continuità tra spazi privati, spazi comunitari e spazi pubblici, rispecchiando lo spirito di condivisione che spesso ispira questi interventi.

Per questo, sebbene il focus di questo lavoro sia sulla media e piccola scala, appare comunque necessario accennare anche alle teorie che

riguardano realtà più ampie, sia dal punto di vista dimensionale che disciplinare.

Verranno introdotte le elaborazioni teoriche di ambito sociologico di Sherry Arnstein e Sarah C. White, basate su esperienze di progettazione sociale, mentre paesaggio, città e patrimonio culturale verranno trattati alla luce di alcune teorie e casi significativi. Il fine sarà quello di costruire un quadro di contorno al progetto partecipato di architettura.

Verranno poi richiamato alcuni dei più importanti architetti che intorno agli anni ’60 e ’70 hanno sperimentato le prime forme di partecipazione nei loro progetti: obiettivo sarà mostrare come, nonostante la disomogeneità dei metodi e dei linguaggi, questi fossero calati nel clima di contestazione di quegli anni. Si evidenzierà inoltre come tra questi progettisti fosse presente una tendenza alla sistematizzazione metodologica e scientifica delle pratiche partecipative.

Si illustrerà poi come il disimpegno degli anni ’80, unito alla presa di coscienza della intrinseca ambiguità del modo in cui le pratiche partecipative redistribuiscano il potere, abbia interessato particolarmente la partecipazione limitandone le manifestazioni e accentuandone i caratteri conservativi con un approccio populista. Questa diminuita spinta ideale si rifletterà poi nella successiva riscoperta delle pratiche progettuali partecipative, che vedrà però una rinuncia ad un inquadramento teorico e politico ma assumerà sempre più un carattere pragmatico e legato allo specifico contesto di applicazione. Obiettivo sarà quello di illustrare un percorso storico in cui le pratiche partecipative hanno esordito alla stregua di una utopia perseguita in pochi casi eccezionali, hanno poi attraversato un periodo di cinico disincanto che, oltre a farne diminuire l’utilizzo, ne ha decostruito l’afflato ideale e rivoluzionario aprendo la strada alla fase dell’istituzionalizzazione, fino ad arrivare all’ultimo ventennio in cui la partecipazione ha riscoperto una sua politicità “tecnica”, utile a gestire situazioni di conflitto di ogni genere all’interno dell’ordine costituito.