I FONDAMENTI DELLA TUTELA SOCIALE
5. Fortuna e ruoli delle assicurazioni sociali
Come con maggior dettaglio si esporrà tra poco16, vari e concor-renti sono stati i fattori che, sul finire del secolo scorso, hanno favo-rito la scelta dello strumento assicurativo in luogo delle altre tecni-che possibili: l’influenza ideale della sostanziale affinità dell’imme-diato antecedente storico, rappresentato dalle società di mutuo soc-corso; la maggiore economicità, rispetto a forme di tutela fondate su servizi pubblici e, dunque, a totale carico dell’erario; la duttilità e le potenzialità selettive dello strumento e, dunque, la sua duttilità a ser-vizio delle politiche di controllo sociale.
Ma tale scelta indubbiamente era anche quella più consona all’i-deologia liberale, allora dominante.
Attraverso la «forma-assicurazione», infatti, si lasciava agli inte-ressati, se non proprio l’iniziativa, quanto meno la responsabilità di garantire la protezione (propria e della categoria) dai rischi più fre-quenti o di maggior rilievo, e, insieme, mantenendo la tutela sociale
16 Si rinvia ancora al cap. II.
Ruolo aggregante della tecnica assicurativa
I precedenti
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sostanzialmente all’interno delle regole proprie del commercio, si im-pediva che la stessa potesse rappresentare una fonte di turbativa del-la disciplina economica fondata sulle leggi di mercato.
In epoca repubblicana, nonostante la introduzione di importanti innovazioni e i mutamenti politici ed istituzionali intervenuti, sono sta-ti essenzialmente quegli stessi mosta-tivi, che ne hanno favorito l’introdu-zione, a decretare la perdurante fortuna delle assicurazioni sociali.
La conservazione della struttura «assicurativa» originaria, infatti, non soltanto consente di far sì che anche nel vigente sistema comples-sivo, in via di principio, l’onere finanziario permanga a carico delle ca-tegorie direttamente interessate: salvo dosare, di volta in volta, a se-conda delle esigenze e delle circostanze, il sussidiario intervento della finanza statale (cioè, della solidarietà generale). La permanenza dell’o-riginaria impronta consente anche di far leva sui requisiti contributivi o, addirittura, sui requisiti soggettivi e oggettivi di ammissione alla tu-tela sociale, per attuare – se del caso – le più diverse politiche selettive in ordine alle prestazioni da erogare, ma anche ai soggetti da tutelare.
Lo strumento, comunque, si presenta idoneo alla costituzione e al mantenimento di forme sostanzialmente «separate» (e, quindi, po-tenzialmente privilegiate) di tutela, come l’esperienza dei cosiddetti fondi speciali e i regimi previdenziali di categoria, in genere, ampia-mente documentano.
Ma in altri casi quello stesso strumento si è prestato ad attrarre nel regime generale dei lavoratori subordinati (e, eventualmente, a parziale carico «solidaristico» di questi) categorie di lavoratori au-tonomi da considerare «sottoprotette»: è quanto è avvenuto per i
«piccoli imprenditori» (coltivatori diretti, coloni e mezzadri, artigia-ni, commercianti) negli anni tra il 1957 e il 1966.
Per tal via è risultata indirettamente accreditata la visione interca-tegoriale del principio di solidarietà e, insieme, la concezione più am-pia di lavoro cui riferire la garanzia di tutela sancita dall’art. 35 Cost.;
e ciò si è verificato specie a partire dal momento in cui (seconda me-tà degli anni ’90 dello scorso secolo) quell’attrazione si è esercitata anche nei confronti dei lavoratori parasubordinati e dei lavoratori autonomi in genere17.
Infine, tale particolare forma di strutturazione del sistema ha sem-pre consentito di fare uso della disciplina sem-previdenziale anche come duttile strumento di politica economica.
17 Cfr. art. 2, legge n. 335 del 1995; art. 1, legge n. 662 del 1996. V., comunque, cap.
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Gli esempi – presenti fin dalle origini delle assicurazioni sociali, anche se meno evidenti – sono divenuti particolarmente frequenti e di tutta evidenza in epoche più recenti.
È sufficiente qui ricordare (rinviando alle pagine che seguono per una illustrazione meno schematica) gli interventi legislativi sui sistemi di perequazione automatica delle pensioni a fini di lotta all’inflazio-ne; i reiterati provvedimenti di fiscalizzazione o di sgravio degli one-ri sociali; i cone-riteone-ri di utilizzazione delle integrazioni salaone-riali, ma an-che dei trattamenti speciali di disoccupazione (comunque denomi-nati) e dei prepensionamenti; per non parlare, poi, delle (più o me-no temporanee) forme di utilizzazione impropria degli istituti previ-denziali, come, ad esempio, quella delle prestazioni di invalidità, che, almeno fino ad una certa epoca, di fatto sono state ampiamente im-piegate in funzione sostanzialmente surrogatoria di politiche di so-stegno economico di aree geografiche e di settori produttivi sfavoriti.
Ma, proprio in ragione di tutto questo, le assicurazioni sociali, se rapportate più da vicino agli obiettivi di solidarietà e libertà dal biso-gno, quali appaiono incardinati nelle fonti internazionali e, comunque, nei principi costituzionali, manifestano, così come oggi risultano rego-late, tutta l’intima contraddittorietà propria delle soluzioni di com-promesso.
Infatti, indiscutibili appaiono il rilievo e il carattere sostanziale delle innovazioni apportate nel tempo che hanno segnato il sempre più netto distacco dei principi informatori del sistema previdenziale dall’originaria logica di scambio e la sua riconversione a strumento di redistribuzione della ricchezza, secondo quanto è proprio delle po-litiche di sicurezza sociale.
Basti ricordare, per il momento: la progressiva estensione del prin-cipio di automaticità delle prestazioni; la sostituzione del criterio di gestione delle risorse fondato sulla capitalizzazione con quello fonda-to sulla ripartizione (che chiama alla solidarietà tra generazioni); l’in-tervento del concorso finanziario dello Stato nella gestione del siste-ma previdenziale dei lavoratori dipendenti e l’estensione a categorie sottoprotette di lavoratori autonomi della stessa tutela predisposta per quelli; il non infrequente fenomeno di «solidarietà» tra diverse gestioni, con relativo travaso finanziario dall’una all’altra; l’adozione del sistema di determinazione dell’importo delle pensioni su base re-tributiva, anziché contributiva (almeno fino alla più recente riforma, che ha stabilito in senso opposto); i limiti imposti al cumulo tra red-dito da lavoro e prestazioni previdenziali; la disciplina dei minimi e dei massimi di pensione; le sempre più numerose ipotesi in cui leggi
... come strumento di redistribuzione della ricchezza
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recenti subordinano l’erogazione della prestazione previdenziale alla
«prova del bisogno».
Per un altro verso, tuttavia, il permanere, al fondo (e, più di re-cente, una sorta di «rivitalizzazione»), dell’originaria struttura assicu-rativa giuoca un ruolo che rende manifesta, in più di un aspetto, la non piena congruità delle assicurazioni sociali con le logiche della si-curezza sociale.
Innanzitutto, infatti, la tecnica assicurativa, per sua stessa natura, non può garantire (per quanto possa venire opportunamente adatta-ta) né l’universalità della tutela, né una piena liberazione dal bisogno di tutti i cittadini. Per il conseguimento di detti obiettivi è eviden-temente necessaria la compresenza di iniziative e interventi che tra-scendano la logica propria di quella tecnica.
In secondo luogo, poi, e su di un diverso piano di valori, adottata tale tecnica, risulta ancor più difficile far accettare alla generalità degli interessati un dato intrinseco del sistema. Far accettare, cioè, che la contribuzione non è (soltanto) una forma di risparmio accan-tonato per l’evento della propria vecchiaia e della propria forzata inattività, bensì un prelievo forzoso, destinato (anche) a fini di prote-zione collettiva per situazioni di bisogno socialmente rilevanti; e far correlativamente accettare ed apprezzare il fatto che l’incremento di oneri su tale fronte tiene sostanzialmente luogo di altri potenziali oneri, che, ai medesimi fini solidaristici – ma con maggior derespon-sabilizzazione dei soggetti e delle categorie direttamente interessati –, dovrebbero e potrebbero, in uno Stato che voglia restare «sociale», essere imposti attraverso la leva tributaria.
Per altro verso – ne va dato atto –, nell’ordinamento positivo al fine solidaristico e redistributivo si accompagna e strettamente si com-penetra il fine retributivo.
Vi è, infatti un ideale collegamento tra art. 36 e art. 38, 2° com-ma, Cost., più volte messo in risalto dalla giurisprudenza della Cor-te costituzionale18, per effetto del quale si giustifica che la pensio-ne – pur senza tradire il profilo solidaristico – sia, in qualche mo-do, commisurabile alla retribuzione o alla contribuzione versata19, in considerazione che queste (retribuzione e contribuzione) di fat-to «misurano» il livello di assolvimenfat-to del dovere di lavorare, sancito dall’art. 4, 2° comma, Cost., e, dunque, il merito del «citta-dino attivo».
18 Anche se non sempre con piena «messa a fuoco»: cfr. cap. V, par. 4.
19 Cfr. Corte cost. 7 luglio 1983, n. 73; v. anche cap. XIII, par. 1.
La finalità retributiva e la finalità redistributiva
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