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PREFAZIONE alla tredicesima edizione

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Academic year: 2022

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PREFAZIONE alla tredicesima edizione

La giustificazione più evidente della presente nuova edizione del Manuale, ad un anno appena dalla precedente, è fornita dalla regolazione ex novo di quel capi- tolo, sempre più importante e articolato del sistema previdenziale, che è il capitolo degli ammortizzatori sociali: una nuova regolamentazione – una «riforma», si è detto – già prefigurata dalla legge delega n. 183 del 2014, nocciolo del c.d. Jobs act, ma concretamente realizzata «a tappe»: precisamente, dai decreti n. 22 e n. 148 del 2015, in reciproca sinergia, con il supporto, in immediata successione tempora- le, di interventi di integrazione o ritocco ad opera di altri decreti-tassello di quel disegno a maglie larghe (e ancora parzialmente in fieri), che è, appunto, il Jobs act; ma anche con il subitaneo concorso di disposizioni dirette a prorogare, in qualche modo – sintomo evidente delle difficoltà che incontra la stessa volontà ri- formatrice –, aspetti salienti delle previgenti discipline: come quelle contenute nel- la legge n. 9 del 2016 in riferimento agli ammortizzatori in deroga, o quelle di cui alla legge n. 21 del 2016 (c.d. «milleproroghe») per i contratti di solidarietà.

L’accresciuta importanza nel tempo degli ammortizzatori sociali è dovuta a ben note, precise ragioni: il generale processo di flessibilizzazione del lavoro; la diffusione di tipologie di lavoro discontinuo e, dunque, produttive di frequente alternanza, in capo ad una platea sempre più ampia di soggetti, tra periodi di at- tività e periodi di inattività; la generalizzata, prolungata crisi economico-finan- ziaria che tuttora affligge il sistema delle imprese; infine, a ben considerare, an- che la stessa progressiva flessione dello standard protettivo del sistema delle pen- sioni, rispetto alla quale gli ammortizzatori sociali tendono, di fatto, ad assume- re un ruolo parzialmente compensatorio.

Ma non si tratta soltanto di ammortizzatori sociali. Nel periodo, anche il siste- ma delle pensioni è stato interessato, seppur in maniera meno appariscente, da in- terventi innovativi di rilievo. È quanto è avvenuto soprattutto attraverso la legge di stabilità per il 2016, su aspetti che vanno dai trattamenti pensionistici anticipa- ti, compreso il pensionamento di anzianità delle donne (la c.d. opzione-donna), ai riflessi pensionistici del part time in uscita dei lavoratori anziani, al mantenimen- to in servizio oltre l’età pensionabile dei pubblici dipendenti, al pensionamento dei lavoratori dell’amianto, alla disciplina della perequazione automatica delle pen-

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Prefazione XX

sioni, al bilanciamento tra livello dei trattamenti pensionistici e carico fiscale, e altro ancora.

Si segnala, per i riflessi previdenziali, anche l’adozione di strategie di contra- sto alla precarietà dell’occupazione caratterizzate dalla conferma di «modelli»

già sperimentati, eppure già sospettati di dubitabile efficacia rispetto all’obietti- vo finale: sgravi contributivi per le nuove assunzioni; riduzioni ulteriori del gra- do di stabilità dei rapporti di lavoro (in particolare, ad opera del d.lgs. n. 23 del 2015), giustificate come idonee al contrasto della disoccupazione. Già le termi- nologie adottate, peraltro, tradiscono, al fondo, il dissidio tra realtà effettiva e quanto si vorrebbe (o sarebbe opportuno) che fosse: «contratto a tutele crescen- ti», «universalismo selettivo» delle tutele sociali, e così via.

Ma non sono soltanto detti aspetti che hanno indotto ad avviare, già a così breve distanza di tempo, una paziente opera di aggiornamento e revisione del te- sto che le presenti pagine precedono. Impegno particolare ha imposto anche la scel- ta di dar conto – nei limiti, beninteso, consentiti dalla natura manualistica del- l’opera da aggiornare, ma in conformità di quanto ha costantemente caratteriz- zato anche le precedenti edizioni del Manuale – della «filosofia» della quale i più recenti interventi normativi, anche nella loro interazione con quelli che li hanno immediatamente preceduti, appaiono essere espressione: un aspetto, il cui senso reale spesso non si rivela, se non mettendo insieme e aggregando vicende normative minute, tanto minute da occultare, talvolta, se isolatamente conside- rate, la loro effettiva valenza.

Ebbene, non si può non osservare, come, in un periodo di innegabile declino del sistema delle tutele del lavoro in generale, anche i diritti sociali, al di là di nominalistiche indicazioni, si rivelino, nei fatti – coinvolti, come sono, da esi- genze di risparmio delle risorse finanziarie, addotte come incoercibili –, sempre più soggetti al rischio di perdita di effettività (come si era avuto modo di sottoli- neare già in occasione della precedente prefazione). Eppure, è da ritenere che sia proprio la negatività del periodo che il Paese sta attraversando che dovrebbe in- durre – proprio al fine di superare le difficoltà del momento (che non sono solo materiali, è bene ricordarlo) – ad una più convinta adesione ai valori fondanti della nostra Costituzione, e, dunque, a un particolare impegno che possa evitare ingiustificate mortificazioni di quei diritti.

Monte San Giusto, 8 maggio 2016

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Prefazione XXI

alla dodicesima edizione

Nel poco più dei due anni intercorsi tra la «riforma Fornero» e il «Jobs act», i mutamenti di scenario per il diritto della previdenza sociale – oltre a quelli, nettissimi e sotto gli occhi di tutti, che interessano in generale le discipline del lavoro – sono significativi più di quanto potrebbe far pensare la relativa scarsità di interventi normativi che, nel periodo, sono stati espressamente dedicati alla materia che qui si considera.

Scarsità di nuove regole, salvo che per quanto concerne il settore degli am- mortizzatori sociali. E, in effetti, il perdurare della grave crisi economico-finan- ziaria che attanaglia il nostro paese – con la conclamata, conseguente esigenza di rafforzare o meglio articolare strumenti previdenziali atti a fornire contempora- neo sostegno tanto al sistema delle imprese, quanto al reddito di chi, anche mo- mentaneamente, perda il lavoro – ha fatto sì che, nonostante la pretesa «defini- tività» dell’intervento riformatore del 2012, quel sistema rimanesse al centro della scena anche successivamente, e che per i relativi assetti si avviasse quella spe- rimentazione di nuovi percorsi, della quale la legge delega n. 183 del 2014 e i relativi decreti delegati sono inequivoca espressione.

Ma non si deve soltanto alla rinnovata regolamentazione di tale, pur centra- le, settore dell’ordinamento previdenziale l’esigenza di revisione e aggiornamen- to alla quale la presente, nuova edizione del Manuale, risponde. Altri importanti segmenti di quell’ordinamento – dalle pensioni, alla tutela della maternità e della genitorialità, alla previdenza complementare –, sono stati presi in considerazio- ne, in particolare, dalla legge di stabilità del 2015, la quale riserva ad esse speci- fiche disposizioni che, seppur frammentarie all’apparenza, sono destinate ad in- cidere significativamente nel tessuto normativo esistente. E anche di questo, dun- que, occorreva dar conto.

Meno agevole, in un testo manualistico, far emergere, in occasione del perio- dico aggiornamento, tendenze, linee ispiratrici, compromessi, più o meno esplici- tamente sottesi alle innovazioni legislative sopravvenute.

In effetti, ciò che particolarmente colpisce, tanto nel più organico intervento sugli ammortizzatori sociali, impostato dalla legge delega, quanto nelle disposi- zioni di dettaglio della legge di stabilità per il 2015 – e che appare meritevole, dunque, di essere sottolineato, quanto meno nelle presenti pagine introduttive –, è, innanzitutto, la sproporzione tra l’ambizione degli obiettivi che il recente legi- slatore dichiaratamente si prefigge e la scarsità di risorse che concretamente de- dica allo scopo: emblematica la parsimoniosità di quanto predisposto per la tute- la contro la disoccupazione, che, eppure, si pretende «universalistica». Così come

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Prefazione XXII

spicca, nei recenti interventi regolatori, il carattere sperimentale, provvisorio, eventuale di più d’una delle nuove forme di tutela: «eventuale» e «eventual- mente» sono termini che ricorrono più di una volta nel testo della legge delega;

e, d’altra parte, nel testo della legge delegata n. 22 prestazioni di nuova introdu- zione sono esplicitamente riservate al solo anno 2015.

Il fatto è che sempre più si avverte il crescere del divario tra le attese del cor- po sociale, nonostante tutto sempre più esigente, e la penuria delle risorse finan- ziarie oggettivamente disponibili o, comunque, concretamente messe a disposizio- ne per i relativi fabbisogni.

Innegabilmente i problemi che, non da oggi, gravano sul sistema previdenzia- le nazionale sono enormi, segnati e resi ancor più complessi dall’intreccio di con- trapposte esigenze. Un processo di invecchiamento demografico (frutto dell’inte- razione tra incremento delle aspettative di vita media, da un lato, e basso tasso di natalità, da un altro lato), che sollecita le forze di governo ad allungare la per- manenza degli anziani nel mercato del lavoro, pur di differire e contenere, a ga- ranzia degli equilibri finanziari complessivi del sistema, la spesa per le pensioni;

e, per converso, le sollecitazioni a favore di politiche occupazionali dirette all’ac- celerazione del turn over lavorativo, pur di far posto ai giovani e ridurre, nel contempo, gli oneri economici e sociali della disoccupazione. Una spesa per le pensioni, che rappresenta una voce eminente del debito pubblico, e, dunque, ri- chiede – anche per rispondere alla sollecitazione delle autorità dell’Unione – di essere tenuta drasticamente sotto controllo; e, per converso, un mercato ed una situazione economica che, per riprendersi dalla crisi, reclamano (anche) misure dirette ad accrescere la capacità di spesa delle famiglie, e, dunque, anche il reddi- to pensionistico. E si potrebbe continuare.

A fronte del progressivo, apparentemente inarrestabile declino di strumenti e principi che hanno segnato la storia della materia, sta divenendo sempre meno agevole – e, forse, sempre meno giustificato – cercare di sottrarsi alle sollecitazioni ad accogliere nuovi criteri di analisi e valutazione, che possano conciliarsi con le nuove realtà economiche e dei commerci.

Forse. E, tuttavia, anche la disposizione d’animo ad aprirsi a nuove prospet- tive (seppur, obiettivamente, ancora assai vaghe) non potrebbe esimere dal regi- strare il distacco che si va progressivamente consumando, nel seno della legisla- zione sociale (e si è venuto ulteriormente accrescendo nello specifico arco di tem- po che qui si considera), di esperienze, principi e strumenti, che sembrava di po- ter considerare definitivamente acquisiti: principi e strumenti, che, pur senza go- dere della garanzia costituzionale, hanno rappresentato storici capisaldi, affinché le tutele di ordine sociale potessero essere caratterizzate dal connotato della “ef- fettività”. Così è stato, ad esempio, per il principio di automatismo delle presta- zioni e la contribuzione figurativa, dei quali la legge delega n. 183 preconizza,

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Prefazione XXIII

invece, un processo di «ridimensionamento» dagli esiti imprevedibili. Ed è così anche per architetture di più recente costruzione, ma assunte comunque a com- ponente strutturale del sistema, come è avvenuto per la previdenza complemen- tare, della quale, però, la facoltà di opzione per la corresponsione in busta paga degli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, riconosciuta ai dipenden- ti di imprese con meno di cinquanta dipendenti dalla legge di stabilità per il 2015, appare suscettibile di minare le fondamenta. Né può sfuggire la (ulteriore) spinta al «fai da te» previdenziale, che da quest’ultima innovazione promana, e si va ad aggiungere a quanto, nello stesso senso, appare sostenere la stessa scelta di assumere i fondi bilaterali a componente strutturale del sistema di protezione sociale del reddito.

Macerata, aprile 2015

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Prefazione XXIV

alla undicesima edizione

Con la legge di stabilità per il 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228) si è conclusa di fatto, in un arco di tempo che di poco ha superato l’anno, l’esperienza del Governo di emergenza nazionale.

E con le norme «correttive» in materia di pensioni, esodi anticipati, ammor- tizzatori sociali, ricongiunzione e totalizzazione dei periodi assicurativi frazionati in più regimi, misure di sostegno alla genitorialità, contenuti in quella legge, si è concluso anche l’intervento di quel Governo nei territori del welfare.

Un intervento nell’ambito delle tutele sociali, quello del Governo Monti, che, come è noto, ha preso avvio, meno di un anno e mezzo fa, con la riforma delle pensioni (legge n. 214 del 2011) ed è proseguito con la riforma degli am- mortizzatori sociali, contenuta nella legge sul mercato del lavoro (legge n. 92 del 2012). Un’opera di riforma, in entrambi i casi, ambiziosa, svolta sotto il segno della perequazione e dell’allargamento delle tutele a più ampi strati di popola- zione (specie per quanto riguarda la tutela contro la disoccupazione), ma, soprat- tutto, caratterizzata – e specie nel settore delle pensioni – da una particolare se- verità, e non esente, comunque, nel suo complesso, da contraddizioni e discutibi- li compromessi.

Non può essere disconosciuto, in ogni caso, che si è trattato di provvedimenti fortemente innovativi, i quali hanno inciso in profondità nel sistema, in qualche modo condizionandone anche gli svolgimenti futuri.

Le relative scelte di fondo, d’altra parte, sono state notoriamente influenzate dalla perdurante situazione di emergenza economico-finanziaria nella quale ver- sa il Paese, nonché dagli indirizzi assunti, in relazione a tale situazione, in sede europea. La relativa eco risuona nel corpo di dette, recenti leggi: nella legge n. 92, ove dichiaratamente ci si propone «di migliorare il processo competitivo delle imprese»; nella legge n. 214, ove si assume l’impegno di «rafforzare la sostenibi- lità di lungo periodo del sistema pensionistico in termini di incidenza della spesa previdenziale sul prodotto interno lordo».

Tutto ciò implica, come è evidente, che tanto l’uno quanto l’altro intervento innovativo negli ambiti del welfare non possono sottrarsi ad una valutazione che consideri anche gli attuali profili e indirizzi della politica comunitaria in ma- teria.

Ma a ben considerare, tale articolato complesso di ragioni induce anche a rite- nere che nessuno dei due recenti provvedimenti di riforma possa essere apprezza- to come realmente «definitivo». È ciò che viene esplicitamente suggerito, in rife- rimento agli ammortizzatori sociali, dalla stessa legge n. 92, là dove rinvia il com-

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Prefazione XXV

pletamento dello specifico disegno di riforma all’attuazione della delega, conte- stualmente conferita al Governo; ma altrettanto è palese nella legge di riforma pensionistica, come drammaticamente sta a testimoniare, se non altro, la trava- gliata vicenda dei c.d. esodati, rispetto alla quale gli stessi rimedi attivati, dap- prima, con alcuni decreti, e, da ultimo, dalla suddetta legge di stabilità, risultano assunti nella consapevolezza della loro sostanziale, perdurante insufficienza.

Ovviamente, l’intervento intensamente modificativo della materia degli am- mortizzatori sociali, ad opera della legge del 2012 e le misure integrative o cor- rettive introdotte sia dal «decreto sviluppo», sia dalla legge di stabilità per il 2013, hanno imposto – pur a così breve distanza di tempo dalla precedente edi- zione (appena un anno) – una nuova «riscrittura» (dopo quella imposta dalla ri- forma delle pensioni) di ampia parte del presente Manuale.

Si è trattato di un impegno inevitabile, stanti le intense innovazioni, anche sistematiche, introdotte in riferimento ad aspetti e settori cruciali dell’ordina- mento previdenziale.

Nel contempo, tuttavia, la suddetta rielaborazione di ampie parti del testo ha offerto l’occasione anche per un tentativo di prospezione, nei limiti del possibile o della natura del presente scritto, di quanto parrebbe suscettibile (e meritevole) di essere ulteriormente modificato già in tempi ravvicinati.

È nella convinzione di chi scrive, infatti, che molto di quanto innovato di re- cente è così strettamente legato al contingente, da essere destinato a mutare con il mutare (auspicabilmente, in meglio) delle condizioni economiche generali; ma an- che, e soprattutto, perché soltanto mutamenti di prospettiva delle politiche di wel- fare – frutto di una auspicabile, più «positiva» concezione di esse – possono con- correre al miglioramento delle condizioni economiche generali, e contribuire, così, a scongiurare quella crisi sociale, il cui rischio, oggi, non è certo inferiore e meno attuale rispetto ai rischi riconducibili alla crisi del sistema economico e produttivo.

Macerata, marzo 2013

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Prefazione XXVI

alla decima edizione

Con l’apporto «razionalizzatore» della legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha rimodellato aspetti cruciali del sistema pensionistico e dell’organizzazione ammi- nistrativa della previdenza del nostro paese – e che inevitabilmente, quindi, ha re- so necessaria un’ampia opera di aggiornamento e revisione e, in più parti, di radi- cale riscrittura del presente Manuale –, appare chiudersi il periodo di disorienta- mento e turbolenza che ha visto accavallarsi, specie nei mesi immediatamente pre- cedenti il cambio di Governo, interventi legislativi accomunati da un unico, vero disegno riconoscibile: quello del risparmio di risorse nel settore delle pensioni.

Un disegno perseguito intervenendo, innanzitutto, e per le vie più diverse, sull’età pensionabile – emblematiche, da un lato, la progressione impressa alla disciplina delle «finestre» (legge n. 122 del 2010) e, dall’altro, le leggi che nel- l’estate-autunno 2011 sono reiteratamente, quanto inconcludentemente, inter- venute per definire l’età di pensionabilità delle lavoratrici –, ma anche perse- guendo, con i più disparati espedienti, «tagli» sugli importi delle pensioni: dal- l’imposizione (su di una linea poi confermata dalla più recente legge) di nuove forme di contribuzione di solidarietà e di blocco della perequazione automatica (legge n. 111 del 2011) all’accentuazione degli oneri economici per far valere unitariamente periodi assicurativi frazionati in più regimi (legge n. 122 del 2010); dalla «contrazione» della rilevanza della contribuzione figurativa (legge n. 183 del 2010) alla riduzione dell’aliquota percentuale di rendimento delle pensioni a favore dei superstiti in caso di matrimonio tra soggetti con forti diffe- renze di età, fino (addirittura) all’inasprimento di oneri e condizioni per chi in- tenda rivendicare giudizialmente il diritto a trattamenti pensionistici di invalidi- tà (ancora legge n. 111 del 2011).

La legge n. 214 si colloca, come è ben noto, nell’ambito degli impegni che, per fronteggiare la persistente, grave situazione di crisi economico-finanziaria che la affligge, l’Italia ha assunto con l’Unione europea e la comunità interna- zionale, compreso quello a «rafforzare la sostenibilità di lungo periodo del si- stema pensionistico in termini di incidenza della spesa previdenziale sul prodot- to interno lordo». E si ispira – come enuncia la norma che, a modo di preambo- lo, ne introduce le disposizioni in materia di trattamenti pensionistici (art. 24, 1° comma) – ai principi dell’«equità», della «flessibilità nell’accesso ai tratta- menti pensionistici», dell’«adeguamento dei requisiti di accesso alle variazioni della speranza di vita», della «armonizzazione ed economicità dei profili di fun- zionamento delle diverse gestioni previdenziali»; in tale prospettiva, le innova- zioni più coerenti e di maggior spicco sono sicuramente la generalizzazione del

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Prefazione XXVII

criterio contributivo di calcolo delle pensioni, per le anzianità contributive che maturano a partire dal 1° gennaio 2012 in poi, e il definitivo accantonamento dell’istituto del pensionamento per anzianità di servizio.

Si può dunque affermare che la disciplina pensionistica che si radica nella legge di fine 2011 idealmente si colloca all’interno del modello di sistema pen- sionistico a suo tempo elaborato dalla legge di riforma del 1995. I tratti fonda- mentali di quest’ultima, anzi, la recente legge in concreto sviluppa o porta a compimento; può colpire, semmai, il fatto che tanto si realizzi a così grande di- stanza di tempo da quel primo, lucido intervento riformatore.

Ma il fine specifico di reazione al perdurare della situazione di generalizzata crisi economico-finanziaria e, dunque, di drastica riduzione, anche sul fronte del- la spesa pensionistica, del debito pubblico non poteva non far sentire il proprio effetto sul complessivo livello di tutela. E, infatti, inequivocabilmente detta fina- lità connota di sé la particolare severità di più di una delle soluzioni che la legge

«salva Italia» ha adottato, specie per quanto riguarda condizioni di accesso al pensionamento e entità dei trattamenti.

Il sostanziale impoverimento (e non solo in termini economici) del sistema generale di protezione del corpo sociale – rispetto a quanto, fino a tempi recenti, poteva essere ancora oggetto di giustificato affidamento –, anticipato in gran parte dagli interventi legislativi precedenti, ma sancito inequivocabilmente da detta legge, rende percepibile, in modo drammatico, la perversa facilità con la quale proprio quelle misure che, con le apparenti, migliori intenzioni, il legisla- tore in chiusura d’anno si è determinato ad adottare, pur di contrastare con de- terminazione la perniciosa situazione di crisi economico finanziaria in corso, ri- schino di convertirsi in fattori di pesante aggravio della crisi sociale e di valori, che già affligge il paese.

Ciò, forse, è anche il segno che un ciclo della lunga storia delle assicurazioni sociali si sta rapidamente esaurendo. E, allora, atteso che un efficiente sistema di protezione sociale è essenziale per la vita civile, la coesione sociale e, in definiti- va, per la democrazia, appare giustificato attendersi che, in tempi brevi, superato il drammatico momento dell’emergenza, si passi ad imbastire iniziative e stru- menti atti a rimediare alle troppe «asimmetrie» che già pericolosamente divido- no al suo interno il corpo sociale, e che la nuova disciplina non elimina, né ridu- ce; affinché il sistema di welfare, piuttosto che continuare a essere «parafulmi- ne» di guasti le cui radici in buona parte allignano altrove, torni ad assolvere con pienezza quel ruolo di imprescindibile sostegno della comune convivenza, che storicamente gli compete e lo giustifica.

Ancona, 21 gennaio 2012

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Prefazione XXVIII

alla nona edizione

La produzione normativa «a getto continuo» nelle materie del lavoro e del welfare e l’incostanza dei relativi indirizzi rendono complicato gestire gli aggior- namenti di «Manuali» che, come il presente, abbiano ad oggetto gli ambiti di quelle materie: sempre più si riducono gli spazi per quella pacata riflessione, per quella sedimentazione di idee e concetti, così essenziali per la trattazione ma- nualistica, pur nell’inevitabile, scontato riproporsi – come è nella logica stessa del «genere» – dei periodici interventi di adeguamento del testo al sopravvenire delle novità normative.

Resta, però, ed anzi si accresce, il gusto per la sfida: quella che di fatto si affron- ta, quando si vuol tentare di «ordinare» o di leggere «in prospettiva» le innova- zioni che sopraggiungono e si accavallano; di decifrare l’essenza di ciò che i convulsi interventi del legislatore ordinario lasciano soltanto intravvedere, in termini di an- ticipazione di nuovi scenari, oppure di consolidamento o rivitalizzazione di prece- denti posizioni e scelte, od anche, più semplicemente, di sconfessione di quelle.

E la «prefazione», a fronte di dette dinamiche e della conseguente esigenza di sottoporre a rivisitazione non solo istituti, ma talvolta anche concetti e principi, istintivamente tende a farsi «guida alla lettura» e, insieme, epitome delle più re- centi tappe della vicenda evolutiva della materia. E la scelta di giustapporre, co- me nel presente caso, le singole prefazioni, predisposte per ciascuna delle edizio- ni che si sono susseguite negli anni, può addirittura finire per proporsi, anche se non premeditatamente, come una sorta di sinossi di quel processo.

Nell’affrontare, dunque, con tale spirito, la rinnovata incombenza, ritengo che si possa affermare che i tratti caratterizzanti della legislazione del più recente periodo (quello che separa, appunto, la presente edizione dalla precedente) sono rappresentati, da un lato, dal disegno riformatore che il nuovo Governo ha ma- nifestato, già a partire dall’estate del 2008, sia attraverso le leggi nn. 129 e 133 (la c.d. manovra d’estate), sia attraverso la diffusione del documento program- matico, denominato «Libro verde sul futuro del modello sociale» (destinato poi a meglio definirsi, nel maggio dell’anno successivo, nel «Libro bianco»); e, da un altro lato, dal manifestarsi, pochi mesi dopo, e, dunque, già nell’autunno di quello stesso anno, della crisi economica e finanziaria che ha investito improvvi- samente, quanto drammaticamente, tutti i paesi della cosiddetta area occidenta- le, reclamando subito misure più o meno emergenziali anche, e soprattutto, nei territori del welfare.

In realtà, la «manovra d’estate» di per sé non sembrerebbe indirizzata a rompere con l’eredità lasciata dalla precedente legislatura. Se letta, tuttavia, nel-

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Prefazione XXIX

la prospettiva del coevo «Libro verde», quella manovra rivela valenze anticipa- torie del disegno che figura in quest’ultimo; disegno che si esprime essenzial- mente in due direzioni: quella che guarda ad un sistema di sicurezza sociale fon- dato sulla predisposizione di servizi alla persona, controbilanciati da precise re- sponsabilità della persona stessa; e quella che mira a realizzare un modello di governance centralizzato, puntellato da meccanismi atti a consentire ampi spazi di manovra nella gestione delle risorse finanziarie da destinare a quel sistema.

Nei fatti tale impostazione risulta significativa di discrezionalità nell’adozio- ne delle misure protettive – emblematici, l’impiego «in deroga» degli ammortiz- zatori sociali e, più in generale, le misure di sostegno del reddito e dell’occupa- zione, riconosciute solo fino all’esaurimento di stanziamenti predefiniti, o accor- date «in via sperimentale» (leggi nn. 2 e 33 del 2009, legge finanziaria 2010) –, e, dunque della propensione ad accentuare e, in qualche modo, ufficializzare la tendenza all’«affievolimento» o, se si vuole, alla «precarizzazione» dei diritti pre- videnziali: fenomeno già latente da tempo, invero, ma in aspetti marginali e in forme tutto sommato episodiche, e, dunque, assai meno preoccupanti di quanto non possa essere divenuto da ultimo.

Il coinvolgimento della diretta responsabilità del destinatario della misura di protezione sociale e, insieme, l’affievolimento della tutela sono massimamente evidenti là dove il recente legislatore, a fronte della predisposizione di più ricche occasioni di intervento degli ammortizzatori sociali, impone, a contraltare, un più intenso ed esteso stato di soggezione del beneficiario della tutela, richieden- dogli la immediata disponibilità al lavoro o ad un processo di riqualificazione personale: pena la comminatoria della perdita della accordata prestazione di so- stegno del reddito. Ed effetti di irrigidimento delle tutele, a fini di contenimento della spesa (ma non solo), si realizzano anche negli ambiti dei trattamenti pen- sionistici, tanto assistenziali – si considerino i casi emblematici dell’assegno so- ciale, la cui attribuzione viene subordinata ad un pesante requisito di anzianità residenziale nel territorio italiano, e dell’adozione di misure restrittive in tema di prestazioni di invalidità civile (legge n. 133 del 2008 e legge n. 191 del 2009) –, quanto previdenziali, come avviene nel settore del pubblico impiego, attraverso l’imposizione del pensionamento ai dipendenti che, pur senza aver raggiunto l’età pensionabile, abbiano, però, maturato l’anzianità di servizio massima (art.

72, legge n. 133 del 2008), o attraverso l’elevazione dell’età pensionabile delle donne (legge n. 102 del 2009).

Ma è soprattutto la crisi mondiale dell’economia a riflettersi pesantemente sul sistema nazionale del welfare, aggravandone la già assai precaria situazione.

E la reazione immediata del legislatore si concretizza, da un lato, nell’adozione di ulteriori iniziative di contenimento della spesa sociale, del tipo di quelle ap- pena ricordate; e, da un altro lato, nell’introduzione di nuove forme di sostegno

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Prefazione XXX

dell’occupazione e del reddito per una larga fascia della popolazione: donde la proliferazione dei ricordati ammortizzatori sociali «in deroga». Il c.d. «terzo set- tore», dal suo canto, pur svolgendo un ruolo crescente, stenta ad integrarsi orga- nicamente nel sistema.

È da considerare, tuttavia, che quella crisi racchiude in sé anche una poten- zialità benefica, sebbene comunemente si stenti a coglierne il senso e a trarne profitto. Ed, in effetti, la crisi può ammaestrarci su quanto possa essere stato im- prudente – nel coltivare la «competitività» secondo le logiche dell’economia globalizzata – trascurare o sottovalutare l’importanza degli altri anelli della ca- tena: primo tra i quali, quello di una distribuzione delle risorse atte a mantenere la capacità di spesa delle famiglie; condizione essenziale, questa, perché la com- petitività e la capacità di innovazione delle imprese – può apparire ovvio il ri- cordarlo – non perdano buona parte delle loro stesse ragioni di essere. Si potreb- be dire, in altre parole, che la pratica del contenimento della spesa sociale – o, se si vuole, la pratica di quella «flessibilità» monodirezionale, alla quale tuttora si riservano ruolo e spazi significativi –, oltre a trovare, idealmente, un argine in- valicabile (e da custodire con cura) nello statuto protettivo dei diritti fondamen- tali quale garantito dalle Carte dei principi, incontra un decisivo limite già nelle ragioni stesse di un sistema economico che voglia essere ben ordinato e, dunque, fattore di coesione, piuttosto che di indebolimento del tessuto sociale.

In realtà, il sistema previdenziale italiano oggi appare attraversare nel suo complesso una crisi profonda, anche di progettualità. E più di un segnale sta a confermare la gravità della situazione: che, infatti, coinvolge lo stesso sistema delle assicurazioni sociali, sempre più in affanno a fronte del diffondersi della discontinuità lavorativa, propria dei «nuovi lavori»; ma coinvolge anche il «se- condo pilastro», che stenta a trovare la sua giusta fisionomia, tanto che la sua principale, potenziale risorsa finanziaria – quella rappresentata dagli accanto- namenti del trattamento di fine rapporto –, anziché essere saldamente indirizza- ta al suo sostegno (in attuazione di risalente disegno), tende oggi ad essere di- spersa, come sembra, in rivoli diversi: ivi compreso quello che va nella direzione del supporto alla spesa pubblica corrente, giusto quanto parrebbe doversi ricava- re al proposito dalla stessa legge finanziaria per il corrente anno.

Macerata, febbraio 2010

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Prefazione XXXI

alla ottava edizione

Breve è stata la legislatura che si è appena conclusa. Non per questo, però, può dirsi che, nei venti mesi della sua durata, essa sia stata avara di significativi apporti alla materia che qui interessa: ché, anzi, gli apporti della quindicesima legislatura, in realtà, scompigliano, in parte, gli assetti precedenti, e richiedono comunque di essere attentamente «decifrati», per poter essere correttamente col- locati nel posto che loro compete all’interno del sistema.

E non si tratta tanto dell’intervento sulla disciplina delle pensioni: salva la graduazione nel tempo del passaggio alla più elevata soglia di età pensionabile prevista dalla riforma del 2004 (il famigerato «scalone»), la riforma dettata dalla legge di fine anno 2007 si accoda, nella sostanza, ai criteri adottati dalla prece- dente. Piuttosto si tratta della «finestra» che quella legge ha concretamente aperto su di una riforma attesa da tempo: quella degli ammortizzatori sociali.

Ma si tratta, anche, per altro verso, del provvedimento adottato – si potrebbe di- re, ai «tempi supplementari» – sulla sicurezza negli ambienti di lavoro.

Quanto a quest’ultimo, il testo unico n. 81 del 2008, si colloca – non può sfug- gire – in un’area che combina lavoro e previdenza, se non altro perché, insieme ai valori fondamentali della vita e dell’integrità fisica di chi lavora, presidia e garanti- sce anche gli obiettivi della «occupazione di qualità», della «competitività», del so- stegno ai «lavoratori in difficoltà», che il Protocollo del luglio 2007 si è proposto.

Ma la disciplina sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro si pone anche, per quanto riguarda più specificamente il sistema delle assicura- zioni sociali (e dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, in particolare), su di una linea da tempo propria del no- stro sistema di welfare, ma che richiede di essere sempre più rafforzata: il rico- noscimento di un ruolo centrale alla prevenzione. E ciò nella doverosa consape- volezza che tramite le prestazioni economiche si può rimuovere nell’immediato lo stato di bisogno, ma non anche le ragioni di disagio e diseguaglianza sociale, né, comunque, ci si può attendere di soddisfare pienamente le ragioni di tutela dei valori fondamentali della persona.

Quanto alla riforma degli ammortizzatori sociali, dopo prolungate, impazien- ti attese e altrettanti deludenti rinvii, con l’approvazione della legge n. 247 del 2007 quella riforma è improvvisamente sembrata a portata di mano. Ed è sem- brato che finalmente potesse trovare collocazione quella «tessera» mancante del disegno riformatore che ha preso avvio dal libro bianco del 2001: cioè, la «tesse- ra» rappresentata da misure atte a controbilanciare fattivamente, anche dal pun-

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Prefazione XXXII

to di vista previdenziale, le precarietà che, per più versi, caratterizzano le attuali dinamiche del mercato del lavoro.

Ma la fine anticipata della legislatura e, con essa, il mutamento di colore po- litico delle forze di governo, combinati al fatto che parte determinante della pro- grammata riforma è affidata a legge delegata, sembrano giustificare, dopo quella prima speranzosa attesa, il rinnovato timore di ulteriori differimenti.

Va preso atto, però, anche del fatto che parte della strada risulta già tracciata.

E non solo perché i termini fondamentali di quella riforma sono stati consacrati in un documento di concertazione di amplissima convergenza, quale è il Proto- collo di luglio 2007, ma anche e soprattutto perché la legge n. 247 ha già reso operativa una più incisiva tutela nei confronti della disoccupazione. D’altra par- te, quella legge, attraverso una generosa implementazione della disciplina della contribuzione figurativa, di fatto ha accolto una concezione della protezione del lavoro precario o discontinuo non limitata all’attualità – cioè, alle esigenze di sostegno del reddito corrente –, ma protesa al futuro pensionistico di chi a moda- lità di lavoro di tale tipo possa far fatica a sottrarsi.

Tuttavia, se va riconosciuto al provvedimento di fine legislatura una volontà di integrazione tra le politiche del lavoro e le politiche previdenziali, che rinvia all’ampio dibattito sul pluralismo e sulla flessibilità previdenziale, va nel con- tempo rilevato che detta volontà risulta esprimersi in maniera del tutto embrio- nale e non senza contraddizioni; così come è contraddittorio, d’altra parte, il contesto nel quale essa è destinata ad incidere.

È opinione corrente, infatti, che, oggettivamente, le attuali disposizioni di contenimento della spesa pensionistica (seppur vagamente edulcorate, rispetto alla disciplina più drasticamente programmata dalla riforma del 2004) non siano sufficienti. Il sistema delle imprese, dal suo canto, non sembra in condizione di potersi accontentare di restare esente da un ulteriore aggravio degli oneri sociali;

quel sistema, piuttosto, per poter accedere al livello di competitività che le esi- genze dell’economia nazionale richiedono, reclama l’alleggerimento di quegli oneri, o misure equivalenti: in concreto, cioè, sollecita il sistema previdenziale a scoprirsi ulteriormente sul fronte delle entrate, in nome di ragioni apparentemen- te incoercibili dell’economia di mercato.

Ma ciò avviene proprio quando ragioni di equità sociale, che non sembra pos- sibile disattendere ulteriormente, reclamano interventi protettivi aggiuntivi per una parte sempre più larga della popolazione, e, dunque, presuppongono un in- cremento dell’impegno finanziario di quello stesso sistema.

È all’interno di questa tenaglia che si articola l’assetto regolativo dell’ennesi- mo, recentissimo intervento di riforma: un assetto controverso, indubbiamente non definitivo, ma del quale, comunque, non poteva non tenersi conto all’atto dell’aggiornamento del presente testo.

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Prefazione XXXIII

E, in effetti, il riformatore del 2007, pur chiamato a contenere la spesa socia- le, si è trovato innanzitutto dinanzi alla necessità di provvedere ai maggiori costi che inevitabilmente porta con sé la scelta, da un lato, di impostare la manovra diretta all’elevazione dell’età media di pensionamento in maniera soft, piuttosto che hard (come, viceversa, prefigurato dalla legge n. 243 del 2004), e, da un al- tro lato, di consentire ampie aperture a favore degli addetti ai lavori usuranti.

Ma maggiori costi da fronteggiare li prospetta anche l’aspetto forse più accat- tivante della parte previdenziale della recente riforma: quel potenziamento della contribuzione figurativa, al quale si è già fatto cenno e che, quale anello di con- giunzione con le forme di tutela sul mercato e di garanzia del reddito, meglio si presta a fornire al lavoratore discontinuo concrete possibilità di approdo al lido di una vecchiaia pensionisticamente protetta.

A queste ragioni di maggiori oneri diretti, nonché di oneri indiretti derivanti dalle agevolazioni contributive (e fiscali) comunque riconosciute alle imprese, il legislatore del 2007 fa fronte con misure di vario genere e natura, accomunate dall’esigenza di reperimento di ulteriori risorse finanziarie: dall’imposizione di un contributo di solidarietà a carico di iscritti e pensionati, al blocco temporaneo della perequazione automatica delle pensioni superiori a un certo importo; dal- l’incremento (seppur differito) dell’aliquota contributiva, ai risparmi (soltanto sperati) derivanti dalla razionalizzazione degli enti previdenziali.

Ma emblematiche appaiono essere soprattutto le disposizioni dedicate alle pensioni di anzianità e ai prepensionamenti per lavoro usurante: disposizioni che, sempre a fini di risparmio, condizionano la possibilità di acquisizione delle prestazioni, non già ad un criterio selettivo valido per la generalità, come da re- gola (requisiti amministrativi, contributivi, anagrafici), ma ad un predetermina- to limite numerico delle erogazioni (le pensioni di anzianità) e di un plafond finanziario di spesa (i prepensionamenti), l’uno e l’altro discrezionalmente, quan- to astrattamente determinati.

L’impressione che si ricava da tale complesso intervento è che il legislatore, anche laddove persegue intenti commendevoli, sia stato indotto, sotto l’urgenza del contingente, ad una sorta di navigazione a vista: di fatto imprimendo, così, alla delicata materia un processo regolativo involutivo, il cui esito rischia – e ciò non può non destare particolare preoccupazione – un sostanziale «affievolimen- to» degli stessi diritti previdenziali.

Macerata, maggio 2008

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Prefazione XXXIV

alla settima edizione

Al processo di frammentazione degli assetti tradizionali del sistema di sicu- rezza sociale, in atto da tempo e dunque per più versi scontato, si accompagna e combina, oggi, con sempre maggiore evidenza, un processo di aggregazione di elementi vecchi e nuovi, secondo logiche proprie: logiche difficilmente collocabi- li, tuttavia, in un quadro di sistema e dunque, nel loro complesso, di dubitabili classificazione e apprezzamento.

Emblematico di tale metamorfosi, tuttora incompiuta, può essere considerato il recentissimo smembramento del trattamento di fine rapporto (legge n. 296 del 2006), i cui accantonamenti sono stati sottratti, in via di massima, alla gestione delle imprese, ma parzialmente sottratti anche ai fondi pensione – cui, eppure, da tempo risultavano destinati –, per essere indirizzati (limitatamente a tale par- te) a forme di utilizzazione socialmente utili.

Il fatto è che il sistema sta subendo mutamenti che vanno sempre più in pro- fondità, ma senza che siano sufficientemente tracciati, o sicuri, il percorso pre- scelto e la meta.

Non si tratta, tuttavia – è bene precisarlo subito –, soltanto di quanto possa riguardare i significati da attribuire alla innovativa struttura bipolare, definiti- vamente assunta dal sistema dopo i recenti provvedimenti che consacrano l’or- mai inarrestabile decollo della previdenza complementare, e proprio a partire dal 2007. Sembra trattarsi, più in radice, di quanto consegue al rapporto dialettico tra due valori parimenti meritevoli di accoglimento e tutela – nonostante la loro apparente contrapposizione –, ma le cui fisiologiche esigenze di bilanciamento la recente legislazione appare governare con qualche difficoltà: il valore del «mer- cato» e quello della «solidarietà».

È da ritenere, però, che concorra a determinare tale precaria situazione anche il perdurare di alcune «ingombranti» assenze.

Ed, in effetti, evidente è, innanzitutto, il peso della perdurante mancanza di un moderno complesso di ammortizzatori sociali, i quali, sostenendo, nei periodi di discontinuità lavorativa, oltre al reddito dell’interessato anche la continuità della sua posizione previdenziale, possano dare avvio a quel cortocircuito che ap- pare indispensabile a far ripartire il sistema; ma che valgano anche a sdramma- tizzare la stessa controversa questione della valenza, in termini di precarizzazio- ne della realtà sociale, dei modelli di lavoro cosiddetti atipici, tanto di recente, quanto di più risalente configurazione. Ed è da ritenere che pesino anche il di- fetto di un adeguato welfare calibrato sulle specifiche esigenze della famiglia, co- sì come il ritardo di una aggiornata, organica disciplina della tutela della salute

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Prefazione XXXV

nei luoghi di lavoro, che valga anche a prevenire o ridurre le occasioni di inter- venti riparatori di mero stampo economico.

I rimedi che il recente legislatore prospetta, stante la perdurante opacità del disegno programmatico complessivo, si rivelano, per lo più, estemporanei e fram- mentari: la legge finanziaria per il 2007, con il suo ampio catalogo di interventi omnipervasivi, ne risulta essere il più recente esempio. E tale stato di cose gene- ra situazioni di obiettiva incertezza delle regole e altrettante ragioni di verten- zialità, della intensità e della gravità delle quali è palpabile manifestazione l’ele- vatissimo contenzioso giudiziario in materia di previdenza e assistenza, che at- tualmente ingombra i tribunali e si pone, anzi, come primario fattore di crisi della stessa giustizia del lavoro nel suo insieme.

L’esigenza di periodico aggiornamento fa del manuale un «osservatorio» del tutto particolare, e del susseguirsi delle edizioni altrettante occasioni di riflessio- ne sullo stato dell’intero sistema e su tappe e connotati dei suoi svolgimenti. Nelle pagine che seguono – sia pure in estrema sintesi e nei limiti imposti dal «gene- re» – si è tentato di trasferire anche il senso di tali riflessioni.

Macerata, marzo 2007

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Prefazione XXXVI

alla sesta edizione

Appena un biennio separa la presente edizione dalla precedente. Eppure è stato sufficiente il trascorrere già di un così breve periodo di tempo, perché nell’ambito della materia oggetto di osservazione fossero introdotte discipline o si manifestas- sero situazioni suscettibili di incidere su connotati e aspetti essenziali di quella stessa materia; anche di queste, dunque, è stato necessario dare conto (per quanto il «genere» consente) nell’opera di revisione e aggiornamento del testo che segue.

Ed, invero, già la riforma pensionistica del 2004, meglio nota come «delega previdenziale», rappresenta un fattore di discontinuità nel processo evolutivo del sistema, perché per molti versi segna un «ritorno al passato» rispetto alla «stori- ca» riforma operata dalla legge del 1995, se si considera il révirement su aspetti cardinali di quest’ultima, quali la flessibilità dell’età pensionabile e la parifica- zione dell’età di pensionamento tra uomini e donne.

D’altra parte, anche i tratti di continuità, che pur legano l’attuale disciplina previdenziale a logiche preesistenti, finiscono per assumere, oggi, rispetto alla di- sciplina dei «nuovi lavori», dettata dalla riforma del 2003, e alla loro diffusione, il significato di una drammatica radicalizzazione del divario tra tradizionale modello previdenziale di riferimento (quello del lavoro a tempo pieno e di durata indeter- minata) e la crescente realtà del lavoro discontinuo o precario; radicalizzazione che implica il rischio del fallimento stesso del sistema protettivo tramite assicurazioni sociali, almeno per una larga porzione della popolazione lavoratrice.

Un innovativo sistema di ammortizzatori sociali – sul quale ormai da troppo tempo senza esito si discute (e la legge del 2005 c.d. sulla competitività ne è una conferma) –, purché calibrato per garantire non soltanto il reddito nei periodi di inattività o di attività poco remunerative, ma anche la continuità, in quegli stes- si periodi, dell’apporto contributivo a fini pensionistici, sembrerebbe in grado di poter ovviare al suddetto, incombente rischio. È evidente, tuttavia, come una so- luzione del genere implichi un non indifferente spostamento di oneri dalla fi- nanza previdenziale alla finanza erariale, per attivare il quale attualmente man- cano, di certo, le condizioni.

Allo stato, dunque, il sistema delle assicurazioni sociali – e anche di ciò si è ten- tato di dar conto nell’opera di aggiornamento che interessa la presente edizione – appare sempre più coinvolto da un processo di «deriva», che tende a sospingerlo dalla tradizionale posizione centrale verso una collocazione più periferica ed inte- grata con interventi di diverso genere e provenienza, ma di pari essenzialità – oc- corre darne atto – nel quadro generale del sistema nazionale di protezione sociale.

Macerata, giugno 2005

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Prefazione XXXVII

alla quinta edizione

Se si volesse raccogliere con una sola espressione il senso del processo che, da almeno due lustri – e negli ultimi tempi ancor più intensamente –, caratterizza il settore dell’ordinamento al cui esame sono dedicate le pagine che seguono, si po- trebbe affermare che detto settore è assoggettato ad una sorta di «revisione per- manente», destinata a non risparmiare, come sembra, neppure i fondamenti stessi del sistema.

Già la recente riforma costituzionale, nel ripartire tra Stato e Regioni la com- petenza legislativa in materia previdenziale e nel rapportare a nuovo, aggiuntivo parametro il livello di protezione costituzionalmente garantita, tanto per i diritti civili quanto per i diritti sociali, appare destinata a mettere in discussione i con- seguiti esiti del dibattito sui referenti costituzionali stessi della materia, come, invero, alcune recentissime sentenze della Corte costituzionale lasciano precoce- mente intravedere. Quella stessa riforma, d’altra parte, come è noto, risulta non ancora definitivamente assestata.

Per altro verso, le evidenti interconnessioni della realtà sociale interna con fenomeni evolutivi – da ultimo, anche particolarmente drammatici –, che, pur avendo origine e sviluppo al di là dei confini nazionali, materialmente e moral- mente ci coinvolgono tutti, pienamente giustifica il fatto che il legislatore, tanto nazionale che comunitario, sempre più si preoccupi di individuare forme e stra- tegie nuove di protezione sociale, legate, o meno, allo stato di cittadinanza.

In questa nuova edizione del Manuale, pur nel solco della continuità con l’originario impianto, attraverso un’opera di «rilettura» attenta alle implicazioni dei fenomeni suindicati – oltre che, ovviamente, di stretto aggiornamento –, si tenta di contribuire alla individuazione ed alla comprensione delle linee di si- stema del vigente quadro normativo: impresa, invero, non agevole – e sicura- mente ancor meno agevole di quanto si sia verificato nelle precedenti occasioni –, stanti la mutevolezza del contesto, ma, soprattutto, la non trasparenza del com- plessivo disegno; impresa che, tuttavia, appare giustificabile, proprio perché con- sapevole della provvisorietà del quadro di riferimento, ma anche del fatto che, non per questo, l’esigenza di prendere contezza dello stato attuale della materia deve restare insoddisfatta.

Macerata, maggio 2003

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Prefazione XXXVIII

alla quarta edizione

Il diffondersi dei nuovi modelli di produzione e consumo, indotti dalle inno- vazioni tecnologiche e dai conseguenti mutamenti del mercato, rende sempre più sensibile il fenomeno della frammentazione del lavoro, tradizionalmente inteso, in attività di diverso genere, spesso inedite.

In certa misura fisiologicamente connesso a tale fenomeno – e, pertanto, non propriamente riconducibile al risalente problema della disoccupazione (ma non per questo da ignorare nel contesto delle relative misure di reazione) – è quello della discontinuità occupazionale.

A fronte del prepotente emergere di tale realtà, il sistema di sicurezza sociale si trova esposto, oggi, ad una duplice esigenza: quella di garantire, per un verso, la ricomposizione delle tutele a favore dei lavoratori che, sempre più tentati dal- la mobilità, passano attraverso diversificate esperienze professionali, e, per un altro verso, la continuità delle tutele a favore di quei medesimi lavoratori, i qua- li, nel passare dall’uno all’altro mestiere, subiscano intervalli di inattività; ma non solo di costoro. Nella generalizzazione di istituto specifico, come quello del- la totalizzazione dei periodi assicurativi maturati presso regimi previdenziali di- versi, o nella recente eterogenesi, al medesimo fine, di istituto risalente, come il riscatto, possono vedersi esempi del tentativo di risposta del recente legislatore previdenziale a dette nuove esigenze.

Certo: la riaggregazione dei lavori attraverso le tutele può avere, come risvol- to negativo, l’appiattimento delle tutele stesse; ma la conformazione di queste sulla base di uno standard unitario appare anche destinata a svolgere un fattivo ruolo solidale con le esigenze dell’attuale realtà produttiva.

D’altra parte, la garanzia di continuità della tutela sociale, pur in presenza della discontinuità dei lavori, rappresenta un innegabile ed imprescindibile pre- sidio contro l’emarginazione e la disgregazione sociali.

In sostanza, in uno scenario sempre più caratterizzato nel suo complesso da flessibilità, frammentazione o precarizzazione delle attività lavorative e dei rela- tivi statuti, il sistema di sicurezza sociale, attraverso la progressiva elaborazione di una rete universalistica di tutele essenziali, appare vocato a proporsi come la

«cittadella» delle garanzie realmente indefettibili.

Su un altro versante, peraltro, le istanze di appropriazione, da parte degli in- teressati, di ulteriori possibilità di tutela, a proprio diretto e personale vantaggio, continuano a trovare eco nell’evoluzione della disciplina della previdenza com- plementare: invero, una evoluzione ancora incerta negli esiti e ricca di contrad- dizioni, specie dopo la prospettata modifica costituzionale (art. 117 Cost.), che

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Prefazione XXXIX

vede ripartita, quella forma di protezione, tra la competenza dello Stato e quella concorrente delle Regioni, nonostante la sua vantata collocazione nella sfera del- l’art. 38, 2° comma, Cost. e, dunque, idealmente, nell’ambito della competenza legislativa esclusiva del primo.

Su di un ulteriore piano, infine, tende a rendersi sempre più marcato il ruolo che le politiche sociali possono riservare a forme di partecipazione diretta della società civile (attraverso il cosiddetto «terzo settore»).

Non è agevole nelle riedizioni di una trattazione manualistica, tener puntua- le conto di detti, non secondari svolgimenti del contesto nel quale si sviluppa la materia considerata, posto che non è solo questione di aggiornamento di dati e istituti, ma anche e soprattutto di riconsiderare profili di rilevanza sistematica.

Ciò nonostante, anche nella presente nuova edizione, si è tentato di dar spazio, senza pregiudiziali condizionamenti, ai vari aspetti dell’evoluzione normativa:

aggiornando note e testo, ma anche riscrivendo quest’ultimo, laddove i mutamenti di prospettiva del legislatore lo richiedevano, e dedicando, infine, un distinto, ap- posito capitolo al tema, sempre più vivace e in espansione, della previdenza com- plementare.

Macerata, maggio 2001

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Prefazione XL

alla terza edizione

Il ben noto e risalente «dinamismo» della materia sembra trovare, oggi, una ulteriore ragione di accentuazione: la «sfida» che viene portata al diritto della previdenza sociale dalla pratica della flessibilità.

La «flessibilità», invero, sempre più si conferma come condizione imprescindi- bile per il fisiologico governo dell’intero sistema previdenziale (e non solo di esso), ma anche come criterio essenziale per conferire agli strumenti propri di quel si- stema capacità di incidenza e condizionamento sull’attuale, primario problema so- ciale: la diffusa disoccupazione e gli effetti di emarginazione che ne conseguono.

Si tratta di una «sfida» che sconta, peraltro, l’adozione e la generalizzazione di strumenti di protezione sociale, i quali – oltre a poter positivamente interagi- re con le politiche attive del lavoro, e in un quadro di universalizzazione della rete di protezione stessa – possano valere a realizzare anche il miglioramento delle condizioni di vita e di riaggregazione sociale dei lavoratori, sia attivi che potenziali, e delle loro famiglie.

Ed, in effetti, iniziative in tal senso si stanno facendo sempre meno infrequenti:

e sono quelle che si realizzano, nella più recente legislazione, attraverso prestazioni e servizi sociali non individualizzati e destinati, in primo luogo, alla prevenzione dei rischi generatori di bisogno, ma anche attraverso programmi e misure di soste- gno, non solo economico, diretti alla integrazione sociale dei soggetti bisognosi.

Anche di tale nuova fisionomia che l’ordinamento previdenziale va assumen- do (e che sembra rendere ancor più incerti i tradizionali confini tra previdenza ed assistenza, così come l’utilità di distinzioni «ontologiche» ed immutabili al- l’interno delle funzioni e delle politiche sociali del sistema di welfare) ho ritenu- to di dover tener conto nell’opera di aggiornamento e revisione che caratterizza la presente edizione.

Con l’occasione, nell’auspicio di rendere il Manuale maggiormente utile nella pratica operativa e, contemporaneamente, di più agevole lettura per gli studenti, ho aggiunto le note, con riferimenti dettagliati alla legislazione e alla più recente giurisprudenza costituzionale e di legittimità, ed apportato, in più punti, sempli- ficazioni del testo.

Porto Recanati, agosto 1999

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Prefazione XLI

alla seconda edizione

Nell’accingermi a licenziare la seconda edizione del Manuale (la quarta, se si considerano le due pubblicate, rispettivamente, nel 1991 e nel 1994 nella «Pic- cola biblioteca Giuffrè»), avverto l’esigenza di far precedere al testo le poche ri- ghe che qui si leggono.

E ciò non certo perché sia realmente necessario che l’autore si riservi uno spazio per intervenire in prima persona: magari per tentare di giustificare il la- voro compiuto, o per «presentare» l’opera. L’opera si presenta e si spiega da sola – «deve» spiegarsi da sola –; d’altra parte, la più abile difesa di sé, che l’autore riuscisse ad apprestare non potrebbe, di certo, valere a modificare gli esiti – or- mai irrevocabilmente impressi nella pagina scritta – (e dunque le responsabilità) del lavoro compiuto.

Per quanto può valere di chiarimento, intendo, piuttosto, soffermarmi bre- vemente su alcune circostanze che hanno «accompagnato» la stesura dell’opera, in qualche modo concorrendo a caratterizzarla, e che mi paiono di un certo rilie- vo (e, ciò non di meno, anch’esse, in fondo, in gran parte scontate).

La prima di tali circostanze è la più scontata di tutte. Le innovazioni legislative che in materia si susseguono a ritmo sempre più serrato ed incalzante valgono a ravvicinare e rendere pressante l’esigenza di periodico aggiornamento dell’oggetto

«manualistico» di trattazione scritta: e questo spiega a sufficienza il breve interval- lo di tempo (meno di due anni) che separa la presente dalla precedente edizione.

Ma, soprattutto, quelle stesse innovazioni, giacché incidono (specie nel più recente periodo) su aspetti non di dettaglio, impegnano anche ad un’opera di rinnovata riflessione su profili che investono i caratteri e i fondamenti stessi del sistema del- la previdenza sociale: e questo dovrebbe spiegare il perché della avvenuta riscrittu- ra, rispetto alla precedente edizione, di parti non secondarie del testo, ed anche, rispetto a precedenti scritti, della rivisitazione di alcuni concetti.

Un ulteriore dato, strettamente correlato, ma non sovrapponibile al prece- dente, è rappresentato dal fatto che, in assenza di un coerente disegno che abbia guidato nel tempo, e guidi tuttora, i ripetuti interventi legislativi di manipola- zione e riforma della materia, la ricerca, in quegli interventi, delle linee «di si- stema» (così come di quelle «di tendenza») finisce per restare in gran parte affi- data al vaglio e al confronto di una rete sempre più ampia e frammentata e ap- parentemente disomogenea di elementi di dettaglio: «di indizi», si potrebbe di- re. Il riferimento e l’interesse rivolto a questi ultimi, che il benevolo lettore po- trà riscontrare in più di una pagina del testo che segue, è giusto, dunque, che va- dano da lui apprezzati in tale prospettiva, per molti versi necessitata, e non certo

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Prefazione XLII

come manifestazione di ambiziose, quanto irrealistiche, pretese di completezza, o, peggio, come manifestazione di mero interessamento erudito al particolare.

Infine, la pluralità e l’interazione delle fonti. Nel sistema delle fonti del dirit- to previdenziale, oltre alla fonte legislativa, che mantiene ben saldamente il suo carattere primario, svolgono un ruolo sempre crescente le fonti normative se- condarie, ma anche e soprattutto la giurisprudenza costituzionale e le fonti co- munitarie. In particolare, il puntuale, costante riferimento che si fa nel testo agli apporti di queste ultime, e, in special modo, della giurisprudenza costituzionale, risponde non soltanto all’esigenza di una rappresentazione della materia quanto più possibile «documentata» e aggiornata, ma anche a quella di dar conto dei diversificati «registri», in base ai quali si svolge e si è svolto, specie in questi ul- timi anni, il non sempre facile rapporto di interazione di dette fonti, e, in defini- tiva, della pluralità di «visioni» che, di fatto, hanno finito per animare, nel suo complesso, il contesto normativo vigente.

* * *

Anche questa seconda edizione del Manuale è dedicata, con perenne, profon- do affetto, ad Alberto e Lauretta, i miei genitori.

Perugia, gennaio 1998

M.C.

(25)

CAPITOLO I

I FONDAMENTI DELLA TUTELA SOCIALE

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