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Abbiamo già menzionato nel predente Capitolo il Frammento Muratoriano; adesso ne riparliamo in quanto costituisce un'ottima testimonianza della grande diffusione del

Pastore alla fine del II secolo visto che ne prescrive la lettura solo in determinati casi al

fine di rallentarne e controllarne la circolazione -avvertita come pericolosa per il mantenimento della purezza della fede- e ribadirne la non conformità all'insieme dei testi definiti “canonici”241.

Un'altra spia della fortuna di Erma è data dalla serie di citazioni e di semplici menzioni che ne fecero i Padri nelle loro opere; il primo a citarlo è S. Ireneo di Lione nel 180 circa, in un epoca quindi quasi coeva alla compilazione del catalogo del Frammento Muratoriano ma ne contraddice le prescrizioni in quanto menziona il Pastore come una

Scriptura formulando così un giudizio altamente positivo sul suo valore morale e sulla

sua canonicità (Adversus Haereses IV,20,2242).

Del Pastore venne approntata alla fine del II secolo243 una versione latina -oggi detta Vulgata- che ebbe grandissime fama e diffusione visto che la sua esistenza è presto

attestata in Africa da Tertulliano, il quale in un primo momento elogiò il Pastore chiamandolo Scriptura (Oratio n.16) ma dopo la sua conversione al montanismo ne criticò il lassismo morale definendolo apocryphus Pastor moechorum (De Pudicitia XX,2)244.

Sono buone testimonianze della fortuna del Pastore un affresco della seconda metà del III secolo nelle Catacombe di San Gennaro a Capodimonte (Napoli) -raffigurante alcune donne riccamente abbigliate attorno a una torre in costruzione, secondo quanto è scritto nella III Visione e nella IX Similitudine245- e il cippo funerario del vescovo Abercio della

fine del II secolo trovato nel 1883 a Ierapolis246, estremamente interessante perché

241 L. Cirillo, Il Pastore di Erma..., p.39

242 Bene ergo promuntiavit Scriptura quae dicit: segue citazione da Mand.I,1.

243 O. De Gebhardt - A Harnack, Hermae Pastor graece..., p.XLVII e C. H. Turner, The Shepherd of

Hermas, p.206

244 Cfr. A. Vezzoni, Il Pastore di Erma versione Palatina, pp.39-40

245 G. Lusini, Nouvelles recherches…, p.97 e A. Carlini, Papyrus Bodmer XXXVIII…, pp.35-36 e Cuma

cristiana…, p.135. Sul rapporto tra il Pastore e la Campania segnaliamo inoltre Vis.II,4,1 dove Erma

inizialmente confonde la donna anziana (la Chiesa) con la Sibilla, la menzione della Via Campana a

Vis.IV,1,2 (per cui si può pensare che le visioni abbiano avuto luogo in una località a sud di Roma) e

l'errata congettura testuale di W. Dindorf, figlia di questi dati, di eijç Kouvmaç invece di eijç kwvmaç a

Vis.I,1,3 e Vis.II,1,1 fondata solo sulla lezione apud regionem Cumanorum della versione Palatina. Per

ulteriori dettagli cfr. A. Carlini, Cuma cristiana…, pp.131-132 e Le passeggiate di Erma verso Cuma…, pp.105-107 e A. Hilhorst, Hermas, p.692.

riporta alle rr.7-8 una descrizione della Chiesa di Roma che presenta moltissime affinità con la Chiesa vestita come una regina in trono di Vis.I,2,2247, mentre alle rr.3-6 abbiamo

la menzione di un poimh;n aJgnovç che insegnò ad Abercio gravmmata pistav248, nel

poimh;n aJgnovç potremmo infine riconoscere la nota metafora del Cristo “buon pastore” (Io.10,14 oJ poimh;n oJ kalovç, Petr.I,2,25 oJ poimh;n kai; ejpivskopoç tw'n yucw'n, Ad

Hebr.13,20 oJ poimh;n tw'n probavtwn oJ mevgaç) se non fosse che l'attributo di aJgnovç

non è mai stato impiegato a quei tempi in riferimento alla persona del Cristo mentre è più verosimile vedere nel “casto pastore” di Abercio l'Angelo della Penitenza del

Pastore che istruisce Erma su diversi precetti morali da seguire tra i quali vi è anche

un'esortazione alla castità (Mand.IV,1,1)249.

Nel III secolo Clemente Alessandrino conosceva il Pastore e lo apprezzava al punto da citarlo frequentemente e giudicarlo testo ispirato in quanto qeivwç ... fhsiv (Stromata I,29,181); così fecero anche Origene -assegnando come abbiamo detto il Pastore all'Erma di Ad Rom.16,14 e definendolo scriptura (In ep. Ad Rom.X,31)- e lo Pseudo- Cipriano nell'opera polemica Adversus aleatores dove formula un giudizio positivo sull'opera di Erma definendola scriptura divina250. A questi anni è databile anche

l'originale greco dell'elenco di Testi Sacri contenuto nel Codex Claromontanus delle

Lettere di Paolo (sec.V o VI251): l'elenco è stato redatto in latino e aggiunto nel VI secolo

nello spazio bianco di tre righe lasciato dal copista tra Ad Philemonem e Ad Hebraeos e menziona il Pastore tra i testi considerati canonici252.

247 Rispettivamente eijç JRwvmhn o}ç e[pemyen ejme; basileivan ajqrh'sai kai; basivlissan ijdei'n crusovstolon crusopevdilon e blevpw katevnativ mou kaqevdran leukh;n ejx ejrivwn cionivnwn gegonui'an megavlhn: kai; h\lqen gunh; presbu'tiç ejn iJmatismw'/ lamprotavtw/.

248 ou[nom j ajbevrkioç oJ w]n maqhth;ç poimevnoç aJgnou', o}ç bovskei probavtwn ajgevlaç o[resin pedivoiç te, ojfqalmou;ç o}ç e[cei megavlouç pavnth/ kaqorw'ntaç, ou\toç gavr m j ejdivdaxen gravmmata pistav

249 L'importanza di questa testimonianza risiede nel suo essere proveniente dalla Frigia patria del montanismo, dal momento che attesta l'autorità di cui doveva godere il Pastore se veniva usato per contrastare i movimenti eresiarchi e celebrare coloro che si erano battuti per l'ortodossia come Abercio. Cfr. M. Violante, Il casto pastore dell'Iscrizione di Abercio…, pp.358-360

250 Si veda p.93 dell'edizione del 1871 curata da G. Hartel, CSEL III, 3

251 Non c'è concordia tra gli studiosi riguardo alla datazione del bilingue Codex Claromontanus: A. Wikernhauser lo vede datato al V secolo e compilato in Italia meridionale, infine soggetto a un intervento nel VI secolo quando un copista vi inserì un elenco di testi biblici, redatto in latino ma tradotto da un originale greco del III secolo, chiamato Catalogo Claromontano; il codice arriva in Francia nell'VIII secolo e tra il 1565 e il 1582 giunge tra le mani di Teodoro Beza il quale dichiara di averlo scoperto a Clermont; attualmente è conservato presso la Bibliothèque Nationale (Par.gr.107) alla quale fu donato da Luigi XIV che lo ricevette in eredità da un suddito. K. Aland invece data il codice al VI secolo. Cfr. A. Wikenhauser - J. Schmid, Introduzione..., p.120 e K. Aland - B. Aland, Il testo del Nuovo Testamento, p.122

Nel IV secolo Atanasio nel De decretis Nicaenae Synodi escluse il Pastore dall'insieme delle Scripturae giudicate canoniche (Decr.Nic.Syn.18) mentre Didimo lo considerò canonico utilizzandolo come fonte primaria per i suoi commenti (si veda il commento a

Iob.8,17-18 in Fragmenta in Iob)253. Eusebio di Cesarea pone il Pastore sia tra i libri

accettati all'unanimità dalle chiese sia tra quelli letti solo in alcune di esse e in particolare modo tra quelli detti novqa -spuri- poiché alcuni teologi iniziavano a metterne in dubbio l'ispirazione (Hist.Eccl.III,3 e III,25). Abbiamo visto come nel Codex

Sinaiticus il Pastore fosse ancora collocato di seguito al Nuovo Testamento: fino al IV

secolo l'opera, nonostante fosse fuori dal canone, godette di una grande autorità presso i greci forse perché era consigliata soprattutto per l'educazione dei catecumeni, ma a partire dal VI la sua fortuna iniziò a declinare progressivamente254.

Tra il IV e il V secolo notiamo un'interessante serie di testimonianze contrastanti: da un lato Girolamo attesta che il Pastore incontrò un periodo di oblio presso i latini a fronte di un qualche utilizzo presso le comunità di lingua greca (De vir.ill.III.10255), dall'altro

Rufino di Aquileia nel Commentarius in Symbolum Apostolorum lo colloca tra i testi che possono essere letti in chiesa per edificazione morale sebbene non ne sia permesso l'uso come fonti della fede e lo stesso fa Giovanni Cassiano nelle sue Collationes256;

questi ultimi teologi tuttavia incorrono nelle aspre critiche di Prospero di Aquitania (390-463 circa) che li definisce testimoni nullius utilitatis proprio per questa loro presa di posizione che ne mina la credibilità (Contra collatorem XIII,6). Altre voci critiche, risalenti al 382 e al 405, sono il Decretum Gelasii Papae de recipiendis et non

recipiendis libris e il rescritto di Innocenzo I a Esuperio vescovo di Tolosa in entrambi i

quali il Pastore viene collocato tra i libri rifiutati dall'autorità ecclesiastica; queste critiche furono probabilmente originate dalla diffusione che il Pastore doveva avere a quel tempo -e quindi mal si comprende l'oblio nel quale Girolamo lo vede sprofondato- visto che nel V secolo ne venne compilata una seconda versione in latino, la cosiddetta

Palatina257.

253 B. D. Ehrman, The New Testament canon of Didymus...., pp.19-21 254 G. Bareille, Hermas, col.2270 e A. Carlini, La tradizione testuale…, p.24

255 Herman, cuius Apostolus Paulus Ad Romanos scribens meminit: "Salutatem Phlegontem, Hermen,

Patrobam, Herman et qui sunt cum eis fratres.", asserunt auctorem esse libri qui appellatur "Pastor" et apud quasdam Graeciae ecclesias etiam publice legiur, re vera utilis liber multique de eo scriptorum veterum usurpavere testimonia, sed apud latinos paene ignotus est.

256 Per ulteriori dettagli cfr. J. Paramelle - P. Adnès, Hermas, coll.333-334

257 O. De Gebhardt - A Harnack, Hermae Pastor graece..., p.LXVI e C. H. Turner, The Shepherd of

Tra il V e il VI secolo un autore ignoto (forse di provenienza egizia dato che la sua opera venne attribuita ad Atanasio di Alessandria) nelle Didaskalivai pro;ç jAntivocon a[rconta citò in modo anonimo diversi passi del Pastore (Mand.I-III, Mand.IV,1,

Mand.V-XI, Sim.V,3 e Sim.VI258); altrettanto fece nel VII secolo il monaco Antioco del

monastero di San Saba Archimandrita a Gerusalemme nei Pandevkthç th'ç aJgivaç grafh'ç, summa enciclopedica delle Sacre Scritture e dei Padri259, citando passi da Mand.II,2-3 nell'Om.29, Mand.III,1-2 nell'Om.66, Mand.V,1,2-6 e 2,2-4 e 6

nell'Om.110, Mand.VI,2,1-2,5 nell'Om.61, Mand.VIII,1-3 e 9-10 nell'Om.79,

Mand.IX,2-4 5-8 e 9 nell'Om.85, Mand.X,2,5-3,4 nell'Om.25, Mand.XII,1 nell'Om.74, Mand.XII,6,2-3 nell'Om.77 e Sim.IX,32,2-4 nell'Om.94260; da segnalare che questa

ultima citazione è di estrema importanza in quanto restituisce un testo ignoto fino al ritrovamento del codice Lavra.K.96 del Florilegium Patristicum nel 1988 da parte del Padre Joseph Paramelle.

Sia lo Pseudo-Atanasio che il monaco Antioco, oltre a mostrare di non conoscere le

Visioni, non menzionano mai il titolo della loro fonte probabilmente a causa della

condanna formulata dal Decretum di Papa Gelasio I261: infatti le citazioni del Pastore

sono leggermente modificate nella loro sintassi e sembrano piuttosto dei commenti dell'autore finalizzati a una migliore spiegazione dei passi delle Scritture di volta in volta citati su determinati argomenti262; a riguardo segnaliamo il caso di Antioco

nell'Om.74 dove la citazione di Mand.XII,1 viene riportata come proveniente dal libro di Salomone (kaqw;ç kaiv: oJ Solomwvn fhsivn, -seguono passi da Sap.6,12 e Prov.4,1 con brevissime frasi di spiegazione e commento- fhsi;n gavr: e segue il testo di

Mand.XII,1)263.

Nell'VIII secolo Giovanni Damasceno, anch'egli monaco a S. Saba, mostra la stessa

258 Cfr. M. Leutzsch, Hirt des Hermas, p.121

259 Quest'opera è figlia della profonda crisi causata dalle conquiste arabe dal momento che lo stesso Antioco ci spiega le circostanze che ne determinarono la nascita: egli, prima di ritirarsi a S. Saba, era stato monaco nel monastero di Attaline presso Ankara del cui igumeno, Eustazio, era divenuto grande amico; dopo la sua partenza questo monastero venne minacciato dai barbari e i monaci furono costretti a fuggire senza potersi portare dietro qualche copia della Bibbia, perciò Eustazio scrisse ad Antioco chiedendogli di copiare per lui del materiale di argomento religioso per sopperire alle loro necessità e quest'ultimo scrisse così i Pandevkthç. Cfr. P. Odorico, La cultura della Sulloghv…, pp.14-15

260 G. Bardy, Anthiocus, coll.701-702 261 A. Carlini, La tradizione testuale…, p.24 262 G. Dindorf, Athanasii Alexandrini..., p.I

263 Tuttavia è opportuno non soffermarsi troppo su questo punto, sebbene il testo di Antioco abbia ancora molto da svelarci, dal momento che questo necessita di una edizione critica essendo finora noto solo attraverso il testo del Migne (P. G.).

reticenza di Antioco poiché, identificando nei Sacra Parallela le fonti non nominate nei Pandevkthç th'ç aJgivaç grafh'ç, omette di menzionare il Pastore. Un secolo dopo Niceforo nella Sticomentria ribadisce in modo chiaro e preciso l'apocrificità del Pastore aprendo ben quattro secoli di silenzio tradizionale interrotto dalla compilazione nel XIII secolo del Florilegium Patristicum e nel XIV secolo dal codice Athous Griguoriou 96 e dal testimone di tradizione indiretta più importante e autorevole che possediamo: Massimo Planude.

Nella Sunagwghv di Massimo Planude264, composta alla fine del 1300, troviamo quattro compendia a passi del Pastore, facilmente individuabili grazie a un poimhvn a margine

del testo citato265: i passi provengono da Mand.III-Sim.IX (sullo Spirito Santo nel

momento in cui l'uomo lo riceve e lo restituisce a Dio), da Mand.XI (sul vero e il falso profeta), da Sim.II (sull'olmo e la vite come metafora del rapporto tra il ricco e il povero) e da Sim.III-IV (sugli alberi vivi e quelli secchi, simili d'inverno ma ben riconoscibili d'estate perché i secondi non fruttificano, come metafora della distinzione tra giusti e ingiusti nel regno dei cieli).

I quattro compendia sono riportati con poche varianti dai testimoni della Sunagwghv -i codici Laur.59,30 (sec. XIII ex. o XIV in.266), Neap.gr.165 (sec.XIV in), Par.gr.1409

(sec.XIV ex.), Vat.gr.951 (sec.XIV ex.267) e Pal.gr.141 (sec.XIV/XV)- e il loro testo è il

seguente secondo l'edizione proposta da L. Ferroni268:

 o{ti ejlavbomen para; tou' qeou' pneu'ma sw'fron, divkaion,

ejpieikevç, wJç parakataqhvkhn: eja;n ou\n aujto; ajkovlaston ajpodw'men a[dikon kai; qrasuv, tivnoç oujk ejsovmeqa katakrivsewç

264 Quest'opera rientra ampiamente nel genere bizantino delle Sillogi o Florilegia, miscellanee allestite per appagare i bisogni dell'alta cultura bizantina e contenenti la trascrizione di passi significativi dalle opere lette accompagnati da note filologiche o critico-letterarie. Cfr. D. Bianconi, Gregorio Palamas e

oltre…, p.104, P. Odorico, La cultura della Sulloghv…, pp.1-5 in particolare sulla spinta che

l'enciclopedismo bizantino esercitò sulla fabbricazione di raccolte di excerpta.

265 Presente solo sul margine destro del f.240r del codice Vat.Pal.gr.141 e sul margine sinistro del f.60v del codice Neap.gr.165. Cfr. L. Ferroni, Compendia planudea…, p.101

266 La datazione più recente è stata proposta da E. Fryde (The Early Palaeologan..., p.249) mentre I. Pérez-Martìn propone la fine del XIII secolo e identifica lo scriba di questo codice (ff.1r-103v) con quello del Laur.Conv.Soppr.71 (scoli di Manuele Moscopulo a Euripide), del Vat.gr.253 (Aristotele), del Vat.gr.258 (Aristotele), del Cant.add.1732 (Aristotele), del Vat.gr.1950 (Marco Aurelio, Senofonte, Aristotele), ampie porzioni del Vind.phil.gr.21 (Platone) e dell'Ambros.C.235.inf. (Demostene). Questo scriba potrebbe essere identificato con sicurezza con Leone Bardale, allievo di Planude. Cfr. I. PéREZ- MARTÍN, La "escuela de Planudes"..., pp.77-80

267 Datazione proposta da L. Ferroni, per le altre confronta le indicazioni bibliografiche contenute in L. Ferroni, Compendia planudea…, nn.3-6

a[xioi… w{sper ga;r eja;n uJgie;ç dou;ç tw/' gnafei' to; iJmavtiovn sou, kajkei'noç aujto; diarrhvxh/, oujk a]n lavboiç aujto; divca divkhç: ou{tw kai; oJ qeo;ç poihvsei.

 o{ti oJ me;n ejk qeou' profhteuvwn, ou[te uJyoi' eJautovn, ou[te

proedrivaç zhtei', ou[te misqou' profhteuvei: oJ de; yeudoprofhvthç ejk gh'ç lalw'n, tajnantiva touvtwn ejstiv: kajkei'noç me;n e[oike toi'ç ejx oujranou' katiou'sin oi|on calavzh/ h] uJetw/', a} mevcri th'ç gh'ç kavteisi kai; to; eJautw'n e[rgon poiei': ou|toç dev, tw'/ ejk gh'ç eijç oujrano;n livqon h] bevloç ajfievnti, o{per eijç oujrano;n ajnelqei'n oujdamw'ç duvnatai.

 o{ti w{sper hJ a[mpeloç ejpi; devndrou tino;ç ajkavrpou keimevnh

pleivw kai; crhstovteron tovn karpo;n ajpodivdwsin, ejpi; de; gh'ç ejrrimevnh h{ttw kai; saprovteron, ou{tw kai; oiJ plouvsioi: a]n me;n uJpo; th'ç tw'n penhvtwn eujch'ç dia; th'ç eijç aujtou;ç eujpoiivaç uJpereivdwntai, polu;n to;n tou' pneuvmatoç ajpodidovasi karpovn: eij de; mhv, ajcrei'oi givnontai.

 o{ti w{sper ejn tw/' ceimw'ni ta; devndra ajpobeblhkovta ta; fuvlla

o{moiav ejstin ajllhvloiç kai; ouj faivnetai poi'a me;n ta; xhrav, poi'a de; ta; zw'nta, ejn de; tw/' e[ari faivnetai, ou{tw ka]n tw/' aijw'ni touvtw/, ouj faivnontai eujcerw'ç tivneç me;n oiJ divkaioi, tivneç d joiJ mh; toiou'toi: ejn de; th/' ajnastavsei, gnwsqhvsontai.

Per quanto riguarda la storia testuale del Pastore segnaliamo che il primo compendium è di grandissima importanza poiché nella parte sottolineata è tratto da Sim.IX,32,2-5, cioè da una sezione testuale oggi tradita solo dal codice Athous Lavra.K.96 del Florilegium

Patristicum del quale abbiamo in precedenza parlato. Planude con buone probabilità

trasse i passi che gli interessavano da una copia completa del Pastore avente il titolo poimhvn269 -copia che sarebbe poi divenuta l'antigrafo del codice Athous Gregoriou 96- e

la sua testimonianza mostra “un inatteso riaffiorare dell'interesse per Erma come testo religioso (provato dalla collocazione dei compendia dal poimhvn immediatamente accanto a brani tratti da Basilio) proprio nei secoli in cui la condanna da parte della Chiesa l'aveva costretto a procedere carsicamente attraverso una cultura che però,

269Poimhvn è infatti il titolo riportato dal Codex Sinaiticus e dal codice Athous; la versione latina Vulgata ha Liber pastoris nuntii paenitentiae e la versione Palatina Liber sancti pastoris. Solo il P. Bodmer 38 si differenzia poiché riporta i titoli delle Visioni: o{rasiç aV, bV, gV, dV.

evidentemente, non era riuscita a dimenticarlo270”.

Se in Oriente il Pastore incappò in una fase di silenzio e oblio dal IX al XIII secolo, in Occidente invece fu immensa la fortuna incontrata dalle due versioni latine -soprattutto la Vulgata- e grande la sua influenza sulla letteratura medievale: riprendendo l'analisi delle testimonianze dal VI secolo dobbiamo menzionare una citazione da Sim.IX,15,2 nella Vita Sanctae Genovefae (Vita S. G. IV,15) e una parafrasi della II Similitudine nelle

Homiliae in Evangelia di Gregorio Magno (Hom.XX.I,12-13).

In epoca più recente C. G. Jung, fissando alla base del moderno individualismo il culto della Donna mediante il quale l'anima dell'uomo è stata notevolmente rinforzata quale fattore psicologico (come afferma per esempio Dante per bocca di S. Bernardo in

Par.XXXIII e in particolare nei vv.4-5: Tu se' colei che l'umana natura/ nobilitasti),

individuò più chiari indizi di questo culto della donna come culto dell'anima nel Pastore e in particolare in Vis.I,1,1-8 dove Erma inizia a ricevere le visioni in conseguenza dei suoi peccati di brama sessuale; il conseguente rimorso è interpretato come atto di autocensura proiettato in un contesto celestiale (quale il background cristiano poteva facilmente ispirare) a causa del libero sfogo dato a pulsioni erotiche represse e avvertite come peccaminose. La trasformazione di Rode, oggetto del desiderio, nella divina signora avrebbe privato questa del suo fascino suscitatore di passioni riconducendo Erma all'imperio della legge cristiana e ai suoi compiti in seno alla comunità attraverso l'adempimento dei quali avrebbe potuto facilmente fare ammenda dei propri peccati; alla perdita dell'elemento erotico della donna contribuisce la sua apparizione nei panni di anziana che ringiovanisce al diminuire progressivo dell'attrazione sessuale271. E. R.

Curtius dal canto suo vide nell'apparizione della donna vecchia-giovane del Pastore una delle prime immagini cristiane di un tema già presente nella letteratura pagana (basti vedere per esempio le personificazioni della Discordia in Iliade IV,442-443 e della Fama in Eneide IV,177 e, secoli dopo il Pastore, anche le immagini create da Claudiano della Dea Roma ormai vecchia ma ringiovanita da Giove, De bello Gildonico I,17-212, e della Natura vecchia ma giovanilmente bella, De consulatu Stilichonis II,431 ss.)272. T.

Bogdanos vide una relazione tra l'apparizione della Donna-Chiesa in Erma e quella della Filosofia in Boezio (De Consolatione Philosophiae), della Natura in Alano di Lille

270 L. Ferroni, Compendia planudea…, p.109 271 C. G. Jung, Tipi psicologici, pp.226-230

(Planctus Naturae) e della Santa Chiesa in William Langland (The vision of Piers

Plowman)273, per quanto l'esempio riportato nel caso di Boezio (Cons.I,1,1) sembri

richiamarsi più alle classiche teofanie pagane, quali a esempio quella di Venere nel II libro dell'Eneide, che a una immagine cristiana; nulla invece induce a escludere un richiamo al Pastore nelle altre due opere poiché, come vedremo, questo ebbe grandissima fortuna in Occidente e in particolare in Francia e Gran Bretagna dove la versione Vulgata venne addirittura copiata di seguito ai testi sacri, quali i codici

Sangermanensis (Par.lat.11553) del sec.IX e Bodl.Auct.D.5.12 del sec.XIII, mentre la Palatina ci è nota solo da due fogli molto rovinati di un codice del sec.VIII conservato

nella Universitätsbibliothek di Düsseldorf (codice Kl.C.118274) e da due codici

“fratelli275” del XV secolo: il Vat.Pal.lat.150 (ff.94-181) e il Vat.Urb.lat.486 (ff.69v.-

130).

Nel XIX secolo infine ricorre per ben due volte nella storia della tradizione del Pastore il famoso falsario Costantino Simonides: una sua prima comparsa fu nel 1859 ed è legata al codice Athous Grigoriou 96 e gli costò l'arresto in quanto, qualche settimana dopo la pubblicazione da parte di Anger e Dindorf dell'edizione completa del Pastore, fu scoperta la sua falsificazione della parte finale del testo di Erma mediante una retroversione dal latino276; solo un conflitto di competenze giuridiche tra il Granducato

di Sassonia e il Regno di Prussia (un uomo con mandato di arresto a Lipsia non poteva

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