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La fotografia negli studi di Franz Boas.

STORIOGRAFIA ESSENZIALE SULL’ANTROPOLOGIA VISUALE Introduzione

II.IV La fotografia negli studi di Franz Boas.

Franz Boas nacque nel 1858 in Germania da una famiglia ebrea di idee liberali. Questa condizione lo rese particolarmente sensibile alle tematiche riguardanti il razzismo che lo costrinsero a essere oggetto di vessazioni antisemite da parte di alcuni colleghi di studio all'università.

La sua preparazione accademica fu varia: in un primo momento si dedicò alla fisica, poi alla matematica, infine alla geografia. Proprio quest'ultima lo condusse indirettamente agli studi antropologici. Nel 1883 partì per una spedizione scientifica presso gli eschimesi della terra di Baffin con lo scopo di analizzare gli effetti dell'ambiente fisico sulla società locale. Boas fece ritorno in

Simone Ligas, Teorie, interpretazioni e metodi dell’antropologia visuale,

Tesi di dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali, Università degli studi di Sassari 57

Germania con la ferma convinzione che fosse la cultura e non l'ambiente a determinare le dinamiche sociali del popolo eschimese; da tale considerazione decise di dedicarsi all'antropologia. Nel 1886 partì per un altro viaggio nell'America Settentrionale, recandosi assieme al linguista inglese Horatio Hale nella Columbia Britannica, per compiere uno studio etnografico sui nativi della costa nord-occidentale. Nel corso di questi studi analizzò da vicino i Kwakiutl, i Chinook ed i Tsimshian. Nel 1887 decise di stabilirsi negli Stati Uniti, dove divenne docente alla Columbia University per più di quarant'anni e curatore dell'American Museum of Natural History. Boas fu il maestro di un'intera generazione di famosi antropologi tra cui Ruth Benedict e Margaret Mead. Quando Horatio Hale, linguista inglese, lo reclutò per la spedizione organizzata dal Bureau of American Ethnology sulla costa canadese del Pacifico, non poteva immaginare che la sua scelta avrebbe avuto enormi ripercussioni nel campo antropologico internazionale. Egli osteggiò fermamente le teorie evoluzionistiche; avanzò la concezione secondo la quale un fenomeno poteva essere compreso solo in relazione alla cultura complessiva di appartenenza evidenziandone le cause storiche poste alla base del suo sviluppo; da qui la definizione di tale teoria di particolarismo storico.

Oltre a questo innovativo apporto teorico Boas fornirà agli studiosi che verranno dopo di lui, un nuovo approccio metodologico alla ricerca. Già dalla sua prima spedizione, infatti, grazie alla collaborazione con Hermann Vogel, dal quale apprese le tecniche per utilizzare la macchina da ripresa e quelle necessarie allo sviluppo dei negativi, documentò accuratamente le sue ricerche con le fotografie.

Tale documentazione venne ampliata nelle spedizioni successive, anche se, dal 1904 abbandonò definitivamente la pratica della fotografia. Facendo riferimento alle riflessioni metodologiche, fu il primo che si rese conto che le immagini raccolte sul campo non costituivano documenti oggettivi, essendo frutto di un’azione mediata da un soggetto appartenente ad una cultura differente da quella documentata; la fotografia in quanto descrizione risultava, di fatto, un’operazione semiotica e quindi essa stessa risultava un’interpretazione. La scelta di Boas di non produrre più materiale fotografico fu una decisione importante. Non introdusse mai in nessuna delle sue opere teoriche le fotografie prodotte prima del 1904.

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Tesi di dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali, Università degli studi di Sassari 58

Successivamnete, tuttavia, l’incontro con il fotografo O. C. Hastings29 convinse Boas ad avvicinarsi di nuovo al sistema di documentazione per immagini. Inoltre, lo impiegò nella documentazione sui Kwakiutl, teorizzando persino l’impiego di fotografi professionisti per realizzare le immagini; tuttavia egli era consapevole che non tutte le fotografie avessero un valore etnografico, in quanto, come si è già accennato, essendo la fotografia, in tutti i casi, l’esito di un’interpretazione, con le immagini si poteva rischiare di proporre informazioni inesatte e devianti rispetto al reale senso della realtà fotografata.

L’intensa attività fotografica di Boas dipese principalmente dai suoi interessi museali; le fotografie avevano per lui un ruolo centrale nella preparazione degli allestimenti; erano utilizzate come appunti ai quali fare riferimento per l’esposizione degli oggetti e per ricostruire situazioni realistiche. Vengono così giustificate le numerose fotografie realizzate su sfondo neutro; in questo modo Boas isolava i soggetti dal contesto, secondo i suoi orientamenti particolaristici che gli consentivano di astrarre singoli tratti comportamentali dal loro normale contesto, al fine di registrarli e analizzarli.

Secondo i criteri metodologici boasiani quindi, un dato iconico o filmico doveva essere prodotto e poi studiato indipendentemente dal contesto di teorie prestabilite. Tali elementi, pertanto, dovevano essere portati fuori dagli schemi teorici e considerati come dati singoli. In questo modo era possibile concentrarsi su tutti i dettagli, anche i più piccoli ed insignificanti, senza rischiare di non identificarli per via di impostazioni a priori. Questa metodologia di indagine delle immagini riflette dunque l’impostazione particolarista teorizzata da Boas.

In alcune opere egli incluse numerose fotografie e, in molti casi, queste rappresentavano essenzialmente un’integrazione al testo scritto. Oltre che arricchire e completare la narrazione, le fotografie, secondo Boas, permettevano di raggiungere un pubblico più vasto. Erano quindi un veicolo insostituibile di diffusione delle informazioni e della conoscenza.

L’unica attestazione dell’impiego della cinepresa da parte di Boas si ebbe nel 1930 durante la sua ultima spedizione tra gli Kwakiutl. L’antropologo, in questa occasione, preferì una 16 mm a una 35mm, ritenendola più maneggevole e più “facile” da usare; portò con sé anche un fonografo a rulli di cera, forse con l’intenzione, in un secondo momento, di sincronizzare la pellicola al sonoro.

29 Oregon Columbus Hastings fu insieme a Stephen Allen Spencer uno dei più attivi fotografi professionisti dell’area

della Costa del Nord Ovest. Il loro sodalizio diede luogo allo studio fotografico Spencer & Hastings attivo per alcuni anni fra il 1882 e il 1889 a Victoria, in Canada.Cfr. Camera Workers: The British Columbia, Alaska & Yukon Photographic Directory, 1858-1950 - S - Volume 1 (1858-1900). sito internet www.members.shaw.ca/bchistorian/cw1- s-names.html visitato il 28 febbraio 2009

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Il materiale prodotto venne depositato all’Università di Washington e montato 30 anni dopo per la realizzazione di un documentario.

Nelle scene si può notare come l’antropologo desse meno importanza al documentario: la cura delle inquadrature e degli scenari risulta inesistente rispetto a quella impiegata nella fotografia. Possiamo così intuire che le sequenze furono girate esclusivamente “in funzione della ricerca” e non per uno scopo divulgativo. Ulteriore dimostrazione ne sono la decontestualizzazione e la messa in scena delle attività da documentare. L’azione filmata veniva inserita volutamente in una dimensione a- spaziale e a-temporale. Esempio lampante di questo metodo è la messa in scena di una sequenza che rappresenta due capi Kwakiutl nell’atto di discutere. In pratica l’antropologo ricreò le scene utilizzando il metodo della fiction, riproducendole al di fuori del loro contesto con l’unico scopo di studiarne le caratteristiche, quali la gestualità, la comunicazione non verbale e il linguaggio prossemico.

Se possiamo notare che la necessità di riprodurre le scene di giorno, anziché di notte come nella realtà, sia legata ai limiti del mezzo tecnico, bisogna anche sottolineare, però, che un tale utilizzo della fiction poteva portare a variare il significato della scena stessa. Era possibile, infatti, che i protagonisti non provassero un’identica condizione psicologica come quella della vita reale durante la riproduzione della scena o che si sentissero in dovere di non mostrare determinati aspetti, ritenuti più intimi. della cerimonia rappresentata per la documentazione cinematografica. È evidente come in questo periodo ci si trovi davanti alla sperimentazione di un’antropologia visuale non ancora definita che non ha avuto una teorizzazione sull’approccio verso la realtà osservata. Tuttavia il lavoro svolto da Boas diede al documentario e alla fotografia un riconoscimento ufficiale e una piena legittimazione in ambito scientifico.