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Fra stato di necessità ed (illecito) intervento economico: il terzo

“Bail Out” della Grecia

PASQUALE DE SENA (*)eMASSIMO STARITA (φ)

1. Le conclusioni del vertice dei capi di governo dell’area eu- ro del 12 luglio scorso sulla richiesta greca di sostegno finanzia- rio europeo, a seguito del referendum di domenica 5 luglio, sono note a tutti. Forse meno note, ma facilmente accessibili, sono le informazioni relative ai due seguiti principali di tale vertice: a) la decisione del Consiglio dell’Unione europea, del 17 luglio, con cui si è disposta la concessione di un prestito “ponte” di 7 miliardi di euro (dando mandato alla Commissione, di concor- darne con la Grecia “the specific economic policy conditions”: art. 2), sulla base del programma predisposto dalle Autorità gre- che (art. 3 della decisione), ed al fine di consentire di onorare gli impegni di queste ultime con il Fondo monetario internazionale e la Banca centrale europea b) la decisione del Consiglio dei go- vernatori del MES, del medesimo giorno, con la quale si stabili- sce di sostenere, in principio, la stabilità finanziaria greca, nella forma di un programma di prestito e sul presupposto di un Memorandum of Understanding (MoU), destinato ad essere negoziato dalla Grecia con le tre istituzioni a ciò preposte [la “troika”, formata dalla Banca centrale europea (BCE), dalla Commissione europea (CE) e dal Fondo monetario internaziona- le].

Le vicende cui si è appena fatto riferimento non potevano non riaccendere il dibattito sulla crisi greca, nel quadro più am-

(*) Università Cattolica di Milano. (φ) Università di Palermo.

pio delle prospettive di sviluppo dell’Unione monetaria nella sua attuale configurazione; prospettive, queste ultime, drammatica- mente messe in discussione dall’eventualità – mai così concreta prima d’ora – di una fuoruscita della Grecia dall’area euro. Su tale dibattito, che ha occupato le prime pagine dei principali quo- tidiani del mondo per tutto il mese di luglio (per una rassegna, v. questo link), non è possibile, né opportuno, soffermarsi in una sede come questa. Due aspetti, da esso posti in luce, meritano tuttavia di essere richiamati. Ci riferiamo, da una parte, alla que- stione della insostenibilità del debito greco, alla luce delle con- dizioni generali del Paese; e, d’altra parte, alla intrusività, nella sovranità della Grecia, delle misure richieste – nelle concitate fa- si di svolgimento del vertice del 12 luglio – in cambio della cor- responsione dei finanziamenti necessari. Sull’ insostenibilità del debito greco nel corso dei prossimi anni e sull’inadeguatezza delle proposte europee, si è pronunciato, com’è noto, il Fondo monetario, sia tramite un Country Report (distribuito, con uno specifico allegato del 26 giugno, all’Executive Board del Fondo stesso il 10 luglio, e ai Ministri delle finanze dell’area euro, il giorno successivo: per le reazioni in ambito europeo, v. anche qui ), sia tramite un’intervista rilasciata dalla sua “managing di- rector”, Christine Lagarde, il 17 luglio, sia nel contesto dei negoziati attualmente in corso ad Atene (v. anche qui); è poi appena il caso di aggiungere che l’opinione espressa, l’8 luglio scorso, dal Segretario statunitense al Tesoro è, anch’essa, perfet- tamente in linea con queste prese di posizione. Quan- to all’intrusività delle misure richieste al Governo greco – anzi- tutto sotto il profilo della “sovranità fiscale” – è sufficiente qui riferirsi ad una intervista recentemente rilasciata dallo stesso Presidente della CE (in cui l’intrusività di tali misure è indiret- tamente – ma assai chiaramente – riconosciuta: v. infra, par. 4), nonché all’orientamento generale della discussione, svoltasi, an- cora una volta, su alcune delle principali testate giornalistiche in- ternazionali; discussione, quest’ultima, nell’ambito della quale si è più volte adombrata l’ipotesi (v., ad es., qui, qui, qui e qui) che il terzo “bail out” si sia tradotto, in realtà, nell’istituzione di una sorta di “protettorato” economico europeo sulla Grecia.

Ci sembra che entrambi i profili in questione – al di là delle loro complessità tecniche, e delle semplificazioni cui, proprio perciò, possono dar luogo – si prestino a qualche breve conside- razione di carattere giuridico-internazionalistico. In altre parole, la questione della insostenibilità del debito estero greco spinge a

svolgere qualche riflessione sulla prospettiva che la figura del- lo stato di necessità si trovi ad essere invocata, alla luce delle condizioni generali del Paese, in relazione ad un possibile (se non probabile), ulteriore inadempimento degli obblighi di resti- tuzione del suddetto debito, specificamente derivanti dagli ultimi finanziamenti deliberati in sede europea (paragrafi 2 e 3). Inoltre, l’intrusività delle condizioni poste alla Grecia, e le stes- se modalità del relativo processo di determinazione, richiedono, anch’esse, qualche riflessione sulla loro idoneità ad essere quali- ficate come un’interferenza internazionalmente illecita negli af- fari interni della Grecia (par. 4).

2. Una prima questione che si pone, nel considerare la pro- spettiva del ricorso alla figura dello stato di necessità, al fine di giustificare l’eventuale, ulteriore inadempimento di obblighi in- ternazionali derivanti dall’enorme debito greco, concerne il fo- ro in cui una simile causa di giustificazione potrebbe esser fatta valere. Al riguardo è facile rispondere che tale foro non potrebbe che essere la Corte di giustizia dell’Unione europea, sia con rife- rimento al prestito “ponte”, disposto dalla decisione del Consi- glio dell’Unione del 17 luglio scorso, sia con riferimento alla de- cisione adottata, in pari data, dal Consiglio dei Governatori del MES (v. supra per entrambe). Nel caso del prestito “ponte”, ve- nendo in rilievo una decisione del Consiglio dell’Unione euro- pea, presa ai sensi dell’art. 122, c. 2, TFUE, l’eventuale inosser- vanza greca delle condizioni ivi fissate (e destinate a ricevere specificazione in un successivo MoU, nonché in un Loan Facili-

ty agreement) potrebbe dar luogo a una procedura d’infrazione,

su iniziativa della Commissione o degli Stati membri (art. 258 TFUE). Pur non rientrando, invece, la decisione del Consiglio dei Governatori del MES nel diritto dell’Unione, la controversia nascente dalla eventuale, mancata restituzione dei finanziamenti erogati su questa base, ricadrebbe ugualmente nella competenza della Corte di giustizia, che deve pronunciarsi, in ultima istanza, ai sensi dell’articolo 37, c. 3 del Trattato istitutivo del MES – sull’applicazione e sull’interpretazione di quest’ultimo – nel caso in cui una decisione resa dal Consiglio dei governatori del MES sia oggetto di contestazione (art. 37, c. 2).

In modo ugualmente positivo può anche rispondersi alla que- stione se i principi di diritto internazionale in tema di stato di ne- cessità siano destinati a trovare applicazione, da parte della Corte di giustizia, in entrambi i casi tracciati. A parte l’ovvia constata- zione per cui il diritto internazionale, ivi compreso il diritto in-

ternazionale generale, vincola l’Unione (art. 5 TUE e, nella giu- risprudenza della Corte di giustizia, ad es.: Air Transport Asso- ciation, punto 101; Racke, punti 45 e 46; Poulsen e Diva Naviga- tion, punti 9 e 10), non ci pare – per quanto attiene al primo dei due casi in esame – che vi siano motivi per ritenere che l’applicazione dei principi in oggetto possa rivelarsi incompatibi- le con i meccanismi (di fondo) di funzionamento dell’Unione eu- ropea [la necessità era stata ricostruita come “principio generale del diritto pubblico”, da P. Lagrange, nelle conclusioni relative alla causa 7/61, Commissione c. Italia, nel cui ambito la stessa Commissione riconobbe, in principio, l’operatività dello stato di necessità nel diritto comunitario (ivi, p. 636), peraltro – giusta- mente – ritenuto inapplicabile nel caso concreto: sul punto, v. anche Gradoni, p. 227 s., cui si deve questa segnalazione]. Nes- sun ostacolo si frappone, poi, ad una simile prospettiva, neppure nel secondo caso, tanto più se si considera che il Trattato istituti- vo del MES è un trattato internazionale, seppure concluso fra gli Stati membri dell’Unione dell’area euro, sulla base dell’articolo 136 TFUE (secondo considerando del preambolo di detto Tratta- to; in generale, v. anche la decisione Pringle).

3. Ciò premesso, su quali presupposti, ed entro quali limiti, potrebbe farsi valere lo stato di necessità, da parte greca, richia- mandosi – alla luce delle condizioni generali del Paese – all’insostenibilità del debito, ora riconosciuta dallo stesso Fondo monetario internazionale? A questo proposito viene in rilievo la disciplina internazionalistica, ricavabile, non solo dall’articolo 25 del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati del 2001, ma anche da qualche sviluppo successivo. Secondo il sud- detto articolo, fermo restando che lo stato di necessità non può essere invocato nell’ipotesi in cui esso implichi la violazione di norme di jus cogens, tre sono le condizioni necessarie per farlo valere: 1) che non vi sia altro mezzo per proteggere un interesse essenziale da un pericolo grave ed imminente; 2) che non si pregiudichi così un interesse essenziale dello Stato o degli Sta- ti nei confronti dei quali l’obbligo esista, ovvero della comunità internazionale nel suo complesso; 3) che lo Stato che lo invo- chi non abbia contribuito a creare la situazione di necessità.

Quanto alla prima delle condizioni qui sopra indicate, è suf- ficiente ricordare quel che si è verificato con riferimento alla rata di pagamento del debito greco nei confronti del FMI, in scadenza nel giugno scorso; rata che il governo greco aveva dichiarato, già in maggio, di non poter pagare, a fronte dell’esigenza primaria di

corrispondere stipendi e pensioni (per bocca del suo Ministro degli interni; v. anche qui), ed in mancanza di sostegno esterno. Sarebbe insomma piuttosto difficile che una simile situazio- ne, chiaramente configurabile come stato di necessità, … cambi di natura, ove essa dovesse riproporsi, nel prossimo futuro, rela- tivamente agli obblighi di restituzione, appena assunti nei con- fronti dell’Unione e in corso di assunzione nei confronti del MES; e questo, tanto più alla luce delle chiare previsioni operate dal Fondo, in assenza di prospettive di riduzione (o, perlomeno, di allungamento) del debito complessivo della Grecia.

Altrettanto difficile ci pare poi affermare che, invocando lo stato di necessità, la Grecia sia in grado di pregiudicare tout

court gli interessi essenziali dei soggetti nei confronti dei quali

gli obblighi di restituzione sono diretti; soggetti, questi ultimi, che, in entrambi i casi qui considerati, perlome- no direttamente e formalmente, neppure sarebbero Stati, ma, piuttosto, l’Unione e il MES (sul configurarsi di quest’ultimo come organizzazione internazionale, v. Cafaro in Vellano e Adi- nolfi). Fermo restando che la valutazione in questione dipen- de dall’entità effettiva dell’eventuale inadempimento, oltre che da una serie di circostanze non pre-determinabili in astratto (ad es.: situazione economica internazionale, situazione economica degli Stati della zona euro, in rapporto alla loro esposizione con il MES, ecc.), non riteniamo che tale valutazione sia destinata a risolversi, in ipotesi, in un esito necessariamente negativo per la Grecia, ove il suddetto inadempimento riguardasse i 7 miliardi del “prestito ponte” a carico dell’Unione, e/o i 50 (previsti) a ca- rico del MES (v. qui). Basti solo richiamare, a tacer d’altro (ci riferiamo all’ampio dibattito sulla reale destinazio- ne dei 237 miliardi di euro sinora concessi alla Grecia, per il quale si vedano, ad es.: Blanchard, Mouzakis, Zingales, Zezza), la ridotta entità del prestito ponte, vista in rapporto al bilancio complessivo dell’Unione (su cui esso grava: v. qui per il 2015), nonché in rapporto agli obblighi di rimborso a carico degli Stati dell’area euro nei confronti degli Stati “non-euro” (punto 9 del preambolo della decisione 2015/1181, cit. supra); ed ancora, la (s)proporzione fra il finanziamento MES e la capacità comples- siva di prestito di quest’ultimo (455 miliardi di euro), ovvero il suo complessivo stock di capitale (709 miliardi di euro).

Problemi più delicati sono viceversa destinati a porsi con ri- ferimento alla terza condizione enunciata nell’articolo 25, in ba- se alla quale la Grecia, al fine di invocare lo stato di necessità,

dovrebbe dimostrare di non aver contribuito a provocarlo. E’ fa- cile osservare, infatti, che lo stesso Fondo monetario, nei due do- cumenti citati poco sopra, tende ad imputare la prospettiva dell’insostenibilità del debito greco, per gli anni a venire, proprio all’azione complessiva del Governo Tsipras; ed è altrettanto faci- le rilevare che il medesimo orientamento traspare chiaramente dagli esiti del vertice del 12 luglio scorso (supra), se si conside- ra il rigore delle condizioni poste alla Grecia per la concessione dei finanziamenti da questa richiesti.

Malgrado quanto precede, non ci sembra che la possibilità d’invocare lo stato di necessità, per giustificare l’eventuale ina- dempimento degli obblighi di restituzione recentemente assunti dalla Grecia, sia da ritenersi completamente preclusa; al contra- rio, in favore di questa possibilità possono citarsi (perlomeno) tre circostanze. In primo luogo, va qui ricordato che, da più parti, si tende oramai a ritenere che la condizione in esame andrebbe su- perata con riferimento a crisi di carattere economico, giacché, al- trimenti, essa finirebbe per rendere del tutto inoperante il princi- pio dello stato di necessità in tali situazioni. E’ pressoché impos- sibile, infatti, che simili crisi non siano imputabi- li anche all’azione dello Stato che invochi, per l’appunto, uno stato di necessità (Tomuschat, Waibel, Pustorino).

Siffatto orientamento – e veniamo così al- la seconda circostanza – oltre a ricollegarsi a una pronuncia resa nel 2006 da un Tribunale arbitrale ICSID, nel caso LG&E Ener- gy Corp., LG&E Capital Corp., and LG&E International, Inc .v. Argentine Republic, in cui si riconobbe – con una certa larghezza – il ricorrere dello stato di necessità relativamente al “default” argentino del 2001 (par. 245 ss., spec., paragrafi 256 e 257), sembra poi trovare ulteriore conferma, perlomeno in una delle due decisioni, con le quali due Comitati ad-hoc, ugualmente co- stituiti in sede ICSID, hanno annullato, nel 2010, le senten- ze Enron e Sempra (per le sentenze annullate, v. qui e qui). Nella decisione sul caso Sempra l’annullamento è avvenuto infatti sul presupposto che la disciplina consuetudinaria in tema di stato di necessità non fosse sovrapponibile a quella relativa allo stato d’emergenza, dettata dall’art. XI del BIT rilevante; e ciò, in ra- gione della (evidente) maggiore ampiezza della seconda rispetto alla prima – erroneamente ritenuta prevalente nella sentenza

originaria – e per l’esigenza di applicare proprio la seconda alla

controversia oggetto del giudizio (paragrafi 208-219; v. an- che Savarese).

Last, but not least, la plausibilità dell’eventuale ricorso allo

stato di necessità deriva dalle caratteristiche della situazione complessiva in cui potrebbe ritrovarsi la Grecia, malgrado il ter- zo “bail out” (o, forse, proprio in ragione delle condizioni cui es- so è subordinato!). E’ piuttosto chiaro che l’insostenibilità del debito – preconizzata dal Fondo monetario ed imputata al Go- verno Tsipras – non potrebbe che inquadrarsi in una continua- zione della gravissima recessione, in atto fin dal 2010, i cui drammatici risvolti sociali sono stati certificati, nel 2014, anche in uno specifico rapporto dell’esperto indipendente del Consiglio dei diritti umani sugli effetti del debito esterno. Ci pare allora as- sai difficile ipotizzare che l’azione condotta negli ultimi mesi dal Governo greco – indipendentemente dai suoi effetti sul piano specifico della futura sostenibilità del debito (a proposito dei quali, si v., peraltro, l’opinione fortemente critica di Krugman rispetto alla posizione del Fondo monetario) – costi- tuisca un contributo determinante ad un probabile peggioramento della suddetta recessione; tale, cioè, da causare essa stessa un inadempimento degli obblighi di restituzione incombenti sulla Grecia. Riguardo a una simile prospettiva, ci sembra piuttosto che il contributo recente, da parte greca, alla terribile crisi del Paese – if any – sarebbe semmai qualificabile, secondo le parole usate dalla stessa Commissione del diritto internazionale nel commento all’articolo 25 del Progetto 2001, come “incidental or peripheral” (par. 20); dunque, come inidoneoa precludere il ri- corso allo stato di necessità, anche ai sensi di questa disposizio- ne. Ferme restando le pesanti responsabilità dei governi greci del primo decennio degli anni 2000 in ordine alle violazioni del Pat- to di stabilità e crescita verificatesi in quel perio- do (responsabilità apertamente riconosciute dal Primo mini- stro Papandreounell’ottobre 2009, e condivise con alcune banche internazionali), è fin troppo agevole sottolineare, infatti, che la crisi recessiva, e i suoi drammatici effetti sociali, so- no riconducibili in larghissima misura alle politiche di austeri- tà, praticate nel corso degli ultimi anni, in omaggio alle condi- zioni poste per i primi due “bail out”. Tale circostanza emerge, in termini inequivoci, dal rapporto di Cephas Lumina poc’anzi citato, ed è stata riconosciuta dallo stesso Fondo monetario, in un noto rapporto del giugno 2013 (adde, ancora, Krugman). Né al- cun elemento di continuità rispetto alle persistenti violazioni di norme europee poco sopra accennate potrebbe ravvisarsi nelle politiche recenti del governo greco; basti solo pensare che le mi-

sure di austerità adottate a fronte dei due “bail out” precedenti sono state concretamente messe in opera dai governi succedutisi fra il 2011 e il 2014, i quali hanno uniformato i loro comporta- menti alle condizioni poste dai creditori (v. ancora la circostan- ziata ricostruzione operata da Cephas Lumina – paragrafi 17-39 – nonché qui); e basti infine aggiungere che il governo Tsipras era stato eletto col mandato di superare tali politiche, proprio at- traverso il tentativo di ottenere una rinegoziazione del debito esterno greco, ritenuto in grado di pregiudicare qualsiasi prospet- tiva di sviluppo del Paese, in un’ottica simile a quella adottata poi dallo stesso Fondo monetario (!), come si è più volte fatto ri- levare.

Nell’ipotesi in cui un ricorso allo stato di necessità dovesse effettivamente verificarsi, ci sembra allora che il contributo dato dal Governo greco nel corso del 2015 all’aggravamento della si- tuazione recessiva – ripetiamo, if any – potrebbe semmai rilevare “al fine di accrescere in misura corrispondente […] l’indennizzo previsto dall’articolo 26 del progetto della Commissione del di- ritto internazionale” (Pustorino, cit., supra, p. 423); indennizzo, quest’ultimo, stabilito con generale riferimento alle cause di esclusione dell’illecito. Ove una scelta del genere dovesse esser fatta dalla Grecia, ci pare poi che, proprio alla luce dei profili di coincidenza della posizione greca con quella del Fondo moneta- rio, essa (scelta) potrebbe essere concordata, perlomeno sul pia-

no quantitativo, col Fondo stesso e/o con gli altri soggetti credi-

tori. In questo modo, tale scelta, non solo si porrebbe in linea con l’esigenza di attenuare l’inevitabile unilateralismo insito nel mo- do di operare dello stato di necessità (sulla quale, v. par. 15 del commento all’art. 25 del Progetto sulla responsabilità degli Sta- ti), ma consentirebbe, a ben vedere, anche di aggirare gli ostacoli di carattere formale, fatti valere nel corso del negoziato, dal punto di vista del diritto dell’Unione europea, rispetto alla prospettiva di un’eventuale ristrutturazione del debi- to. Indipendentemente dalla questione se l’articolo 125 del TFUE consenta una ristrutturazione del debito di un Paese mem- bro (su cui, v. ad es., Gerner-Beuerle e McDonnell, in Rossi e Casolari; relativamente alla prassi del “bail out”, v., invece, già Tosato), la scelta di ricorrere allo stato di necessità potrebbe, insomma, condurre de facto a tale risultato, ove essa fosse, per l’appunto, previamente concertata, perlomeno sul piano quanti-

tativo, “with other states or through international organizations”

4. Passiamo ora a considerare se il comportamento tenu- to dagli Stati della zona euro nel corso della crisi del debito gre- co e, in particolare, nel corso della sua fase più recente, costitui- sca una forma d’intervento economico vietata dall’ordinamento internazionale. Più esattamente: si può pensare che, dal punto di vista dell’ordinamento internazionale, le condizioni poste alla Grecia da questi Stati nell’ambito di riunioni del cd. vertice dell’area euro (o, in certi casi, dalla Commissione per conto de- gli Stati stessi) siano idonee a violarne la sovranità economica ovvero, se si preferisce, a violare il diritto all’autodeterminazione del popolo greco (purché si intenda quest’ultima, come si suol dire, in senso negativo o “enfatico”)?

Al riguardo desta un certo interesse il fatto che in un’intervista rilasciata lo scorso 22 luglio ad alcuni giornali, il Presidente della CE, Juncker, abbia affermato che le proposte ul- timative di accordo fatte alla Grecia tenevano conto della neces- sità di “lasciare a questa grande nazione uno spazio di autode-