• Non ci sono risultati.

La prudenza non è mai troppa? La Corte di giustizia e il divieto d

donazione di sangue per gli

omosessuali

ANGELO SCHILLACI (*)

Con la decisione in commento (29 aprile 2015, Léger c. Mi- nistre des Affaires sociales, de la Santé et des Droits des femmes e Ètablissement français su sang, in causa C-528/13) la Corte di Giustizia dell’Unione europea, adita con rinvio pregiudiziale di interpretazione dal Tribunal Administratif di Strasburgo, si pro- nuncia sulla portata dell’all. III, punto 2.1, della Direttiva 2004/33/CE, che applica la Direttiva 2002/98/CE, relativa a ta- luni requisiti tecnici del sangue e degli emocomponenti, in rela- zione al rifiuto del Centro Ematologico Francese di accettare la donazione di sangue del sig. Geoffrey Léger, per avere questi avuto una relazione sessuale con un altro uomo.

Il punto 2.1 dell’All. III della Direttiva del 2004 enuncia, in particolare, i criteri sulla base dei quali stabilire un’esclusione permanente dalla possibilità di donare il sangue, inserendo tra le persone non ammesse coloro i quali, per i propri «comportamen- ti sessuali», possano essere esposti ad un «alto rischio» di con- trarre gravi malattie infettive trasmissibili col sangue.

In attuazione della suddetta direttiva, il Ministro della Salute

francese aveva adottato il decreto del 12 gennaio 2009che, nel determinare i requisiti di ammissione ed esclusione dalla possibi- lità di donare il sangue, individuava una controindicazione per- manente – con conseguente esclusione dalla donazione – per «l’uomo che abbia avuto rapporti sessuali con un altro uomo», indipendentemente da ogni considerazione circa la distanza tem- porale tra la data del comportamento sessuale e la data della do- nazione.

In applicazione di tale decreto, le autorità sanitarie francesi rifiutavano la richiesta di donare formulata dal Sig. Léger, che aveva dichiarato – contestualmente alla richiesta di accedere alla donazione di sangue – di aver avuto una relazione sessuale con un altro uomo. Il Sig. Léger impugnava tale rifiuto dinanzi al Tribunale amministrativo di Strasburgo che, a sua volta, solleva- va rinvio pregiudiziale per ottenere dalla Corte di giustizia un chiarimento in relazione alla portata del punto 2.1 dell’All. III della Direttiva, con specifico riguardo alla compatibilità con la sua formulazione dell’individuazione di una «controindicazione permanente» alla donazione di sangue per gli uomini che hanno relazioni sessuali con altri uomini (d’ora in poi, MSM). La que- stione pregiudiziale veniva peraltro formulata in termini alterna- tivi: il giudice, infatti, chiede di sapere – in prima battuta – se l’esclusione permanente appaia compatibile con la direttiva, op- pure se la circostanza di aver avuto rapporti sessuali con un altro uomo «possa semplicemente costituire, in funzione delle circo-

stanze proprie del caso concreto, un comportamento sessuale che espone al rischio di contrarre gravi malattie infettive tra- smissibili col sangue e che giustifica un’esclusione temporanea dalla donazione di sangue per un determinato periodo di tempo dopo la cessazione del comportamento a rischio».

La decisione della Corte – che come vedremo non esclude, ma neanche afferma oltre ogni ragionevole dubbio, la compatibi- lità tra l’esclusione permanente dei MSM e la Direttiva – presen- ta molteplici profili di interesse, sia sul piano dei rapporti tra or- dinamento dell’Unione e ordinamento nazionale – con riferimen- to specifico al margine di attuazione della Direttiva e al giudizio di proporzionalità della misura dell’esclusione permanente ri- spetto all’obiettivo di protezione della salute – sia sul piano so- stanziale, vale a dire sul piano del rapporto tra l’esclusione per- manente dei MSM e il divieto di discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale, sancito dall’art. 21 della Carta dei di- ritti fondamentali dell’Unione e ribadito da una ormai corposa

giurisprudenza della Corte di giustizia (sulla quale vedi ad es. D. Sardo, Percorsi della differenza. L’orientamento sessuale nella

giurisprudenza della Corte di giustizia, in Omosessualità Egua- glianza Diritti. Desiderio e riconoscimento, a cura di A. Schilla-

ci, Roma, Carocci, 2014, pp. 131-149).

Il quadro normativo

Prima di analizzare nel dettaglio l’iter argomentativo seguito dalla Corte è necessario ricostruire, sia pure in estrema sintesi, il contenuto della Direttiva 2004/33/CE, con riferimento specifico ai criteri di ammissione ed esclusione – temporanea o permanen- te – dalla possibilità di accedere alla donazione del sangue. Va rilevato, preliminarmente, che la Direttiva era stata adottata sulla base dell’art. 152, par. 4, lett. a) del Trattato CE (oggi art. 168, par. 4, lett. a) TFUE), a mente del quale, per contribuire all’obiettivo di garantire un «elevato livello di protezione della salute umana» (art. 168, par. 1, TFUE), l’Unione europea adotta «misure che fissino parametri elevati di qualità e sicurezza degli organi e sostanze di origine umana, del sangue e degli emoderi- vati», con la precisazione che «tali misure non ostano a che gli Stati membri mantengano o introducano misure protettive più ri- gorose». Come meglio vedremo, peraltro, la clausola di salva- guardia da ultimo ricordata ha svolto – nella sentenza in esame e nelle altre che, prima di essa, si sono occupate dell’interpretazione della direttiva (sentenze Humanplasma, del 2010 e Octapharma, del 2014) – un ruolo fondamentale, specie per ciò che riguarda la delimitazione del sindacato della Corte sulle misure interne di attuazione della direttiva.

L’Allegato III della Direttiva 2004/33/CE si occupa, come accennato, di stabilire i criteri di esclusione temporanea e defini- tiva dalla donazione di sangue. In particolare, la tabella di cui al punto 2.1, relativa ai criteri di esclusione permanente compren- de, oltre a tutta una serie di patologie, un criterio relativo al comportamento sessuale, ritenuto ostativo in via permanente alla donazione laddove comporti un «alto rischio» di contrazione di malattie infettive trasmissibili attraverso il sangue. D’altro canto, le tabelle di cui al punto 2.2 elencano una serie di situazioni cli- niche, patologiche e comportamentali tali da giustificare una esclusione temporanea dalla donazione: in particolare, la tabella di cui al punto 2.2.2 (Esposizione a rischio di contrarre un’infezione trasmissibile per trasfusione) comprende anche l’ipotesi del comportamento sessuale suscettibile di esporre al «rischio» di contrazione di malattie infettive trasmissibili attra-

verso il sangue, prevedendo, in questo caso, l’esclusione tempo- ranea dalla donazione per un periodo, calcolato a partire dalla cessazione del comportamento a rischio, e «determinato dalla malattia in questione e dalla disponibilità di adeguati esami di controllo».

Come si vede, pertanto, la Direttiva opera una distinzione tra comportamenti sessuali «ad alto rischio» di infezione, che de- terminano l’esclusione permanente, e comportamenti sessuali a semplice «rischio» di infezione, che determinano l’esclusione per un periodo di tempo calcolato in relazione al caso concreto e al tipo di malattia.

Va infine precisato, sempre in via preliminare, che nella ver- sione francese della Direttiva 2004/33/CE non si riscontra la di- stinzione tra «rischio» ed «alto rischio» presente nelle altre ver- sioni linguistiche: la Corte, tuttavia, sulla scorta di una consoli- data giurisprudenza, ricorda che «in caso di divergenza tra le va- rie versioni linguistiche di un testo del diritto dell’Unione, la di- sposizione di cui trattasi deve essere interpretata in funzione dell’economia generale e della finalità della normativa di cui fa parte» (punto 35) e che, di conseguenza, nonostante l’identico riferimento terminologico al «rischio», i criteri applicabili ai casi di esclusione temporanea ed esclusione permanente «devono es- sere logicamente diversi» giacché «l’esclusione permanente, avente carattere più restrittivo, presuppone l’esistenza di un ri- schio maggiore rispetto a quello relativo al divieto temporaneo» (par. 36).

Il decreto del 12 gennaio 2009 del Ministro della Salute fran- cese, in attuazione dell’all. III della Direttiva, riprendeva la di- stinzione in esame, enunciando tutta una serie di ipotesi di con- troindicazione temporanea o permanente alla donazione, con ri- ferimento specifico ai comportamenti sessuali suscettibili di esporre al rischio di infezione. Come risulta dalla tabella conte- nuta all’all. II del suddetto decreto – riportata nelle Conclusioni dell’Avvocato generale, al punto 10 – l’aver avuto rapporti ses- suali con un altro uomo è sanzionata più gravemente rispetto a comportamenti, egualmente a rischio, quali la promiscuità ses- suale, l’aver avuto rapporti non protetti con un nuovo partner ne- gli ultimi quattro mesi o addirittura l’aver avuto un rapporto ses- suale con un partner con una serologia positiva per HIV, HTLV, HCV, HBV: in tutti questi casi, è prevista una controindicazione temporanea, per i quattro mesi successivi alla cessazione del comportamento a rischio.

Decisione della Corte

La Corte si trova, pertanto, a dover operare un delicato bilan- ciamento tra protezione della salute – obiettivo dell’ordinamento europeo ai sensi dell’art. 168 TFUE – e sindacato sulla ragione- volezza e proporzionalità, con riguardo al medesimo obiettivo e nel rispetto dei diritti fondamentali sanciti dall’ordinamento giu- ridico dell’Unione, dell’esclusione permanente degli MSM – dunque, degli uomini omosessuali e bisessuali – dalla donazione di sangue.

La decisione affidata alla Corte è resa, peraltro, ancor più complessa, dalla sussistenza, in materia, di un ampio margine di discrezionalità degli Stati membri nell’attuazione della Direttiva, alla luce dell’art. 168, par. 4, lett. a) che fa salvo, come ricordato, il più elevato livello di protezione della salute assicurato dalle misure interne di attuazione. Tale elemento, se non pregiudica – come ricordato dalla stessa Corte – il ricorso al parametro rap- presentato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione euro- pea (d’ora in poi, CDFUE), ed in particolare dai suoi articoli 21, par. 1 (divieto di discriminazione in ragione, tra l’altro, dell’orientamento sessuale) e 52, par. 1 (criteri di giustificazione delle limitazioni dei diritti fondamentali), d’altro canto si river- bera inevitabilmente sull’estensione e sull’incisività del sindaca- to di ragionevolezza e proporzionalità della misura interna di at- tuazione condotto dalla Corte anche alla luce dei ricordati para- metri.

In altre parole, la sussistenza di un ampio margine di discre- zionalità dello Stato non impedisce, di regola, alla Corte di sin- dacare la proporzionalità e ragionevolezza della misura di attua- zione alla luce di parametri ulteriori: ad esempio, nella citata sentenza Humanplasma (relativa all’interpretazione della Diret- tiva 2002/98/CE) la previsione – nel diritto austriaco – del divie- to di importazione di emoderivati, nel caso in cui la donazione degli stessi avesse dato luogo, nello stato di origine, ad una qua- lunque forma di remunerazione economica, è giudicata dalla Corte contraria agli artt. 28 e 30 TCE (oggi artt. 34 e 36 TFUE), in tema di libera circolazione delle merci, e segnatamente di di- vieto di restrizioni quantitative all’importazione, e condizioni per la loro eventuale ragionevolezza e proporzionalità rispetto all’obiettivo, tra gli altri, di tutela della salute. Diversamente, nella richiamata sentenza Octapharma del 2014, anch’essa rela- tiva alla Direttiva 2002/98/CE (ed al suo concorso con la Diretti- va 2001/83/CE, in relazione alla disciplina delle diverse fasi di

raccolta, controllo, lavorazione, conservazione e distribuzione del plasma), la Corte sembra riconoscere una maggiore rilevanza all’art. 168 TFUE, nella misura in cui ritiene non contrastante con le richiamate norme di diritto derivato dell’UE l’assoggettamento della raccolta e del controllo del plasma a condizioni più rigorose di quelle previste per i medicinali.

Nella decisione in commento, in particolare, il sindacato del- la Corte si articola in due passaggi successivi, nel quadro di una valutazione complessiva della compatibilità della controindica- zione permanente alla donazione stabilita dal diritto francese per gli MSM con il diritto primario e derivato dell’UE: occorre in al- tre parole verificare «in quale misura la controindicazione per- manente prevista dal diritto francese nel caso di un «uomo che abbia avuto rapporti sessuali con un altro uomo» risponda al re- quisito della sussistenza dell’«alto rischio» di cui al punto 2.1 dell’allegato III della direttiva 2004/33, rispettando al contempo i diritti fondamentali sanciti dall’ordinamento giuridico dell’Unione» (punto 40).

In primo luogo, pertanto, la Corte si interroga sulla possibili- tà di desumere dalla circostanza di aver avuto rapporti sessuali con un altro uomo la sussistenza di un «alto rischio» di contrarre malattie infettive trasmissibili con il sangue, in grado di giustifi- care la controindicazione permanente prevista dal diritto francese (punti 42 ss.). A tal fine, la Corte fa riferimento ai dati prodotti in giudizio dalla Commissione e dal Governo francese e coinci- denti, per un verso, con le statistiche relative all’incidenza epi- demiologica dei contagi da HIV nel periodo 2003/2008 elaborate dall’Institut de veille sanitaire français: in particolare, essi mo- strerebbero un’incidenza elevata e costante dei nuovi contagi nell’ambito della popolazione MSM. Per altro verso, la Corte fa riferimento ad una relazione, datata 21 aprile 2004, del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie che, all’esito di uno studio comparato sui caratteri dell’incidenza epi- demiologica dei contagi da HIV tra gli MSM in diversi Stati eu- ropei e non europei, rivela che la più elevata incidenza dei con- tagi tra gli MSM si avrebbe proprio in Francia. La Corte non ri- tiene, tuttavia, di poter trarre da tali dati conclusioni utili ai fini della definizione di «alto rischio» rilevante ai fini dell’interpretazione della Direttiva e delle disposizioni interne di attuazione, rinviando tale valutazione, in concreto, al giudice del rinvio, che dovrà valutare, in particolare, se tali dati siano «affi- dabili e, in caso affermativo, se essi siano tuttora rilevanti» (pun-

to 44).

In secondo luogo, e per il caso di una valutazione positiva del giudice del rinvio in ordine alla sussistenza di un «alto ri- schio», la Corte si interroga sulla compatibilità della misura della controindicazione permanente con «i diritti fondamentali ricono- sciuti dall’ordinamento giuridico dell’Unione» (punto 45). In particolare, una volta chiarito che la previsione della controindi- cazione permanente alla donazione per gli MSM integra una di- scriminazione in ragione dell’orientamento sessuale, la valuta- zione della Corte si appunta sul rispetto, da parte del Decreto del 12 gennaio 2009, degli art. 21 e 52, par. 1, della CDFUE, sotto il profilo della proporzionalità del trattamento differenziato rispet- to all’obiettivo perseguito, vale a dire la protezione della salute ai sensi dell’art. 168, par. 4, lett. a), con particolare riguardo alla possibilità per lo Stato membro di adottare uno standard di pro- tezione più elevato in sede di attuazione del diritto dell’Unione (punti 50-51).

Anche in questo caso, peraltro, la Corte si limita ad inquadra- re il giudizio di proporzionalità in linea di principio, delegando- ne l’attuazione concreta al giudice del rinvio. In particolare, la Corte afferma anzitutto che, in casi come quello di specie, il principio di proporzionalità può dirsi rispettato «solo se un ele- vato livello di protezione della salute dei riceventi non possa es- sere garantito mediante tecniche efficaci di ricerca dell’HIV e meno restrittive rispetto al divieto permanente della donazione di sangue per tutta la categoria costituita dagli uomini che hanno avuto rapporti sessuali con persone del loro stesso sesso» (punto 59). Quanto alla possibilità di individuare misure meno restritti- ve ed egualmente idonee a garantire il perseguimento dell’obiettivo della protezione della salute, la Corte indica al giudice del rinvio gli ambiti sui quali orientare la propria valuta- zione, e segnatamente, le tecniche di controllo preventivo e suc- cessivo delle donazioni di sangue: il giudice del rinvio, in tale ot- tica, dovrà interrogarsi, in primo luogo, sull’esistenza di tecniche di controllo del sangue donato, specie in relazione all’eventuale presenza di tracce del contagio da HIV, come imposto dalla stes- sa Direttiva. Inoltre, in relazione alla questione – sollevata in giudizio dal Governo francese e dalla Commissione – del «pe- riodo finestra» (vale a dire il periodo nel quale, a seguito del contatto con l’agente virale, i marcatori utilizzati nella verifica delle donazioni restano negativi pure in presenza dell’infezione), la Corte indica al giudice del rinvio di «verificare se i progressi

della scienza o della tecnica sanitaria, considerando in particola- re i costi di una sistematica messa in quarantena delle donazioni provenienti dagli uomini che abbiano avuto rapporti sessuali con persone del loro stesso sesso o quelli di una ricerca sistematica dell’HIV per tutte le donazioni di sangue, consentano di garanti- re un livello elevato di protezione della salute dei riceventi, sen- za che l’onere che ne consegue sia esorbitante rispetto agli obiet- tivi di protezione della salute perseguiti» (punto 64). Infine, con riferimento al controllo preventivo delle donazioni, vale a dire al giudizio dell’idoneità del donatore, la Corte suggerisce al giudice del rinvio di verificare se esista la possibilità di intervenire, ad esempio, sul questionario e sull’intervista personale del donato- re, calibrandoli in modo tale da prevenire, ad esempio, i rischi collegati al cd. periodo finestra superando al tempo stesso la mi- sura restrittiva della controindicazione permanente a favore della misura meno afflittiva della controindicazione temporanea. A tal fine, sottolinea la Corte sulla scorta delle Conclusioni dell’Avvocato generale, potrebbe essere sufficiente – ma, di nuovo, sarà il giudice del rinvio a doverlo valutare – costruire le domande in modo mirato, incentrandole ad esempio sul tempo trascorso dall’ultimo rapporto sessuale, ma anche «sul carattere stabile della relazione della persona interessata o sul carattere protetto dei rapporti sessuali» (punto 67): ciò consentirebbe, in particolare, di «valutare il livello di rischio che individualmente presenta ciascun donatore in ragione del proprio comportamento sessuale» (ivi).

Solo all’esito positivo di simili valutazioni, potrebbe consi- derarsi non rispettato il principio di proporzionalità e, di conse- guenza, la controindicazione permanente finirebbe per integrare una irragionevole discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale.

Delega del giudizio di proporzionalità e tenuta del principio di non discriminazione.

Nella decisione in esame, il profilo «processuale» dei rappor- ti tra ordinamento dell’Unione e ordinamento nazionale (in una materia nella quale allo Stato spetta un rilevante margine di au- tonomia nell’attuazione del diritto dell’UE, a mente dell’art. 168, par. 4, lett. a) del TFUE), si intreccia pertanto molto strettamente con il profilo sostanziale della tenuta della tutela antidiscrimina- toria nei confronti delle persone omosessuali e bisessuali desti- natarie della controindicazione permanente alla donazione.

lità dello Stato – che si traduce, in buona sostanza, nella delega del giudizio di proporzionalità «in concreto» al giudice del rin- vio, ferma restando la fissazione, da parte della Corte, dei princi- pi e dei criteri che devono guidare tale valutazione «in astratto» – finisce inevitabilmente per incidere sull’estensione del giudizio antidiscriminatorio, escludendo, in definitiva, l’eventualità di una tutela diretta – a livello dell’UE – contro la discriminazione irragionevole in ragione dell’orientamento sessuale.

La rilevanza dell’obiettivo di protezione della salute – e la sua articolazione normativa attraverso la previsione di un ampio margine di discrezionalità a favore degli Stati, con la possibilità di individuare un livello di protezione più elevato – sembrereb- bero così prevalere sulla tenuta della tutela antidiscriminatoria, ed in particolare di quella giurisprudenza della Corte di giustizia che, in ambiti non meno caratterizzati da un ampio margine di discrezionalità degli Stati aveva invece provveduto alla tutela di- retta: si pensi, su tutti, ai casi Maruko, Römer e Hay, relativi al diritto alla pensione di reversibilità per i partner omosessuali su- perstiti, intervenuti in una materia – quella della disciplina dei rapporti familiari (sotto il profilo patrimoniale) – nei quali la di- screzionalità statale è indiscussa.

Nel caso di specie, come si è visto, la Corte tenta tuttavia di tenere assieme il rispetto del margine di discrezionalità ricono- sciuto agli Stati membri con l’istanza di protezione dei diritti fondamentali coinvolti, e dunque, per un verso il diritto alla salu- te e per altro verso il diritti degli MSM – omosessuali e non – a non essere oggetto di una discriminazione irragionevole e dun- que contraria all’art. 21 della CDFUE, attraverso una complessa operazione di delega del giudizio di proporzionalità, in concreto, al giudice del rinvio. Si tratta di una operazione che – pur solle- vando, nel caso di specie, talune perplessità in ordine alla tenuta