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D I F ILIPPO B ALESTRAZZI 2001.

III.5. Frammento di sarcofago.

Rimane infine un ultimo pezzo da prendere in considerazione, si tratta di un frammento di sarcofago molto particolare in cui sono incorso nella ricerca del materiale architettonico del Museo di Belluno da sottoporre a studio. Vale la pena soffermarsi un attimo su questo pezzo curioso che meriterebbe ulteriore attenzione, in questa sede ci si limiterà ad una descrizione complessivo e a tracciare un quadro generale sugli studi effettuati.

III.5.1. La provenienza: la collezione Pagani.

La collezione di questa nobile famiglia bellunese cominciò a comporsi tra il 1805 e il 1806 per merito di Marino Pagani, grande appassionato di antichità che ne collezionò di ogni genere996. Nel 1817 Marino morì e il figlio Giuseppe ne ereditò la collezione che sotto di lui ebbe un incremento sostanziale di pezzi in seguito all'acquisizione del patrimonio della moglie Anna Giulia Busnello (sorella di Pietro Busnello che acquistò diversi oggetti di antichità della collezioni dei Nani) sposata nel 1815997. Alla morte di Giuseppe avvenuta nel 1863 la collezione passò al figlio Marino (omonimo del nonno) e da quel momento i Pagani decisero di riunire tutta la collezione in un solo luogo (in parte era frazionata anche nella loro abitazione di Legnaro) nel palazzo Pagani in via Mezzaterra, mentre in seguito la collezione subì delle divisioni: una prima cessione di parte del materiale avvenne nel 1896, poi nel 1902 gli eredi dei Pagani vendettero ulteriori pezzi a un ricco industriale di Padova, e per finire nel 1959 quel che rimaneva della collezione fu donata la Museo Civico di Belluno998. Dei pezzi rimasti sono quasi tutte epigrafi, tranne un pezzo non iscritto, ossia il frammento di sarcofago con una scena di caccia che andremo subito a vedere.

996 LUCIANI 2013, p. 287. 997 LUCIANI 2013, p. 288. 998 LUCIANI 2013, pp. 290-299.

Fig. 76. Foto del frammento di sarcofago.

Descrizione

Materiale: calcare del Cansiglio

Dimensioni: lung. cm. 90; alt. cm. 83; spess. cm. 17.

Al centro della scena c'è una personaggio maschile stante che nella mano destra regge un bastone biforcuto all'apice, mentre il braccio sinistro si protende verso il basso con il palmo della mano aperto e rivolto verso nella direzione della figura ai suoi piedi, un cane di piccola taglia. Indossa una tunica che arriva fin sotto il ginocchio e sulle spalle porta una mantellina (alicula999) allacciata all'altezza del petto, mentre e ai piedi calza delle alte ocrae. Il volto non è ben riconoscibile per via delle abrasioni. Dalla sinistra compaiono due figure: quella primo piano è di tre quarti, rivolge la testa verso il centro della figura, mentre protende le braccia nella direzione opposta; non indossa alcun abito. La figura alle sue spalle si rivolge verso il centro della scena, ha un volto paffuto ed è vestito anch'egli con una tunica che arriva fin sotto il ginocchio. Nella parte destra del frammento compaiono tre figure maschili: immediatamente a sinistra del personaggio al centro della scena ci sono due figure stanti, la prima (in secondo piano) regge nella mano destra un bastone biforcuto, indossa una tunica

999

con una corta mantellina che copre le spalle e a tracolla porta una corda arrotolata. In primo piano rispetto a lui un'altro individuo, abbigliato nello stesso modo, regge nella mano destra (portata all'altezza dello sterno) un bastone biforcuto e anch'egli reca una corda raccolta a tracolla. Infine la figura all'estrema destra, posta di tre quarti e abbigliata come il personaggio nel mezzo (in particolare indossa la stessa mantella sulle spalle), rivolge l'attenzione al centro della scena e regge il guinzaglio del cane con due mani: la sinistra trattiene la parte arrotolata, la destra invece impugna il segmento di guinzaglio che si collega al collare del cane. L'animale è di piccole dimensioni e sembra rivolgere il muso al personaggio al centro.

Si tratta di una scena di caccia, più precisamente un'immagine del momento che prelude ad essa e ci mostra i personaggi in preparazione. Al centro della scena è il dominus che indirizza gesti affettuosi al cane che uno dei servi trattiene con il guinzaglio, dietro al padrone si affollano i servi che portano bastoni biforcuti e rotoli di corda utili per la caccia, sul lato sinistro si scorge un erote che protende le braccia per sorreggere, probabilmente, una tabella non visibile per via dello stato frammentario del pezzo1000

III.5.2. Status quaestionis e confronti.

Il frammento di sarcofago è stato preso in considerazione da diversi studiosi che l'anno inserito nell'ambito della ricerca sulla cultura figurativa dei sarcofagi dell'Italia settentrionale1001 riferibili all'epoca romana tra II e III sec. d.C. Il tema della caccia ricorre in molti sarcofagi cisalpini1002, il confronto più prossimo possiamo trovarlo nel sarcofago di

Flavio Ostilio scoperto a Belluno nel 14801003, studiato per la prima volta con perizia dal

Rodenwalt1004, dal De Grassi negli anni Quaranta del Novecento, e poi da molti altri studiosi1005. La fronte del sarcofago mostra al centro la tabula con l'iscrizione all'interno di una cornice ottagonale, intorno alla quale si distribuiscono quattro figure simboliche, due eroti volanti in alto e due tritoni in basso con il timone alzato, mentre ai lati della tabula vi sono

1000

REBECCHI 19933, p. 175.

1001

Per lo studio dei sarcofagi romani dell'Alto Adriatico si veda REBECCHI 1978.

1002

Per un quadro più ampio si veda REBECCHI 1993.

1003

Si veda quanto scritto nel paragrafo sulla città di Belluno.

1004

RODENWALT 1937.

1005

Il sarcofago è stato ampiamente studiato sia dal punto di vista epigrafico che decorativo. Per quanto riguarda il primo aspetto si veda quanto scritto nel secondo capitolo e ulteriore bibliografia in BASSIGNANO 2004, p., mentre sull'aspetto iconografico si veda GABELMANN 1973, p. 75; D'ABRUZZO 1990; REBECCHI 1993, pp. 168-169.

raffigurati i defunti entro due porte. Ma quello che più interessa riguarda la scena di caccia distribuita sui due lati brevi e sul retro del sarcofago. Ai lati troviamo delle scene simboliche che colgono i personaggi durante l'azione della caccia: da un parte Flavio Ostilio a cavallo che si appresta a uccidere il cinghiale (fig. 80) e sull'altro lato è scolpita una scena in cui Domitilla Severa, moglie di Flavio Ostilio, afferra per le corna un cervo (fig. 81)1006. Sul retro del sarcofago è raffigurato il trionfale ritorno dalla caccia (fig. 79): al centro della scena c'è Gaio Flavio Ostilio a cavallo che procede verso destra, immediatamente dietro di lui un personaggio maschile rivolto a sinistra che alza il braccio destro in segno di eloquenza e dietro di lui un figura che spinge un mulo gravato da una pesante soma. Sulla destra un gruppo di altre tre figure maschili: il primo sulla sinistra è in chiasmo con la figura dietro Flavio Ostilio e protende il braccio in un gesto di eloquenza, seguono a destra due portatori con il carico della selvaggina ai piedi dei quali ci sono due cani. Il sarcofago viene datato nel secondo quarto del III sec. d.C., sia sulla base dell'analisi stilistica (tra gli altri dettagli la capigliatura di Domitilla Severa che richiama quella di Giulia Mamea) che per una serie di confronti con altri sarcofagi provenienti da Ravenna e da alcuni centri della Cisalpina (per esempio in un sarcofago di Modena)1007; si pensa sia opera di maestranze locali che hanno subito un forte influsso attico acquisito, forse, ad Aquileia1008.

Per quanto riguarda la scena del frammento bellunese secondo il Rebecchi ricorda (con un esecuzione molto più semplice, però) l'immagine della raccolta dei compagni di Ippolito - prima della caccia - archetipo scolpito in un esemplare (particolarmente raffinato) di sarcofago attico di Agrigento (fig. 77). modello a cui poi hanno attinto gli scultori cisalpini per poi realizzare opere locali (come si vede nel frammento di S. Canzian di Isonzo datato ai primi decenni del III sec. d.C. dove c'è un cane accucciato ai piedi del servo, fig. 82)1009. Un confronto più diretto, sia per il Gabelmann che Rebecchi si può riconoscere con le scene del sarcofago di Carpi (fig. 78), in particolare nella corda al collo che porta il servo. Gli studiosi propongono - per il frammento di Belluno - una datazione di qualche decennio posteriore al sarcofago di Flavio Ostilio, più precisamente lo collocano nel terzo venticinquennio del III sec. d.C.1010, realizzato, probabilmente, sempre ad opera di una maestranza itinerante1011.

1006

Sulla valenza simbolica dei vari aspetti iconografici cfr. REBECCHI 1978, pp. 246-247; D'ABBRUZZO 1990, pp. 68-69; REBECCHI 1993, pp. 168-169.

1007

Cfr. REBECCHI 1978, REBECCHI 1993, in particolare pp. 168-169.

1008

REBECCHI 1978, pp. 246-247; D'ABBRUZZO 1990, p. 78.

1009

REBECCHI 1993, p. 169.

1010

GABELMANN 1973, p. 137; REBECCHI 1978, p. 248; REBECCHI 1993, p. 176.

1011

Nel complesso si presenta come un pezzo abbastanza problematico, infatti, nonostante sia stato preso in considerazione già da diversi decenni, gli studiosi che più se ne sono occupati (in primis il Rebecchi e il Gabelmann) nonostante ne diano datazioni precise, difficilmente lo confrontano con pezzi che denotano una stretta somiglianza. In conclusione sosteniamo che il pezzo meriti senza dubbio un ulteriore studio che ne approfondisca la conoscenza, in particolare sarebbe utile un confronto con una produzione più tarda - inerente all'arte medievale - che esula dal periodo qui considerato.

Fig. 77. Sarcofago con Ippolito. Agrigento, in CILIBERTO 1988, p. 55 fig. 3

Fig. 79. Sarcofago di Flavio Ostilio, retro, in CASAGRANDE 2013, p. 307, fig. 100

Fig. 80. Sarcofago di Flavio Ostilio,lato corto, in CASAGRANDE 2013, p. 307, fig. 99.

Fig. 81. Sarcofago di Flavio Ostilio,lato corto, in CASAGRANDE 2013, p. 307, fig. 99.

Figura 82. Frammento di sarcofago S. Canzian d'Isonzo CILIBERTO 1988, p. 55 fig. 1

Conclusioni.

Come si è potuto constatare il rapporto tra l'uomo e la montagna affonda le radici in tempi remoti, le Alpi in particolar modo rappresentarono un crocevia di spostamenti e umani e di sviluppo di particolari tipi di culture. Certamente non possiamo parlare di una fitta antropizzazione distribuita equamente in tutto il territorio (come per regioni geografiche più facilmente abitabile come le zone costiere o la pianura), tuttavia nel corso dei secoli, anzi dei millenni, il comprensorio alpino venne ampiamente interessato dalla presenza di molteplici realtà umane che insediarono in forme differenti il territorio.

Se dal principio i Romani intrattennero un rapporto marginale con l'ambiente alpino, con il passare dei secoli e con l'espansione verso il nord Italia arrivarono pian piano ad inglobare le Alpi nella propria orbita di competenza. Al contempo si è visto come il territorio veneto, nel passato, abbia sempre rappresentato una condizione particolare nei confronti di Roma, punto strategico e di importanza senza dubbio elevata fu questa regione geografica. Nel territorio che corrisponde all'attuale regione Veneto, ma più in generale anche in un contesto più ampio come tutto il nord-est, i Romani compirono poderose opere di risistemazione territoriale (quali le centuriazioni), costruirono una fitta rete viaria, ed edificarono città alcune delle quali raggiunsero un'importanza elevata (vedi, ad esempio, Altino, Verona, Aquileia, Padova). Nel territorio della provincia di Belluno, caratterizzato per la maggior parte della sua estensione da rilievi montuosi, non ci troviamo di fronte ad una simile situazione di sviluppo urbano, tuttavia si può dire che l'Urbe riuscì a penetrare nel territorio e ad espandersi con buoni risultati. Non è del tutto sicuro se riuscirono a compiere opere di risistemazione territoriale come la centuriazione (i cui indizi, si è visto, non sono così chiari), ma è certo che emergono le tracce dell'intervento romano sparse in buona parte del territorio. È certo che il territorio fosse attraversato da una fitta rete di comunicazione (al di là del problema dell'effettivo passaggio della Claudia Agusta), ma non è solo un'articolata rete stradale che rende esplicita l'importanza del territorio, i nomi di figure importanti che ci ha restituito l'epigrafia dimostrano come questa non fosse una zona di secondaria importanza, strategicamente utile e economicamente ben sfruttata, dalla produzione di legname, all'estrazione di pietra dall'allevamento al pascolo di bestiame e in certa misura anche dalla caccia.

Dal punto di vista dello sviluppo urbanistico siamo in possesso di importanti informazioni per quanto riguarda Feltre e Belluno città che pur nelle loro modeste dimensioni

potevano benissimo essere dotate di tutte le principali strutture pubbliche. Nel caso di Feltre siamo in possesso di una maggior quantità di dati che ci attesta l'esistenza di quartieri residenziali di buon livello in più alcuni indizi ci hanno portato a identificare in piazza Maggiore l'area dove poteva svilupparsi il Foro cittadine. Per Belluno abbiamo meno notizie, ma è comunque certo che anche in questo centro non mancavano abitazioni di pregio (come testimoniano i pavimenti musivi di via S. Lucano e via del Piave) e, non è da escludere, anche delle strutture pubbliche di notevole dimensioni (come un tempio) aspetto che si può desumere dai capitelli (purtroppo ritrovati in condizioni di reimpiego e non del tutto probanti) di grandezza ragguardevole. E sono i capitelli stessi che mettono in rilievo le differenze stilistiche che intercorrevano tra un centro e l'altro, la stessa differenza viene messa in luce dalle soluzioni tecniche per costruire su un terreno tutt'altro che facile (vedi le diffuse opere di terrazzamento nel caso di Feltre). A questo aspetto peculiare se ne può accostare un'altro che invece denota una certa costante, ovvero, quella di un particolar tipo di struttura che permetteva il riscaldamento degli ambienti, il sistema ad ipocausto. Chiaramente questa è una tecnica diffusissima in tutto il mondo romano, ma in questo caso assume una dimensione particolare, si caratterizza come un elemento molto utile per difendersi dai climi rigidi tipici di un ambiente di montagna. Oltre a questi due importanti centri non sono stati individuati altri notevoli centri urbani, ma è chiaro che una zona di notevole importanza doveva essere anche il cuore del Cadore come testimoniano i ritrovamenti di Pieve e Valle. Un altro aspetto degno di nota è che alcune delle strutture indagate non sempre mostrano segni riferibili solamente al periodo romano, ma spesso dimostrano una continuità insediativa che abbraccia un periodo molto più ampio. Questo vale sia per i santuari (Lagole soprattutto) sia per i siti fortificati che nel tardo antico dovettero avere uno sviluppo maggiore. Un buon esempio sono alcuni siti d'altura che attestano presenze pre e protostoriche fino ad arrivare alla piena età medievale a volte con uno iato per l'epoca romana (come nel castelliere di Noàl di Sedico), talvolta inseidiativa (come potrebbe essere nel caso di Zumelle).

Nel complesso, quindi, si è cercato di tracciare un quadro generale dell'espansione romana in un territorio prealpino quale è la provincia di Belluno indagando quali furono gli interventi che modificarono il territorio come la costruzione di una rete viaria, o il riassetto territoriale tramite centuriazione, ma soprattutto quali sono le evidenze urbanistiche e strutturali (nel senso di abitazioni o altri tipi di evidenze edilizie). In più si è cercato di mettere in luce l'aspetto architettonico che, seppur non paragonabile ad altri centri venti, ha comunque delle peculiarità degne di nota, e degne di essere messe in evidenza. Tutto questo è

stato considerato all'interno di un più ampio quadro storico e territoriale, anche se semplicemente delineato nei suoi principali aspetti, ma comunque imprescindibile per poter avere una visione più ampia sulle situazione del territorio bellunese nella più vasta ed articolata realtà alpina.

In conclusione ci si augura che gli studi archeologici, ma anche storici e topografici, epigrafici e quant'altro, possano continuare nel futuro più prossimo, dedicando un'attenzione sempre maggiore allo splendido territorio di questa provincia dolomitica, meritevole di essere conosciuto nei suoi aspetti più diversi, e meritevole di un adeguato interesse che ne conservi il vasto patrimonio culturale.

BIBLIOGRAFIA