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Francesco davanti al Sultano:

invece della crociata

Venerdì 1 febbraio 2002

Mauro ed io ci proponiamo di offrire delle suggestioni, nel senso di suggerimenti in quattro punti, in quattro momenti distinti. Mauro ci offrirà le sue creazioni, prima di tutto quelle già consolidate. Poi saranno distribuite a ciascuno delle piccole schede e il cantautore, che è dedito specialmente alla poesia estemporanea, improvviserà sui temi che noi sapremo proporgli. Teniamo conto naturalmente del tema generale, ma senza esservi costretti. Ciascuno potrà volare o semmai galoppare con la fantasia. È opportuno che i temi siano  proposti in modo dispiegato, come per esempio: “Il giardino della  scuola piange”, oppure “Il giardino della scuola è ridente”. Sono le  prime cose che vengono in mente, ma chiedo che sia un pensiero disteso e non soltanto “che bello!” o “che brutto!”.

Ascoltiamo adesso due composizioni, una dedicata al guerriero e l’altra dedicata al giullare. È una specie di quello che gli studiosi  della Bibbia chiamano parallelismo, si tratta cioè di due idee poste l’una accanto all’altra, in modo che ci sia una specie di provocazio-ne. E noi oggi cerchiamo ancora un ideale, che non è più quello del guerriero e forse non è più neppure quello del giullare.

Chechi comincia a cantare accompagnandosi con la sua chitarra:

“Getta lancia e spada, giovane guerriero / lascia che il cavallo ti  riporti al tuo maniero. / Butta nel fossato quello sguardo di avvoltoio / , l’elmo, la corazza e chiudi il ponte levatoio. / Ascolta dal giullare  un canto sconosciuto, / legato a’ suoi ricordi e alle corde del suo  liuto. / Da’ un filo di luce al sarto del castello, / porta a San Martino  la metà del suo mantello. / Vai coi ricordi e sogni stretti tra le mani, / un piede dentro all’oggi ed uno nel domani. / Di sogni e di ricordi  non ce n’è mai abbastanza, / radunali: ti servono nel tempo della  danza. / Afferra il tuo mantello, scuoti via la rabbia, / lascia che ti copra dalla nebbia e dalla sabbia. / Sali sopra il picco, dal nido del rapace / guarda nel futuro se c’è guerra o se c’è pace. / Non cedere  al brigante né la vita e né la borsa, / e se sei stanco siedi sulla fine 

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della corsa. / Bevi l’acqua che sgorga dal sasso che hai scavato, / che  dentro ci ha il futuro e fuori ci ha il passato. / E mentre bevi chinati, raccogli il tempo perso / e buttalo in un sacco in fondo all’universo. 

/ Saluta il tuo passato, raccogli la speranza, che ti darà la forza nel tempo della danza. / Quando sale l’ombra, scendi verso il piano, /  su linee che il destino ti ha tracciato nella mano. / Bevi con la donna dalla treccia bionda, / in mezzo ai cavalieri della Tavola Rotonda. / Scuoti l’arcobaleno e donale un colore, / ma attento che non cada,  che non disturbi un fiore. / Quando si fa notte e lasci quel raduno,  / donale una stella che non era di nessuno. / Poi prendile la mano, riprendi il tuo cammino, / col capo tra le nuvole e i piedi nel destino.

/ E lasciati guidare il passo mentre avanza, / e desta tutti gli attimi nel tempo della danza.”

Chechi effettua un intermezzo parlato:

“I giullari erano nel castello quelli che si dedicavano alle cose poco  importanti. Infatti pensavano a tenere allegre le persone e a portare un sorriso, mentre quelli che facevano le cose importanti erano coloro che prendevano la spada e andavano a uccidere. Quando iniziano i loro spettacoli, dicevano: «Ohi, bona gente, udite ed intendite».”

Quindi lo stesso Chechi riprende a cantare a suon di musica:

“Ohi bona gente, udite, udite. E poi a giochi di destrezza e abi-lità, mostrando sotto vesti da giullare le sembianze e i lineamenti di un’antica nobiltà. Nessuna corte sa di dove sia, si sa che porta la  serenità, che si ritrova al tempo della festa, al sole dopo la tempesta, al tramonto oppure al vento.

Al vento che proviene da nord-est, terre di leggende, santi e eroi, laddove ognuno sente su di sé ciò che è successo nel passato e lo racconta ai figli  suoi. Laddove spesso capita anche lui, raccoglie  tradizioni e novità, per quanto le ha pagate, e poi rivende storie, favole e leggende. E concludendo dice basta, basta solo che brilli

una stella per sognare e non chiedo di più. E che un raggio di sole ogni giorno porti un poco di cielo quaggiù.

In alto c’è il giullare. Accanto a sé, al trono dove non si siede mai,  lo guarda mentre parla e pensa che spesso da lì parte un comando che procura danni e guai. È facile volare insieme a lui sulle ali grandi  della fantasia, seguendo le vicende del passato, storie antiche che ha rubato alle corti oppure al vento. Al vento che proviene da nord-est, e lungo le vallate scende giù, nei campi dove un popolo lottò per riportare quella gloria di cui non si parla più. Ai sudditi le storie di lealtà, racconti di preghiere alla badia, d’amore parla a tutta l’altra  gente, da levante ad occidente. E concludendo dice basta, basta solo che brilli una stella per sognare e non chiedo di più. E che un raggio di sole ogni giorno porti un poco di cielo quaggiù.

E se piove è lo stesso, perché basta solo tu batta le mani: un, due, tre, sei più ricco e felice di un re. Una corte, una torre, un castello, se vo’ un regno che in terra non c’è, basta solo tu batta le mani: un,  due, tre, sei più ricco e felice di un re.”

Catti:

Le fonti francescane, cioè i documenti storicamente e criticamente acclarati, lo chiamano il “Sultano d’Egitto”. È assai probabile che  fosse al-Kamil. Kamil è parola araba che vuol dire “il perfetto”, quasi  a dire la perfezione fatta persona. Del resto, suo padre, al-Adil, aveva un nome che significa “il giusto”, in un certo senso la giustizia fatta  persona. E se è vero che erano nomi altisonanti, è pur vero che in qualche modo e in qualche misura saranno realizzati nella vita di questi due personaggi, al-Kamil e al-Adil. Era curdo. E malgrado tutti i sussidi di cui possiamo disporre, noi oggi stentiamo a localizzare questo Kurdistan dei curdi. Proprio in queste ore dei curdi hanno tentato di sbarcare su coste italiane. E questo ci fa pensare subito che quello che noi stiamo cercando e studiando incide sul presente, è più presente di quello che noi pensiamo. Soprattutto è meno passato

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remoto ed è in fondo un passato prossimo. Egli dunque non è arabo, ma curdo e musulmano. Basta dire questo per intendere il problema che ci sta davanti: essere musulmano vuol dire ricevere dall’alto  un mandato, una missione di diffondere il Corano, la recitazione di questo messaggio nel mondo intero. Per questo è opportuna la lingua araba, per questo è opportuna la nazione araba. E per questo è opportuno che si compenetrino, si congiungano insieme l’aspetto  religioso e l’aspetto sociale e politico. A volte accade che l’aspetto  religioso comunichi all’aspetto più nazionale il suo senso universa-le. A volte accade invece che l’aspetto nazionale racchiuda e quasi  costringa l’aspetto religioso. Penso si possa dire che è il problema  che è chiamato a risolvere, come era stato chiamato a farlo suo padre, Adil il giusto, e come era stato chiamato suo zio, Saladino, morto in Damasco a 55 anni nel 1193, compianto da molti. Non è  un caso che Dante, nell’Inferno della Divina Commedia, ma più  esattamente nel (4, 129) castello del limbo, dica: “Vidi quel bruto che  cacciò Tarquinio, Lucrezia, Iulia, Marzia e Cornilia, e solo in parte vidi il Saladino”. Del resto questo elogio, che consiste nel fatto di  averlo collocato nel limbo e non all’inferno, si ritrova più esplicito  nel Convivio di Dante. E anche Boccaccio nel Decamerone tesse l’elogio del Saladino.

Dunque questo al-Kamil, questo “perfetto”, è curdo e non arabo. 

Noi pensiamo al Kurdistan al di là dell’Eufrate e del Tigri, al di là  dei fiumi, e quindi in Oriente. Pensiamo a grandi distanze, dall’Iran  e dall’Iraq fino all’Egitto, passando attraverso la valle del Giordano. 

Pensiamo quindi a un animo di nomade, che si sposta, cavalca, col-ma le distanze, si pone problemi di mediazione fra diverse culture.

Quando qualcuno come lui si trova in posizione di potere, ha da fare i conti, ha da regolare i suoi rapporti e le sue relazioni con le genti della steppa, con i turchi, oltre che ovviamente con gli arabi.

C’è da pensare anche che fosse poliglotta. E qualche volta, leggendo  e rileggendo i documenti opportuni, ho pensato che forse Francesco e

Kamil parlassero veneto. Questa è un’ipotesi forse paradossale, però  può darsi che al-Kamil parlasse in modo che Francesco lo potesse capire. Possiamo immaginare che Francesco dicesse ad al-Kamil parole senz’altro intellegibili. Noi immaginiamo questo al-Kamil con  il mento onorato dalla barba. Pare che una delle prime impressioni degli arabi, quando videro arrivare non più qualche viaggiatore ma le schiere dei Franchi, fu che erano rasati. Erano declassate ai loro occhi le persone che fossero senza questo onore del mento. Per questo motivo, anche se i Franchi non lo sapevano, si rideva di loro come di persone poco virili.

Lo immaginiamo ovviamente anche con il capo coperto. Non so esattamente se con il turbante o senza, ma di sicuro il capo era co-perto. E in questo nostro immaginare noi pensiamo ad un Francesco con il capo scoperto, ma probabilmente con l’onore del mento, cioè  con la barba. Egli era dunque in un certo senso più vicino a Kamil dei Franchi, diciamo più esplicitamente dei Crociati.

Quando Saladino, zio di al-Kamil, muore, nel 1193, c’è una situa-zione di guerra civile. C’è qui un altro connotato di questo mondo  incontro al quale vanno i Crociati: non sono abili ad organizzarsi civilmente, tanto che ammireranno la capacità dei Franchi di orga-nizzarsi. Appena arrivati, i Franchi avviano una certa organizzazione politica, mentre la difficoltà del mondo arabo, curdo e musulmano  è proprio quella di fare delle strutture civili che resistano. Quando infatti muore il capo “perfetto”, il capo “giusto”, arriva la guerra  civile, vi sono contese che depauperano e rendono esangui le risorse umane. Il padre di al-Kamil, al-Adil, riunifica o cerca di riunificare,  con un’impresa che è anche diplomatica. Si pensi che l’inglese di  Riccardo Cuor di Leone è candidato a sposare una donna rimasta vedova della corte di al-Adil. E si pensi che il padre manda il figlio,  insieme con una delegazione a Venezia, nel 1202, per negoziare con Venezia. C’è allora il doge Dandolo e la negoziazione consiste  nell’offrire ai veneziani l’accesso ai porti come Damiata, sul Nilo. 

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Questo perché i veneziani hanno indubbiamente talento di mercanti e capiscono che il problema non è poi solo e tanto quello di liberare l’accesso al Sepolcro, ma è quello di trovare nuove vie per i loro  mercati. C’è dunque questa pattuizione e, per quanto astuti, i nego-ziatori con al-Kamil non possono pensare che nello stesso momento i veneziani stanno trattando per un’altra crociata. E stanno chiedendo  ai futuri condottieri di questa crociata di passare per Zara, di sottrarre Zara a chi la possedeva, e di procedere poi verso la Terra Santa. Nel 1204 accade un fatto che, se ce ne fosse bisogno, ci dimostra ancora una volta che c’è un’incidenza sull’oggi di questi eventi che ci sem-brano di ieri o dell’altro ieri. Arrivati all’altezza di Costantinopoli,  invece di proseguire verso la Terra Santa i Franchi sono guidati dal loro condottiero a Costantinopoli. Avviene allora un sacco atroce, un massacro. A Costantinopoli ci sono quelli che sono chiamati rum o rumi, i romani: sono i cristiani cattolici, che dipendono da Roma.

Ci sono però specialmente i bizantini, che ormai si sono distaccati con scisma da Roma. È in questo evento che si matura quella idea,  persistente in Oriente, nella mente dei cristiani, che è meno male cadere sotto i musulmani che sotto i fratelli cristiani, soprattutto se sono protetti da Roma. A questo riguardo penso che si possa notare il rigore di Giovanni XXIII nel bandire, anche nella conversazione, parole di ammirazione per la Crociata. Lui diceva che il suo sog-giorno a Costantinopoli lo aveva persuaso della inopportunità di citare la Crociata. Anche quando un confratello francese gli chiese la benedizione per una Crociata per la Pace, lui rispose di no. “Ma è  per la pace”, ripeté l’altro. “È lo stesso, per la Crociata no”, perché  ha inferto ferite che sono ancora aperte e non cicatrizzate. Pensiamo appunto al sacco di Costantinopoli. Questo ci fa pensare che nella mente di al-Kamil ci sono queste opportune distinzioni fra i Franchi e i Rumi, così come ci sono le opportune distinzioni fra i vari scac-chieri, da un punto di vista strategico e militare.

Intanto i Franchi procedono verso l’Egitto e pongono l’assedio 

a Damiata, nel 1218. È questo il momento in cui, secondo le fonti  francescane, Francesco d’Assisi vede realizzato il suo insistente e  profondo desiderio di vedere il Sultano d’Egitto. È un momento  che nell’insieme si direbbe poco propizio, ma è pur vero che c’è  una tregua. In seguito al-Kamil fermerà i Franchi e arriverà fino al  punto di cedere Gerusalemme a Federico di Hohenstaufen, nel 1229.

È una cessione che lo farà presentare a un certo mondo musulmano  come un traditore, mentre penso che fosse sicuramente una persona avveduta, dotata di un certo realismo. È un raffinato uomo politico,  che assai probabilmente è curioso di sapere qualche cosa di più del mondo cristiano, di cui egli conosce alcune cose. Indubbiamente egli è informato, ma chi è vissuto e cresciuto nell’Islam conserva due  sentimenti: uno è di conoscere questo Occidente, ma l’altro è quello  di chiudersi. È stato notato che probabilmente erano più i Crociati che  conoscessero almeno qualche parola di arabo rispetto ai musulmani che conoscessero qualche parola parlata da questi Franchi.

Spero in questo modo di avere presentato questo al-Kamil, que-sto Sultano d’Egitto, questo curdo non arabo, questo musulmano di  origine controllata, questo fine  diplomatico, questo poliglotta. Ed  è verosimile che sia stato lui a ricevere questo strano personaggio, Francesco, che andremo fra poco a presentare.

A questo punto Chechi invita a portare i foglietti consegnati in precedenza. Nel primo, quale immagine suggerita, legge “Il sole  tramonta e Francesco parla”. Intona quindi il suo canto accompa-gnandosi con la musica:

“Tramonta il sole in basso piano piano, / viene la sera e ormai si  fa già fresco, / forse nella tenda di un Sultano parla lentamente San Francesco. / E adesso parla, che cosa gli dirà? / E certo ci ha una voce che sa di eternità. / Parte lui dall’Italia ed è capace / di giungere dal  Sultano in Terra Santa, sol per parlare il dono della pace / , di pace lì la sete c’era tanta. / Mentre lui parla il sole scende giù, adesso qui 

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finisco che dire non so più”.

Catti, quale spunto per Chechi, legge il secondo fogliettino: “Un  frate arriva in un giorno di mercato nella piazza del paese”.

E Chechi intona: “Un argomento certamente bello, / si parla di  una piazza di paese. / Lì c’è il mercato e arriva un fraticello, / con il  suo modo di vagar cortese. / Chiede alla gente, chiede la carità, / il frate è assai gentile, la gente gliela fa”.

Terzo biglietto per Chechi. Catti vi legge: “Francesco è un mite  che rivoluziona la cultura e la religione del suo tempo”.

E Chechi canta: “Vorrei parlare qui, care persone, / non so se a  dire tutto ci riesco. / Certo che fece una rivoluzione, / il fraticello di nome Francesco. / E quel che fece noi si ricorderà, / che lui parlò di pace, portò la carità”.

Catti riprende ora la sua relazione:

Oggi noi disponiamo anche di fonti arabe, e quindi possiamo dibattere di come gli arabi abbiano veduto le Crociate. Questo per confrontare quelle che erano invece le opinioni dei Crociati. Ci sono scritti anche di fonte crociata. A proposito del doge Dandolo, presso cui va il Sultano d’Egitto, una fonte araba dice che era cieco e molto  anziano, quando montava a cavallo aveva bisogno di uno scudiero che lo guidasse. Però era un veneziano con la mente sveglia e chiese l’occupazione del porto di Zara a quei cavalieri con cui nascosta-mente, senza che i musulmani ne potessero dubitare, stava trattando.

I cavalieri si rassegnarono a questa condizione poiché Zara era una città cristiana e apparteneva al re d’Ungheria. Ma fu peggio quando  questa flotta, che pareva diretta verso la Terra Santa, all’improvviso  puntò su Costantinopoli. Il re dei Rum fuggì senza aver combattuto e i Franchi misero il loro giovane candidato sul trono. Tuttavia del potere egli non aveva che il nome, poiché tutte le risoluzioni erano prese dai Franchi. Essi imposero alla gente del luogo pesantissimi

tributi, e quando il pagamento si rivelò impossibile presero tutto l’oro  e i gioielli, anche ciò che era sulle croci e sulle immagini del Messia.

“La pace sia con lui”: è un arabo musulmano che scrive. La pace  sia sul Messia, dato che i suoi seguaci ne hanno maltrattato anche le immagini. I Rum allora si ribellarono, uccisero il giovane monarca, espulsero i Franchi dalla città e barricarono le porte. Siccome le loro forze erano ridotte inviarono un messaggero a Sulayman, signore di Iconia, affinché venisse loro in soccorso, ma egli era nell’impossibilità  di farlo. E allora tutti i Rum furono uccisi o spogliati dei loro averi.

Alcuni fra i notabili tentarono di rifugiarsi nella grande Chiesa di S.

Sofia inseguiti dai Franchi. Un gruppo di preti e di monaci uscirono  allora portando croci e libri sacri, supplicando gli attaccanti di con-servare la loro vita. Ma i Franchi non prestarono alcuna attenzione alle loro preghiere, li massacrarono tutti e poi saccheggiarono la chiesa. Questo massacro resta un fatto di incalcolabili conseguenze.

Ed eccoci a Francesco, il quale desiderava vedere il Sultano d’Egitto. Le fonti francescane insistono sul verbo “vedere”, verbo  tipico di chi vive nel tempo gotico, in Occidente. È la stessa voce di  verbo che usa Francesco quando parla del presepe e scrive all’amico  Giovanni: voglio vedere il bambino, voglio vedere il fieno su cui  fu deposto. Certo, influisce sulla coniugazione del verbo “vedere” 

nella vita di Francesco, specialmente nel suo animo, l’esperienza del  male agli occhi, della diminuzione della vista proprio fino al punto  di non vederci più, come anche l’idea di vedere ciò che mai questi  occhi potranno vedere: parlo cioè di vedere in profondità.

Si potrebbe a questo punto fare un confronto, rileggere qualche riga del discorso pronunciato dal Papa, il pontefice di Roma, quando  attraverso Pietro l’eremita arriva la notizia che il Patriarca di Geru-salemme chiede soccorso: “Sapete, fratelli dilettissimi, e conviene  che la vostra carità lo sappia, come il Redentore del genere umano, assumendo il peso della carne per la nostra comune salute, vivendo da uomo tra gli uomini, illustrasse la sua presenza nella terra della

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promessa, che da tempo aveva promesso ai padri. L’empia gente dei  saraceni seguace delle tradizioni del mondo, i luoghi santi impressi nelle vestigia del Signore, già da molti tempi addietro opprime con tirannide violenta. Assoggettate i fedeli e condannateli al servaggio. I cani hanno posto piede nei luoghi santi. È stato profanato il santuario,  umiliato il popolo di Dio veneratore, la schiatta eletta patisce indegne angherie, serve nel fango e nell’abiezione. Il regale sacerdozio, la  città di Dio, prima tra le province, è fatta schiava e tributaria. Noi, invero, confidando nella misericordia di Dio e nell’autorità dei Beati  Pietro e Paolo apostolo, ai fedeli cristiani che avranno preso l’armi  contro di essi e assunto a sé l’onore di questa peregrinazione, conce-diamo la liberazione da quante penitenze senza fine han meritato per 

promessa, che da tempo aveva promesso ai padri. L’empia gente dei  saraceni seguace delle tradizioni del mondo, i luoghi santi impressi nelle vestigia del Signore, già da molti tempi addietro opprime con tirannide violenta. Assoggettate i fedeli e condannateli al servaggio. I cani hanno posto piede nei luoghi santi. È stato profanato il santuario,  umiliato il popolo di Dio veneratore, la schiatta eletta patisce indegne angherie, serve nel fango e nell’abiezione. Il regale sacerdozio, la  città di Dio, prima tra le province, è fatta schiava e tributaria. Noi, invero, confidando nella misericordia di Dio e nell’autorità dei Beati  Pietro e Paolo apostolo, ai fedeli cristiani che avranno preso l’armi  contro di essi e assunto a sé l’onore di questa peregrinazione, conce-diamo la liberazione da quante penitenze senza fine han meritato per