Giovedì 21 febbraio 2002
Ringrazio dell’invito e voglio innanzi tutto dire una cosa, sia a quelli che possono essere d’accordo con me che a quelli in disac-cordo. Nella formazione di tutti noi ci sono dei ricordi, dei momenti significativi. E indubbiamente ha avuto un peso per me il rapporto con un professore di filosofia come Vittorio Mencucci, avvenuto al primo anno di Liceo Classico.
Quando tra la pesantezza di greco e latino si scopre la potenza del pensiero, la riflessione sull’esistenza e sull’uomo. Questo ti affa-scina e poi ti aiuta a costruire delle motivazioni che possono anche segnarti tutta la vita. Non è un tributo dovuto, ma un dato reale. E quando ci siamo incontrati di nuovo, ne ero molto contento. Per questo l’incontro di oggi sarà, per quanto mi riguarda, anche segnato da questo rapporto personale. Farò dunque un discorso sui temi, ma mi prenderò anche la libertà di dire come vivo e sento alcune cose.
La prima cosa che vorrei dire è la seguente: quando io partecipo ad una serata come questa, vedo un teatro affollato e sento degli ap-plausi, come è avvenuto oggi, a me vengono i brividi. Questo accade perché io credo che ci siano dei momenti - nella storia collettiva di un popolo, di una comunità sociale, di un gruppo di persone, ma anche nelle storie e nei percorsi individuali - in cui siamo chiamati a scegliere. Non sempre siamo chiamati a scegliere su tutto, ma ci sono dei momenti in cui siamo chiamati a scegliere, con la profon-da consapevolezza che le scelte che facciamo in questo momento non è detto che siano poi recuperabili, trasformabili e modificabili immediatamente dopo. Non mi sto riferendo unicamente all’Italia, ma parlo di un orizzonte mondiale, poiché Porto Alegre è stato una scadenza mondiale. Del resto, io sono nel Consiglio mondiale del Forum Sociale Internazionale e quindi cerco anche di vedere la realtà un po’ più in là dell’Italia. Io sono veramente convinto che questo movimento a livello mondiale, con tutta la sua articolazione e il suo pluralismo, è veramente un’opportunità unica. Se noi giochiamo male questa possibilità non sarà la fine della storia, ma sicuramente
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per parecchio tempo non ci sarà un’altra opportunità per cercare di modificare questo corso della storia. Io credo davvero che in questo periodo noi abbiamo una responsabilità enorme, non solo rispetto a noi ma anche alle generazioni future. E mi sento, come tutti voi, caricato di questa responsabilità.
Non sono parole vuote. Venendo da Porto Alegre, dove c’erano 50 mila persone di tutti i continenti, questo si avverte. La prima considerazione che io faccio è: Porto Alegre è prima della caduta della Torre di Babele, cioè una situazione in cui persone che proven-gono da continenti diversi e parlano linguaggi diversi scoprono di avere in comune tantissime cose. E scoprono di avere in comune un orizzonte, non solo un’aspettativa ma anche dei pezzi di percorso.
Proviamo allora a vederli, perché credo che oggi sia utile ragionare sull’essenza di questo movimento. Poi sui fatti si può ragionare in un altro momento.
Io intanto credo che più nessuno, dopo Porto Alegre, possa definire questo come un movimento no global. Non siamo un movimento no global! Siamo un movimento che è contro questa globalizzazione - l’accento va su “questa” - e non contro qualunque globalizzazione.
Siamo per una globalizzazione dei diritti. E non è una frase vuota, poi ne vedremo il significato. Siamo per un movimento che è per il primato della politica sull’economia, cioè che non accetta un mondo dove la logica del profitto è l’unica cosa che domina le scelte.
Siamo per un mondo in cui siano centrali i diritti, come dimostrano alcune battaglie che facciamo.
Ad esempio, c’è una semplice proposta che abbiamo fatto come delegazione italiana e che è stata accettata da tutti a Porto Alegre:
mobilitiamoci affinché nei mondiali di calcio non siano accettate come sponsor aziende che non rispettano i diritti dei lavoratori in qualunque parte del mondo. Non è accettabile che venga associata allo sport e quindi promossa un’azienda che paga un dollaro al giorno a chi lavora, che non dà alle donne la possibilità di avere la
gravidanza tutelata, che non dà la possibilità di avere l’assistenza sanitaria, che non dà la possibilità di un’organizzazione sindacale.
È una battaglia precisa, che mette al centro i diritti degli uomini e delle donne. Nessuno potrà più dire che siamo un movimento che è in grado solo di protestare. A Porto Alegre, con 900 dibattiti, credo che abbiamo provato a dare un’ipotesi di risposta a tutti i più grandi problemi del mondo.
Vorrei parlare allora di alcune di queste situazioni. Abbiamo messo al centro, per esempio, la questione dell’Argentina. Questo Paese sembra così lontano, ma l’Argentina è stata la scolara migliore della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, ha cioè applicato quello che questi organismi dicevano. Il risultato è stato che, invece di essere promossa alla classe successiva, si è provo-cato un disastro, riducendo la popolazione in totale povertà. Banca Mondiale e Fondo Monetario dicono: privatizzate tutto. E così hanno fatto, privatizzando tutto. Una telefonata da Buenos Aires a Buenos Aires costa cinque volte tanto una analoga telefonata urbana fatta a Senigallia o a Milano. C’è il monopolio privato dei telefoni ed essi stabiliscono le cifre che vogliono. Hanno privatizzato totalmente la sanità, al punto che l’Argentina - che non è lo Zambia - ha dovuto dichiarare l’emergenza sanitaria e mandare gli aerei a prendere l’insulina per i diabetici in Brasile. Hanno privatizzato i mezzi di trasporto e tutto il resto.
Cinque giorni fa io ero a Firenze con quello che per me è un caro amico, Don Luigi Ciotti. Insieme ragionavamo sul fatto che se in Italia le banche avessero utilizzato i tassi di interesse che hanno uti-lizzato in Argentina (dal 17 per cento al 18 per cento), con la legge che c’è adesso contro la mafia sarebbe stata usura. Questo dimostra quale tipo di compenetrazione c’era tra le indicazioni della Banca Mondiale e del Fondo Monetario e la privatizzazione dei servizi. I capitali esteri arrivavano in Argentina non per fare un’opera buona a tener su l’economia argentina, ma perché avevano un enorme
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ritorno di profitto con una banca che anticipava a quel tasso di inte-resse, strozzando ovviamente coloro che prendevano quei prestiti.
Questa è stata la storia dell’Argentina, una storia gestita prima da un governo di centro-destra e poi da un governo di centro-sinistra, con la stessa strategia e con lo stesso ministro dell’economia, il cui nome è Cavallo. Egli è stato ministro con entrambi i governi e sempre lui - la memoria è fondamentale nella vita di ciascuno - fu anche sottosegretario allo stesso ministero durante la dittatura dei militari in Argentina.
Ecco la linea neoliberista!
A Porto Alegre abbiamo fatto anche festa, perché è giusto essere anche un movimento in grado di ridere e di creare allegria. Però in quella occasione si è anche celebrato un funerale, nonostante nessuno lo abbia visto: a Porto Alegre è morta la possibilità della terza via.
Non esiste la possibilità di gestire in modo più soft, di riformare queste istituzioni finanziarie internazionali illegittime e antidemo-cratiche. La gestione degli ultimi due anni del governo argentino di centro-sinistra era la logica neoliberista del Fondo Monetario con il tentativo di fare qualche correttivo. Ma questo ha portato al disastro più totale.
Facciamo un altro esempio, a proposito del debito estero. Dal 1989 al 1997 il Brasile ha accumulato 212 miliardi di dollari di debito.
Sempre dal 1989 al 1997 il Brasile ha restituito 216 miliardi di dollari.
Il Brasile oggi ha da pagare 212 miliardi di dollari. Non sto dando i numeri: quei 216 miliardi di dollari che ha pagato sono gli interessi sul debito. Ma il debito è ancora tutto lì: ogni anno stanno pagando gli interessi, che si aggirano sul 10-14 per cento. E continueranno a pagarli sempre, perché il debito non riesce ad essere toccato. Questo si chiama insolvenza.
E gli economisti considerano quel debito di fatto non pagabile.
Però esso viene pagato con gli interessi. Non possiamo raccontarci balle, come quando il governo precedente diceva: abbiamo cancellato
il debito ad alcuni paesi africani. Non è vero: è stato cancellato il debito non esigibile, cioè quel debito che tutti sanno che non viene pagato perché non ce n’è la possibilità e che del resto è stato già ripagato in misura ancora maggiore attraverso il pagamento degli interessi. Occorre andare a vedere se è legittima - certo, in termini etici e storici - la formazione di quel debito. Allora scopriamo per esempio che in Brasile, Argentina e in alcuni Paesi africani quel debito si è formato soprattutto durante il periodo delle dittature militari. Come è avvenuto? I militari ordinavano le armi dai nostri Paesi occidentali, i quali in teoria non avrebbero potuto venderle, perché c’era l’embargo, ma le vendevano ugualmente. Così si inde-bitavano. Nel frattempo continuavano a pagare gli interessi, ma il debito rimaneva tale. Oggi che quelle popolazioni hanno conquistato la democrazia devono ripagare un debito che è servito per produrre le armi che le hanno represse. E sappiamo in che modo siano state represse in Brasile, Argentina, Cile e via dicendo. Lì scatta allora il giudizio di illegittimità del debito stesso.
Abbiamo anche discusso e parlato per esempio della politica della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Alcuni di voi ricorderanno la polemica che fece direttamente con me l’allora ministro Ruggiero, sostenendo che non potevamo criticare la Banca Mondiale, il Fondo Monetario e l’Organizzazione Mondiale del Com-mercio (il WTO) perché erano organismi democratici dal momento che c’erano dentro 134 nazioni. Ma non è che noi ci siamo messi insieme e abbiamo stabilito le regole; invece è come se stabiliamo le regole in due e poi diciamo a chiunque altro voglia entrare che le regole sono già state fatte da noi e lui dovrà solo rispettarle. I paesi più forti hanno stabilito i meccanismi di funzionamento e poi trattano con gli altri.
Alla Cina hanno forse proposto di discutere insieme le regole?
No, gli hanno detto solo che se voleva entrare nel meccanismo le regole erano quelle già stabilite.
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Semplificando, Banca Mondiale e Fondo Monetario funzionano come una società per azioni. Sette Nazioni - la prima sono gli Stati Uniti e l’ultima è l’Italia - possiedono in termini di azioni, cioè di capitali investiti, oltre il 50 per cento della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. È ovvio che la politica di questi due organismi è finalizzata a produrre profitti per i propri investitori, cioè per queste sette nazioni, e non a risollevare l’economia di altri Paesi. C’è allora il famoso discorso degli aggiustamenti strutturali:
noi, come Banca Mondiale e Fondo Monetario, diamo dei soldi all’Argentina, al Brasile e ai Paesi africani, ma a patto che facciano quello che diciamo noi. E cioè: tagliare le spese per risparmiare, par-tendo dalla sanità, dai finanziamenti per l’occupazione, dalla tutela per l’ambiente, e così via. In questo modo si impoverisce sempre più la popolazione, aumentano le malattie, diminuisce l’assistenza sanitaria e la nazione comincia a indebitarsi e pagare un sempre maggiore tasso di interesse. Ma questo non perché Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale tutelano l’interesse di tutti, bensì perché hanno dietro le sette nazioni che hanno in merito il problema di costruire dei profitti, per loro e per le multinazionali che hanno sede e riferimento in quelle nazioni.
Sul WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, posso ripor-tare quello che conosco per quanto riguarda la mia storia, in materia di AIDS. Il Direttore del WTO era Ruggiero, il quale rischiava di passare quasi per il paladino degli antiberlusconiani. Ma capirete che se loro litigano noi non dobbiamo per forza andare d’accordo con uno dei due. Possiamo insomma non essere d’accordo con l’uno né con l’altro, non credete? Dunque, al WTO hanno stabilito che qualunque multinazionale farmaceutica produce un farmaco ha diritto all’esclu-siva, cioè al monopolio della produzione, per 20 anni prorogabili fino a 25. Possiamo fare anche dei nomi, perché li ho fatti tutti e non mi hanno neppure denunciato, altrimenti avrebbero perso loro la causa.
Questo significa dunque che se la Welcome Glaxo produce l’AZT,