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Francina Chiara Una aumônière della Cattedrale di Como

descritto dalla sommità dell’oggetto. La sua fattura è ulteriormente impreziosita dalla ribattuta in filato metallico che cor-re lungo il bordo; insieme all’impiego di fili sottili, che hanno conservato colore e lucentezza, questi dettagli costruttivi concorrono a definire l’alta qualità del manufatto. Le analisi condotte dalla Sta-zione Sperimentale per la Seta di Mila-no hanMila-no confermato che l’intreccio ad arazzo del manufatto è allestito con lino per l›ordito, seta e metallo filato mem-branaceo - con avvolgimento della la-mella su anima di lino - per la trama1. Le riduzioni al centimetro dell’ordito e della trama dell’arazzo sono rispettiva-mente di 15/16 fili e 76/84 trame.

L’uso delle aumônières

Il manufatto rinvenuto nell’urna Volpi si può definire un’aumôniere, denomina-zione tratta da fonti medievali cui la cri-tica ha proposto di associare in generale una sacca riccamente decorata di stoffa o di pelle, usata in ambito aristocratico da entrambi i sessi a partire dal XII secolo2. (Fig. 5) Nel Medioevo la pratica dello scambio di doni nuziali tra la coppia ri-guardava anche le borse3 e tale costume giustifica la loro ricorrente iconografia tratta dagli intrecci amorosi della lette-ratura cortese. Esse venivano indossate alla cintura, ai lati o al centro della vita, per mezzo di cordoni o ganci metallici, come testimoniano numerose referenze visive ed accade nel reperto comasco or-nato da un raffior-nato fermaglio. (Fig. 6) Il termine aumônière rimanda alla ori-ginaria funzione di portamonete per l’e-lemosina, ma il contenuto delle borse poteva ampliarsi ad effetti personali di piccole dimensioni quali chiavi, spille,

Fig. 2. Aumônière della Cattedrale di Como, vista frontale con pattella sollevata. Per gentile concessio-ne dell'Ufficio di Arte Sacra della Diocesi di Como.

Fig. 3. Aumônière della Cattedrale di Como, re-tro taffetas di seta unito. Per gentile concessione dell'Ufficio di Arte Sacra della Diocesi di Como.

Fig. 4. Aumônière della Cattedrale di Como, dettaglio della chiusura tessuto di seta uni-to, stringhe e bottoni. Per gentile concessione dell'Ufficio di Arte Sacra della Diocesi di Como.

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lavagnette da scrittura o medicinali. Nel-la letteratura medievale comica e triviale compare anche bourse che, secondo Jane Burns, potrebbe designare un portamone-te di fattura più semplice destinato a con-tadini, mercanti e persone implicate nel commercio4.

Fare chiarezza sul lessico non è tuttavia facile: nelle fonti, siano esse giuridiche o letterarie, accanto all’uso di aumônière e bourse, si trovano infatti anche aloière, bouges, bougettes, tassette o tasse, gibe-cière o escarcelle. Tale raffinata distin-zione si può rinvenire in un testo di Char-les de Linas del 18625; dieci anni dopo Léon de Laborde cercava di sintetizzare la tassonomia, proponendo una divisione in due categorie: il portamonete (aumo-snière/escharcelle, con la sottile diffe-renza tra il gesto del dare associato alla prima e quello del conservare connesso alla seconda), e il contenitore di effetti personali (l’allouyère/bourse/gibecière)6. Nel 1887 Forestié liquiderà la questione,

sostenendo che nella lingua medievale bourse aumônière e escarcelle sarebbero stati sinonimi per indicare una sorta di moda universale riguardante «toutes les conditions, les hommes et les femmes, les veillards comme les enfants, les clercs comme les laics»7.

Tra la letteratura medievale, ricca di citazioni di difficile interpretazione e la co-piosa storiografia contemporanea, sovente ripetitiva nei contenuti peraltro piuttosto generici, la temperie culturale ottocentesca di riscoperta del Medioevo e di applica-zione del metodo archeologico alla storia ha regalato, oltre ai testi già citati, alcu-ni preziosi dizionari che hanno avuto il pregio di analizzare reperti sopravvissuti.

Particolarmente significativo per lo studio della borsa comasca è il glossario di Viollet-le-Duc, che correda la voce aumônière di illustrazioni sull’uso, sulla fattura e descrive tre item del tesoro della cattedrale di Troyes8.

Le affinità tra gli oggetti di Troyes, appartenuti ai conti di Champagne, e quello lariano sono parecchie; l’aumônière detta «di Henry le Libéral»9 (Fig. 7) presenta una confezione analoga per dimensioni, formato trapeizodale e finiture di ghiande di passamaneria e bottoni. Secondo il pensiero di Viollet-le-Duc la forma e la fer-matura sono criteri di attribuzione cronologica: la silhouette a trapezio e l’assenza di chiusure metalliche, qualità riscontrabili nell’item comasco, si situerebbero tra la fine del XII e il XIV secolo10.

Fig. 5. Codice Manesse, Zurigo 1305-1340 ca., foglio 64r. ©Biblioteca dell'Università di Hei-delberg, Codex Palatinus Germanicus 848.05.

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Tra i temi del dibattito sulle borse medievali, accanto a quello appena esplorato della diversità tipologiche, riveste una particolare rilevanza la questione dell’uso in rife-rimento alle crociate e, più in generale, al fenomeno dei pellegrinaggi. Già puntua-lizzato da de Laborde, che aveva collegato la nascita della corporazione parigina dei «Faiseuses d’aumônières sarrasinoises» sul finire del Duecento alla domanda di sacche da parte dei crociati11, la letteratura ottocentesca e la successiva hanno ripre-so l’argomento, ponendo l’accento sul fascino esercitato dal costume mediorientale

nell’equipaggiamento dei crociati e sul ruolo da loro svolto nella diffusio-ne delle borse in altri contesti socia-li12. O ancora, a rinsaldare il binomio borsa pellegrinaggio, colpisce la si-militudine, pur nella differenza di di-mensioni e materiali, tra aumônières e souvenirs metallici porta-reliquie, probabilmente gettati da viandanti ri-conoscenti per il ritorno dal viaggio insidioso in Terra Santa e rinvenuti in scavi presso il Tamigi,13.

La consuetudine di allocare le reliquie in borse sia di metallo che di tessu-to, di cui parla il canonico Reusans nella seconda metà dell’Ottocento14, era in ogni caso più antica, come di-mostrano alcune opere di oreficeria in collezioni museali15; il perpetuarsi di questo costume è testimoniato poi dall’abbondante corpus di sacchetti in tessuto disperso tra chiese e conventi europei16. E’ importante sottolineare la relazione tra borse e reliquie perché essa spiega la ragione del ritrovamen-to dell’aumônière comasca all’interno di uno scrigno reliquiario, nonché il suo stesso utilizzo per accogliere sacri resti, come si desume da un documen-to del 1586 negli archivi della Diocesi lariana. Si tratta dell’inventario del-le reliquie redatto in occasione della loro raccolta nell’urna d’argento cui si è accennato in avvio di saggio; l’e-lenco registra « […] reliquie undecimi mille virginum, et sancti Fran.ci cum sacculo ubi sunt varie reliquie sine inscriptione […] »17. La natura

profa-Fig. 6. Aumônière della Cattedrale di Como, det-taglio del gancio smaltato. Per gentile concessione dell'Ufficio di Arte Sacra della Diocesi di Como.

Fig. 7. Aumônière detta di Henri 1er de Champa-gne Francia, metà del XII secolo, ricamo. Troyes, tesoro della Cattedrale, da: M. Carlano, French Textiles..., 1985.

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na e il tema amoroso del programma iconografico dell’aumônière comasca inducono però a pensare che, in origine, essa dovette essere concepita come omaggio sponsale, trasformandosi soltanto successivamente in involto, secondo una “rifunzionalizza-zione” perfettamente riconducibile, a più livelli, alla mentalità medievale.

Tornando al’atto notarile del 1586, l’associazione tra il «sacculo» e le reliquie delle undicimila vergini18 costituisce un primo indizio per un’ambientazione fiamminga della fattura della borsa, supportata dalla scoperta di una stringente analogia tra il re-perto lariano e un sacchetto di reliquie, di cui si discuterà a breve, conservato a Saint Trond presso il Provinciaal Museum19.

Nel panorama delle aumônières conosciute l’oggetto lariano è un unicum, sommando integrità, tessitura ad arazzo (Fig. 8) e decoro figurato; quelle note di Xanten, Cluny, Troyes, Tongres, pur caratterizzate da rappresentazioni attinte dallo stesso mondo ca-valleresco della borsa di Como, sono ricamate o in tessuto operato20; alcuni frammen-ti di un’aumônière in arazzo si trovano dispersi tra le collezioni del Schnϋtgenmus-eums di Cologna e il Cleveland Museum of Art21, mostrando tuttavia un ‘iconografia a stemmi che, insieme alla geometria, era piuttosto frequente nelle borse in generale.

L’eccezionalità del manufatto lariano attiene inoltre anche alla storia della tessitura ad arazzo, che è stata monopolizzata dai grandi pezzi istoriati per arredamento sacro e profano, penalizzando invece gli studi diacronici su questa peculiare tecnica, con l’eccezione dei tessuti copti ampiamente diffusi in collezioni private e pubbliche.

Come si vedrà nel prossimo paragrafo, l’esistenza del reperto comasco rimette dunque in moto la discussione relativa alla tipologia, la circolazione e la trasformazione della tessitura ad arazzo in Europa.

Per una attribuzione del luogo di produzione del manufatto comasco: tecniche e materiali

Assegnare un luogo di produzione alle aumônières è un nodo critico complesso: il Livre des Métiers d’Etienne Boileau, scritto nella seconda metà del XIII secolo, ci rende edotti dell’esistenza a Parigi di una corporazione di «Faiseuses d’aumônières sarrasinoises»22 e rappresenta il fondamento delle ricorrenti attribuzioni di borse a manifattura parigina. Tuttavia sulla questione gravano ancora molti dubbi, che nascono dalla difficoltà di collegare il linguaggio delle fonti alla realtà storica; la lettura dei regolamenti non consente infatti un’ interpretazione univoca rispetto a materiali e forma. Basti pensare che nell’edizione ottocentesca curata da Depping, ad esempio, i commenti critici parlano di tecnica del ricamo, liquidando l’aggettivo

«sarrasinoises» nella generica derivazione delle borse europee da quelle medio-o-rientali, direttamente conosciute attraverso le crociate23.

Benché numerosi studiosi successivi al Depping abbiano indugiato sul significato di

«sarrasinoises» - che ricorre in taluni documenti anche accanto ai termini «tapis»

e «tapissiers» - su questo versante si è lontani da un›opinione condivisa. Ad oggi il dibattito è tutt›altro che concluso24: spigolando tra le differenti voci si trova chi afferma che si tratterebbe di una peculiare tipologia d’arazzo caratterizzata dall’im-piego di filati di seta e di metallo - come accade nell’oggetto comasco - importata in Europa da tessitori arabi e diffusa da costoro nel Nord Europa. A riprova di questo

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assunto vengono citati documenti finanziari e inventariali che registrano la presenza di tessitori saraceni a Parigi e nei suoi dintorni, così come nelle Fiandre25. La parten-za in questa area dell’arazzo sarebbe stata concomitante con la crisi della draperie maturata agli inizi del XIV secolo e, secondo la letteratura più influente - alla ricerca delle origini dei grandi pezzi d’arredamento - spetterebbero ad Arras sia l’avvio della produzione, affermatasi in seguito anche a Douai, Tournai, Lille, Bruges, Bruxelles, che il vanto di una specializzazione legata ai fili metallici 26. E’ però da sottolineare come il discorso dell’anticipo di uno o dell’altro centro sia di scarsa rilevanza, poi-ché le affermazioni a favore di Arras si basano sulla cronologia delle uniche fonti documentali sopravvissute che parlano di questa tecnica in un contesto di difficile interpretazione27.L’esistenza di tessuti ad arazzo di piccole dimensioni che si sono preservati supporta poi ragionevolmente la considerazione che il circuito produttivo potesse includere altri attori, quali ad esempio i monasteri28. O ancora è stato giu-stamente rilevato come il pregiudizio nazionalistico/municipalistico alla base degli studi sull’arazzo, inteso quale manufatto di grandi dimensioni realizzato da artigiani specializzati, abbia impedito di prendere in considerazione l’ipotesi verosimile di una produzione articolata dispersa sul territorio29.

Si è accennato poc’anzi come il lavoro di ricerca sui pezzi confrontabili con il manu-fatto lariano abbia portato alla scoperta di una piccola borsa reliquiaria che si avvici-na molto alla borsa lariaavvici-na, nonostante il diverso formato e la confezione semplificata (un rettangolo di cm. 10 di base X 13,5 di altezza). Le similitudini tra i due oggetti sono serrate per quanto riguarda l’intreccio tessile e lo stile della figurazione : la stof-fa della borsa limburghese è stata realizzata con uguale tecnica ad arazzo30; i materiali usati nei due reperti sono pressoché identici nella natura, nonché simili nella morfo-logia: entrambi hanno ordito di lino, seta e metallo filato (lamina apposta su budella animale, accia di lino) in trama, la differenza consiste nella maggiore ricchezza nella borsa italiana, dove si riscontra il filo metallico nella duplice versione oro e argento31. Il reperto limburghese esibisce su entrambe le facce una sola scena, che illustra il dono d’un oggetto circolare, forse un anello, tra due personaggi coronati : un uomo abbigliato da menestrello, una donna che veste un abito dalle strette maniche e una sopravveste. Lo stile delle figure è riconducibile al reperto di Como e vi è un’ulterio-re prossimità rappun’ulterio-resentata dal fondo del tessuto, disseminato in entrambi di casi di rosette32. Il manufatto belga, restaurato e schedato dall’Institut royale du Patrimoine artistique di Bruxelles (IRPA) è stato genericamente attribuito all’Europa occidentale dei secoli XIII-XIV, mentre per i personaggi illustrati si è avanzata l’ipotesi dei pro-tagonisti del romanzo cortese Iwein et Laudine, sulla base del paragone con gli arazzi di Malterer33.

Una ulteriore connessione tra i due manufatti riguarda la vicenda delle reliquie delle undicimila vergini; la borsa limburghese proviene infatti da uno scrigno, rinvenuto nel 1986 nella soffitta del presbiterio della chiesa abbaziale di Saint Trond, contenen-te ossa e crani - avvolti e concontenen-tenuti in stoffe di diverse provenienza - che la tradizione vuole siano resti delle undicimila vergini, arrivati tra il 1270 e il 1272 da Colonia nella cittadina belga su richiesta dell’abate Guillaume de Rijckel34.

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Dalla comparazione tra l’aumônière co-masca e il sacchetto di Saint Trond emer-ge dunque una relazione su più livelli; se la prudenza invita alla cautela nell’affer-mare la realizzazione in uno stesso atelier, l’evidente somiglianza induce tuttavia a pensare che entrambi siano stati concepiti nella medesima area, dove era possibile approvvigionarsi degli stessi materiali e vi erano artefici competenti nella struttura tessile ad arazzo. La geografia di manifattura a cui si pensa, con riferimento ai risulta-ti delle indagini sui filarisulta-ti metallici35 del manufatto lariano e all’impiego della tecnica dell’arazzo, comprende le Fiandre e/o la regione mosano-renana. Avvalendosi delle tavole comparative realizzate da Márta Járó di filati metallici campionati da reperti medioevali di origine nota, la tipologia della lamina d’oro e d’argento dell’aumônière di Como coincide con quella riscontrata in reperti lucchesi o tedeschi, prodotta par-tendo da budella animale36. La larghezza della lamina sembrerebbe tuttavia spostare l’ago della bilancia verso la città toscana37, aprendo un interrogativo sulle attività commerciali dei mercanti di Lucca che, come è noto, durante il Medioevo circolava-no e risiedevacircolava-no nelle Fiandre38. I loro traffici con il Nord-Europa riguardavano solo i tessuti auro-serici39, per i quali erano noti, o anche i filati metallici che caratterizza-vano una tessitura locale di eccellenza? Un singolo oggetto, come la borsa comasca, può riaprire il dibattito nell’ambito della storia economica e del tessuto in riferimento alla tipologia delle merci scambiate.

Per una attribuzione del luogo di produzione e di datazione del manufatto coma-sco: iconografia, stile, storia

Diversamente dal’esemplare di Saint Trond, che reca una sola scena agita da due per-sonaggi, l’aumônière lariana dispiega una narrazione cortese costituita da una serie di episodi ricorsivi in una composizione a bande orizzontali sovrapposte, separate da ranghi di teste. L’impiego della tecnica ad arazzo ha permesso all’artefice di sottrarsi

Fig. 8. Aumônière della Cattedrale di Como, detta-glio della tecnica ad arazzo. Per gentile concessio-ne dell'Ufficio di Arte Sacra della Diocesi di Como.

Fig. 9. Aumônière della Cattedrale di Como, Tri-stano con gli animali ausiliari della caccia; Isotta rimette le armi a Tristano. Per gentile concessione dell'Ufficio di Arte Sacra della Diocesi di Como.

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alla regola del pattern - che, con differente tessitura, avrebbe obbligato alla ripetizio-ne degli stessi motivi decorativi in una sequenza fissata - e di comporre le tre sceripetizio-ne in maggiore libertà assecondando la forma finale del manufatto. Gli episodi che si susseguono nell’impaginato sono tre, cui va aggiunta una quarta scena presente una sola volta.

La raffigurazione del reperto lariano è correlata alla cultura cortese e vede impegnati due personaggi, l’uno maschile l’altro femminile. La loro identificazione non è sta-ta facile, poiché le fisionomie e la descrizione dell’abbigliamento risentono d’una semplificazione formale quasi naïve, riconducibile a ragioni tecniche e forse alle convenzioni espressive in rapporto al tema narrativo.

La donna è sempre coronata ma diversamente vestita a seconda degli episodi: porta talvolta solo una lunga tunica dalle strette maniche, talaltra indossa veste e sopravve-ste. Due volte ricorre la scena della dama coronata in tenuta regale, che comprende il manto foderato di vaio, nell’atto di rimettere un elmo con cimiero all’uomo in ab-bigliamento da torneo. La donna è coinvolta poi in due altre azioni: gioca a scacchi con il personaggio maschile, che le passa una coppa, e in un’altra, solitaria «vignet-ta», dona un oggetto circolare con la base ispessita a un menestrello dall’inequivo-cabili veste bipartita e cappello a orecchie. La scena maggiormente ripetuta nella decorazione concerne la figura maschile, con un uccello sul polso, che cavalca un cavallo pomellato sul quale è accucciato un cane.

Per quanto la tecnica di realizzazione costituisca un limite alla libera espressione del gusto, la preferenza artistica che l’aumônière manifesta è ancora romanica, dimostra-ta dal tratdimostra-tamento complessivo dell’illustrazione, che manca di profondità e pundimostra-ta su figure e oggetti in piena frontalità realizzati a colori piatti, ad eccezione della scac-chiera in cui si accenna la prospettiva e del piumaggio a colori variegati dell’uccello.

Anche Il dettaglio dei pomelli rossi dei visi s’iscrive nella temperie artistica romanica che ebbe una lunga vitalità dal XI al XII secolo, prolungando la sua influenza nel XIII secolo in talune aree geografiche come la Francia nord-orientale e l’area mosana.

Tenendo conto del gioco delle interdipendenze tra le arti nel Medioevo e

dell’impor-Fig. 10. Aumônière della Cattedrale di Como, Trista-no e Isotta giocaTrista-no a scacchi. Per gentile concessio-ne dell'Ufficio di Arte Sacra della Diocesi di Como.

Fig. 11. Aumônière della Cattedrale di Como, Tri-stano menestrello. Per gentile concessione dell'Uf-ficio di Arte Sacra della Diocesi di Como.

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tanza delle miniature come repertorio d’immagini cui ispirarsi, si è così proceduto alla ricerca di documenti da comparare con il reperto della Cattedrale di Como, per sostenere le attribuzioni rispetto a luogo di manifattura, datazione e committenza.

Lo stile complessivo ha affinità con la produzione artistica del terzo quarto del XIII secolo, un’ipotesi cronologica che trova conferma anche nell’analisi dell’abbiglia-mento dei personaggi. Certi dettagli quali l’abbigliadell’abbiglia-mento militare del cavaliere ingi-nocchiato - caratterizzato da cotta di maglia coperta da armatura con blasoni, guanti, calzari e camaglio - l’aderenza delle maniche delle tuniche e la fodera di vaio delle cappe, depongono ulteriormente a favore di questa range cronologico40.

Se si passano poi in rassegna le singole scene è possibile ravvisare alcuni paralleli con la cultura figurativa legata a Federico II, ben diffusa oltre i confini del regno meridionale d’Italia. Si prenda ad esempio, la scena apicale della pattella della borsa - che si ripete all’estremità sinistra dell’oggetto - in cui la figura della dama

Se si passano poi in rassegna le singole scene è possibile ravvisare alcuni paralleli con la cultura figurativa legata a Federico II, ben diffusa oltre i confini del regno meridionale d’Italia. Si prenda ad esempio, la scena apicale della pattella della borsa - che si ripete all’estremità sinistra dell’oggetto - in cui la figura della dama