e politico, gli esseri umani potevano diventare disprezzabili solo se nemici di guerra, ma restava sempre il rispetto per il coraggio e il successo.30 I moretti veneziani ri-cordano anche, in linea di massima, i busti reliquiario di santi, così popolari in tutta Europa in epoca medievale, e anche qui quindi non si può parlare di rappresentazione negativa del soggetto, tanto più che abbiamo un Re Magio nero, il San Maurizio e le Madonne Nere. Inoltre, elemento da non sottovalutare, a Venezia con molta probabi-lità arrivavano pezzi di arte africana, poiché se ne conoscono nelle Wunderkammern di tutta Europa.31 Non è quindi da escludere che gli artefici di uno dei porti più im-portanti del mondo trovassero ispirazione in alcuni di questi oggetti. Il Moretto Ve-neziano è in conclusione un busto di uomo africano. I primi a noi pervenuti sono dei semplici busti in pietra dura come quelli della Collezione Correr, in seguito arricchiti da sontuosi ornamenti in oro, smalto e pietre preziose (Fig. 8).
Qui si vuole aggiungere ancora un elemento a questa analisi: Venezia era una città fortemente connessa alle isole maggiori italiane, lo era tramite le rotte mercantili alla Sicilia, dove molti gioiellieri si recavano per i loro commerci e per scambi culturali, e alla Sardegna tramite la rotta di Pisa.32 E proprio nelle due isole, l’iconografia del moro – anche qui uomo africano – gioca un ruolo simbolico fondamentale.
La famosa “Testa di Moro” in Sicilia è un vaso di ceramica che orna quasi tutti i balconi dell’Isola. Non si hanno studi approfonditi sull’argomento, ma la leggenda vuole che ricordi un generale saraceno del X secolo protagonista di una intensa storia d’amore con una bella giovane del luogo. Al momento del suo ritorno a casa, dalla moglie e dalla sua famiglia, la fanciulla presa da un raptus di gelosia gli tagliò la testa piantandoci del basilico ed esponendola sul balcone. La pianta crebbe così rigogliosa che tutti i vicini vollero avere un contenitore per le piante simile.33 Da allora i ceramisti dell’Isola producono questi
vasi in coppia, una testa di giovane ragazza e una testa di moro (solitamente nero, ma an-che dai tratti saraceni) ornata da un turbante o una corona. Nel caso siciliano l’argomento schiavitù non ha niente in comune con questo elemento decorativo, anzi, nonostante che la Sicilia sia stata conquistata dall’aristocrazia araba supportata da soldati di origine berbe-ra, il generale protagonista di questa storia d’amore multiculturale, elemento simbolico fondamentale dell’arte decorativa sicilia-na, diventa un uomo nero. Si può ipotizzare come anche questo sia in fondo un retaggio dell’arte classica, in particolare delle coppe con teste di africani, per certo è un altro ele-mento a supporto di una teoria sulla cultura
Fig. 8. Moretto Veneziano “Veduta di Ve-nezia”, Gioielleria Nardi di Venezia.
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*classica che continua ad influenzare l’area mediterranea, ma non va esclusa anche in questo caso la sempre riconoscibile impronta di Federico II, che come già detto arriva fino in area veneta.34
Nel caso della Sardegna e della sua bandiera con i quattro mori, l’argomento è un po’
più complesso. Sullo sfondo bianco, le teste di quattro mori africani sono divise dalla croce rossa di San Giorgio, santo simbolo delle crociate e della conquista cristiana.
Secondo alcuni dunque si tratterebbe delle quattro teste mozzate dei re Saraceni a seguito della vittoria dei re spagnoli di Aragona del 1096 di Alcoraz e la riconquista di Saragozza, Valencia, Mursia e Baleari; non una visione “dell’altro” particolarmen-te positiva, dunque. Altri invece vedono ancora una volta il San Maurizio già citato, visto che la sua testa bendata, come nel caso sardo, è rappresentata in molti stemmi di area franco-germanica.35 Ancora una volta ritorna Federico II, e forse non si dovrebbe parlare del caso a questo punto.
In conclusione: il moretto veneziano è un ornamento dai molteplici significati. Il re-taggio ellenistico e classico che persiste nelle arti minori, l’amore per l’esoticismo di Venezia, la multiculturalità della città, il forte influsso della cultura federiciana pro-veniente dall’area germanica, ma anche gli scambi con la Sicilia e la Sardegna, senza tuttavia dimenticare l’incontro-scontro tra Venezia e gli Ottomani a Oriente, sono tutti elementi che compongono la nascita di questo gioiello, tuttora così popolare a Venezia e simbolo oramai della città.
L’iconografia dell’uomo nero nell’arte europea è una storia lunga e complessa, poi-ché da un lato svariati sono gli esempi pittorici nei quali gli uomini neri sono simbolo degli oppressori di Cristo, brutali assassini di Giovanni il Battista oppure veri e propri grotteschi diavoli e stregoni (basti vedere la connessione con la parola negroman-zia).36 Dall’altro la cultura tedesca, che influenzò anche Venezia, impone due uomini neri come stimati personaggi, San Maurizio e il Magio Baldassarre. Per non parlare del mito della Venere Nera, simbolo di bellezza, e elemento cruciale della poesia manierista italiana, come del Giambattista Marino, ma qui si allargherebbe eccessi-vamente il discorso.
A Venezia osserviamo anche, a partire dal Cinquecento, un interessante fenomeno di sedimentazione cronologica; cioè con il tempo e per quanto riguarda il gioiel-lo, gli africani non sono più gli schiavi rappresentati dal Brustolon, degli infedeli o dei famelici pirati dai quali bisogna difendersi anche con simboli apotropaici, ma diventano invece dei veri e propri principi orientali simbolo della multiculturalità della Serenissima. Non solo, in questo studio si vuole credere che la famiglia impe-riale Hohenstaufen, con la sua corte multiculturale, abbia giocato di nuovo un ruolo importante nella creazione di un immaginario esotico in Italia quindi, creando una connessione culturale nei secoli a venire tra Germania e Italia e che la cultura classica sia stata ancora una volta retaggio importante per gli artisti della Prima età moderna.
Certo non è un caso se una delle tragedie di Shakespeare parli di un generale nero del-la flotta veneziana, Otello. La Serenissima sceglie quale ornamento-emblema deldel-la città il busto di un uomo africano.
* A mio zio Nino, che il suo ricordo sia di benedizione
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*Note
1 Per una storia della produzione di Andrea Brustolon, vedi: G. Biasuz, M.G. Buttignon, Andrea Brustolon, Venezia 1969; Andrea Brustolon. Il Michelangelo del Legno, a cura di A.M. Spiazzi, M. De Grassi, G. Galasso, Milano 2009; “Andrea Brustolon at the Ca’ Rezzonico”, in Bollettino dei Musei Civici Veneziani, n.4, annata VIII, 1963, pp. 18-25.
2 Ringrazio l’amico e collega Andrea Donati, e il direttore del Museo Correr di Venezia, Andrea Bellieni, per avermi aiutata in questa ricerca “di magazzino”.
3 K. Lowe, Visible Lives: Black Gondoliers and Other Black Africans in Renaissance Venice, in
“Renaissance Quarterly”, 66, No. 2, pp. 412-452.
4 Ibidem.
5 Ibidem.
6 N.H. Minnich, The Catholic Church and the pastoral care of black Africans in Renaissance Italy, in Black Africans in Renaissance Europe, Cambridge 2005, pp. 280-300.
7 Isabella d’Este and black African women, in Black Africans..., 2005, pp. 134-135.
8 .H.D. Kaplan, Isabella d’Este and black African women, in Black Africans..., 2005, p. 131.
9 Ibidem.
10 P.H.D. Kaplan, The rise of the Black Magus in Western Art, Ann Arbor 1985, p. 161.
11 Ringrazio Catherine Kovesi e Ariel David per avermi fatto notare questo ulteriore elemento le-gato al Moretto Veneziano.
12 E. Curzel, Il Medioevo - Dai Magi ai tre santi re, in I Magi, a cura di S. Zucal, Pancheri, Trento 2000, pp. 19-26. Cfr. pure M.C. Di Natale, L’Adorazione dei Magi nelle arti decorative tra manualità, simbolo e materia, in In Epiphania Domini. L’Adorazione dei Magi nell’arte siciliana, catalogo della Mostra a cura di M.C. Di Natale e V. Abbate, Palermo 1992, pp. 135-151.
13 G. Heng, An African Saint in Medieval Europe – The Black Saint Maurice and the Enigma of Racial Sanctity, in Sainthood and Race: Marked flesh, Holy flesh, a cura di V.W.Lloyd, M.H. Bassett, Londra 2014, pp. 18-44.
14 P.H.D. Kaplan, Black Africans in Hohenstaufen Iconography, in Gesta Vol. 26, No. 1 (1987), pp. 29-36.
15 P.H.D. Kaplan, Introduction to New Edition, in The Image of the Black in Western Art, D. Bind-man and H.L. Gates eds., Harvard University Press, 2010.
16 Ibidem.
17 S. MacKee, Domestic Slavery in Renaissance Italy, in Slavery&Abolition, Vol. 29, No .3, Sep-tember 2008, Routledge, pp. 305-326.
18 S.F. Ostrow, Pietro Tacca and his Quattro Mori: the beauty and identity of the slaves, in “Artibus et Historiae”, n.71 (XXXVI), 2015, pp. 145-180.
19 K. Lowe, The black African presence in Renaissance Europe, in Black Africans in Renaissance Europe, Cambridge 2005, p. 7.
20 Si vedano i numerosi cataloghi di Christie’s e Sotheby’s.
21 The Image of the Black in Western Art, a cura di D. Bindman and H.L. Gates, Harvard 2010, pp.
1-39 e 141-250.
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*22 L. Chiozzi Calci, Il moretto fiumano, in “Pagine istriane”, 1-2, 1986, pp. 52-55.
23 Elemento da inserire a mo’ di curiosità, solo oggi i neri africani di nazionalità turca, cercano di riaffermare e narrare il proprio passato. Vennero infatti portati in Turchia come schiavi durante l’impero ottomano, e venivano impiegati come soldati e pirati. Si veda articolo in Haaretz di Davide Lerner e Esra Whitehouse del 26 ottobre 2017 (https://www.haaretz.com/middle-east-news/turkey/.
premium-the-afro-turks-turkeys-little-known-black-minority-reclaims-its-past-1.5460354). Da qui forse la confusione tra pirati turchi e africani, questi diventano simbolo del Moretto. Non esistendo il termine musulmano, ma Turco o maomettano.
24 W. Wolters, Wolfgang. La scultura veneziana gotica (1300–1460), Venezia, 1976, 2 vol., 1:174, 2: fig. 220.
25 Anche se in quest’ultimo si potrebbe mettere in discussione la montatura dallo smalto eccessi-vamente sgargiante e abbondante, con altri due mori sui due lati, forse eseguita successieccessi-vamente nel XVII o XVIII secolo.
26 Scheda nr. 40, in Princely Magnificence – Court Jewels of the Renaissance, catalogo della mo-stra, Victoria and Albert Museum, Londra, 15 ottobre 1980- 1 febbraio 1981, p. 61.
27 Idem, scheda nr. 46, p. 62.
28 L. Seelig, Christof Jamnitzer Moor’s Head, in Black Africans..., 2005, pp. 181-210.
29 Idem, scheda nr. 70, p.70.
30 F.M. Snowden, Iconographical evidence on the black populations in Greco-Roman Antiquity, in The Image of the Black…, pp. 141-250.
31 Exotica: Portugals Entdeckungen im Spiegel fürstlicher Kunst- und Wunderkammern der Renais-sance, catalogo della mostra, Kunsthistorisches Museum Wien, 2000.
32 M. Firpo, Artisti, gioiellieri, eretici. Il mondo di Lorenzo Lotto tra Riforma e Controriforma, Bari 2001.
33 Tradizione orale.
34 Le teste di Moro come calici, per esempio quella eseguita dall’orafo tedesco attivo alla corte di Praga, Christoph Jamnitzer nel 1600 circa, probabile regalo degli Strozzi ai Pucci che avevano appun-to un moro nel loro stemma. Queste teste di moro a forma di calice venivano già prodotte dagli etruschi e romani e poi riprodotte a Padova, in area veneta quindi, nella bottega di Andrea Riccio (1470-1532), per esempio, all’inizio del Cinquecento. Vedi L. Seelig, “Christoph Jamnitzer’s Moor’s Head: a late Renaissance drinking vessel”, in Black Africans in Renaissance Europe…, 2005, pp. 181-210.
35 B. Fois, Lo stemma dei 4 mori – Breve storia dell’emblema dei sardi, Carlo Delfino Editore, Sassari, 1990; F.Sedda, La vera storia della bandiera dei Sardi, Cagliari, Edizioni Condaghes, 2007.
36 G. Heng, An African Saint…, in Sainthood and Race..., 2014; ma anche l’interessante studio di A. Melamed, The Image of the Black in Jewish Art, Londra 2003.