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Simone Picchianti Il lanciaio fiorentino nel Rinascimento

le armi in asta, mentre i “ferri” erano prodotti da una diversa manodopera specializzata, sottoposta all’Arte dei Chiavaioli, Ferraioli e Calderai, come asserito nel loro statuto del XV secolo (Fig. 1)5. Il lanciaio però non trovava posto nell’Arte dei Legnaioli, visto che da una specifica rubrica all’inter-no del loro statuto apprendiamo che

«Nel 1384 per li ufficiali approvatori delli statuti di tutte l’arte di Firenze, messer Luigi Guicciardini e altri suoi collegi a di 29 dicembre, fu casso e rivocato (revocato) ogni e qualunque statuto e ordine di detta arte de le-gnaioli che obbligasse a dare a detta arte, balestra o palvese e qualunque altra generatione d’arme per qualun-que cagione o pretesto si (ci) sia»6. Il perché di questa ritrosia da parte di tale corporazione nell’accettazione di produttori di armamenti tra i propri iscritti, non è meglio chiarita ma sap-piamo che almeno per quanto riguarda i balestrieri, tale inaccessibilità veniva meno già nel 1416, quando troviamo addirittura tra i consoli un balestriere7.

All’interno del libro dell’Arte dedicato ai debitori e creditori dell’anno 1422, si ha con-ferma del rientro nella corporazione dei balestrieri; tra le professioni citate troviamo in-fatti: legnaiolo, cassettaio, scodellaio, tornitore, balestriere, sellaio, forzerinaio, cerchiaio, cofanaio, filatoiaio, tavoliere, produttore di tegole, bastiere, bottaio, cestaio8. Come si è potuto constatare i lanciai non vengono mai citati e lo stesso Piero d’Antonio di Naldo che troviamo tra i debitori dell’Arte, era infatti iscritto come scodellaio9. È inoltre da sot-tolineare che tra le portate al Catasto del 1427, non vi è nessuno che dichiari di svolgere tale attività commerciale10.

La mancata presenza di tali professionisti all’interno delle Arti fiorentine risulta es-sere particolarmente insolita, visto che queste tipologie di armamenti erano tra quelle principalmente utilizzate non solo dalla milizia cittadina ma anche dalle compagnie mercenarie del periodo (Fig. 2). Tale armamento era infatti utilizzato non solo dalla cavalleria ma soprattutto dalle fanterie, le quali ne necessitavano conseguentemente di un numero molto elevato: a titolo esemplificativo dell’ingente quantitativo di armi di cui poteva necessitare un esercito, ricordiamo che nello stesso anno in cui moriva Piero d’Antonio di Naldo, Venezia schierava contro Milano oltre a 12.000 cavalieri e 8.000 fanti non professionisti del proprio contado, richiedenti perciò oltre 20.000 armi in asta, per un solo schieramento11. Queste armi potevano essere di varie

tipolo-Fig.1. 1504, Mendelschen Hausbüch, Amb. 317.2°

c. 120r (Mendel I), Nürnberg, Stadtbibliothek. In questa miniatura è rappresentata la produzione di varie tipologie di ferri da arma in asta. Partendo da sinistra: scure d’arme, lancia da fante, lancia da ca-valiere, lancia per la giostra, scure, roncone.

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gie, soprattutto per le fanterie, le quali erano divise tra pesante e leggera, in funzione appunto del loro armamento. La fanteria pesante era caratterizzata da un’uniformità di elementi difensivi ed offensivi, oltre ad una preparazione professionale per la guer-ra, cosa che gli permetteva di combattere in formazione ed essere in grado di con-trastare gli assalti della cavalleria. La fanteria leggera invece combatteva in ordine sparso, con un armamento vario e senza una preparazione specifica, eccezione fatta per i tiratori, solitamente mercenari12. La fanteria pesante utilizzava principalmente un’arma di notevoli dimensioni per quanto riguarda la lunghezza, proprio per essere maggiormente offensiva contro le cariche di cavalleria: ciò era possibile grazie a un’organizzazione della formazione stretta e chiusa13. Va infine ricordato che come tipologie di armi, quelle in asta sono state maggiormente utilizzate nei campi di bat-taglia nel corso del tempo, partendo da epoche remote sino al pieno XVII secolo, per poi declinare sotto la manifesta preponderanza delle armi da fuoco.

Ritornando all’analisi dell’inventario di bottega, fatto dagli ufficiali dei pupilli per Piero d’Antonio, apprendiamo come i suoi commerci fossero molto diversificati: spa-ziavano infatti da tutta una serie di utensili per la cucina, in legno e in metallo, alla produzione di manici per molti strumenti e aste per armi, oltre che alla vendita di armi complete, cosa che non ci sorprende essendosi dichiarato sia come scodellaio che come lanciaio.

Fig. 2. XV secolo, Battaglia d’Azincourt, particolare, Abrégé de la Chronique d’Enguerrand de Mon-strelet, Parigi, Bibliothèque nationale de France (BnF), département des Manuscrits. In questa espli-cativa raffigurazione miniata di un campo di battaglia, si può constatare la presenza in entrambi gli eserciti di un gran numero di armi in asta, sia per i fanti che per i cavalieri.

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Utensili in legno14: «XXI mestole di le-gnio forata e non forata, I saccho di cuc-chiai; XV pale nuove da forno; XLIIII pe-stelli grandi et piccoli nuovi; XX bigoncie di legnio usate15, L zane vecchie triste16, XL zane nuove, LXXIIII catini di legnio nuovi, LXI catini di legnio, LXXXXVII catini da gelatina tra grandi et piccho-li; XVIII taglieri da migliacci nuovi, 240 taglieri da rizzare d’acero, 1072 taglieri d’acero usati, 2902 taglieri nuovi d’a-cero, 4440 taglieri di faggio nuovi, 240 taglieri da rizzare d’acero, 1072 taglieri d’acero usati; 10 scodelle d’acero da da-nari, 78 scodellini, 10 scodelle d’acero , 78 scodellini, 1158 scodelle d’acero nuo-ve, 440 scodelle, 440 scodelle vecchie, 900 scodelle nuove, 420 scodelle nuove, 480 scodelle nuove, 84 scodelle meza-ne; XXXVIII schedoni di legnio usati17; 5 manichi nuovi da spiedi da porci begli, 6 manichi da spiedi salvatichi; 26 mani-chi da vangha, 4 mazzi d’asti da tormani-chio;

5 carucholine di legnio; 18 bordoni, 30 pali da bordone; 4 candelieri di legnio, 2 fastella d’asticciuole da candele».

Da questa prima parte dell’elenco dei beni presenti nei depositi della bottega, relativa agli utensili lignei, si viene a sapere che l’attività non si limitava alle sole scodelle ma era speci-fica di tutta la tipologia merceologica attinente non solo alla cucina ma anche ad altri lavori o attività, vista la presenza di manici di vanghe, bordoni ed altri oggetti utili per la fabbrica-zione di candele. L’altro dato straordinario è la quantità di oggetti presenti: 302 recipienti di grandi dimensioni, 4098 varietà di scodelle e l’incredibile numero di 9984 taglieri.

Utensili in metallo18: «XVI calderotti di rame usati saldi di libbre 129, III calderotti nuovi di libbre 45, X caldaie tese di rame di libbre 324, VII caldaie grandi di rame di libbre 602 usate; XVI tegnie di rame da torte di libbre 165, II tegnie; III padelle di ferro di libbre 42, VIIII padelle di ferro co manichi; XX pezzi d’alari di ferro d’arrosti di libbre 264 usati; VII treppiè di ferro di libbre 104, VIII treppiè grandi cupi di ferro di libbre 174; IIII graticole; XIII schedoni di ferro tra grandi e piccoli di libbre 142;

VII graffi di ferro co manichi da cavare la carne19; I vagliuccio, VIII stacci, I staccio vecchio20; X tegnami da lamprede; VII grattugie grandi; II ferri di spiedi nuovi di ferro begli; I catino di rame cum cenere; 8 coltellacci, I coltellino da battere lardo; 2 spiedi co ferri l’uno salvaticho l’altro lavorato; I bacino da danari di bronzo».

Anche da questo elenco di prodotti possiamo constatare che vi era una grande quanti-tà di strumenti per la cucina (Fig. 3). Un dato interessante che si può ricavare da alcu-ni di questi oggetti, sono i loro usi specifici per la preparazione di alimenti che oltre a

Fig. 3. Bartolomeo Scappi, 1570, Attrezzi per la cucina e il focolare, in Opera, Venezia. Lo scrit-to dello Scappi, seppur successivo all’inventa-rio di bottega analizzato, bene illustra la varietà di utensili utilizzati nelle cucine, sopperendo allo scarso numero di manufatti pervenutici.

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riconsegnarci informazioni impor-tanti riguardante la storia sociale, ci indicano anche a quale clientela erano rivolti questi beni. I «teghami da lamprede», ad esempio, erano specifici contenitori per la cottura della Lampetra fluviatilis una spe-cie di pesce oggi in via d’estinzione ma già nel Quattrocento, tali pesci erano molto rari e costosi, come asserito dall’erudito senese Ugo Benzi (1376-1439)21. Tale animale assomiglia ad un’anguilla e neces-sitava di particolari accorgimenti per la sua preparazione alla cottura:

l’Anonimo Napoletano (Ms. Bühler 19, Pierpont Morgan Library, New York, fine del XV secolo) asseriva che occorreva annegare l’animale nel vino bianco, al fine di facilitare l’eliminazione della pelle; una volta eviscerato occorreva dissanguarlo per poi utilizzare successivamente il sangue per la preparazione di sal-se; infine veniva cotto con noci mo-scate intere, succo d’arancia e men-ta22. Invece i «taglieri da migliacci»

erano appositi utensili utilizzati per la presentazione di un dolce dal nome, appunto, di migliaccio. Se-condo il manoscritto Urbinate La-tino 1203 (Biblioteca Apostolica

Vaticana, Roma), scritto in Toscana tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cin-quecento, si tratterebbe di una torta a base di formaggio fresco, farina, albumi d’uova e zucchero, cotta in padella da entrambi i lati e poi servita (sullo specifico tagliere citato) cosparso di zucchero e acqua di rosa23. Infine i «chatini da gelatina» erano contenitori peculiari per queste preparazioni. Dal ricettario dell’Anonimo Fiorentino (Ms.1071, Biblioteca Riccardiana, Firenze, 1338-1339) apprendiamo che per la gelatina di pesce si procedeva lessando tre grossi pesci in una parte d’aceto e sei parti d’acqua, a questi si aggiungevano molte spezie e la cottura avveniva molto lentamente. Al termine della cottura, i pesci e le spezie venivano colati e posti in uno specifico recipiente (il catino citato), aggiungendo foglie d’alloro sminuzzate; infine si faceva ritirare il brodo rimanen-te, e lo si colorava con zafferano per poi ricoprire i pesci24. Un simile procedimento lo propone anche l’Anonimo Meridionale (Ms.1339, Fondation Bibliothèque International de Gastronimie, Lugano, fine XIV-inizio XV secolo) per la versione con carne. Questa era

Fig. 4. Paolo Uccello, 1423-1425, San Giorgio e il Drago, particolare, Melbourne, National Gallery of Victoria. In questa eccezionale opera di Paolo Uccel-lo, l’artista molto attento a riprodurre fedelmente gli armamenti, bene ci illustra le armi utilizzate dai ca-valieri ad inizio del XV secolo: scagliandosi a cavallo contro il drago, San Giorgio lo colpisce prima con una lancia che si spezza nel corpo della bestia, poi pren-de mano alla spada e dopo essere stato disarmato si getta in un feroce combattimento corpo a corpo con una daga a sezione quadrata (detta anche sfondagia-co), utilizzata di norma per penetrare nelle armature nemiche (principalmente cotte di maglia e corazze).

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fatta lessare, dopodiché si aggiungeva altra acqua e aceto e si ricuoceva il tutto fino a ridurre il volume della carne ad un terzo;

infine, carne e brodo venivano riposti in un recipiente con le medesime spezie utilizza-te per il pesce25. Questi tre utensili, oltre ad averci permesso di risalire a ricette speci-fiche di questo periodo in uso a Firenze, ci indicano chiaramente che tali preparazioni erano per cucine non certamente umili ma bensì per raffinate mense. Così possiamo giustificare la presenza, all’interno del re-gistro riguardante le entrate ed uscite del nostro lanciaio, di molti nomi illustri di cittadini fiorentini come gli Strozzi, i Pe-ruzzi, i Bardi, i Rucellai ed altri ancora26. La grandissima quantità di utensili poteva invece fare fronte alle ingenti richieste dei numerosissimi monasteri, conventi, badie di tutto il contado fiorentino che vengono citate nel documento27 o ancora agli speci-fici acquisti compiuti da molti cuochi pro-fessionisti per le loro attività28.

Veniamo ora alla trattazione dell’attività specifica del lanciaio, ovvero la produzione e la vendita di armi in asta. Come abbiamo avuto già modo di asserire, l’attività produttiva del lanciaio riguardava la fabbricazione dell’elemento ligneo dell’arma. Ciò non sminuisce per nulla il suo ruolo nella produzione dell’arma: l’asta infatti doveva essere creata secondo specifiche caratteristiche, iniziando dalla selezione del legname, fino ad una sua specifica stagionatura in base a cosa si voles-se fabbricare; potevano infatti voles-servire aste resistenti per la guerra, o aste che facilmente potevano rompersi adatte per i tornei e inoltre non va sottovalutata la funzione offensiva a cui l’asta poteva essere chiamata in determinati casi.

Nella bottega troviamo infatti, oltre ad armi complete, anche le sole aste o alcuni elementi metallici, pronti per essere inastati. Armi complete29: «8 lancie da cavallo vote30, 3 lancie da cavallo fornite di ferro et resta, 158 lancie da cavallo quali col fer-ro, 54 lancie da giostra concie et ad tarsie31; 4 lancie da punta32, 10 lancie da punta da stendardi; 2 lancie da rettori dipinte; VIII chiaverine con ferri nuovi33; I lancia lungha da piè34; 78 lancie da fantapiè da posta; 48 lanciotti dipinti da rettore; 40 lancie da penone; 2 fastella di lancie da rompere per armeggiare35; 8 mannaie dipinte da rettore, I manaia a II mani fornita»36. Aste di armi37: «72 aste d’armeggiare; 100 aste da chiaverina co lanci lunghe da fanti appiè; 3 fastella d’aste da cortina braccia 6 l’una d.20 per fastello38, I fastello di dette aste; 23 fastella d’aste da chiaverine di braccia 4 in 539, 124 aste da chiaverina, 20 manichi da manaia». Ferri liberi40: «23 ferri da lancia nuovi, I ferro da chiaverina grande, 6 ferri da chiaverina».

Fig. 5. Benozzo Gozzoli, 1459, Cappella dei Magi, particolare, Firenze, Palazzo Medici Riccardi. In questo particolare del corteo dei Magi, in primo piano troviamo le lance di due guardie appiedate e nello sfondo una scena di caccia, nella quale il cavaliere stringe in mano un’arma da getto. Di queste armi è possibile constatare non solo la diversa punta ma anche una differente tipologia di aste, dovendo infatti assolvere a due compiti differenti.

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Possiamo notare subito, anche in questo caso, il grandissimo numero di pezzi presenti in bottega: 462 armi complete e 856 aste. Pure da questo punto di vista Piero d’Anto-nio di Naldo risulta essere un venditore all’ingrosso in questa categoria merceologica.

Come possiamo constatare dal registro dei suoi debitori, non sorprende quindi trovare citati tre volte i Dieci di Balìa, la magistratura fiorentina preposta alle operazioni militari, o la Camera dell’Arme, luogo adibito allo stoccaggio degli armamenti per la milizia cittadina, oltre ai Capitani di Parte Guelfa ed allo stesso Podestà della cit-tà41. Gli acquisti non erano però limitati alle grosse commesse ma anche a quelli di minore entità compiuti da soldati o cavalieri sia del comune che mercenari42. Le armi in asta, come testimoniato dalla varietà tipologica presente, potevano assolvere a una moltitudine di compiti specifici, non solo semplicisticamente “per cavalieri” o “per soldati” (Fig. 5). A livello di utilizzo, tali armi possono infatti compiere due tipologie di azioni principali: quella di stocco, ovvero di punta e quella di fendente, quindi di taglio. Alla prima afferivano come effetti quelli perforanti (punta), aggancianti (me-diante un eventuale gancio non tagliente parallelo al ferro e in direzione della punta), taglienti (fili convergenti dell’arma); al secondo quelli fratturanti (dente dorsale, o becco di falco affilati), taglienti (filo dell’arma) e strappante (ali affilate, rivolte verso l’utilizzatore)43. La quasi totalità delle armi presenti nel deposito sono da riferirsi alla prima tipologia, ad eccezione delle mannaie o scure d’armi. La terminologia approssimativa utilizzata dall’ufficiale dei pupilli, con tutta probabilità non esperto di armamenti, sfortunatamente non ci permette di apprezzare appieno la grande varietà tipologica presente nella bottega che lui indica, nella maggior parte dei casi, con il termine lancia ma che già all’epoca avevano una nomenclatura chiara e codificata, come si è infatti cercato di chiarire in nota. Molto interessante è però l’indicazione in alcuni casi delle lunghezze di tali oggetti. Oggi infatti determinare i pesi e le dimen-sioni delle armi in asta presenti nelle raccolte museali, risulta essere particolarmente difficoltoso. In genere infatti è molto raro trovare armi aventi le aste originali e, anche in questo caso, il trascorrere del tempo ha portato alla disidratazione del legno, ridu-cendone il peso effettivo (Fig. 6a-6b). Oltre a ciò, anche nel caso in cui l’oggetto sia originale, occorrerebbe valutare se questo non abbia subito una riduzione della lun-ghezza per via di una modifica in periodo d’uso, o se la parte terminante l’estremità inferiore, il calzuolo, è ancora presente o meno44. Le informazioni contenute nel testo inerenti le lunghezze sono quindi preziose per lo studio di tale tipologia di armamen-to, il quale, a fronte della grande importanza che ha ricoperto sui campi di battaglia, ha avuto scarso successo per quanto riguarda gli studi specifici45. Per concludere la parte di inventario inerente gli armamenti, troviamo ancora «150 mazze da villano»46, arma da botta non meglio specificata.

Un ultimo aspetto su cui possiamo soffermarci è relativo al reperimento degli ele-menti atti all’offesa che costituiscono armi in asta. Tra le poche indicazioni ricavabili, analizzando i debitori citati da Piero d’Antonio, apprendiamo dei suoi traffici con l’area di Pistoia, non solo con la città ma anche con il contado, in special modo nella zona montana47. Tale dato non coglie di sorpresa: è infatti risaputo come la monta-gna pistoiese, oltre ad essere luogo di produzione di acciaio era in questo periodo il fulcro di un florido commercio di semilavorati metallici. Dall’importante studio di Herlihy sulle industrie artigiane presenti a Pistoia nel 1427, risulta infatti che tra le

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attività economiche più redditizie della città spiccavano proprio queste. In tale studio viene citato, a titolo esemplificativo, il caso di Batista di Marco, uno dei più facol-tosi mercanti locali, che passa dalla sua attività di commercio di tessuti del 1415 a quello di panni lana e ferro48. Herlihy identifica poi 51 tra fabbri, coltellai, pentolai,

Fig. 6a-6b. 1480, Alabarda “alla svizzera”, particolari, Inv. J007, Brescia, Museo delle Armi “Luigi Marzoli”. In questi due particolari della medesima alabarda, è possibile apprezzare nella prima il sistema di fissaggio all’asta mediante bandelle e chiodi, nella seconda l’elemento ligneo dell’arma: questa asta ri-sulta essere particolarmente interessante essendo uno dei pochi esemplari ritenuti originali del periodo di utilizzo; si noti inoltre il legno volutamente poco lavorato al fine di avere una migliore presa sull’oggetto.

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ramai, ferrivecchi ed armaioli, ai quali apparteneva anche il mercante Iacopo di Ciata da Lizzano, uno degli uomini più ricchi della Montagna pistoiese. Il mercato su cui operavano entrambe queste figure di spicco era quello fiorentino, come testimonia Batista di Marco nella sua portata al Catasto in cui dichiara di dover ricevere una cer-ta quantità di denaro per la vendicer-ta di 2.000 lance da cavallo a Piero di Cintonio e ai suoi compagni lanciai49. Le informazioni forniteci da Piero d’Antonio ci confermano quindi nuovamente come la realtà pistoiese, per quanto concerne il commercio di ar-mamenti semi lavorati con la città di Firenze, in questo periodo doveva essere florido.

Per concludere l’analisi sulla bottega del lanciaio Quattrocentesco, passiamo ora agli strumenti di lavoro50: «XXII barletti di legnio51; L segha a due mani, I segha da mano;

100 ghorbie di ferro52; 18 pialle et pialluccie; 2 ferri da sottigliare lancie; I schuf-fina53; I paio di tenaglie; I ancudine piccola di ferro; II succhielli, I succhielli54; II trespoli per ricciare lancie; I ascia di ferro».

Tali attrezzi non sorprendono molto essendo specifici per la fabbricazione di utensili

Tali attrezzi non sorprendono molto essendo specifici per la fabbricazione di utensili