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FRANZ KAFKA’S A COUNTRY DOCTOR

THE BOOK OF THE DEAD

FRANZ KAFKA’S A COUNTRY DOCTOR

カフカ 田舎医者 – KAFUKA INAKA ISHA IL DOTTORE DI CAMPAGNA DI KAFKA

FRANZ KAFKA’S A COUNTRY DOCTOR

Susanna Roffredi

Soggetto originale: Franz Kafka

Sceneggiatura, storyboard, camera: Yamamura Kōji Musica: Shimizu Hitomi

Montaggio: Yamamura Kōji

Voci: Shigeyama Sensaku, Shigeyama Shigeru, Shigeya-ma Dōji, ShigeyaShigeya-ma Shime, Kanehara Hitomi

Produzione: Yamamura Animation 2007, 21’

La storia si svolge in un'imprecisata campagna durante una notte in cui infuria una tempesta di neve. Un medico di campagna deve recarsi in una casa a 10 chilometri dalla sua per visitare un ragazzo gravemente ammala-to. Una volta giunto all'abitazione, viene ricevuto dalla famiglia del ragazzo; dapprima al dottore sembra che il giovane stia bene, ma dopo aver sollevato la coperta che avvolge quest'ultimo nota una tremenda ferita divorata dai vermi, impossibile da curare. Al dottore, che viene completamente denudato dagli abitanti del villaggio e deriso da un coro di bambini, non resta che tornare a casa, dichiarando amaramente, e con un velo di ambi-guità: «sono stato ingannato!».

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L'opera di Yamamura Kōji si distingue nel panorama delle produzioni animate (giapponesi e non) per la sua vi-sionarietà e padronanza della tecnica, meritandosi così il soprannome di “mago della forma”3. Autore indipenden-te, individua nell'animazione lo strumento ideale per rappresentare ed esplorare al meglio la vastità e la com-plessità della mente umana.

Nato nel 1964, Yamamura inizia a realizzare anima-zioni dall'età di tredici anni, per poi studiare pittura all'Università Tokyo Zōkei. Inizierà la sua carriera colla-borando con vari studi di animazione, per poi fondare nel 1993 il suo studio indipendente Yamamura Animation, insieme alla moglie Sanae4. Artista eclettico, ispirato da autori europei come Ishu Patel, Jurij Norštejn e Priit Pärn5, Yamamura esplora le potenzialità dell'animazione sperimentando stili e tecniche differenti: la clay anima-tion per delle produzioni NHK destinate ai bambini; ope-re in tecnica mista come Japanese-English Pictionary (Hyakka zukan, 1989), dove impiega anche stop-motion, fotografie, pupazzi, eccetera. La fama di Yamamura viene consacrata nel 2003, grazie alla nomination all'Oscar per il suo mediometraggio Mt. Head (Atamayama, 2002), che gli garantisce una visibilità a livello internazionale6.

Nel 2007 realizza il corto Franz Kafka’s A Country

Doctor, fedele trasposizione dell'omonimo racconto di

Franz Kafka, film insignito del prestigioso premio Ōfuji e del Gran Premio all'Ottawa International Animation Fe-stival7. Yamamura riesce magistralmente a ricreare

3 Maria Roberta Novielli, Animerama. Storia del cinema d'animazione

giapponese, Venezia, Marsilio, 2014, pp. 173-174.

4 http://www.yamamura-animation.jp/e-prof.html (ultima consultazione: 8/01/2016).

5 Ibidem. 6 Ibidem. 7 Ibidem.

mosfera opprimente e surreale del racconto kafkiano, dando concretezza alla sua (il)logica del sogno, dell'incu-bo: la distorsione onirica si traduce in immagini deformi e grottesche, così come il tempo si allunga e si accorcia ir-realmente. Esemplare, in quest'ultimo caso, l'attraversa-mento della campagna per raggiungere la casa del mala-to: all'andata non dura che un attimo; al ritorno si protrae con una lentezza esasperata, estenuante. Anche la spazia-lità perde le sue coordinate razionali, si fa liquida e pro-teiforme: talvolta gli ambienti soffocano i personaggi, come la casa del malato; altre volte i personaggi fluttuano nell'oscurità (come la serva che chiede un cavallo in pre-stito) o nel vuoto (come il medico che pensa alla sua mor-te volando nel cielo). La percezione sensoriale smor-tessa ri-sulta al contempo contratta e amplificata8, talvolta co-gliendo dettagli minimi (la goccia d'acqua che cade dalla barba del medico, menzionata d'altronde anche nel rac-conto), talvolta non riuscendo nemmeno a mettere a fuo-co la “realtà” cirfuo-costante. Così fuo-come nell'incubo il tempo, lo spazio, le parole e i corpi sono plasmati dai nostri im-pulsi più sotterranei e inquietanti, Yamamura concretizza le paure del medico distorcendo non solo la realtà da lui percepita, ma anche lui stesso: in parallelo col procedere dei suoi pensieri ossessivi (la serva Rosa minacciata dallo straniero), il corpo del dottore si ingrandisce, rimpiccioli-sce, si allunga, si accorcia, si trasforma addirittura nei suoi stessi pensieri (come quando la sua testa viene sosti-tuita con quella della serva e poi dello straniero), come se la sua mente e il suo corpo fossero in balia delle proprie paure più nascoste, soggiogati da esse, e lui impotente. È la mente, l'inconscio che plasma, anima e domina l'incu-bo di Kafka (e di Yamamura), personificando angosce e

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inquietudini in figure e momenti simbolici, il cui signifi-cato autentico risulta tuttavia piuttosto ermetico. Tra questi spiccano lo straniero aggressivo e disgustoso; la servetta Rosa che urla disperata e cerca di nascondersi invano in casa per sfuggirgli; i cavalli neri, oscure figure bestiali, forze arcane e irrazionali che trasportano il dot-tore e i cui musi incombono ossessivamente come un pre-sagio di morte mentre visita il paziente; la ferita del mala-to, inizialmente invisibile, ma che si rivelerà fatale; gli enormi occhi indagatori che affiorano dalla neve; gli uo-mini senza nome e il coro di scolari, simbolo probabil-mente della società oppriprobabil-mente e giudicante che pretende dal dottore la soluzione per qualsiasi malattia, anche per la morte certa.

È il senso di impotenza del dottore, la sua incapacità di avere un effettivo impatto sulla realtà, il fil rouge del flusso mentale kafkiano. Il dottore è sempre passivo: è trascinato dai cavalli, che gli permettono di attraversare la campagna o troppo velocemente, o troppo lentamente, dagli uomini del paese, che lo denudano e lo coricano a letto col malato; fallisce nella comunicazione, poiché il foglio con la cura per il paziente è scritto con scarabocchi incomprensibili. Il non-senso della narrazione, di certi dialoghi, dei nessi logici, creano un'atmosfera inquietante e straniante, un'esasperata impotenza di fronte a una re-altà labirintica e criptica, incomprensibile, dove il male (rappresentato dalla ferita del malato) è dapprima invisi-bile, e quando si svela è ormai troppo tardi. Un male non solo profondamente radicato, ma che è sempre stato pre-sente: dice infatti il malato che quella ferita è il suo corre-do di nascita, l'unico tesoro con cui sia venuto al moncorre-do.

Lo stile grafico del cortometraggio di Yamamura evo-ca effievo-cacemente questo scenario da incubo, e l'animazio-ne tradizionale si rivela lo strumento più adatto per

e-splorare la proteiforme mente umana. Personaggi alluci-nati, resi tali anche grazie al character design stilizzato, si muovono in uno scenario dai toni foschi e plumbei realiz-zato con tinte acquerellate e rarefatte, che sfumano l'una nell'altra grazie all'assenza di contorni netti; il tratto è sottile, graffiato, nervoso, talvolta dettagliato e talvolta solo schizzato.

Nonostante la notevole aderenza al racconto origina-le, nella sua trasposizione Yamamura riesce ad arricchire l'opera con ardite e inedite intuizioni, prima fra tutte la scelta di affidare la narrazione ad attori del kyōgen9 (tra i quali figura Shigeyama Sensaku) nonostante l'ambienta-zione europea, accentuando così la sensal'ambienta-zione di strania-mento e dando vita a un “teatro dell'assurdo” animato. Anche l'accompagnamento sonoro, composto non da me-lodie definite, ma da distorsioni sonore che producono suoni stridenti e acuti, contribuisce efficacemente all'evo-cazione dell'allucinante incubo kafkiano.

9 Forma di teatro tradizionale giapponese, nato all'incirca nel XIV secolo come intermezzo comico degli spettacoli di teatro Nō.

CAPITOLO 5

SHIRAISHI KŌJI

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