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TOKYO SONATA

THE MONSTER X STRIKES BACK ATTACK THE G8 SUMMIT

TOKYO SONATA

トウキョウソナタ – TŌKYŌ SONATA SONATA DI TOKYO

TOKYO SONATA

Eugenio Tassitano

Sceneggiatura: Miura Sachiko, Max Mannix, Kurosawa Kiyoshi

Fotografia: Ashizawa Akiko Musica: Hashimoto Kazumasa Montaggio: Takahashi Kōichi

Interpreti: Kagawa Teruyuki, Koizumi Kyōko, Koyanagi Yū, Inowaki Kai, Yakusho Kōji, Tsuda Kanji, Igawa Haruka Produzione: Django Film, Entertainment Farm, Fortissi-mo Films

2008, 120’

La famiglia Sasaki di Tokyo è composta dal padre Ryū-hei, direttore amministrativo presso una grande azien-da, dalla madre Megumi, casalinga, e dai figli Takashi, giovane senza un lavoro stabile, e Kenji, che frequenta la scuola elementare. Una famiglia come tante, almeno fi-no al giorfi-no in cui Ryūhei viene licenziato perché con la stessa cifra si possono assumere tre impiegati cinesi. L’uomo nasconde a tutti la verità e finge di continuare ad andare in ufficio, avventurandosi tra persone nella sua stessa condizione, mentre il suo comportamento sca-tena un processo di disgregazione della famiglia.

Regista molto apprezzato per i suoi film di genere (Cure del 1997 e Pulse - Kairo del 2001 sono fra i titoli

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più noti del cosiddetto J-Horror), stavolta Kurosawa af-fronta un altro tipo di orrore, quello che nasce da una so-cietà alla deriva e trova nutrimento fra le mura domesti-che. In un mondo dove il capitalismo sfrenato ha spazzato via le ideologie e il senso di appartenenza a una comunità, la famiglia può rappresentare l’unica ancora di salvezza, oppure l’ultimo baluardo da distruggere. Tokyo Sonata mostra tutta la fragilità del nucleo familiare, come fosse una moltitudine di solitudini. A tale proposito il regista ha dichiarato:

«All’interno di un nucleo famigliare vi sono persone di età diverse, che perseguono fini diversi, che probabil-mente hanno anche stili di vita diversi; se mi soffermo a pensare a questo mi sembra quasi impossibile che tale di-versità possa convivere in uno stesso luogo come capita appunto in famiglia. Per me quindi la famiglia è questa strana unione di persone che difficilmente potrebbero vi-vere assieme. Questo concetto lo posso approfondire at-traverso la relazione che intercorre tra il personaggio del padre e quello del figlio. In realtà, tra di loro non c’è una vera e propria riappacificazione, ma nemmeno un vero e proprio conflitto. Quindi le due generazioni non potranno mai comprendersi ma nemmeno separarsi; è attraverso l’ottica della ciclicità, fra conflitto e riappacificazione, che io vedo il nucleo famigliare e dunque il punto di contatto fra le generazioni»36.

Kurosawa sceglie una cifra stilistica rigorosa e una fo-tografia dai colori freddi, privilegiando inquadrature fis-se, spesso mediate dai vetri di una finestra, per osservare

36 Intervista a cura di Diego Baratto, 16.03.2011,

http://www.nonsolocinema.com/INTERVISTA-ESCLUSIVA-CON-KUROSAWA_22313.html (ultima consultazione: 8/01/2016).

gli eventi dall’esterno, oppure mettendo in scena ogget-ti/ostacoli e mobili fra i personaggi per accentuarne la di-stanza emotiva. Le ripetute scene a tavola, silenziose e formali, mostrano uno stanco rituale fra persone che hanno ben poco in comune, a parte il fatto di condividere la stessa casa.

Il padre Ryūhei è un tipico prodotto della classe me-dia, serio lavoratore, indifeso di fronte all’incedere paros-sistico di una società in continua trasformazione. La sce-na del licenziamento viene ripresa dall’esterno della stan-za, in fondo Ryūhei è solo un oggetto da scartare. Il capo, con una tecnica collaudata, prima lo elogia per l’attività svolta, poi gli comunica che non lavorerà più in azienda. Ryūhei perde il suo ruolo nella società, di conseguenza anche la sua identità e, da punto di riferimento della fa-miglia, diventa un corpo estraneo; cade in una condizione di isolamento dal momento in cui nasconde tutto alla moglie e ai figli ma, più che una scelta consapevole, la menzogna indica l’incapacità di elaborare un lutto, la “morte” di “Ryūhei direttore”, un fardello troppo pesante per lui. Quando torna a casa, nel tragitto incontra Kenji e, mentre chiude il suo zaino, gli dice: «Ti porti dietro un macigno», una frase che in realtà pronuncia a se stesso.

La tragedia che colpisce Ryūhei è la tragedia di una società, la mancanza di lavoro ha effetti devastanti su o-gni famiglia, per questo Tokyo abbonda di uomini licen-ziati che non raccontano nulla ai parenti. Ognuno porta con sé il suo dramma e recita la stessa parte, uscendo in giacca, cravatta e valigetta (in fila per un pasto gratuito si vedono ex “colletti bianchi”, l’addetto alle pulizie che i-struisce Ryūhei torna a casa con la classica “divisa” da impiegato). Kurosawa percorre con la macchina da presa la lunga fila all’agenzia interinale, dandoci il senso della gravità della crisi economica. Ryūhei vorrebbe un lavoro

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uguale a quello che aveva, ma l’impiegato gli risponde che è impossibile. Un’ingannevole nota di colore è l’incontro con Kurosu, ex compagno di scuola licenziato da tre mesi, che sembra essersi abituato alla disoccupazione, svilup-pando una serie di stratagemmi per vivere al meglio man-tenendo il segreto. Ma quando Ryūhei viene invitato a ca-sa sua, si accorge che moglie e figlia sono al corrente di tutto, stanno al gioco perché temono che Kurosu possa ri-correre a un gesto disperato. Ryūhei è un tipo diverso, ma deve toccare il fondo per rassegnarsi ad accettare un lavo-ro qualsiasi: quando si reca presso un’azienda per tentare di farsi assumere, il ragazzo che lo riceve si prende gioco di lui facendolo cantare come fosse al karaoke. Ryūhei si libera dallo smacco subito tirando calci alla spazzatura e picchiando con una barra d’acciaio, mentre Kurosu si ar-rende: «Se ci pensi bene, è come se fossimo su una nave che sta affondando lentamente, le scialuppe di salvatag-gio sono lontane, l’acqua sta salendo all’altezza della no-stra bocca. Sappiamo che non c’è alcuna speranza, eppure continuiamo a cercare un’uscita, ma non abbiamo nem-meno il coraggio di andare sott’acqua». Ryūhei invece continua a reagire: «Sono disposto ad accettare qualsiasi cosa. Però perché nessuno è disposto ad accettare noi?».

Kurosu ricorrerà a un gesto estremo che nella tradi-zione giapponese ha avuto spesso una connotatradi-zione “ro-mantica” (il doppio suicidio degli innamorati), ma nel Giappone della crisi può nascere soltanto da un terribile senso di disfatta familiare, tanto più quando si lascia sola una figlia. Ryūhei è scosso dal gesto dell’amico ma non demorde, pur sentendosi un rifiuto della società (e infatti cadrà in mezzo ai rifiuti). La disoccupazione lo porta a mostrare il peggio di sé e la sua autorità di genitore e di marito finisce per essere completamente umiliata. Taka-shi è ormai cresciuto e su di lui il padre non ha più alcun

potere. Quando Kenji chiede di poter prendere lezioni di piano, Ryūhei boccia la richiesta come un capriccio, in re-altà non ha alcuna intenzione di affrontare ulteriori spe-se. Questa posizione contraria di fronte a una lodevole ri-chiesta del figlio, imposta con una violenza ingiustificata, mina la sua autorevolezza e Kenji farà di testa sua. Il pun-to moralmente più basso Ryūhei lo raggiunge quando ac-cusa Kenji di aver preso lezioni di nascosto: «Fare le cose in gran segreto, sperando che nessuno lo scopra, è il tipi-co tipi-comportamento da tipi-codardo che io odio più di ogni al-tra cosa». A quel punto Megumi cambia atteggiamento nei confronti del marito, gli rinfaccia le sue bugie e man-da al diavolo la sua autorità, non può essere un degno e-sempio per i suoi figli. Ryūhei non ha la forza di reagire, soltanto dopo che la moglie scopre la sua nuova occupa-zione e aver rischiato la vita investito da un furgone trova la forza di tornare a casa in tuta da lavoro, rasse-gnandosi alla sua nuova condizione lavorativa. L’episodio della busta col denaro trovato casualmente, e alla fine consegnato, dimo stra che Ryūhei non conosce altro mez-zo di guadagno che il lavoro, unica possibilità di riscatto sociale.

Megumi è la classica casalinga votata alla casa e ai fi-gli. Nella parte iniziale del film è sempre impegnata nei servizi di casa o a cucinare. È una presenza costante e si-lenziosa, non contraddice mai il marito. Ma è pur sempre una donna, con le sue frustrazioni e i suoi desideri, come dimostra la volontà di acquistare un’auto dopo aver con-seguito la patente di guida. Quando si accorge che Ryūhei le sta nascondendo tutto, attende una verità che non arri-va e questo la fa piombare in un profondo senso di solitu-dine. Emblematica la scena in cui il marito rientra a casa e Megumi gli chiede di aiutarla ad alzarsi dal divano, ma lui è già andato in camera. Nessuno la aiuta, gli occhi di

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Megumi si inumidiscono. È sola. La delusione per le menzogne del marito le dà la forza per iniziare a conte-starlo. Quando lo incontra al centro commerciale non vuole più tornare a casa e si avvia verso un’improbabile fuga con il ladro fallito Dorobō (interpretato da Yakusho Kōji, attore feticcio del regista), incarnazione senza spe-ranza della crisi economica. Nella baracca pronuncia una frase che forse non avrebbe mai pensato di dire: «Come sarebbe bello se tutta la mia vita passata si rivelasse un sogno e all'improvviso mi svegliassi e fossi un'altra per-sona». Ma la sua fuga velleitaria è destinata a finire la mattina dopo, quando vede le tracce delle gomme dell’auto finire dentro il mare.

Il rapporto fra Ryūhei e Megumi è privo di qualsiasi manifestazione di affetto, fra i coniugi non vi è alcuna in-timità, segno che l’organizzazione della vita familiare e le fatiche quotidiane hanno preso il sopravvento sui senti-menti. La menzogna di Ryūhei scava fra di loro un solco ancora più grande che produrrà la reazione di Megumi. Kurosawa ricorre all’espediente di mostrarci due volte l’incontro al centro commerciale, prima mettendo in ri-salto la vergogna e l’incapacità di Ryūhei di gestire la si-tuazione e dopo, con un salto temporale all’indietro, ci racconta l’incontro con il ladro e lo sgomento di Megumi, che deciderà di fuggire.

Takashi, il figlio più grande, è convinto che il Giappo-ne non abbia alcun futuro. Cerca uno scopo Giappo-nella vita e, ingenuamente, pensa di trovarlo andando a combattere per aiutare gli alleati americani. Il Giappone viene mo-strato come un paese che ha smarrito i suoi principi fon-damentali, come nella scena in cui un ragazzo intervistato alla TV lamenta che la Costituzione del Giappone è contro la guerra, quindi nessun giapponese dovrebbe essere mandato a combattere. Takashi rifiuta il padre e non esita

a chiedere alla madre di divorziare e di rifarsi una vita. Ogni cosa che fa e pensa è frutto della crisi della famiglia e di una nazione. La successiva lettera alla madre eviden-zia la sua maturazione, forse ha trovato un modo per es-sere felice, aiutando i popoli che soffrono.

Il piccolo Kenji si sente completamente ignorato; il padre gli nega il pianoforte senza nessun motivo valido, a scuola il suo insegnante prima lo punisce ingiustamente, poi non si mostra affatto interessato al suo futuro. Kenji non trova modelli di riferimento né a casa, né a scuola e la reazione naturale è quella di non rispettare più l’autorità degli adulti. Nello stesso tempo, la disapprovazione degli adulti determina una mancanza di fiducia nelle proprie capacità. La musica rappresenta un dono che non sa nean-che di possedere, perché la sua famiglia non lo riconosce. Quando il padre continua a opporsi alle lezioni di piano-forte, non credendo nel suo talento, lui rinuncia, salvo poi meditare la fuga. L’unica persona con cui sente affinità è la maestra Kaneko, da poco separata dal marito. Kenji prova lo stesso sentimento di separazione.

I quattro componenti della famiglia rimandano ai quattro movimenti della forma sonata. Il film è una com-posizione a più voci dove ciascun membro della famiglia esprime un disagio profondo. Ognuno tenta di realizzare se stesso e di affermare la propria identità. Ognuno è in difficoltà con gli altri membri della famiglia, ma finisce per tornare a casa, forse perché non ha altra scelta, è l’unico porto sicuro nel mare in tempesta al di fuori. Cia-scun membro della famiglia Sasaki si confronta con un personaggio esterno che vive lo stesso disagio. Il suicida Kurosu, l’amico di Takashi che spera in un terremoto, il fallito Dorobō, Kaneko che soffre per la separazione dal marito, l’amico di Kenji che scappa di casa; tutti riman-dano a una dimensione più vasta di tragedia diffusa e, in

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alcuni casi, irreparabile.

La colonna sonora è utilizzata con parsimonia, nei momenti in cui è necessario sostenere il peso emotivo della vicenda, ed è realizzata con una strumentazione mi-nimale. Molto presenti invece i suoni della città fuori dall’inquadratura, nonché il passaggio del treno udibile in casa. I rumori espandono lo spazio filmico e Tokyo de-nuncia la sua presenza, indifferente al destino di tutti.

L’interpretazione più convincente è senza dubbio quella di Kagawa Teruyuki, molto credibile nelle vesti di un uomo umiliato che cerca di lottare contro il proprio destino. Nella splendida scena finale, sul suo volto si di-pingono le intense emozioni che solo un padre può prova-re. Il figlio suona Clair de Lune di Claude Debussy, una delle pagine pianistiche più poetiche del ‘900. Kenji ha finalmente un'espressione piena di grazia. Quando finisce di suonare, i genitori gli vanno incontro, Ryūhei gli acca-rezza il capo. Tutto il pubblico li guarda uscire, rapito da quel momento di bellezza. Mentre scorrono i titoli finali si sentono i rumori della sala che si svuota: c’è sempre un altrove. Dopo il tempo del conflitto, nasce un nuovo ciclo per la famiglia Sasaki.

Il film ha conseguito numerosi riconoscimenti in giro per il mondo, fra i quali il Premio della Giuria nella sezio-ne “Un Certain Regard” del Festival di Cansezio-nes.

CAPITOLO 11

NISHIMURA YOSHIHIRO

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