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HARD ROMANTICKER

THE MONSTER X STRIKES BACK ATTACK THE G8 SUMMIT

HARD ROMANTICKER

ハードロマンチッカー HĀDO ROMANCHIKKĀ

HARD ROMANTICKER

Silvia Galli

Soggetto originale: Gu Su-yeon

Sceneggiatura: Gu Mitsunori, Gu Su-yeon Fotografia: Mushū Hideyuki

Musica: Wada Kaoru

Montaggio: Takahashi Kazuhisa, Watanabe Katsurō Interpreti: Matsuda Shōta, Nagayama Kento, Emoto To-kio, Watabe Atsurō, Nakamura Shidō, Endō Kaname Produzione: Tōei

2011, 109’

Shimonoseki, nella prefettura di Yamaguchi, registra tra i suoi abitanti un'elevata presenza di zainichi (nippo-coreani nati in Giappone). Gu, il protagonista, è un de-linquente zainichi senza né radici né identità; considera-to un reietconsidera-to da entrambe le culture, si scontra con boss nordcoreani e yakuza giapponesi, combattendo da solo e soltanto per se stesso.

Hard Romanticker racconta la vita di Gu (Matsuda

Shōta), un ragazzo di origini coreane nato nella città di Shimonoseki. La sua origine lo rendo uno zainichi, stato che comporta particolari implicazioni in Giappone: è noto infatti che in passato l’arcipelago ha spesso mostrato osti-lità verso l’estero. Il governo aveva seguito la politica del

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dello sbarco delle navi nere (kuro fune) sulle coste nippo-niche. Anche dopo l’apertura dei porti e la conseguente introduzione di altre culture nel territorio nazionale, tut-tavia, il Giappone ha sempre mantenuto una politica et-nocentrica basata sul cosiddetto nihonjinron (“teoria sull’essere giapponese”) e sul tan’itsu minzokuron (“teo-ria del popolo omogeneo”)42: per questo motivo, la citta-dinanza giapponese è conferita maggiormente secondo i princìpi di nazionalità ed etnia, piuttosto che di residen-za. La Corea, inoltre, è stata per molto tempo una colonia giapponese; la naturale conseguenza della decolonizza-zione è stata l’emigradecolonizza-zione forzata (letteralmente kyōsei

renkō)43 da una terra depauperata, operazione osteggiata tuttavia dal popolo giapponese, che ha solo recentemente ammorbidito la propria posizione verso gli emigranti co-reani prima e gli zainichi dopo.

In territorio nipponico sono presenti nordcoreani e sudcoreani, entrambi tutelati dalle rispettive associazioni, Mindan e Sōren44, la cui presenza segnala l’esigenza con-creta di proteggere i cittadini di origini coreane da di-scriminazioni di qualsiasi genere, e indica perciò la persi-stenza di pregiudizi nei loro confronti. Lo stesso governo giapponese, ai tempi della massiccia emigrazione di core-ani, introdusse appositamente la distinzione tra sudditi imperiali nativi (naichi) ed emigrati (gaichi)45, contri-buendo a una discriminazione “legalizzata”.

L’intolleranza e la freddezza dei giapponesi verso gli

zainichi ha reso tale minoranza etnica invisibile agli occhi

42 David Chapman, Zainichi Korean Identity and Ethnicity, London, Routledge Contemporary Japan, 2008, p. 45.

43 John Lie, Zainichi (Koreans in Japan): Diasporic Nationalism and

Post-colonial Identity, Berkeley, University of California Press, 2008, p. 7.

44 Chapman, “Zainichi Korean…” op. cit. p. 141.

della società. Il poeta zainichi Kim Si-jong, nel suo poema

Città invisibile, esplica molto bene quanto i

coreani-giapponesi siano ignorati: Tutti la conoscono Ma non è sulle mappe E poiché non è sulle mappe Non è Giappone46

Anche in Hard Romanticker è presente un netto di-stacco – e persino disinteresse – dal mondo al di fuori di Shimonoseki, città nella quale l’universalismo etnico è presente, ma comprende solo un gruppo di reietti

(bura-kumin) autoesclusi dalla società. Cittadina nella

prefettu-ra di Yamanashi, Shimonoseki è dominata dalla violenza e dalla droga, gestite dai gruppi locali di malviventi. Vi sono presenti anche gang nordcoreane, quali ad esempio la banda di Park Yong-oh (Endō Kaname) e il gruppo ma-fioso di Kim Chon-gi; è proprio cercando quest’ultimo che ha inizio la sfortunata catena di eventi che travolgerà anche Gu: due giovani delinquenti, appartenenti a una gang giapponese, si introducono in casa di Kim, presumi-bilmente per cercare vendetta. Tatsu e Masaru – questi i loro nomi – si fanno tuttavia prendere dal panico e fini-scono per uccidere la nonna del mafioso nordcoreano, ge-sto per il quale Tatsu è arrestato e interrogato dall’ispettore Fujita (Watabe Atsurō). Quest’ultimo, evi-dentemente al corrente degli affari loschi in Shimonoseki, sembra conoscere Tatsu e altri delinquenti di rilievo, an-che se pare non esercitare alcun pugno di ferro sulla cri-minalità cittadina.

46 Antologia poetica di Kim Si Jong: Kimu Shijon shishūsen: Kyōkai no shi (La poesia del confine), Tokyo, Fujiwara Shōten, 2005.

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L’inizio del film è caratterizzato da una leggerezza in-gannevole, suscitata dalla colonna sonora di Wada Kaoru, piena di jazz trascinante. E’ quasi impossibile non para-gonarlo a Crows Zero (id., 2007) di Miike Takashi, simile a Hard Romanticker in diversi aspetti: per esempio, la voluta spensieratezza pop della colonna sonora, che in-trappola lo spettatore nell’azione tipica di un cartone a-nimato, ma con attori in carne e ossa; la varietà dei per-sonaggi, schierati in fazioni, ognuno con una caratterizza-zione appena accennata, ma immediatamente riconosci-bile; lo humour, infine, che riesce a pervadere anche un film violento come questo, e la tristezza comunicata più volte dagli attori che lo animano.

Il regista Gu Su-yeon, nato e cresciuto a Shimonoseki, ha affermato in un’intervista47 che il film è autobiografico almeno all’80%, avendo sperimentato in prima persona la realtà multiculturale della città ed esplorato i bassifondi in gioventù. Ha inoltre asserito che bisognerebbe inter-pretare il titolo Hard Romanticker attraverso una doppia chiave di lettura:

«Prima di tutto, il titolo si riferisce a un “inguaribile romantico”, ma indica anche un “hard rocker”. Non ho pen-sato così tanto profondamente al titolo, in realtà. Da uomo posso dire che, quando un uomo ama, vi è un aspetto mantico e un aspetto non romantico. In Giappone, un ro-mantico ha un’immagine debole e fragile, più viene identifi-cato come tale e più viene tacciato di forte debolezza. Que-sto film parla di una persona che non riesce ad abbandona-re un certo stile di vita e che continua a viveabbandona-re in quel modo. Ho creato questo titolo per poter unire i due significati.»

47 Q&A with Matsuda Shota and Gu Su Yeon, Busan International Film Fes-tival, 7 Ottobre 2011.

Gu impersona la debolezza di essere un romantico in Giappone, nascosta tuttavia da un tipo di vita che ormai gli appartiene e lo caratterizza. Da zainichi, quindi da sempre diviso tra due mondi che non lo rispecchiano pie-namente, Gu è totalmente indipendente da qualsiasi cosa: amici, amore, nazionalità, morale. Tatsu, durante il suo interrogatorio, si fa scappare con Fujita che «Gu è un ve-ro solitario», a cui non importano le faide tra bande riva-li, e che tra due identità ne ha scelta una terza: se stesso. Senza regole né rispetto per gruppi e gerarchie, Gu si mette nei guai picchiando a sangue il fratello di Park Yong-oh e attirando così la furia del capo nordcoreano; non contento della quantità spropositata di persone che inizia a dargli la caccia, si spaccia per un tale Kaneko (Kawano Naoki) davanti a un rivale, in modo da depistare le ricerche. Kaneko è un altro delinquente di Shimonoseki, anche lui a capo di una banda e quando viene picchiato selvaggiamente dalla gang di Park al posto di Gu, ovvia-mente giura vendetta nei confronti del ragazzo zainichi.

Nel corso del film si fa la conoscenza di altri perso-naggi che popolano Shimonoseki, tutti collegati dal filo rosso rappresentato da Gu: troviamo Shōji, il braccio de-stro di un mafioso; Masaru, complice e amico di Tatsu; Nakamura Mieko, la ragazza di cui Gu si innamora; infine Takagi (Nakamura Shidō), uno yakuza giapponese pro-prietario di un night club dove Gu finisce a lavorare. Il personaggio dello zainichi Gu è però il vero perno intorno al quale ruota tutta la vicenda, un caos che non si sarebbe mai creato se lui non avesse contribuito ad alimentare il cerchio di violenza.

Ciò che si nota maggiormente in Gu è il suo dualismo e la continua incoerenza comportamentale, come se non riuscisse a decifrare le situazioni in cui si trova e, conse-guentemente, ad agire in modo coerente: quando si trova

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nel bel mezzo di un’orgia tra pusher e ragazze tossicodi-pendenti, evita lo stupro di una donna da parte di due uomini, colpendoli violentemente con un casco da moto; quando tuttavia si trova da solo in un parco con Mieko, per la quale prova un certo interesse, non esita a violentar-la. La domanda sorge quindi spontanea: da quale parte è schierato, Gu? Da quella dei buoni o quella dei cattivi?

I topoi letterari e cinematografici, che tanto rassicu-rano i fruitori di entrambe le forme di intrattenimento culturale, sono scardinati dalla sua figura: come tanti reietti dipinti sia nella stessa corrente cinematografica – tra cui il personaggio di Sugihara in Go (id., 2001, regia di Yukisada Isao) – sia nella poetica di molteplici altri regi-sti, è un soggetto liminale, che incarna la lotta interiore dell’avere due identità e, allo stesso tempo, nessuna.

In tutta la pellicola è evidenziata l’impossibilità di sfuggire al proprio destino, qualunque esso sia: in un dia-logo con il boss, il mafioso Shōji condivide la sua opinio-ne sul mondo che circonda gente come loro («Il mondo è un posto veramente brutto, non è vero?»), subito seguito dalla secca replica del capo («Ah sì? Allora perché non provi ad andartene, eh?»). Analogamente, l’ispettore Fu-jita e Gu hanno il seguente botta e risposta:

Fujita: «Non puoi scappare, lo sai.»

Gu: “Scappare da cosa? Non ho fatto nulla.»

È però Park, in una delle scene finali, a ricordare il pensiero pessimistico che serpeggia tra tutti gli zainichi di Shimonoseki: «Non c’è posto in Giappone per persone come noi. Ma non lo capireste». Come Fujita ricorda a Gu che è impossibile per lui scappare – dalla polizia, da Shi-monoseki, dalla sua condizione di zainichi – e quindi fug-gire da ciò che è, così le parole di Park sono altrettanto di-rette: non appartengono a quel Giappone che li rifiuta e li ghettizza, ma se non sentono legami neanche con la terra

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