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3.5 Fatture soggettivamente e oggettivamente inesistenti

3.5.1 Frodi carosello

La “frode carosello” frequentemente commessa è la “frode carosello IVA”. Il fenomeno delle “frodi carosello” si è ampiamente diffuso a partire dal 1993, dall’entrata in vigore del “Trattato di Schengen”, il quale prevedeva un regime “transitorio” di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto. Per regime transitorio ci si riferisce al sistema di imposizione in base al paese di “destinazione” della merce, il quale sarà successivamente sostituito da una disciplina impositiva in base al paese di “origine” della transazione, che combacerà con quello della residenza fiscale del soggetto cedente.

La frode carosello IVA è così configurata: si ha una società A che effettua una fornitura di merci intracomunitaria (non imponibile) ad una società fittizia B, residente in un altro Stato membro; la società B acquista quindi la merce non pagando l’IVA e successivamente opera una fornitura a livello nazionale ad una terza società C.

Pertanto B incassa l’IVA sulle vendite, ma non versa l’imposta all’erario rendendosi irrintracciabile; la società C provvede invece al rimborso o alla detrazione dell’IVA sugli acquisti effettuati presso B.

La perdita che grava sull’Erario sarà relativa all’ammontare IVA pagato da C a B. In seguito non è insolito il verificarsi di una fornitura non imponibile ad opera di C nei confronti di A e quest’ultima, a sua volta, potrà effettuare una fornitura intracomunitaria, sempre non imponibile alla società B, ripetendo così la frode: ecco perché sono definite frodi carosello. Nell’ultimo passaggio, l’IVA sarà regolarmente versata dal cedente, ed altrettanto detratta dal cessionario, mentre gli amministratori della società B si renderanno irreperibili.

Il danno prodotto dalle frodi carosello non risiede soltanto, come potrebbe sembrare in prima analisi, nell’evasione dell’imposta sul valore aggiunto.

64 C’è anche un secondo elemento da considerare: proprio in ragione dell’avvenuto “risparmio” realizzato sull’imposta, gli autori della frode potranno permettersi di vendere i prodotti/servizi sul mercato ad un prezzo relativamente più basso, inficiando quindi, il regime di concorrenza.

Per quel che concerne l’ambito penal-tributario, le norme di riferimento sono l’articolo 2 e l’articolo 8 del Decreto 74 del 2000. Questi due sono speculari, in quanto, per un soggetto che emette fatture false (articolo 8), ve ne sarà un altro che riceve fatture false (articolo 2).

L’articolo 2 del Decreto 74/2000 dispone in merito alla “Dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” ed espone che:

“È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrate nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria”.

Il regime delittuoso si realizza perciò, allorquando il contribuente, con la finalità di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, si avvale, sotto il profilo oggettivo, dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti e, sotto il profilo soggettivo, della dichiarazione fraudolenta delle stesse nella dichiarazione dei redditi. Di conseguenza, il momento consumativo in cui si realizza il reato coincide nella presentazione della dichiarazione dei redditi o dell’imposta sul valore aggiunto.

65 Ai fini della definizione del delitto di dichiarazione fraudolenta, il Giudice dovrà svolgere un’attività di accertamento, valutando se la fattura è idonea a costituire elemento probatorio di operazione imponibile o comunque in grado di testimoniare l’avvenuta cessione di beni o servizi.

Infine, l’elemento soggettivo della fattispecie si qualifica mediante il “dolo specifico”, posto che la condotta deve essere strumentale all’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto.

L’articolo 8 del Decreto 74/2000, intitolato “Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, dispone invece che:

“È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per fatture inesistenti. AI fini dell’applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato.”

Qui, il momento realizzativo del reato coincide con quello dell’emissione della fattura; non rileva se successivamente il soggetto provvede ad inserire o meno la stessa in dichiarazione.

Qui viene tratta la casistica di evasione tributaria “indiretta”, dal momento che l’emissione della fattura deve essere finalizzata a permettere a terzi l’evasione tributaria.

Tra emittente e il destinatario deve esistere una relazione di terzietà: la società A, emette una serie di fatture per operazioni inesistenti nei confronti della società B, realizzando operazioni tra soggetti giuridicamente distinti.

66 “Concorso di persone nei casi di emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni esistenti”, non è possibile il concorso di reato fra chi emette e chi utilizza le fatture, poiché tale articolo menziona che: a) “l’emittente di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo, non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’articolo 2”; b) “chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’articolo 8”

Il “Decreto Semplificazioni Fiscali” disciplina detta situazione mediante l’applicazione del secondo comma dell’articolo 8 del Decreto Legislativo 16 del 2012, il quale dispone che “Ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi. In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi”.

Per la società B, l’acquisto dalla società A, risulta indeducibile in base alle ordinarie regole di tassazione dell’impresa; i ricavi pertinenti alla vendita fittizia a C invece, non concorrono alla formazione del reddito fino a concorrenza degli acquisti fittizi.

L’ordinanza n. 3243 del 11 febbraio 2013 (emessa il 10 gennaio 2013) della Suprema Corte di Cassazione, ha sancito che, per ciò che concerne l’IVA, il cessionario coinvolto in una frode carosello, in seguito alla dimostrazione all’Erario di non aver utilizzato l’ordinaria diligenza, nonché la sua colpevolezza

67 nell’agire, perde il diritto alla detrazione del tributo; relativamente invece alle imposte dirette e l’IRAP, egli mantiene il diritto alla deduzione dei costi effettivamente sostenuti, alla luce del comma secondo, art. 8 D. Lgs 16 del 2012. La sentenza 3243/2013 ha per oggetto un avviso di rettifica della dichiarazione IVA esposto dal dichiarante e quindi correttamente documentata. In realtà però, i costi sono stati sostenuti per partecipare attivamente ad un’organizzazione creata al fine di evadere le imposte col “sistema carosello”, o comunque per ottenere vantaggi dal compimento della condotta delittuosa; quest’ultima viene sufficientemente motivato in base alle risultanza dell’Amministrazione Finanziaria e della Polizia Tributaria, e spetta quindi al Giudice tributario il compito di valutare “la sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi motivanti l’atto medesimo, sia singolarmente che nel loro complesso”.

Se il Giudice ritiene, in base “a deduzioni logiche di ragionevole probabilità (non necessariamente di certezza), che gli indizi sono sufficienti a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa – con riguardo, nel caso delle frodi carosello, all’esistenza dell’organizzazione fraudolenta, alla partecipazione ad essa del contribuente o, quanto meno, alla consapevolezza da parte sua di avvantaggiarsi della condotta con danno all’Erario – la domanda dell’amministrazione deve ritenersi provata e si sposta sul contribuente l’onere di provare documentalmente, nei modi previsti dalla legge, la spettanza della detrazione” 12.

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