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2.3 – Il “funding gap” e la “posizione netta di liquidità”

L’obiettivo principale della gestione della liquidità secondo Tutino F. Ferretti P. e Birindelli G. (2011) è quello di garantire che tra le attività e le passività ci sia un rapporto adeguato in relazione alle scadenze, alla loro composizione ed agli importi.

Nel periodo antecedente alla crisi finanziaria globale gli intermediari creditizi, tra cui quelli italiani, hanno sottovalutato il rischio connesso alla trasformazione delle scadenze consistente nella possibilità di tensioni sul fronte della liquidità a causa di un’eccessiva asincronia tra le scadenze dell’attivo e quelle del passivo. La crisi finanziaria globale, scaturita da quella dei mutui “subprime” ha mostrato l’importanza di un’accurata gestione della liquidità da parte delle banche al fine di garantire la stabilità non solo del singolo ma bensì dell’intero sistema finanziario.

Le AdV e le banche stesse hanno iniziato a considerare alcuni aspetti, tra cui il “funding gap” e la “posizione netta di liquidità”, che nel periodo precedente alla crisi erano stati trascurati o affrontati in modo approssimativo.

Le definizioni e l’andamento delle due misure di liquidità sono fornite dalla Banca d’Italia nelle varie Relazioni Annuali e nei vari Rapporti sulla Stabilità Finanziaria.

Con il termine “funding gap” si allude, secondo la Banca d’Italia, alla quota dei prestiti ai privati non finanziata dalla raccolta stabile formata dai depositi e dalle obbligazioni al dettaglio.

Vaciago G. Bianconi M. e De Felice G. (2011) ritengono che il “funding gap” sia una misura in grado, per come strutturata, non solo utile ad evidenziare la liquidità delle banche ma anche quanto le stesse possano espandere l’attività creditizia, costituendo così uno strumento importante a livello gestionale.

Se il funding gap è una misura che serve ad evidenziare la situazione della liquidità strutturale degli intermediari, la “posizione netta di liquidità”, al contrario, ha come obiettivo principale quello di mostrare gli squilibri nella liquidità operativa delle banche.

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La Banca d’Italia identifica la “posizione netta di liquidità” nella somma delle attività stanziabili nelle operazioni di rifinanziamento con l’Eurositema ed i flussi di cassa attesi rapportata al totale dell’attivo.

I dati sul “funding gap” e sulla “posizione netta di liquidità” sono stati attinti dai vari rapporti sulla stabilità finanziaria e dalle varie relazioni annuali realizzate da Banca d’Italia.

Sebbene non siano stati forniti dei dati numerici sul “funding gap” nel periodo antecedente al 2010, la figura 2.29 è molto utile poiché delinea il trend di questa misura anche nel periodo precedente alla crisi finanziaria; aspetto molto importante per analizzare l’effetto della crisi sulla composizione dell’attivo e del passivo delle banche italiane.

Nel triennio 2005-2007 i prestiti sono cresciuti ad un tasso di crescita superiore rispetto a quello registrato dalla raccolta al dettaglio.

La ragguardevole domanda di prestiti nel periodo suddetto è stata alimentata dalle operazioni di finanza straordinaria, dalla crescente domanda di finanziamenti da parte delle famiglie per l’acquisto di abitazioni e quella delle imprese a seguito della ripresa dell’attività produttiva.

Figura 2.29

Fonte: Banca d’Italia, Rapporto sulla stabilità finanziaria n. 1/2015.

Al contempo è cresciuto il ricorso delle banche italiane, soprattutto di quelle più grandi, alla raccolta all’ingrosso che ha accresciuto la propria rilevanza all’interno delle strategie di approvvigionamento a scapito della raccolta tradizionale.

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Figura 2.30

Fonte: Banca d’Italia, Rapporto sulla stabilità finanziaria n. 1/2015.

Tra gli aspetti che hanno favorito l’espansione di questa componente uno sicuramente è stato quello costituito dall’elevata liquidità presente nei mercati internazionali, tra cui quello interbancario, che ha consentito alle banche di approvvigionarsi a costi contenuti sia tramite i depositi che attraverso le emissioni obbligazionarie.

Le scelte strategiche adottate dalle banche italiane da entrambi i lati del bilancio hanno portato il divario tra la durata media dell’attività e quella delle passività a 27,8 mesi alla fine del 2007, cifra considerevole visto che nel 1998 il divario in esame era solo di 11,8 mesi.

Il “funding gap” ha sperimentato, alla stregua del divario tra la durata dell’attivo e quella del passivo, una crescita considerevole fino alla metà del 2008; soprattutto nelle banche di dimensione più grande per la loro tendenza crescente a diversificare le attività e le fonti di approvvigionamento seguendo il modello di business di banca universale che, nel periodo precedente alla crisi finanziaria globale, è stato il modello di maggior successo specialmente guardando alla redditività.

Le banche per ridurre l’esposizione crescente al rischio di tasso di interesse hanno ricorso a derivati di copertura ed alla smobilitazione di parte dell’attivo fisso mediante operazioni di cartolarizzazione dei prestiti.

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Se da un lato il ricorso a questi strumenti finanziari ha facilitato la gestione del rischio di tasso; dall’altro ha esposto in modo considerevole le banche italiane al rischio di mercato. L’esposizione crescente al rischio di mercato è stata provocata, come sostenuto da La Ganga P. e Trevisan G. (2010), da una gestione approssimativa della liquidità da parte delle banche che hanno considerato esclusivamente il rischio connesso alle fonti di approvvigionamento ed hanno trascurato quello di mercato.

Le turbolenze che sono iniziate nella seconda metà del 2007 sui mercati finanziari internazionali successivamente alla crisi di mutui subprime hanno colpito marginalmente il sistema bancario italiano vista la ridotta esposizione delle banche italiane a tali prodotti strutturati, anche da parte delle banche più grandi a livello dimensionale.

L’unica componente delle raccolta bancaria che ha subito un rallentamento del suo tasso di crescita è stata quella all’ingrosso.

La diminuzione del tasso di crescita della raccolta all’ingrosso è stata in gran parte compensata dall’aumento delle obbligazioni collocate al dettaglio che ha consentito di mantenere pressoché invariato il tasso complessivo di crescita della raccolta rispetto all’anno precedente.

Nel triennio 2005-2007 la redditività delle banche italiane è cresciuta ad un tasso crescente in linea con quanto accaduto al “funding gap”. L’aumento consistente del volume dei prestiti erogati dalle banche italiane assieme al contenuto tasso di insolvenza degli stessi sono stati determinanti nell’accrescere il margine di interesse delle banche italiane, soprattutto quelle minori con operatività territoriale che si sono sempre contraddistinte per la loro maggiore concentrazione nell’attività di intermediazione creditizia rispetto alle altre categorie dimensionali.

L’andamento crescente del “funding gap” e della redditività nel periodo precedente alla crisi finanziaria globale dimostra come le banche siano portate, in momenti di congiuntura economica positiva e condizioni di mercato distese, a massimizzare la redditività aumentando il volume dei prestiti e ricorrendo sempre più al finanziamento tramite il mercato a scapito della raccolta al dettaglio.

E’ nel 2008 che, soprattutto dopo il fallimento della Lehman Brothers, la crisi dei muti subprime assume rilievo sistemico.

Le banche italiane che fino a quel momento erano state interessate marginalmente, hanno visto aumentare i loro “Credit Default Swaps” (CDS) a seguito dell’aumento dei timori del mercato riguardo la solvibilità degli intermediari.

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L’aumento della rischiosità percepita ha influito pesantemente nello svolgimento dell’attività delle banche italiane, soprattutto quelle grandi.

Le notevoli difficoltà delle banche italiane insorte nella seconda metà del 2008 hanno mostrato la gravità dei rischi connessi ad un eccessivo indebitamento e ad un eccessivo affidamento a fonti di finanziamento a breve-brevissimo termine alternative alla raccolta al dettaglio.

La contrazione degli scambi sull’interbancario, l’accresciuta competizione sul fronte della raccolta al dettaglio ed il calo del suo tasso di crescita a seguito della ricomposizione del portafoglio degli investitori verso attività con un rendimento maggiore rispetto ai depositi bancari, hanno contribuito a creare maggiori tensioni sul fronte della liquidità a breve termine delle banche italiane.

Il “funding gap” delle banche italiane, dopo un triennio in cui aveva registrato una notevole crescita, dalla seconda metà del 2008 ha sperimentato un trend decrescente che è perdurato fino alla metà del 2010.

Il rallentamento della crescita dei prestiti all’economia reale, in seguito al deterioramento delle condizioni economiche avvenuto in modo graduale nella prima parte del 2008 per poi intensificarsi dal mese di settembre, ha inciso maggiormente sul “funding gap” rispetto al rallentamento della raccolta al dettaglio.

Le banche più grandi sono quelle che hanno sofferto maggiormente in termini reddituali perché le loro maggiori difficoltà sperimentate sul lato della raccolta e le perdite cospicue sperimentate nell’attività di negoziazione hanno ridotto la capacità creditizia di queste ultime a differenza delle banche minori che, in virtù della loro struttura finanziaria più equilibrata, hanno potuto continuare ad erogare il credito ottenendo così un importante vantaggio competitivo sulle banche più grandi.

Questo aspetto dimostra come un’accurata gestione congiunta dell’attivo e del passivo risulti esser un elemento essenziale per le banche e riesca a creare, in periodi di crisi, un vantaggio competitivo rispetto agli altri intermediari con una raccolta non adatta per natura e per durata a sostenere l’attivo.

Nel 2009, il forte calo dell’attività produttiva insieme all’irrigidimento delle condizioni di offerta applicate alle banche, hanno provocato una contrazione del volume dei prestiti bancari.

La raccolta al dettaglio ha invece continuato a crescere sebbene ad un tasso inferiore rispetto a quello dell’anno precedente. La ripresa del mercato azionario e la riduzione del livello generale dei tassi ufficiali da parte della Banca Centrale Europea hanno indotto le

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famiglie a privilegiare l’investimento in altri strumenti finanziari a scapito dei depositi ed, in misura inferiore, alle obbligazioni bancarie.

L’andamento della raccolta al dettaglio, sebbene influenzato dal ribasso dei tassi ufficiali e dalla ripresa del mercato azionario, dimostra come le banche italiane si siano focalizzate, anche a seguito della crescente attenzione da parte delle AdV verso le problematiche inerenti alla gestione della liquidità, verso fonti di approvvigionamento maggiormente stabili.

La frammentazione dei mercati finanziari a livello nazionale insieme al blocco del mercato secondario dei titoli cartolarizzati, sono sicuramente altri due aspetti che hanno influito sulle scelte strategiche delle banche in merito alle politiche di approvvigionamento.

La riduzione considerevole del margine di interesse sperimentata, in media, dai gruppi bancari italiani successivamente alla contrazione del differenziale tra i tassi attivi e quelli passivi e del volume dei prestiti dimostra come la riduzione del “funding gap” non sia stata senza conseguenze, soprattutto per le banche grandi che hanno ridotto maggiormente il volume dei prestiti.

Vaciago G. Bianconi M. e De Felice G. (2011) ritengono che i requisiti sulla liquidità proposti dal BCBS nel dicembre del 2009 abbiano svolto un ruolo fondamentale nell’aver indirizzato l’attenzione delle banche verso fonti più stabili della provvista e, più in generale, verso il raggiungimento di una corretta strutturazione delle fonti e degli impieghi in grado di ridurre il rischio intrinseco presente nell’attività di trasformazione delle scadenze.

Banca d’Italia dal 2010 ha iniziato a riportare nei vari Rapporti sulla Stabilità Finanziaria, al fine di monitorare in modo più accurato la situazione media di liquidità delle banche italiane, non solo il “funding gap” ma anche l’andamento della “posizione netta di liquidità”, ovverosia la somma delle attività stanziabili nelle operazioni di rifinanziamento dell’Eurosistema ed i flussi di cassa attesi rapportati al totale dell’attivo di bilancio.

Lo scopo della “posizione netta di liquidità” è quello di evidenziare la situazione di liquidità nel breve/brevissimo termine in modo tale da spingere gli intermediari a guardare in modo congiunto alla liquidità operativa ed a quella strutturale evitando così gli errori compiuti negli anni passati.

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Nel 2010 il “funding gap” è tornato a crescere, sebbene in modo contenuto, rispetto ai due anni precedenti in cui aveva sperimentato una diminuzione continua e d’intensità crescente.

L’aumento del credito a medio-lungo termine è stato spinto al rialzo dalla crescente domanda di finanziamenti da parte delle imprese piuttosto che dal miglioramento delle condizioni di offerta da parte delle banche, rimaste pressoché invariate rispetto all’anno precedente secondo la Bank Lending Survey.

La raccolta, al contrario, ha subito una battuta d’arresto sia per la maggiore concorrenza dei prodotti postali che per l’orientamento di alcune banche verso la distribuzione di strumenti finanziari non bancari al fine di attenuare la riduzione di redditività in corso dal 2008.

L’andamento incerto del mercato azionario dopo l’intensificazione della crisi del debito pubblico greco non ha influito particolarmente sulla raccolta tramite depositi ed obbligazioni, a differenza di quanto accaduto nel 2009.

Dai trend sopra evidenziati emerge come la quota dei prestiti non finanziati dalla raccolta al dettaglio sia stata influenzata principalmente da fattori esogeni ma anche dalle decisioni strategiche delle banche stesse che, in parte, hanno preferito distribuire strumenti finanziari non bancari a scapito dei propri prodotti per sopperire alla notevole perdita di redditività sperimentata negli anni precedenti.

Le crescenti tensioni sulle finanze pubbliche greche e degli altri paesi dell’Eurozona hanno influito negativamente sulla posizione netta di liquidità media dei 32 gruppi bancari oggetto di monitoraggio di Banca d’Italia.

Il peggioramento dei CDS delle banche appartenenti ai 32 gruppi considerati da BI ha ridotto la capacità di quest’ultime di ricorrere al finanziamento tramite il mercato monetario ed ha provocato una riduzione generalizzata delle scadenze sui mercati monetari riducendo così la liquidità operativa delle banche italiane e non solo.

La figura 2.31 presente nella pagina successiva mostra il trend decrescente della posizione netta di liquidità delle banche italiane avvenuto nel corso del 2010.

Il calo drastico della liquidità a breve nei mesi di maggio, giugno e luglio dimostra come l’instabilità della situazione delle finanze pubbliche di alcuni paesi dell’Eurozona abbia influenzato la solvibilità e la liquidità delle banche italiane, a dimostrazione dello stretto legame tra le banche e lo Stato.

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Figura 2.31

Fonte: Banca d’Italia, Relazione annuale 2010.

L’aumento del “funding gap” non è stato accompagnato da un miglioramento della redditività delle banche italiane come si era invece verificato nel periodo precedente alla crisi finanziaria.

La ripresa dell’attività produttiva non è stata in grado di contrastare gli effetti della forte recessione avvenuta l’anno precedente. La riduzione del livello dei tassi dovuta alla riduzione dei tassi ufficiali operata dalla Banca Centrale Europea è stato un ulteriore ostacolo alla ripresa della redditività per le banche italiane.

Nel 2011 il “funding gap” è rimasto ad un valore pressoché uguale a quello dell’anno precedente.

Nella prima parte dell’anno la crescita del credito è avvenuta ad un ritmo sostenuto rispetto agli anni precedenti ed il miglioramento delle condizioni sui mercati internazionali hanno spinto le banche italiane ad emettere un volume consistente di obbligazioni all’ingrosso.

L’andamento della raccolta all’ingrosso e del credito nella prima parte dell’anno ha fatto aumentare il “funding gap”.

Le rinnovate tensioni sulle finanze pubbliche di alcuni paesi dell’Eurozona, tra cui l’Italia, hanno influenzato considerevolmente la dinamica del “funding gap” e della “posizione netta di liquidità” delle banche italiane nella seconda parte dell’anno.

La crisi del debito sovrano ha comportato un rallentamento dell’attività economica ed un irrigidimento dell’offerta di credito da parte delle banche; entrambi aspetti che hanno quasi del tutto annullato la crescita dei prestiti bancari avvenuta nella prima parte dell’anno.

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La raccolta all’ingrosso ha subito un netto rallentamento dovuto alle crescenti difficoltà sperimentate dalle banche italiane ad accedere alla raccolta all’ingrosso provocate dalla riduzione del loro standing creditizio.

La contrazione notevole dei volumi negoziati sui mercati internazionali, generata dal crescente calo di fiducia tra le controparti, ha peggiorato la “posizione netta di liquidità” delle banche italiane esponendole così a tensioni sul fronte della liquidità a breve termine. L’intervento della Banca Centrale Europea con le due LTROs di durata triennale, la prima nel dicembre 2011 e la seconda nel febbraio 2012, è stato fondamentale nell’alleviare la situazione di stress delle banche italiane sul fronte della liquidità a breve termine e della raccolta che avevano portato il mercato a dubitare riguardo alla loro solvibilità.

Le rinnovate tensioni sui mercati finanziari europei dall’aprile del 2012 hanno orientato le scelte di portafoglio delle famiglie verso i prodotti bancari, vista la crescente volatilità sperimentata dalle azioni e dalle obbligazioni, accrescendo così il peso della raccolta al dettaglio.

I prestiti, al contrario, hanno registrato un calo sia per il rallentamento dell’attività economica, sia per le condizioni di offerta mantenute sempre restrittive da parte delle banche anche per le notevoli difficoltà causate dal deterioramento crescente della qualità del credito. La riduzione del volume dei prestiti ha ridotto il “funding gap” ma ha anche comportato una riduzione del margine di interesse, mantenendo così sempre debole la capacità di generare reddito da parte delle banche italiane.

L’intervento della Banca Centrale Europea nel 2012 attraverso le procedura d’asta con piena aggiudicazione dell’importo richiesto, la seconda LTRO e l’introduzione delle “Outright Monetary Transactions” (OMT) ha avuto il pregio di mantenere abbastanza distese le condizioni di liquidità sul segmento a breve termine del mercato monetario evitando così alle banche di dover fronteggiare delle situazioni di illiquidità.

La dimostrazione dell’efficacia delle misure adottate dall’Eurosistema è stato il miglioramento della posizione netta di liquidità delle banche italiane che nel 2012 è arrivata all’8,9%, valore quasi il doppio di quello registrato nell’anno precedente. Senza l’intervento della Banca Centrale Europea le banche sarebbero andate incontro ad un costo maggiore della raccolta e ad un calo più vistoso della provvista all’ingrosso, soprattutto nel segmento a breve termine.

La contrazione del “funding gap” è proseguita anche nel 2013, circostanza che dimostra come le banche italiane dal 2008 in poi abbiano tendenzialmente registrato una decrescita della quota dei prestiti non finanziati dalla raccolta stabile, sebbene lo abbiano fatto con

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discontinuità a causa delle molteplici fasi di turbolenza sperimentate nel periodo considerato che hanno interessato in modo differente le varie categorie dimensionali di banche.

Il contributo maggiore alla riduzione del “funding gap” è stato esercitato, come nel 2012, dalla diminuzione del volume dei prestiti che si è verificata per tutte le categorie dimensionali ed in modo più accentuato per i primi 5 gruppi bancari e per le filiali di banche estere.

La riduzione del volume dei prestiti ha continuato ad influenzare negativamente la redditività delle banche italiane attraverso la diminuzione del margine di interesse che, negli anni precedenti, era stato influenzato anche dalla riduzione del livello generale dei tassi che aveva provocato un calo del differenziale tra i tassi attivi e quelli passivi. Guardando alla situazione della liquidità a breve termine, le banche italiane hanno registrato un ulteriore miglioramento rispetto al 2012 portando la “posizione netta di liquidità” al 10,5%.

Figura 2.32

Fonte: Banca d’Italia, Relazione Annuale 2014.

Il rimborso anticipato di parte dei fondi ottenuti dalle due LTRO triennali è un fatto che dimostra i passi in avanti compiuti dalle banche italiane nella situazione della liquidità a breve termine in cui il ruolo principale è stato svolto dall’Eurosistema che ha fornito alle banche un’ingente quantitativo di liquidità per sopperire alla riduzione della raccolta all’ingrosso.

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La figura 2.32 è molto interessante perché rende visibile l’andamento del “funding gap” nel biennio 2013-2014 per le varie categorie dimensionali delle banche italiane.

Complessivamente emerge un ulteriore calo del “funding gap” delle banche italiane rispetto al valore registrato alla fine del 2013.

La riduzione è avvenuta per tutte le categorie dimensionali ad eccezione dei primi 5 gruppi che hanno lievemente invertito al rialzo la dinamica dei prestiti dopo il livello minimo raggiunto alla fine del 2013.

Le banche minori insieme a quelle piccole che già avevano un valore negativo del “funding gap” nel 2013, lo hanno ridotto ulteriormente nel 2014.

La “posizione netta di liquidità” delle banche oggetto di monitoraggio da parte della Banca d’Italia è rimasta pressoché uguale al valore di fine 2013 a testimonianza del miglioramento strutturale della liquidità delle banche italiane.

La riprova è stata fornita alla fine del 2014 quando le banche italiane hanno rimborsato un volume cospicuo di obbligazioni assistite da garanzia governativa e non hanno avuto