All’interno del sistema finanziario le banche svolgono la trasformazione delle scadenze, ovverosia raccolgono risorse finanziarie a breve termine tramite i depositi e le utilizzano per erogare prestiti a medio-lungo termine ai privati.
Come riportato dal BIS (2014), la trasformazione delle scadenze è una funzione di primaria importanza poiché contribuisce ad un’efficiente allocazione delle risorse finanziarie ed all’erogazione del credito, presupposto fondamentale per lo sviluppo dell’attività economica in modo particolare a livello europeo in cui le imprese si rivolgono principalmente alle banche per ottenere risorse finanziarie esterne.
Le banche, a causa della natura dell’attività principale svolta, sono esposte in maniera ineluttabile al rischio di liquidità.
La Ganga P. e Trevisan G. (2010), riguardo alla gestione della liquidità, sottolineano come nel periodo precedente alla crisi finanziaria questo processo avveniva senza l’interazione tra la tesoreria e l’asset & liability management (ALM), evidenziando una gestione approssimativa di un problema da sempre presente nello svolgimento dell’intermediazione creditizia; basilare da gestire per assicurare una sana e prudente gestione della singola banca e della stabilità del sistema finanziario nel suo complesso. Le condizioni particolarmente distese della liquidità sui mercati monetari e la parallela evoluzione dei mercati mobiliari ha spinto le banche ad adottare un modello di operatività maggiormente orientato alla diversificazione delle attività svolte, al ricorso a forme maggiormente volatili di raccolta, con un’enfasi particolare a quella proveniente dall’interbancario a breve termine, e ad un sempre crescente incremento della leva finanziaria.
Il cambiamento estremo delle condizioni di liquidità su svariati segmenti dei mercati finanziari e monetari, specialmente su quello interbancario, ha dimostrato come la liquidità possa ridursi velocemente e quanto profondi e duraturi possano essere gli effetti delle crisi sistemiche di liquidità sul sistema finanziario globale e sull’economia reale stessa.
E’ stato proprio lo sviluppo della crisi finanziaria globale e la sua intensificazione a seguito del fallimento della Lehman Brothers ad appalesare le lacune delle banche
47
riguardo alla gestione della liquidità e la forte sottovalutazione del rischio di illiquidità da parte delle Autorità di Vigilanza (AdV) stesse.
Ferrari P. e Ruozi R. (2009) e Berlanda M. (2010) evidenziano le lacune della normativa prudenziale di Basilea II che, a detta degli autori, si è orientata principalmente sul capitale ed ha affrontato solo in modo marginale il rischio di liquidità richiedendo esclusivamente nel Pillar II la strutturazione di un adeguato processo di identificazione, misurazione e gestione di tale rischio lasciando alla discrezionalità delle AdV nazionali la possibilità di poter imporre alle banche di migliorare o correggere il processo gestionale adottato per la gestione del rischio di credito.
Gobart J., Yanase M. e Maloney J. (2014) sostengono che le AdV nazionali prima della crisi si sono affidate eccessivamente alle prassi gestionali delle banche in merito alla gestione della liquidità; aspetto che necessariamente ha inciso nello sviluppo di procedure gestionali inadeguate che hanno alimentato la propagazione del rischio di liquidità a livello sistemico. E’ soltanto dopo l’inizio della crisi finanziaria che le AdV hanno prestato maggiormente attenzione alla liquidità, trascurata per molto tempo.
Il Financial Stability Forum (FSF) nel report dell’Aprile del 2008 delinea delle azioni concrete da intraprendere per rafforzare il controllo prudenziale non solo sul capitale ma anche sulla liquidità, dimostrazione dell’accresciuta sensibilità verso quegli aspetti che si sono dimostrati problematici durante la crisi.
Nel settembre dello stesso anno il Basel Committee on Banking Supervision (BCBS) pubblica i “Principles for Sound Liquidity Risk Management and Supervision” ribadendo l’importanza per le banche di predisporre di adeguate politiche di gestione del rischio di liquidità in grado di saper fronteggiare anche periodi di stress come quello sperimentato durante la crisi finanziaria globale.
Oltre a questo, dal BCBS viene ribadito che le AdV devono valutare costantemente l’adeguatezza dei processi attuati dalle banche vigilate, in modo da correggere prontamente gli aspetti problematici in grado di compromettere l’intero sistema finanziario.
Il passo che ha ricoperto un ruolo fondamentale nel disciplinare il rischio di liquidità è stata la definizione da parte del BCBS dei due requisiti minimi sulla liquidità da rispettare a livello sovranazionale: il “Liquidity Coverage Ratio” (LCR) ed il “Net Stable Funding Ratio” (NSFR).
Con questi due requisiti il BCBS ha risposto all’esigenza di dettare delle regole quantitative omogenee e precise a livello sovranazionale sul rischio di liquidità; novità
48
assoluta rispetto agli accordi precedenti in cui l’attenzione del Comitato era incentrata principalmente sul capitale.
Il LCR ed il NSFR, come riportato dal BCBS, sono due indicatori ideati per conseguire due obiettivi diversi ma complementari fra loro.
LCR= “ à à”
” . ”≥ 1
Il LCR ha l’obiettivo principale di rendere le banche dotate di un livello adeguato di attività liquide non vincolate in grado di fronteggiare il fabbisogno di liquidità nei trenta giorni di calendario successivi in uno scenario di stress specificato dall’AdV.
Per questo motivo il LCR è detto anche un indicatore di liquidità operativa, dato che è rivolto a rendere le banche in grado di fronteggiare crisi di liquidità nel breve/brevissimo termine.
Oliveira Santos A. Elliot D. (2012) definisco il LCR come uno stress test indirizzato a verificare la capacità di una banca di fronteggiare carenze di liquidità in un periodo di 30 giorni di calendario.
Aspetto interessante del denominatore del LCR è che gli afflussi di cassa attesi possono essere al massimo il 75% dei deflussi di cassa attesi. Questa precisazione nel calcolo dei deflussi netti è stata compiuta dal BCBS per far sì che le banche non si affidassero eccessivamente agli afflussi attesi per soddisfare il LCR e per assicurare inoltre un livello minimo di disponibilità liquide.
NSFR= " "
" " ≥ 1
Il NSFR, come riportato dal BCBS nel dicembre del 2010, è stato ideato per garantire che le attività a lungo termine vengano finanziate con un quantitativo minimo di passività stabili in relazione al rischio di liquidità delle attività incluse e fuori dal bilancio.
Oltre a questo il NSFR mira a ridurre il ricorso alla raccolta all’ingrosso a breve termine durante periodi in cui si ha un’abbondanza di liquidità sul mercato ed a promuovere una migliore valutazione del rischio di liquidità e, vista la sua finalità di ridurre le asincronie tra le scadenze dell’attivo e quelle del passivo, può essere denominato indicatore di liquidità strutturale.
49
Vazquez F. e Federico P. (2012), sebbene riconoscono l’importanza dei due requisiti quantitativi sulla liquidità, sono fermi nel ritenere che i due indici non siano in grado di catturare completamente le molteplici forme in cui il rischio di liquidità si può manifestare durante lo svolgimento dell’attività bancaria.
Da questa osservazione si nota come gli autori vogliano sottolineare il fatto che sono le banche stesse le principali responsabili dell’attuazione di una prudente ed accurata gestione del rischio di liquidità.
Un pregio dei nuovi requisiti sulla liquidità, a detta di La Ganga P. e Trevisan G. (2010) e della Banca Centrale Europea (2013), sarà quello di aumentare l’informazione fornita al mercato da parte delle banche riducendo così le asimmetrie informative tra gli operatori nel mercato; aspetto che riveste una notevole importanza per consentire un miglioramento dell’efficienza sul mercato monetario.
Oltre a questo la Banca Centrale Europea (2013) ritiene che l’introduzione dei requisiti quantitativi avrà il pregio di aumentare l’armonizzazione della normativa a livello sovranazionale, consentendo così la possibilità per le banche operanti nei vari sistemi bancari di trovarsi a competere in uno scenario maggiormente uniforme a livello sovranazionale.
Al contrario Tutino F. Ferretti P. e Birindelli G.(2011) e Ruozi R. e Ferrari P.(2013), pur riconoscendo l’importanza di una regolamentazione quali-quantitativa del rischio di liquidità a livello sovranazionale, sono in disaccordo con l’approccio “One-size fits-all” adottato in Basilea III poiché ritenuto non in grado di considerare in modo adeguato le caratteristiche strutturali dei vari sistemi bancari a motivo della ridotta discrezionalità lasciata ai legislatori nazionali in materia.
Da come sono stati strutturati i due indicatori emerge un trattamento privilegiato dei titoli di Stato rispetto ai prestiti ed ai titoli emessi dalle imprese finanziarie e non, fatto che rischia di ridurre l’appetibilità dell’investimento nei titoli bancari per le altre istituzioni finanziarie e l’erogazione del credito all’economia reale, come spiegato da La Ganga P. e Trevisan G. (2010) e da Ruozi R. e Ferrari P. (2013).
Resti A. (2011) ritiene, in merito al LCR, che la computabilità illimitata nelle “High Quality Liquidity Assets” (HQLAs) dei titoli di Stato del paese in cui la banca ha sede o vi assume il rischio di liquidità possa provocare un considerevole effetto spiazzamento della domanda di attività delle banche dai titoli emessi dai privati a quelli di stato, penalizzando in questo modo un canale di approvvigionamento delle banche ed aumentando il legame tra gli intermediari creditizi e lo Stato.
50
Resti A. e Petrella G. (2013) compiono un’analisi sulla liquidità di un insieme di titoli emessi dalle imprese, sia di natura finanziaria che non, e di titoli pubblici. Il liquidity market model impiegato sia per i titoli privati che per quelli pubblici mostra dei risultati non dissimili riguardo ai fattori influenti sulla loro liquidità.
I due autori trovano che l’illiquidità dei titoli pubblici risulta essere legata al livello della liquidità complessiva sul mercato e che all’aumentare della duration o ad un peggioramento del rating si verifica un peggioramento della liquidità del singolo titolo e della liquidità a livello sistemico.
I modelli impiegati nello studio confermano le perplessità evidenziate da Resti A. (2011) riguardo al trattamento oltremodo favorevole dei titoli di stato all’interno delle HQLAs rispetto ai titoli emessi da privati visto che, come mostrato da Resti A. e Petrella G. (2013), i fattori che influenzano il loro grado di liquidità sono simili, sebbene differiscano in intensità.
Un filone della letteratura economica ha analizzato le ripercussioni relative all’introduzione dei due requisiti sulla liquidità sul mercato monetario e quindi, in modo indiretto, sul corretto svolgimento della politica monetaria.
La Banca Centrale Europea (2013) sostiene che le banche con un LCR inferiore all’unità saranno portate a ridurre il ricorso alla raccolta a breve termine sul segmento dell’interbancario non garantito, visto che questa fonte di approvvigionamento è ipotizzata non rinnovabile in una situazione di stress. La tendenza suddetta potrebbe comportare, oltre ad una notevole riduzione degli scambi sul segmento non garantito dell’interbancario, un aumento consistente della volatilità dei tassi sulle scadenze inferiori all’anno che rivestono un ruolo fondamentale nel processo di trasmissione della politica monetaria.
In pratica il LCR spingerà le banche ad affidarsi maggiormente alla proprie riserve di liquidità a scapito del ricorso al mercato monetario non garantito, soprattutto per le scadenze brevi.
Ruozi R. e Ferrari P. (2013) ritengono che il NSFR, vista la sua articolazione, comporterà una forte pressione competitiva delle banche verso le forme di approvvigionamento più stabili provocando, di conseguenza, una riduzione della raccolta a breve termine sull’interbancario visto il trattamento sfavorevole in termini dei fattori di ponderazione ad essa applicati rispetto a quelli applicati sulle altre forme di raccolta di pari durata, come i depositi al dettaglio.
51
A tal proposito, Scalia A. Longani S. e Rosolin T. (2013), Gobat J. Yanase M. e Maloney J. (2014) e Tutino F. Ferretti P. e Birindelli G. (2011) da un punto di vista teorico sono concordi nel ritenere che un trattamento eccessivamente differenziato tra i depositi “retail” e quelli sull’interbancario possa contribuire ad innalzare la volatilità dei depositi al dettaglio stessi, a causa della notevole pressione competitiva che si verificherà su tale forma di raccolta rischiando così di rendere ulteriormente onerosa e difficoltosa la raccolta delle banche che già in seguito alla crisi finanziaria si sono trovate a dover fronteggiare la notevole e repentina riduzione della provvista all’ingrosso.
Hartlage A.W. (2012) nel considerare le possibili strategie delle istituzioni creditizie per il soddisfacimento del LCR, ad esclusione dell’investimento nelle HQLAs che viene ritenuto impossibile nello studio, arriva alla conclusione che queste ultime punteranno a modificare le fonti di finanziamento verso le forme ritenute maggiormente più stabili nell’indicatore.
Se, come evidenziato da Hartlage A.W., questa strategia è valida per la singola banca, a livello aggregato rischia di avere delle ripercussioni negative sul costo e sulla volatilità della provvista tramite i depositi; lo stesso effetto del NSFR sulla raccolta ipotizzato da Scalia A. Longani S. e Rosolin T.(2013) e da Gobat J. Yanase M.e Maloney J.(2014). Un’altra fonte della raccolta la cui importanza è stata enfatizzata dai requisiti sulla liquidità di Basilea III sono i covered bonds che già successivamente allo sviluppo della crisi finanziaria hanno accresciuto notevolmente la loro importanza all’interno delle strategie di raccolta delle banche.
Scalia A. Longani S. e Rosolin T.(2013) insieme a Ruozi R. e Ferrari P. (2013) e Resti A. (2011) nel valutare le possibili strategie delle istituzioni creditizie volte a migliorare il loro livello del NSFR e a ridurre il suo impatto a livello gestionale, vedono nei covered bonds una possibile risposta. L’aspetto negativo del ricorso cospicuo ai covered bonds è l’eccessivo impiego di attività da parte delle banche che può comportare a sua volta una riduzione dello standing creditizio della parte di debito non garantita, con un peggioramento della redditività a seguito del maggior rendimento richiesto dai finanziatori non garantiti.
In pratica quello che emerge è che i requisiti sulla liquidità, in modo particolare il NSFR, provocheranno uno spostamento delle strategie di raccolta bancarie dalla provvista non garantita a quella garantita, riducendo così il livello di flessibilità dell’attivo; aspetto che riveste un ruolo fondamentale per le banche, soprattutto in periodi di maggiore stress.
52
Dietrich A. Wanzenried G. Hess K. (2013) compiono un’analisi su 921 banche dislocate in 7 paesi dell’Europa occidentale nel periodo 1996-2010 e, in merito al costo della raccolta, arrivano alla conclusione che le banche con un NSFR inferiore all’unità fronteggiavano dei costi inferiori sulla raccolta. Questo risultato è in linea con quel filone della letteratura economica che ritiene gli indicatori sulla liquidità siano in grado di aumentare il costo della raccolta bancaria, tra cui Ruozi R Ferrari P. (2013), La Ganga P. e Trevisan G. (2010) e Scalia A. Longani S. e Rosolin T.(2013).
Ceron J.M. (2015) nell’esporre alcune criticità riguardo al NSFR ritiene che tale indicatore, sebbene abbia avuto il pregio di far ricorrere meno le banche alla raccolta a breve-brevissimo termine, abbia spinto al rialzo l’indebitamento a medio-lungo termine in modo eccessivo con il possibile rischio di situazioni particolarmente difficili in periodi di stress a seguito della notevole difficoltà nel rinnovare l’ingente mole dei finanziamenti ottenuti.
King M.R. (2013) nel mostrare la relazione tra una proxy del NSFR ed il margine di interesse di un gruppo di banche appartenenti a 15 paesi diversi arriva al risultato interessante che la redditività risulta essere inferiore per quelle banche con una provvista maggiormente diversificata ed un’alta quota dell’attivo investita in titoli, ovverosia le banche cosiddette universali.
Gobat J. Yanase M. Maloney J. (2014) e Dietrich A. Wanzenried G. Hess K. (2013), sebbene abbiano considerato un campione di banche differente, arrivano anch’essi al risultato che le banche con un’attività maggiormente diversificata avranno maggiori difficoltà nell’adeguarsi al requisito di liquidità strutturale rispetto a quelle maggiormente focalizzate sull’attività tradizionale.
Da queste ultime opinioni emerge che i business models delle banche, molto probabilmente, dopo l’entrata in vigore dei requisiti quantitativi sulla liquidità tenderanno sempre più ad uniformarsi rispetto al recente passato.
Tuttavia Ruozi R. e Ferrari P. (2013) ritengono che la modifica dei business models a seguito dell’orientamento delle banche verso il soddisfacimento dei nuovi requisiti sulla liquidità non comporterà l’esistenza di un'unica tipologia di banca, visto che le banche potranno interpretare al meglio le regole comuni sulla base, secondo i due autori, delle proprie caratteristiche.
Ponendo l’attenzione sull’effetto dei requisiti sulla redditività, Resti A. (2011) sostiene che la riduzione dell’attività di trasformazione delle scadenze da un lato e, dall’altro, la
53
ricomposizione del portafoglio di attività verso le HQLAs provocheranno una riduzione sostanziale della redditività delle banche attraverso la riduzione del margine di interesse. Anche Ruozi R. e Ferrari P. (2013) sostengono che l’indicatore di liquidità strutturale indurrà le banche a ridurre le asincronie tra la scadenza delle fonti e quella delle attività o aumentando il ricorso alla raccolta più stabile o diminuendo la componente immobilizzata dell’attivo, come ad esempio i prestiti, con effetti negativi sulla redditività. King M.R. (2013) nel suo studio, analizzando il NSFR ed i cambiamenti sul margine di interesse nel periodo considerato, arriva alla conclusione che l’indicatore strutturale provocherà, secondo le strategie ipotizzate, una riduzione del margine di interesse nei paesi con un sistema bancario in deficit riguardo al NSFR.
Lo stesso King M.R. nel suo studio precisa che l’impatto del NSFR sul margine di interesse può variare a seconda della composizione del bilancio delle singole banche ed in relazione alle caratteristiche specifiche del paese di appartenenza della singola banca. Scalia A. Longani S. e Rosolin T.(2013) come gli autori sopraindicati ritengono che il NSFR sia in grado di ridurre il margine di interesse delle banche e, in più rispetto agli altri, sostengono che l’indicatore abbia il pregio di ridurre la volatilità dello stesso margine di interesse visto che il ricorso maggiore delle banche verso fonti di finanziamento a più lunga scadenza potrebbe rendere meno sensibile il costo delle fonti di approvvigionamento alle crisi di liquidità nel breve periodo considerato il fatto che le banche conformi al NSFR verrebbero considerate più solide rispetto a quelle in deficit. Chiaromonte L. (2015) al contrario giunge ad un risultato diverso.
Attraverso l’utilizzo di un modello panel ad effetti fissi su un campione di banche commerciali, cooperative e di risparmio appartenenti a 28 paesi dell’UE Chiarimonte arriva ad ottenere il risultato che un aumento del NSFR sia accompagnato da un aumento della redditività delle banche. Una spiegazione che viene ipotizzata dall’autore è che, probabilmente, le banche con un valore elevato del NSFR vengono viste dal mercato come meno rischiose in quanto caratterizzate da una struttura finanziaria maggiormente equilibrata e meno sensibile alle tensioni sulla liquidità. La componente determinante della relazione positiva viene individuata nel capitale che nel periodo considerato nell’analisi è aumentato notevolmente.
Il risultato ottenuto da Chiaromonte dimostra come sia difficile stabilire con certezza l’effetto dei requisiti sulla liquidità su alcuni aspetti della gestione bancaria come, ad esempio, la redditività e la raccolta. Le ipotesi fatte da chi effettua studi su questo argomento sono molto rilevanti e spesso contribuiscono alla formazione di un risultato
54
piuttosto che un altro. La tipologia stessa di banche considerate nei campioni analizzati con i relativi business models può essere influente sugli esiti degli studi compiuti. Petrella G. e Resti A. (2013) illustrando i possibili effetti indesiderati dei requisiti sulla liquidità, tramite i risultati degli studi d’impatto compiuti dall’“European Banking Authority” (EBA) e dal BCBS nel periodo 2009-2011, arrivano alla conclusione che le banche europee saranno indotte a modificare inizialmente la composizione dell’attivo riducendo le attività illiquide come i prestiti, fonte importante della redditività bancaria, a favore di attività liquide a basso rischio.
L’investimento consistente nelle HQLAs avrà il pregio di migliorare la il LCR ma avrà anche il difetto di peggiorare la redditività dei bilanci bancari visto il minor rendimento offerto dalle attività liquide rispetto ai tradizionali prestiti alle famiglie ed alle imprese. Gli stessi prestiti non solo sperimenteranno una riduzione del peso percentuale nei bilanci bancari, ma verranno anche ridotti nella durata diminuendo ulteriormente il loro contributo al margine di interesse.
Malinconico A. (2012) analizzando la dinamica delle banche regionali italiane nel periodo 2008-2011 trova che le banche regionali avevano una dotazione di HQLAs superiore rispetto a quanto necessario per il rispetto del LCR. Questo risultato secondo Malinconico riflette anche il modello di business adottato dalle banche considerate, meno orientato al mercato e con un’esposizione molto contenuta in strumenti negoziati “over- the-counter” (OTC) rispetto a quanto fatto dalle banche più grandi.
Oltre a questo Malinconico mostra come le banche regionali italiane abbiano una capacità migliore di adeguarsi agli indicatori sulla liquidità per il loro maggiore affidamento alla raccolta tramite depositi da clientela residente rispetto alle banche di dimensioni più grandi. Un livello più alto di provvista stabile non solo consente di incrementare il numeratore del NSFR ma agisce anche sul LCR attraverso la riduzione dei deflussi netti