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Funzione esimente ed opportunità di adozione del

2.2 Il ruolo dei modelli organizzativi nella costruzione di un

2.2.1 Funzione esimente ed opportunità di adozione del

Per quanto riguarda la rilevanza giuridica dei modelli organizzativi, si noti che essa si trova in antitesi rispetto al paradigma della colpa di organizzazione, posto che l’efficace adozione di un compliance program, prima della commissione del fatto di reato, permette di esonerare il soggetto collettivo dal rimprovero penale che sarebbe invece conseguito in caso di lacuna organizzativa128.

126 Al riguardo PIERGALLINI, Paradigmatica dell’autocontrollo penale (dalla funzione alla

struttura del “modello organizzativo” ex d. lgs. 231/2001), in Studi in onore di Mario

Romano, Jovene, 2011, pag. 2053

127 PIERGALLINI, Paradigmatica dell’autocontrollo, op. cit., pag. 2054

128 Secondo GIUNTA, I modelli di organizzazione e gestione nel settore antinfortunistico, in

FONDAROLI – ZOLI (a cura di) Modelli organizzativi ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001 e tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, Torino, 2014, pag. 3

Questa funzione esimente del modello organizzativo sembrerebbe operare esclusivamente con riferimento ai reati commessi dagli organi apicali, ex art. 6 comma 1 del decreto, per cui l’ente non risponde se prova che “l'organo dirigente ha adottato

ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi”. L’imputazione della responsabilità si basa dunque su

una vera e propria presunzione secondo cui i reati posti in essere dagli apicali sono espressione della voluntas societatis. Il soggetto collettivo perciò, per evitare il rimprovero penale, dovrà dar prova di aver fatto quanto possibile per evitare il verificarsi di quel particolare fatto di reato, mediante cautele organizzative atte a prevenire potenziali situazioni di rischio.

Il problema che si pone dal punto di vista della prevenzione, dunque, è quello di incentivare gli enti a dotarsi di questi modelli di organizzazione, dato che la realizzazione degli stessi è alquanto impegnativa. Risulta pertanto opportuno indagare sulle ragioni che possono spingere la societas a dotarsi di un compliance

program per la prevenzione dei fatti delittuosi.

La tesi maggioritaria è risoluta nel sostenere che l’adozione delle misure di prevenzione del rischio-reato non sia obbligatoria, questo secondo un’interpretazione letterale degli artt. 6 e 7 del decreto, del contenuto della Relazione governativa che lo accompagna, come confermato infine dalle Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo elaborate dalla Confindustria129. La teoria de qua sarebbe altresì supportata dall’argomento che rinviene nell’assenza di una risposta sanzionatoria, in caso di mancata attuazione del

129 Si veda CONFINDUSTRIA, Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione,

programma, un altro sicuro indice della discrezionalità offerta alle imprese in questo senso130.

Ancor meglio vi è chi, andando oltre, fa riferimento alla situazione giuridica dell’onere, invocando di conseguenza una rilevanza ad probationem del modello organizzativo, il cui scopo sarebbe proprio quello di evitare la responsabilità amministrativa131. Di conseguenza l’opportunità di adottare o meno un modello di prevenzione del rischio-reato sarebbe una scelta posta in capo esclusivamente alla societas, che valuterebbe la situazione in termini puramente economici, di costi-benefici132. Ma le ripercussioni dovute alla mancata adozione di un

compliance program vanno ben oltre la sfera aziendalistica, così

come sancito dalla giurisprudenza che, negli ultimi anni, ha inserito suddetta omissione tra le ragioni della sentenza di condanna133.

Di diverso avviso infatti è altra parte della dottrina, la quale profila una situazione riconducibile all’obbligo, se non altro con riferimento agli organi sociali, poiché i doveri organizzativi previsti dal decreto del 2001 “paiono oneri e sono obblighi”134. I profili coercitivi in tema di adozione dei modelli di organizzazione troverebbero la propria origine nella riforma del diritto societario del 2003135, in particolare all’art. 2381 c.c., in cui

130 In tal senso C. DE LUCA – R. DE LUCA, Il processo di realizzazione e adozione dei modelli

di organizzazione, gestione e controllo, in DE VIVO (a cura di) Il professionista e il D.Lgs.

231/2001, Milanofiori Assago, 2010, pag. 29

131 In tal senso BERNASCONI – PRESUTTI - FIORIO, La responsabilità degli enti.

Commento articolo per articolo al D. legisl. 8 giugno 2001, n. 231, Padova, 2008, pgg. 119 e

ss.

132 Si veda ancora una volta C. DE LUCA – R. DE LUCA, Il processo di realizzazione e

adozione, op. cit., pag. 29

133 Tra le diverse pronunce si veda Tribunale di Milano, sez. X, sent. 31 luglio 2007, n.

3300; Gip presso il Tribunale Pescara, ord. 15 luglio 2010

134 Così ABRIANI, La responsabilità da reato degli enti: modelli di prevenzione e linee evolutive

del diritto societario, in Analisi giuridica dell’economia, 2, 2009, pag. 193; nello stesso

senso GIUNTA, Il reato come rischio d'impresa e la colpevolezza dell'ente collettivo, in Analisi giuridica dell’economia, 2, 2009, pp. 243 e ss.

“il principio di adeguatezza degli assetti organizzativi interni

all’impresa è assurto ad autentica “architrave” della governance della società per azioni”136. Secondo questa ricostruzione gli organi delegati sarebbero destinatari di un obbligo, di tipo civilistico, di predisposizione degli assetti organizzativi e contabili (tra cui si ritiene rientrino anche i modelli ex d. lgs. 231 del 2001) che risultino adeguati alla natura e dimensione dell’impresa, con correlativo impegno dei membri del collegio sindacale di vigilare sull’adozione e attuazione degli stessi. A favore della tesi dell’obbligatorietà si è espressa anche la Corte di Cassazione, nella già citata sentenza del 2009, affermando che “per non

rispondere per quanto ha commesso il suo rappresentante l’ente deve provare di avere adottato le misure necessarie ad impedire la commissione di reati del tipo di quello realizzato”137. Secondo la Corte la tesi che postula l’obbligo di adozione dei compliance programs si ricaverebbe dalle inversioni dell’onere della prova e dalle previsioni probatorie ex art. 6 e, in particolare, dalla necessità che l’ente procuri in primo luogo "la prova che l’organo dirigente ha

adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a tal fine".

In conclusione l’adozione di un modello organizzativo è sufficiente ad escludere l’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza, dunque ad esimere il soggetto collettivo da responsabilità; ciò avviene però esclusivamente nell’ipotesi in cui il soggetto agente sia qualificato come subordinato, ai sensi dell’art. 7 del decreto. Infatti se il reato viene commesso da un soggetto apicale, come già sottolineato, in forza del rapporto di

136 In tal senso PIERGALLINI, Paradigmatica dell’autocontrollo, op. cit., pag. 2057; si veda

anche ROSSI, Modelli di organizzazione, gestione e controllo: regole generali e individuazioni

normative specifiche, in Giurisprudenza italiana, 1, 2009, pag. 1837

immedesimazione organica si presume che il modello non sia efficace e l’unica possibilità che l’ente ha di farsi trovare esente da responsabilità è quella di dimostrare che l’apice abbia eluso fraudolentemente il modello.

Si noti che nella prassi l’ipotesi più frequente è quella in cui il reato sia stato commesso da un soggetto in posizione di vertice, dunque “l’ente è chiamato a fornire […] la probatio diabolica di aver

posto in essere ogni presidio adeguato e ragionevole ed, altresì, di essere stato vittima di un comportamento fraudolento”.

Sul punto si tornerà, in maniera più accurata, nel terzo capitolo del presente lavoro, dove verranno analizzate le problematiche di carattere processuale inerenti l’onere probatorio nell’ambito del processo de societate.

2.2.2 Ravvedimento post factum: la funzione