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La controversa natura della responsabilità dell’ente

Come già accennato in precedenza, nel nostro ordinamento, per lungo tempo, si è preferito evitare l’introduzione di un sistema di responsabilizzazione degli enti collettivi, come dimostra il fatto che il legislatore delegato, giunto infine all’emanazione del d. lgs. 231 del 2001, tuttavia abbia agito con estrema cautela.

Che il legislatore si sia mosso con i piedi di piombo, ne dà indiretta conferma la dizione utilizzata in diverse occasioni dalla normativa stessa: si tratta di una responsabilità “amministrativa”, seppur dipendente da reato. Ne consegue una sorta di anomalia sistematica dove un medesimo fatto viene qualificato come reato in relazione alla sua commissione da parte della persona fisica autrice, mentre come illecito amministrativo con riferimento all’ascrizione della responsabilità all’ente.

Le posizioni della dottrina in ordine a tale questione sono essenzialmente riconducibili a tre indirizzi interpretativi: vi è chi

attribuisce alla responsabilità in questione una natura propriamente penale, chi, al contrario, propende per la qualifica amministrativa e chi, infine, predilige una “terza via”, attribuendogli l’appellativo di tertium genus.

In relazione al primo orientamento, parte della dottrina non manca di far notare come effettivamente, in contrasto con l’aggettivazione apposta alla rubrica del decreto, la quale si riferisce ad una responsabilità amministrativa, forma e sostanza della normativa in commento siano propriamente penali90. Nella disciplina in esame sono le stesse norme di apertura al capo dedicato al processo (artt. 34 e ss.) a suggerire una responsabilità di tipo penale, prima tra tutte la previsione per cui per l’applicazione della sanzione all’ente viene incaricato il giudice penale, chiamato a conoscere del reato, e non l’Autorità amministrativa, come si potrebbe facilmente concludere se si facesse esclusivo riferimento all’etichetta assegnata a questo tipo di responsabilità.

Inoltre non si può negare come le sanzioni siano di chiara estrazione penalistica, potendole pacificamente equiparare a vere e proprie pene tradizionalmente intese, essendo portatrici di finalità preventive rispetto alla commissione di reati91. Pene che, per il loro contenuto, pongono diversi problemi “di garanzia”, costringendo il legislatore ad apprestare uno standard di guarentigie proprio del diritto penale classico92. Innanzitutto, come già fatto notare, l’art. 2 del d. lgs. 231 del 2001 ribadisce il principio di legalità, mentre il successivo articolo detta una regolamentazione della successione di leggi nel tempo e della

90 In tal senso CASAROLI, Sui criteri di imputazione della responsabilità da reato della

persona giuridica, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, 3, 2008, pag. 566

91 In PANAGIA, Rilievi critici sulla responsabilità punitiva degli enti, in Rivista trimestrale

di diritto penale dell’economia, 1/2, 2008, pag. 153

applicazione della legge più favorevole, del tutto analoga a quella delineata dall’art. 2 c.p prevista per i reati. A completare il quadro infine, gli artt. 34 e ss. della normativa delegata impongono che l’accertamento della responsabilità avvenga con le garanzie del processo penale.

Infine non si può non rilevare come la responsabilità in questione sia dotata di una certa autonomia, come testimonia la sua persistenza in capo all’ente anche qualora non venga identificato l’autore materiale dell’illecito, questi non sia imputabile, oppure il reato si estingua per una causa diversa dall’amnistia, come previsto dal già citato art. 8 del decreto.

Se realmente si trattasse di una responsabilità penale, sarà in questo caso indispensabile un vaglio di compatibilità di questa con la Carta fondamentale, in particolare con l’art. 27 comma 1° Cost., per il quale, com’è risaputo, “la responsabilità penale è

personale”. Il principio in questione asserisce come l’autore del

fatto illecito e il destinatario della conseguente sanzione debbano corrispondere allo stesso soggetto, escludendo pertanto gli enti collettivi dall’ascrizione di tale responsabilità, che altrimenti si configurerebbe come responsabilità per fatto altrui.

A ben vedere, nel caso della responsabilità penale delle persone giuridiche, occorrerà valutare la condotta del soggetto tenuto ad agire per l’ente, utilizzando la già descritta soluzione in tema di reati colposi: in buona sostanza, per stabilire se un soggetto collettivo abbia adempiuto o meno ad un obbligo di legge, sarà necessario riferirsi alla condotta del soggetto istituzionalmente tenuto ad essa, che al contempo dovrà anche essere il soggetto su cui andrà a gravare la responsabilità, poiché altrimenti si verificherebbe una scissione tra il soggetto obbligato e il destinatario delle conseguenze, con violazione quindi dell’ art. 27

Cost93. Inoltre, far incombere sull’ente gli effetti di un reato commesso dal proprio “rappresentante”, potrebbe comportare la possibilità che le conseguenze penali gravino anche su soggetti del tutto estranei alle attività illecite poste in essere.

Eppure, se consideriamo che, in base al meccanismo della rappresentanza, gli atti posti in essere da persone inserite nella struttura dell’ente vanno a produrre effetti giuridici direttamente in capo a quest’ultimo, consentendogli di conseguire vantaggi, è proprio per questo motivo, ovvero il conseguimento diretto di utilità da parte del soggetto collettivo, che si ha la possibilità di chiamarlo a rispondere in base ad un principio di “giustizia distributiva”, per il quale, chi riceve vantaggi deve necessariamente accettare anche gli oneri che da tali benefici conseguono94. Ma vi è anche chi va oltre tale conclusione, auspicando l’introduzione di correttivi tesi a fare in modo che, di fatto, l’ente risulti effettivamente responsabile, in modo tale da rendere nulli i vantaggi derivanti dai suddetti reati: come ad esempio introdurre disposizioni che obblighino le società ad eliminare le conseguenze negative derivanti dai reati commessi95. Diversamente, i sostenitori della tesi che propende per la natura di tipo amministrativo di tale responsabilità, fanno leva, in primis, sul nomen del provvedimento e del titolo del capo primo, che qualificano espressamente la stessa, per l’appunto, come amministrativa. Tuttavia è stata mossa un’obiezione in tal senso, osservando come “La qualificazione di un istituto rivela un senso

normativo, in quanto additi l'applicabilità di uno, piuttosto che d'un

93 PADOVANI, Il nome dei principi e il principio dei nomi: la responsabilità “amministrativa”

delle persone giuridiche, in DE FRANCESCO (a cura di), La responsabilità degli enti: un

nuovo modello di giustizia “punitiva”, Torino, 2004, pp. 17 e ss.

94 Secondo la ricostruzione di BASSI – EPIDENDIO, Enti e responsabilità, op. cit., pp.

473-474

altro modello di disciplina. Nella specie, l'opzione per la formula della "responsabilità amministrativa" - che occorre prendere sul serio, in quanto espressione della volontà del legislatore - aprirebbe teoricamente la strada a un'integrazione nel sistema dell'illecito amministrativo, già ben noto all'ordinamento italiano. In concreto, però, la formula adoperata dal legislatore italiano si riduce a un'etichetta carica di significati simbolici, del tutto neutra rispetto alla disciplina degli istituti”96.

Difatti sembra che l’etichetta assegnatale dal legislatore non si rifletta integralmente sulla disciplina stessa, che, come già illustrato, pare invece tendere a conformarsi ai caratteri propri del sistema penale. A qualcuno 97 la circostanza ricorda addirittura quella che ha riguardato le misure “amministrative” di sicurezza del nostro codice penale, misure che di amministrativo ormai hanno ben poco, essendo oggi universalmente riconosciuta la loro natura penale.

D’altra parte giova però sottolineare come la stessa Corte di Cassazione, in più occasioni, abbia condiviso la lettura “amministrativistica” di tale responsabilità degli enti. Basti citare la sentenza 22 gennaio 2011, n. 2251, pronunciata dalla sezione VI penale, attraverso la quale gli “ermellini” hanno escluso l’ammissibilità della costituzione di parte civile nel processo a carico dell’ente. La sentenza in esame, valorizzando l’autonomia della responsabilità dell’ente e postulando quindi il necessario divario tra reato commesso dalla persona fisica e l’illecito riferibile all’ente, ha perciò alimentato la tesi favorevole alla natura amministrativa della responsabilità a carico delle persone giuridiche.

96 Ancora secondo PULITANO’, La responsabilità “da reato”, op. cit., pag. 417

97 DE SIMONE, La responsabilità da reato degli enti: natura giuridica e criteri (oggettivi)

Tuttavia sarà poi la stessa Corte Suprema, con la recente sentenza a Sezioni Unite98, a considerare il sistema previsto dal decreto in commento, come un corpus normativo talmente singolare, da definirlo come un tertium genus, nel modo in cui è stato qualificato dalla stessa Relazione al decreto, che a sua volta riprende la formula utilizzata dalla Commissione Grosso qualche anno addietro. La giurisprudenza sopracitata e parte della dottrina si esprimono quindi a favore di un istituto che non corrisponde interamente né alla fattispecie dell’illecito amministrativo, né a quella penale, rivelandosi così compatibile, sempre secondo la Corte, con i principi dettati dalla Carta Costituzionale. Per quanto riguarda le possibili frizioni con il già citato art. 27 Cost., secondo la Cassazione, non vi sarebbe violazione del principio della responsabilità per fatto proprio, dato che l'ente non è chiamato a rispondere di un fatto altrui, poiché il reato è stato commesso nell'interesse e a vantaggio dell'ente, da soggetti inseriti nella compagine societaria e quindi in virtù del rapporto di immedesimazione organica che unisce amministratori ed ente. Allo stesso modo, è da escludere che il sistema violi il principio di colpevolezza, poiché il rimprovero in questo caso riguarda l’ente, non il soggetto che per esso ha agito; perciò la responsabilità della persona giuridica si aggiunge e non si sostituisce quella delle persone fisiche, che resta regolata dal diritto penale comune.

Risulta facile comprendere come quest’ultimo orientamento, facendo propria la tesi dell’immedesimazione organica, riesca con facilità a superare gli attriti riscontrati dai sostenitori della concezione penalistica, permettendo al criterio di imputazione

soggettiva, ex art. 6 del decreto, di operare senza incontrare alcun ostacolo.

1.5 Il processo penale quale sede istituzionale per