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Gli attriti con la presunzione di non colpevolezza

3.2 Rassegna delle problematiche inerenti il thema probandum

3.2.1 Gli attriti con la presunzione di non colpevolezza

Come risaputo l’art. 27 comma 2 Cost., secondo cui “l’imputato

non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”, contempla

la fondamentale garanzia della presunzione di non colpevolezza, principio cardine della giurisdizione penale, riconosciuto anche a livello sovranazionale 313 . Tale enunciazione, è noto, sta a significare che “la presunzione di non colpevolezza, che accompagna

l’imputato stesso, viene meno soltanto se e quando nei suoi confronti intervenga sentenza irrevocabile di condanna”314.

Da sempre siffatto principio è stato interpretato nelle sue due accezioni principali, ovvero come regola di trattamento e come regola di giudizio. Per quel che ci interessa, con riferimento al suo secondo significato, la presunzione di non colpevolezza comporta necessariamente che l’onere della prova ricada su chi sostiene la reità dell’imputato, poiché questo deve presumersi innocente fino a prova contraria. Nel dubbio, dunque, la pretesa punitiva deve soccombere, poiché, evidentemente, la pubblica accusa non è riuscita a dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie penale incriminatrice, con la conseguenza dell’emissione di una pronuncia assolutoria da parte dell’organo giudicante.

Ebbene la presunzione di non colpevolezza “delinea un preciso

modo di concepire la ricerca e la raccolta del materiale probatorio”

costituendo “il presupposto dello stesso contraddittorio, che è

essenzialmente contrapposizione paritetica di accusa e difesa per la

313 Trattandosi di un principio universale, esso è riconosciuto in ogni Carta

internazionale, quale: la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo proclamata nel 1948, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (c.d. CEDU) del 1950, lo Statuto della Corte penale internazionale stipulato nel 1998 ed infine la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. Carta di Nizza) del 2000

314 Secondo la definizione data da CONSO - GREVI - BARGIS, Compendio di procedura

persuasione del terzo”315. Fatta questa premessa, sembrerebbe che intercorrano significative differenze tra il modello appena delineato, consacrato nel procedimento a carico della persona fisica, e quello cui si assiste nel processo de societate, delineato dal d. lgs. n. 231/2001.

Come già evidenziato, il quadro normativo parrebbe postulare una peculiare inversione degli oneri probatori in caso di reati commessi dai vertici della societas, con conseguente contrasto con la regola di giudizio sottesa alla presunzione di innocenza, la quale esclude qualsiasi obbligo di contribuzione, da parte dell’accusato, alla ricostruzione dei fatti316. Difatti parte della dottrina non ha mancato di evidenziare i numerosi dubbi scaturiti dall’interrogativo circa la compatibilità di simile inversione probatoria con i dettami costituzionali, di cui all’art. 27 comma 2317.

Peraltro, giova rilevare che vi è anche chi sostiene che, nonostante questo impianto probatorio sembri in contrasto con la presunzione in discorso, in realtà tale “probatio diabolica offre,

comunque, un’opportunità importante all’ente per evitare […] pesanti

sanzioni” 318 . Questa impostazione dottrinale richiama

esplicitamente la c.d. “corporate culture”, la quale consiste nell’atteggiamento di rispetto ed obbedienza alla legge, attraverso la catena di comando e la struttura decisionale societaria; pertanto, dal punto di vista processuale, non si ritiene sconveniente imporre all’ente l’onere della prova contraria

315 Così DI BITONTO, Studio sui fondamenti della procedura penale d’impresa, Napoli, 2012,

pp. 63 - 64

316 Ancora DI BITONTO, Studio sui fondamenti, op. cit., pag. 68

317 Si veda in proposito MOSCARINI, I principi generali, op. cit., pag. 1274;

BERNASCONI, Art. 6, in BERNASCONI – PRESUTTI - FIORIO, La responsabilità degli

enti, op. cit., pag. 151; FERRUA, Il processo contro gli enti: incoerenze e anomalie nelle regole di accertamento, in GARUTI (a cura di) Responsabilità degli enti, op. cit., pag. 224

318 Secondo VACIAGO, Il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in CERQUA (a cura di)

rispetto all’accusa di mancata o insufficiente prevenzione, difatti tale inversione “in concreto fornisce una migliore via d’uscita per

l’ente rispetto alle teorie classiche”319.

In disaccordo con tale affermazione, taluno ha prospettato, quale possibile soluzione a siffatto contrasto normativo, che i principi costituzionali ed internazionali, come la stessa presunzione di non colpevolezza, concernano esclusivamente la persona fisica in quanto tale e che la loro applicazione nel procedimento de

societate sia rimessa alla discrezionalità del legislatore320. Ma simile spiegazione, come si è giustamente sostenuto, contrasterebbe con “gli orientamenti, affermati anche a livello

comunitario, volti ad estendere le garanzie costituzionali per la responsabilità penale pure a forme di responsabilità amministrativa”321. Si noti come la Corte di Strasburgo, peraltro, abbia espressamente ribadito la necessità del rispetto di tale principio fondamentale, non solo nell’ambito del processo penale, ma anche in tutti i procedimenti legati a quest’ultimo da un nesso fattuale322. Di conseguenza la struttura “binomia” della responsabilità dell’ente, stante la stretta interdipendenza tra il fatto di reato e l’illecito amministrativo da questo dipendente, permette, anche qualora si volesse inquadrare la responsabilità degli enti come amministrativa, che la presunzione de qua operi ciò nonostante323. Alla luce di queste considerazioni, si rende necessaria un’interpretazione del principio di non colpevolezza, così come stabilito dall’art. 27 comma 2 Cost., tale da conciliarsi con una corretta applicazione nel procedimento a carico degli enti.

319 Così ARENA, L’onere della prova nel d. lgs. 231, su http://www.reatisocietari.it, 2005 320 MOSCARINI, Le cautele interdittive penali contro gli enti, in Rivista di diritto

processuale, 4, 2003, pp. 1106 e ss.

321 Secondo BELLUTA, Art. 35, in BERNASCONI – PRESUTTI - FIORIO, La

responsabilità degli enti, op. cit., pag. 353

322 Corte EDU, sent. 27 settembre 2007, Vassilios Stravropoulos c. Grecia 323 In tal senso DI BITONTO, Studio sui fondamenti, op. cit., pag. 70

Abbiamo già accennato a come la scelta del processo penale quale sede privilegiata per l’accertamento della responsabilità del soggetto collettivo, fosse stata dettata da esigenze di effettività e garanzia; ebbene la natura punitiva del giudizio in esame impone la necessaria estensione dei principi del diritto penale, dunque non è possibile pensare che il rinvio alle norme del codice di rito,

ex art. 34 del decreto, “legittimi operazioni di snaturamento del processo stesso, a meno che non siano sorrette da una incompatibilità con le caratteristiche peculiari di un soggetto che non è persona fisica”324.

Per risolvere il contrasto tra l’art. 6 del decreto e l’art. 27 comma 2 Cost., in primo luogo, occorrerà verificare se una presunzione di colpa dell’ente può effettivamente trovare ingresso nel nostro ordinamento, tenendo ben a mente tutte le considerazioni svolte finora; secondariamente, andando più in profondità, sarà necessario stabilire quale sia il quantum di prova richiesto ad accusa e difesa onde evitare di scalfire il precetto costituzionale. Con riferimento al primo profilo si noti come, nel procedimento penale, il fatto che l’imputato sia una persona fisica, la quale vede messi a rischio tutti quei diritti e libertà di immenso valore di cui gode, come ad esempio la libertà personale, comportano necessariamente la minimizzazione del rischio di condanna di un innocente325. Tuttavia queste considerazioni abbisognano di alcuni “correttivi” quando a trovarsi sul banco degli imputati sia un soggetto collettivo, poiché in questo caso si assiste ad un rafforzamento di quelle che sono le prerogative dello Stato, con conseguente allentamento delle istanze di garanzia. Alla luce di queste considerazioni, non si vede perché si dovrebbe negare

324 Così CHIMICHI, Il processo penale a carico degli enti, op. cit., pag. 619 325 Secondo CHIMICHI, Il processo penale a carico degli enti, op. cit., pag. 619

l’ingresso di una presunzione di colpa a carico dell’ente nel nostro ordinamento, posto il peculiare contesto in cui si inserirebbe ed il differente bilanciamento di interessi che si impone rispetto a quanto accade per la persona fisica326.

Assodato questo primo profilo, sarà necessario adesso chiedersi quali siano gli standard probatori necessari per convincere il giudice dell’innocenza dell’imputato. Una soluzione che è stata prospettata, al fine di risolvere gli attriti tra la presunzione di non colpevolezza ed il regime di responsabilità dell’ente in caso di reato commesso da un apice, comporta di considerare l’art. 6 come una norma di diritto sostanziale. Così facendo, la norma si “trasformerebbe” in una causa di giustificazione speciale, escludendone, per contro, la natura processuale della stessa; all’opposto, la regola di giudizio, necessaria per risolvere situazioni di incertezza, sarebbe da rinvenirsi all’art. 530327 comma 3 c.p.p., ove si stabilisce che , in caso di dubbio sull’esistenza di una causa esimente, il giudice è tenuto a pronunciare sentenza di assoluzione328.

Da rilevare come sul piano sostanziale è ben possibile che il legislatore disponga delle fattispecie incriminatrici stabilendo presunzioni di fatto, le quali comportano una parziale

326 Ancora CHIMICHI, Il processo penale a carico degli enti, op. cit., pag. 619 327 “Art. 530 Sentenza di assoluzione

1. Se il fatto non sussiste, se l'imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un'altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo.

2. Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile.

3. Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull'esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione a norma del comma 1.

4. Con la sentenza di assoluzione il giudice applica, nei casi previsti dalla legge, le misure di sicurezza.”

ripartizione degli oneri probatori tra accusa e difesa329. Invero anche la stessa Corte Costituzionale, a proposito dei “reati di possesso” ex artt. 707 e 708 c.p., escluse a suo tempo che simili fattispecie si ponessero in contrasto con la presunzione in discorso, poiché dette norme, richiedendo all’imputato di spiegare determinate circostanze fattuali, si limitavano semplicemente a “pretenderne una attendibile e circostanziata

spiegazione, da valutarsi in concreto nelle singole fattispecie, secondo i principi della libertà delle prove e del libero convincimento”330.

Il problema però riposa sul fatto che, nel caso di specie, non è corretto “desumere da una tale norma di diritto sostanziale che il

soggetto collettivo sia gravato dal corrispondente rischio della mancata prova” poiché sono le norme di diritto processuale a “stabilire quando un fatto può dirsi provato e a determinare il criterio risolutore del fatto incerto nel processo penale”331. L’ente, al fine di beneficiare della sentenza assolutoria, dovrebbe insinuare il dubbio riguardo al fatto di aver adottato un modello organizzativo idoneo a prevenire il reato, reato che poi, in concreto, si è verificato. Ma il rischio della mancata prova non può gravare sulla difesa, posto che simile pericolo normalmente è addossato al pubblico ministero, dunque non vi sarebbe alcuna ragione per escludere nel caso de quo l’applicazione dell’art. 530 comma 3 c.p.p.332 Proprio perché l’art. 6 del decreto nulla dice circa la quantità di prova necessaria per l’ente a convincere il giudice, non può farsi riferimento ad una situazione dove il quantum probatorio è identico per attore e convenuto, poiché questo è tipico del

329 Si veda MOSCARINI, I principi generali, op. cit., pp. 1273 - 1274 330 Corte Costituzionale, sent. 29 gennaio 1971, n. 14

331 Così DI BITONTO, Studio sui fondamenti, op. cit., pag. 74

332 In questo senso VARRASO, Il procedimento, op. cit., pp. 365 e ss.; CHIMICHI, Il

processo penale a carico degli enti, op. cit., pp. 620 - 621; DI BITONTO, Studio sui fondamenti, op. cit., pag. 75

processo civile. In tal senso infatti non manca chi fa notare come la disciplina in materia parrebbe aver subìto “gli influssi del

modello civilistico, in cui la ripartizione dell’onere della prova e le sue eventuali inversioni sono strumenti per un bilanciamento di interessi contrapposti, tendendo a realizzare sul piano sostanziale una diversa distribuzione dei rischi”333.

Ma il processo penale, diversamente da quello civile, richiede

standard più severi, perciò ”accettare la condanna in presenza del dubbio sul fatto impeditivo equivale a rifiutare tale necessità”334. Questa lettura della norma de qua permette dunque si superare le difficoltà probatorie poste in capo al soggetto collettivo senza necessariamente intaccarne la già citata funzione preventiva, poiché i parametri da seguire, al fine di beneficiare dell’esimente, sono sempre quelli che assicurano un’efficace attuazione dei

compliance programs: “la diminuizione del quantum di prova sul fatto impeditivo non influisce su questo, bensì è regola di giudizio che riguarda il momento processuale”335.