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Biografia Gaio Antonio260 soprannominato Hybrida, nato all’incirca nel 106 a.C., era il secondo figlio dell’oratore Marco Antonio e fratello minore di Marco Antonio Cretico. Esponente della gens di origine plebea degli Antonii iniziò la sua carriera come comandante di cavalleria sotto L. Cornelio Silla durante la guerra contro Mitridate VI, e

al ritorno di Silla a Roma, nell’83 a.C., rimasto in Grecia con un reparto di cavalleria per assicurare l’ordine, finì per saccheggiare il paese, commettendo numerose atrocità tra cui la profanazione di templi e luoghi sacri, che -secondo la moderna storiografia-, gli avevano valso il soprannome di “Hybrida” 261. Sostenitore e partigiano di Silla, arricchitosi durante la prima proscrizione, in conseguenza della sua precedente condotta in Grecia subì numerose ripercussioni giudiziarie, a partire dall’accusa del 76 a.C. da parte di un giovane Giulio Cesare, quando riuscì ad evitare la condanna esclusivamente grazie al supporto dei tribuni della plebe. Sei anni dopo, nel 70 a.C., fu espulso dal senato grazie alla nota censoria, sempre per l’atteggiamento tenuto in Grecia, con l’accusa di aver commesso atti di efferata violenza, di aver depredato gli alleati greci ed aver dilapidato i propri beni. Tuttavia, appena due anni dopo Antonio ricevette la carica                                                                                                                

260 Fonti principali sulla vita di Gaio Antonio Hybrida; CIC. Fam. V 5; Phil. II 56, 98, 99; DIO CASS. XXXVIII 10, XLVI 15, 2; STR. X 2, 13. Per un’analisi del cursus honorum di Antonio si veda anche il recente testo di MUÑIZ COELLO, J. «La Carrera politíca de C. Antonio Hybrida, consul del 63 a.C..»

Hispania antiqua 24 (2000): 319-338.

261 In epoca repubblicana gli Antonii non avevano cognomem e venivano perciò attribuiti loro da familiari e nemici politici delle appellationes privatae, come nel caso di G. Antonio Hybrida il cui soprannome, proprio del lessico della zoologia, è citato soltanto da Plinio, in riferimento all’accoppiamento di animali di razze diverse. In particolare il passo in nullo genere aeque facilis mixtura cum fero, qualiter natos

antiqui hybridas vocababant ceu semiferos, ad homines quoque, ut C. Antonium Ciceronis consulatu collegam, appellatione tralata “In nessuna specie come in quella dei suini è tanto facile l’incrocio fra i

maiali domestici e quelli selvatici; i nostri antenati chiamano ibridi (oppure semiselvatici) i nati da questi incroci, appellativo che poi fu riferito anche agli uomini, come ad esempio Gaio Antonio, collega nel consolato di Cicerone” PLIN. Nat. Hist. VIII LXXIX, rimanda a un animale nato dall’incrocio tra un maiale domestico e uno selvatico, andando quindi a connettere l’appellativo di Antonio con la sua nascita fuori dal matrimonio. Gli storici hanno invece sempre seguito la considerazione di Drumann (Gesch. Roms, i. p. 531) per cui Hybrida sarebbe da interpretare come un soprannome offensivo relativo alle malversazioni provinciali di Antonio, alla sua dubbia morale e soprattutto alla sospettata partecipazione alla congiura di Catilina; in questa accezione il passo di Plinio è stato considerato soltanto come un ulteriore elemento da aggiungere al ritratto negativo del personaggio. Tuttavia Buongiorno, seguendo l’ipotesi di Muñiz Coello, riprende il passo il Plinio e l’ipotesi seicentesca di Hardouin 1685, secondo cui Antonio avrebbe ricevuto tale appellativo quod ex diversae gentis sortisve parentibus ortus sit, rimandando quindi il soprannome a un uomo nato da genitori di diversa cittadinanza, spesso non uniti da

connubium, conservando l’accezione negativa del soprannome, ma spostandola sul piano sociale e

soprattutto nell’ambito dell’invettiva politica. Il soprannome di Hybrida andrebbe quindi ad indicare la nascita illegittima di Antonio, molto probabilmente nato da una donna greca, oppure da una schiva o da una liberta del padre. Buongiorno 2006, p. 297-303.

di tribuno, fattore che gli permise l’immediata riammissione in senato e successivamente, nel 66 o nel 65 a.C., esercitò la pretura insieme al collega Cicerone. Nel 63 a.C., anno della congiura di Catilina, quando esercitava il suo consolato, sempre con Cicerone come collega, fu sospettato di aver sostenuto segretamente la congiura e di essere lui stesso uno dei catilinari; Cicerone, che originariamente aveva ricevuto il governo della Macedonia, secondo le disposizioni della lex Sempronia de provinciis

consularibus262 si sarebbe accordato con Antonio, che aveva ricevuto la provincia della Gallia, guadagnandosi il suo sostegno contro Catilina con la promessa dello scambio delle rispettive province263: “in cambio del proconsolato nella più ricca provincia di Macedonia (vessando la quale avrebbe tentato di rimpolpare le proprie scarse finanze), C. Antonio avrebbe promesso al collega un’ingente somma di denaro; dal canto suo, Cicerone, facendo affidamento –tra gli altri- su tale provento avrebbe acquistato una

domus sul Palatino”264.

Alla scoperta della congiura, in qualità di console C. Antonio ricevette il comando dell’esercito in Etruria che avrebbe dovuto condurre contro Catilina, ma nel giorno della battaglia conclusiva assegnò il comando al suo legato, M. Petreio, l’effettivo vincitore della battaglia presso Pistoia del 62 a.C., benché sia stata comunque Antonio a ricevere il titolo di imperator per la vittoria militare, come è testimoniato nell’epistolario ciceroniano265.

In seguito alla conclusione di tali eventi, Antonio partì quindi per la provincia della Macedonia con la carica di proconsole nell’anno 62-61 a.C., saccheggiando così vergognosamente la regione che il suo richiamo fu proposto in Senato all'inizio di 61

                                                                                                               

262 La Lex de provinciis consularibus, promulgata dal tribuno della plebe Gaio Sempronio Gracco nell’anno 123-122 a.C., prescriveva che prima delle elezioni dei consoli il senato stabilisse le provincie che sarebbero state loro affidate. In tal modo si tentava di impedire che il senato potesse allontanare da Roma un console favorevole alla fazione dei populares.

263 Testimonianze di questo accordo segreto tra Cicerone e Antonio sono presenti in CIC. Fam. XV 4, 13;

Mur. 42; Pis.5; CASS. DIO 37.33.4; PLUT. Cic.12, 4 ; SALL. Cat. 26, 4.

264 Buongiorno 2010, p. 29. L’autore riprende l’ipotesi di M. GELZER Cicero. Ein biographischer

Versuch, Wiesbaden, 1969, p. 108, che non accettando la datazione intorno al 66 a.C. fornita da Plutarco

per l’acquisto della casa sul Palatino, la posticipa alla difesa di Silla da parte di Cicerone, che avrebbe fruttato all’oratore due milioni di sesterzi, a fronte di una spesa totale di tre milioni e mezzo (CIC. Fam. V 6, 2), facendo poi affidamento sul patto con Antonio per saldare il debito. Sull’argomento si veda anche DENIAUX E., Clientèles et pouvoir à l’époque de Cicéron, Roma, 1993, p. 591, e IONNATOU, M., Affaires d’argent dans la correspondance de Cicéron. L’aristocrati sénatoriale face à ses dettes, Paris, 2006, p. 305 e 315.  

265 M. Cicero S. D. C. Antonio M. F. IMP. “M. Cicerone saluta l’imperator M. Antonio figlio” CIC. Fam. V 5.

a.C.; portato in giudizio fu quindi difeso da Cicerone266, che riuscì ottenere la prorogatio dell’imperium del proconsole per l’anno corrente, rafforzando il sospetto che Cicerone stesso avrebbe dovuto trarre ampi vantaggi economici dal loro precedente accordo267. Tuttavia, dato che Antonio non avrebbe ancora versato il denaro promesso a Cicerone dopo un anno trascorso in Macedonia, la necessità di Cicerone di saldare il suo debito lo avrebbe spinto a fare pressioni per ottenere quanto pattuito, tramite una lettera affidata ad Attico, in cui appare evidente l’esistenza di un grande debito di riconoscenza di Antonio nei confronti dell’oratore: ego si abs te summa ufficia desiderem, mirum

nemini videri debeat. Omnia enim a me in te profecta sunt, quae ad tuum commodum, quae ad honorem, quae ad dignitatem pertinerent. Pro his rebus nullam mihi abs te relatam esse gratiam, tu es optimus testis268.

Sostituito da Ottaviano, padre del futuro Augusto, nel governo della Macedonia, al suo ritorno a Roma nel 59 a.C., Antonio fu accusato, riconosciuto colpevole e dunque costretto all’esilio.

Successivamente fu richiamato a Roma soltanto intorno al 44 a.C., avendo probabilmente ricevuto da Cesare il permesso del ritorno. Dalla testimonianza di Cicerone269, appare infatti essere stato a Roma all'inizio di quell’anno; l’ultima notizia biografica relativa ad Antonio risale a due anni dopo, quando nel 42 a.C. ricoprì la carica di censore.

Esilio La congiura di Catilina mise in moto una spirale di accuse reciproche che vide coinvolti non soltanto i congiurati superstiti, costretti alla fuga e all’esilio in Epiro ma anche entrambi i consoli del 63 a.C. In seguito al suo ritorno nel 59 a.C. dalla magistratura di governatore di Macedonia, Antonio fu infatti accusato da Marco Celio

                                                                                                               

266 La testimonianza di quest’orazione oggi perduta è fornita dallo stesso oratore in CIC. Fam. V 6, 3. Per l’accusa de repetundis nel processo di Antonio si veda Alexander 1990, p. 119.

267 Con rare eccezioni c’è accordo tra gli studiosi sul fatto che nonostante l’accordo tra Cicerone e Antonio sia tradizionalmente presentato come un legame politico per scongiurare il pericolo dei catilinari, nascondesse in realtà forti interessi economici di natura personale; vedi J. CARCOPINO, Les secrets

de la correspondance de Cicéron, I, Paris, 1947, p. 206-209.

268 “Che io possa attendermi da te qualche importante favore, non dovrebbe meravigliare nessuno. Infatti io ho sempre curato con diligenza tutto quello che concerneva i tuoi interessi, la tua carica, la tua dignità personale. Tu sai meglio di ogni altro che da te non ebbi mai il più piccolo contraccambio” CIC. Fam. V 5.

Rufo e da L. Caninio Gallo270 per il crimen de maiestate, legato alla sconfitta subita presso la città degli Istriani da parte degli Sciti Bastarni, insieme con l’imputazione de

vi per la sua presunta appartenenza al gruppo dei catilinari. Portato in giudizio, probabilmente l'accusa secondaria di partecipazione alla congiura di Catilina fu determinante nel procurare la sua condanna; nonostante la strenua difesa di Cicerone, Antonio non fu infatti scagionato da nessuna delle accuse, come testimonia anche Cassio Dione, che imputa però la sua condanna alla sconfitta militare271. Il proconsole lasciò dunque l’Italia per stabilirsi sull’isola di Cefalonia al largo della costa dell’Acarnania, regione della Grecia occidentale vicino all’Etolia. Secondo le testimonianze storiche il proconsole amministrò l’intera isola come se fosse una sua proprietà personale, fattore probabilmente spiegabile soltanto con la presenza di una sua numerosa clientela. Durante l’esilio diede poi inizio anche all’ambizioso progetto di costruire sull’isola una quinta città, progetto che rimase incompiuto quando Antonio, richiamato dall’esilio, abbandonò prontamente Cefalonia, come scrive Strabone: τὴν δὲ Κεφαλληνίαν τετράπολιν οὖσαν οὔτ᾽αὐτὴν εἴρηκε τῷ νῦν ὀνόµατι οὔτε τῶν πόλεων οὐδεµιαν, πλῆν µιᾶς εἴτε Σάµης εἴτε Σάµου, ἣ νῦν µὲν οὐκέτ᾽ἐστίν, ἴχνη δ᾽αὐτῆς δείκνυται κατὰ µέσον τὸν πρὸς Ἰθάκῃ πορθµόν, οἱ δ᾽ἀπ᾽αὐτῆς Σαµαῖοι καλοῦνται, αἱ δ᾽ἄλλαι καὶ νῦν εἰσιν ἔτι µικραὶ πόλεις τινές, Παλεῖς, Πρώνησος καὶ Κράνιοι. Ἐφ᾽ ἡµῶν δὲκαι ἄλλην προσέκτισε Γάιος Ἀντώνιος, ὁ θεῖος Μάρκου Ἀντωνίου, ἡνίκα φυγάς γενόµενος µετὰ τὴν ὑπατείαν, ἥν συνῆρξε Κικέρωνι τῷ ῥήτορι, έντῇ Κεφαλληνίᾳ διέτριψε καὶ τὴν ὅλην νῆσον ὑπήκοον ἔσχεν ὡς ἴδιον κτῆµα. Οὐκ ἔφθε µέντοι συνοικίας, ἀλλὰ καθόδου τυχὼν πρὸς ἄλλοις µείζοσιν ὢν κατέλυσε τὸν βίον272.                                                                                                                

270 Nel 55 a.C. L. Caninio Gallo, uno degli accusatori che aveva costretto Antonio all’esilio, fu accusato lui stesso di un crimine non specificato dalle fonti; nonostante la strenua difesa di Cicerone, Caninio fu condannato e andò in esilio, stabilendosi ad Atene, una destinazione abbastanza comune per gli esuli di questo periodo (CIC. Fam. II 8, 3; VII 1, 4; VAL. MAX. IV 2, 6). Münzer identifica questo Caninio Gallo, accusatore di Antonio secondo Valerio Massimo, come con il console del 37 a.C., ritenendolo il figlio del Caninio menzionato nelle lettere di Cicerone (RE III s.v “Caninius [4]” col. 1477; contra Gruen 1974, 313 n 15), benché il processo di Antonio del 59 a.C. renda difficilmente supportabile questa asserzione. Kelly 2006, p. 193.

271Οὐ µέντοι καὶ ἐπὶ τούτοις αἰτίαν ἔσχεν, ἀλλ᾽ἐφράφη µὲν ἐπὶ τῇ τοῦ Κατιλίνου συνωµοσίᾳ, ἑάλω δὲ δι᾽ἐκεῖνα, καὶ σθνέβη αὐτῷ, ὧν µὲν ἐκρίνετο, µὴ ἐλεγχθῆναι, ὧν δ᾽οὐκ ᾐτιάζετο, κολασθῆναι “Non fu però processato per questi fatti; fu infatti portato in giudizio per la congiura di Catilina, e fu condannato per gli avvenimenti in Istria. Così avvenne che fu condannato non per le accuse che gli venivano mosse (la congiura di Catilina), ma per le colpe che non gli venivano addebitate (la sconfitta presso Istria)” DIO

CASS.XXXVIII, 10.

272 “Egli (scil. Omero) non menziona Cefalonia, che è una tetrapoli, con il suo nome attuale, o alcuna delle sue città, eccetto una, Same o Samo, che ad oggi non esiste più, nonostante tracce di essa si vedano verso la metà di quella costa da cui si naviga verso Itaca; e gli abitanti si chiamano Sami. Le altre città

La scelta assolutamente inusuale di Antonio di fondare una città sembra essere legata ad un elemento peculiare del suo esilio, la sua eccezionale durata per quasi quattordici anni; gli esuli romani della fine del secondo secolo e dell’inizio del primo secolo avevano la possibilità di fare due scelte contrastanti, soggette alle preferenze individuali, ovvero porre la propria residenza in località vicine a Roma, indipendentemente dagli agi e dalle attrazioni che poteva offrire una tale destinazione, oppure scegliere il luogo della propria residenza in base alla piacevolezza, senza considerare la distanza con l’Italia. La prima scelta era ovviamente relativa a coloro che avevano interesse nel tornare rapidamente in patria, grazie alla possibilità di mantenere una corrispondenza regolare con i familiari rimasti a Roma e prendere parte in prima persona alle operazioni per garantire il proprio ritorno, la seconda scelta, ad esclusioni di casi particolari273, era preferita da coloro che non intendevano ritornare in Italia. Molto probabilmente la decisione di Antionio di risiedere in un luogo vicino a Roma, anche se privo di attrazioni culturali era dunque legata al suo desiderio di tornare in patria in breve tempo, desiderio che rimase eccezionalmente frustrato per più di quattordici anni e che probabilmente lo costrinse a cercare di migliorare le proprie condizioni di vita quotidiana attraverso la costruzione di un ambizioso progetto urbanistico. Meno probabile l’ipotesi di Kelly274, per cui Antonio potrebbe aver intrapreso il suo progetto di costruzione di una città a Cefalonia per orgoglio familiare, dal momento che la gens Antonia faceva derivare le proprie origini da Eracle, a cui la tradizione attribuiva come tratto peculiare la fondazione di città, data la mancanza di testimonianze di questa associazione da parte dei membri della gens Antonia al tempo dell’esule C. Antonio275.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

esistono tuttora ma sono piccole; Pale, Proneso, e Crani. Nel nostro tempo Gaio Antonio, zio di Marco Antonio, fondò un’altra città, quando venne in esilio dopo il suo consolato – consolato che tenne insieme all’oratore Cicerone- e si ritirò a vivere a Cefalonia, e tenne l'intera isola in soggezione come se fosse sua proprietà privata. Tuttavia prima di completare questo insediamento l'insediamento, ottenuto il permesso di tornare a casa, finì i suoi giorni mentre attendeva ad altri affari di maggiore importanza” STR. X 2,13 273 Si vedano i casi di Publio Popilio Lenate e Q. Cecilio Metello Numidico.

274 Kelly 2006, p. 110.

275 Secondo la testimonianza di Plutarco, Marco Antonio coltivò attivamente l’immagine di una discendenza divina sia nell’abbigliamento che nel comportamento, seguendo la tradizione che lo vedeva discendere da Antone, figlio di Ercole PLUT. Ant. 4, 36, 60. In ogni caso questa associazione non sembra evidente alla metà del primo secolo, seguendo l’ulteriore considerazione che il primo esponente della gens plebea degli Antonii ad ottenere il consolato nel 99 a.C., M. Antonio l’oratore, non volle neppure assumere un cognomen per segnare la sua ascesa alla nobilitas. Buongiorno 2006, p. 297.

Nonostante molti esuli fossero tornati a Roma durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo grazie all’intervento di Marco Antonio, nipote dell’esule, che come tribuno della plebe nel 49 a.C. propose il richiamo su larga scala degli esuli, stranamente suo zio C. Antonio non figura nelle liste dei restituti, come Cicerone ricorda polemicamente nelle Filippiche sostenendo che “Antonio reintegrava nei loro diritti molti disgraziati; ma non un cenno, fra essi, a favore di suo zio”276; si differenzia in questo senso la più misurata opinione di Cassio Dione, che non attribuisce ad Antonio la colpa del mancato ritorno dell’esule, sottolineando la mancanza di motivazione dell’attacco di Cicerone, a conoscenza di questo elemento277.

C. Antonio riuscì dunque a tornare a Roma soltanto in un momento imprecisato prima del 44 a.C., molto probabilmente con il divieto di Cesare di esercitare magistrature, essendo attestata la sua partecipazione ad un incontro del senato tenutosi nelle calende di gennaio278. Appare dunque probabile che nonostante Cicerone abbia accusato Marco Antonio di essersi comportato nei confronti di suo zio in un modo insultante e degradante, accusandone inoltre di adulterio la figlia, di cui era marito, l’abbia fatto esclusivamente per inimicizia personale, dal momento che fu certamente il nipote dell’esule a proporre la candidatura dello zio per la censura dell’anno successivo279, magistratura che C. Antonio riuscì infine ad ottenere nel 42 a.C. certamente grazie al supporto del nipote triumviro.

La scelta di Cefalonia: secondo le testimonianze a disposizione Antonio è l’unico esule repubblicano ad aver scelto quest’isola come sua residenza durante l’esilio. Le uniche due possibilità che possano spiegare questa soluzione sono che avesse avuto dei clientes sull’isola, in seguito alla magistratura esercitata come                                                                                                                

276 Restituebat multos calamitosos: in eis patrui nulla mentio. CIC. Phil II 56; Sempre nella stessa orazione Qui simili in calamitate sunt, cur tua misericordia non simili fruuntur, cur eos habes in loco

patrui? De quo ferre, cum de reliquis ferres, noluisti. “Se anche questi sono disgraziati come gli altri,

perché non devono beneficiare come gli altri della tua misericordia, perché devi trattarli come tratti tuo zio? A favore di questo non hai voluto proporre, come per gli altri, il richiamo” CIC Phil. II 98.

277 Καὶ ἔγκληµά τε αὐτοῦ ποιεῖται λέγων ὅτι τῶν φευγόντων τινὰς κατήγαγε, καὶ µέµφεται αὐτὸν ὅτι µὴ ηαὶ τῷ θείῳ τὴν κάθοδον ἔδωκεν, ὥσπερ τινὸς πιστεύοντος ὅτι οὐκ ἄν ἐκεῖνον πρῶτον, εἴπερ γε καὶ ὁντινοῦν ἠδυνήθη καταγαγεῖν, ἐπανήγαγε, µήτε τι ἐγκαλῶν αὐτῷ µήτε ἐγκαλούµενος, ὡς καὶ αὐτὸς οὖτος οἷδειν “E mentre lo accusa dicendo che ha richiamato in patria alcuni esuli, lo rimprovera perché non ha richiamato anche lo zio. Ci vuole far credere che non lo avrebbe richiamato a preferenza di altri, se gli fosse stato possibile richiamate chi avesse voluto. Ma Antonio non aveva nulla da rimproverare allo zio e nulla da essere rimproverato, come sa lo steso Cicerone” DIO CASS. XLVI 15, 2.

278 CIC. Phil. II 99, cf. II, 79. 279 CIC. Phil. II 98-99.

proconsole in Macedonia, oppure che suo fratello maggiore, M. Antonio Cretico, durante il suo comando straordinario contro i pirati cretesi dal 74 al 71 a.C.280, quando aveva ricevuto l’imperium infinitum281, avesse stabilito un particolare legame, anche di tipo familiare, nei confronti dell’isola di Cefalonia, benché non sussista nessuna diretta evidenza che supporti una di queste due possibilità. Se, come molti altri esuli di questo periodo Antonio aveva scelto di rimanere vicino all’Italia per accrescere le sue possibilità di ritornare a Roma, i suoi sforzi non ebbero successo, essendo rimasto in esilio per quasi 15 anni, trovandosi inoltre nella scomoda situazione di risiedere in un luogo privo di attrattive culturali, di comodità e lontano dalla politica di Roma, per cui come unica soluzione per rendere tollerabile il suo soggiorno forzato, sviluppò e migliorò gli edifici esistenti attraverso la costruzione di una nuova città.

                                                                                                               

280 Per le operazioni militari di M. Antonio Cretico a Creta si veda DE SOUZA, P. Piracy in the Graeco-

Roman World. Cambridge: Cambridge University Press, 1999, p. 141-148.

281 Il termine imperium infinitum fu coniato per indicare il nuovo potere attribuito per la prima volta nel 67 a.C. a Pompeo, secondo una lex Gabinia, durante la guerra contro i pirati illirici. Pur non costituendo una nuova magistratura, tale imperium si presentava come un potere militare straordinario, sia per la durata che per l’estensione territoriale, comprendendo l’intera area del Mediterraneo, ed anticipando di fatto le istituzioni che, estremizzate, saranno proprie del principato augusteo, con il conferimento ad un singolo e privato cittadino di un potere illimitato nel tempo e nello spazio.