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Biografia Publio Rutilio Rufo195, probabilmente figlio di P. Rutilio Calvo, nato intorno al 154 a.C. e morto dopo il 78 a.C., fu uomo politico, oratore e storico romano; tribuno militare insieme a Gaio Mario sotto il comando di Scipione Emiliano nella guerra numantina, fu quindi pretore urbano intorno al 118 a.C. Sconfitto alle elezioni consolari del 115 a.C. da Marco Emilio Scauro, gli intentò un processo accusandolo di broglio elettorale; in seguito alla sua assoluzione, lo stesso Scauro intentò a Rutilio un processo con la stessa accusa e Rutilio, allo stesso modo, fu giudicato innocente.

Rutilio si distinse come legato sotto il comando di Metello Numidico dal 109 al 106 a.C. nella guerra contro Giugurta, ma sconfitto ancora nel 107 a.C. all’elezione per il consolato, ottenne questa carica soltanto due anni più tardi, come collega di Mario nella guerra contro i Cimbri. Benché homo novus si schierò con l’oligarchia senatoria, prendendo parte alle lotte che provocarono il processo e l’esilio di Metello, come sostenitore di quest’ultimo contro il tribuno della plebe Saturnino, il pretore Glaucia e lo stesso Mario. Quindi, legatosi alla famiglia dei Mucii-Scaevola, intorno al 97 a.C. accompagnò come legato il proconsole Q. Muzio Scevola, diventato governatore provinciale dell’Asia romana, ed ivi distinguendosi per la forte opposizione contro i soprusi esercitati dai pubblicani romani nei confronti dei provinciali. Tornato a Roma, nel 92 a.C.196 subì un processo con l’accusa de repetundis (concussione), processo la cui responsabilità va attribuita non soltanto all’ostilità dei pubblicani ma anche ai cavalieri alleati di Mario e in particolare, secondo la testimonianza di Ateneo, ad un certo Apicio 197; il ceto equestre fu ulteriormente incoraggiato nel procedere contro Rutilio dalla                                                                                                                

195 Fonti su Rutilio: APP. Mith. 60; ATEN. Deipn. IV 66; CIC. Att. VIII 5, 2; Balb. 11, 28; Brut. 22, 30, 85, 89, 113-114; de Orat. I 227-230; Font. 13; Nat deor. III 80; Rab. Post. 27; Rep. I 13, 17; DIO CASS. XXIV frag. 95, 96, 97; LIV. Per. LXIX-LXX; OROS. V 17, 12-13; OVID. Pont. I 3. 63-64; QUINT. Inst. XI 1. 12-13; SEN. Ben. VI 37; SUET. Gramm. 6; TAC. Ann. IV 43; VAL. MAX. II 10.5, VI 4. 4; VELL. II 13; 168 DE=FgrH 2A.27, 233, cfr. HRF 120-124.

196 Incertezze sulla datazione del processo sono riportate da Baden che, collocando il ritorno di Rutilio a Roma dall’Asia intorno al 96 a.C., vista la tendenza a processare i magistrati subito dopo la fine del mandato, considera eccessiva la distanza di tempo intercorsa tra il ritorno e il processo, retrodatandolo quindi al 94 a.C., perché l’anno precedente era console Scevola, sostenitore di Rutilio. Kallet-Marx 1990, p. 126-129.

197 Secondo Ateneo, Deipnosoph. IV 168, che riporta l’opinione di Posidonio, Apicio sarebbe stato il prototipo della sregolatezza. Risale sempre a Posidonio il riferimento alla lex Fannia (ATHEN. Deipnosoph. 6. 274 c-e = Posid. 2 A F 59 pp. 260-261 Jacoby, infra nt. 114), dove l’assoluta morigeratezza di Rutilio è contrapposta alla dissolutezza di Apicio, elemento in netto contrasto con l'accusa de repetundis mossa a Rutilio.

mancanza di sostegno della parte senatoria, dovuto al fatto che l’imputato poteva sembrare aver scelto di preferire gli interessi degli alleati al posto di quelli dei pubblicani romani, esercitando un eccessivo controllo fiscale sui pubblicani che di conseguenza diminuiva le opportunità di ottenere ingenti profitti vessando i provinciali. Benché Rutilio sia stato condannato, tutte le fonti antiche senza eccezione, a partire da Cicerone, temporalmente il testimone più vicino al processo, sostengono la sua innocenza, descrivendolo come un uomo di comprovata onestà in ambito politico, la cui condanna può essere stata attribuita soltanto a una cospirazione da parte dell'ordine equestre che in quel momento storico godeva del privilegio esclusivo di formulare giudizi nei processi penali198. Descritto da Cicerone con l’aggettivo innocentissimus199, sottolineando che l’oratore designa l’innocentia come qualità politica200 che dalla sfera morale trova il suo campo di applicazione nella vita pubblica, Rutilio diventa l’esempio paradigmatico del “martire, vittima innocente degli Equites-Pubblicani”201. L’immagine di Rutilio data dall’oligarchia senatoria prende velocemente campo ed è il motivo principale del suo essere citato da numerosi esuli, in particolare da Seneca, per descrivere la propria situazione202; Rutilio incarna infatti il modello del sapiens stoico caro a Seneca, che ripetutamente sottolinea che sia la sua integrità politica (innocentia) sia la virtù sarebbero rimaste nell’ombra se non fosse stato vittima di un’ingiusta condanna e conseguentemente di un esilio ingiusto, per la cui accettazione totale la sua

virtus appare sublimata 203. In questo contesto il termine politico innocentia viene spostato verso virtus, per cui, secondo Chioccioli, Seneca si è servito “di un’immagine canonizzata che accomunava la figura di Rutilio alla propria innocentia, ma se ne è servito per un uso volto non tanto a chiarire la correttezza di un comportamento politico, quanto a stabilire un exemplum di tipo morale204”. Di conseguenza nella sua monografia su Rutilio, Pais non può far altro che sostenere “che la storia e il processo intentato contro P. Rutilio Rufo ci è riferita dalla tradizione in modo uniforme e che quindi i                                                                                                                

198 Risale al 91 a.C. la proposta del tribuno M. Livio Druso di trasferire all’ordine senatorio il giudizio delle corti penali. Kallet-Marx 1990, p. 123.

199 CIC. Font. 38.

200 Questa la tesi di Chioccioli, basata sulla definizione di innocentia fornita da Cicerone in Tusc. III 16. 201 Amiotti 1991, p. 162.

202 Oltre al fatto che entrambi subirono l’esilio, le numerose citazioni di Rutilio nell’opera di Seneca vanno probabilmente legate alla condivisa adesione alla filosofia stoica (tra le altre Ben. VI 37. 2; Cons.

ad Marc. 22. 3; Ep. 24. 4; 67. 7; 79. 13-14; 82. 11; 98. 12; Prov. 3. 7; Tranq. an. 16. 1; Vit. beat. 18. 3).

203 SEN. Ep. 79. 14. 204 Chioccioli 2005, p. 308.

moderni ogni qual volta hanno occasione di parlare di questo personaggio sono naturalmente obbligati a ripetere in modo più o meno stereotipato le stesse notizie”205, stessa linea interpretativa mantenuta in seguito dalla storiografia successiva tra cui Gruen, Narducci, e con una minor convinzione da Desideri206.

Secondo Amiotti, e recentissimamente anche secondo Manzo, per il processo di Rutilio è inoltre fondamentale sottolineare che il 92 a.C. è l’anno che segna la linea di demarcazione della rivolta del ceto equestre contro la componente senatoria, che nel 95 a.C. si era fatta promotrice della Lex Licinia Mucia207; nello stesso anno 92 a.C., nell’imminenza della prima guerra contro Mitridate, oltre al processo di Rutilio ci sono stati almeno altri due processi che hanno come elemento comune la questione orientale, quello di Cornelio Silla e quello di M. Emilio Scauro, entrambi assolti, gli ultimi due implicati, il primo per un missione in Cilicia e il secondo per una non ben precisata

legatio asiatica208 .

Esilio Al processo, benché Lucio Crasso e Marco Antonio si fossero offerti per sostenere la difesa Rutilio perorò la sua causa quasi da solo, lasciandosi affiancare, e comunque in misura minima, soltanto dal giovane nipote Aurelio Cotta e dallo stesso Scevola, il suo unico sostenitore importante. Oltre all’accusa principale di concussione, un reato di tipo politico, Rutilio si vide accusato anche per atti riguardanti la morale privata, elemento piuttosto frequente nei processi romani209; è inoltre possibile che al processo siano emersi anche legami illegittimi con Mitridate, tesi avvalorata dalla testimonianza di Plutarco di un carteggio tra Rutilio e il re del Ponto210 e dalla notizia                                                                                                                

205 Pais 1918, p. 37.

206 Gruen 1966, p. 53-54; Narducci 1990, p. 890; Desideri 1990, p. 732-734.

207 La Lex Licina Mucia abolì lo ius migrandi dei Latini, ordinando l’espulsione da Roma e il rimpatrio forzato nella città di origine ai Latini e agli Italici ed istituendo una specifica quaestio per chi avesse usurpato la cittadinanza romana.

208 Gruen 1966, p. 56-60.

209 P. Rutilius, etsi damnatus est, mihi videtur tamen inter viros optimos atque innocentissimos esse

numerandus. Ille igitur ipse homo sanctissimus ac temperantissimus multa audivit in sua causa, quae ad suspicionem stuprorum ac libidinum pertinerent “Publio Rutilio, anche se fu condannato, tuttavia ritegno

debba essere enumerato tra gli uomini onesti e assolutamente innocenti. Allora quello stesso uomo, così integro e morigerato udì nel suo processo molte cose, che riguardavano il sospetto di stuprum e atti di libidine” CIC. Font. 38; Lo stesso Cicerone nella Pro Murena 6, 11-13 fa riferimento al broglio elettorale e insieme all’accusa di ballare in pubblico durante i banchetti.

210 Plutarco riporta il ritrovamento di un carteggio fra Mitridate e Rutilio dove sarebbe stato confermato l’incitamento di quest’ultimo al massacro di migliaia di negotiatores romani e italici, secondo la testimonianza di Teofane di Mitilene, storico di parte pompeiana, del cui padre Rutilio aveva parlato male nelle sue opere PLUT. Pomp. 37.

riportata da Appiano211 che Rutilio successivamente ottenne un salvacondotto per permettere al generale nemico di Silla Fimbria di lasciare l’Asia, indice di una familiarità con il mondo orientale continuata anche dopo le stragi della prima guerra mitridatica.

Rutilio fu riconosciuto colpevole e condannato in base alla Lex Servilia212 e successivamente si ritirò in esilio. La recente analisi di Amitti, relativa alla condanna e al successivo esilio di Rutilio, prende in considerazione sia le fonti in cui si dichiara che si trattò di un esilio coercitivo, imposto legalmente all’imputato, ovvero Livio e Tacito213 sia quelle che sostengono si sia trattato di esilio volontario come Ateneo, che riportando la testimonianza di Posidonio, parla di φυγή.

In ogni caso, per il tipo di reato contestato, la pena era generalmente pecuniaria e non implicava l’esilio; Cassio Dione sostiene infatti che a Rutilio sarebbe stata comminata esclusivamente una multa. Considerando che l’imputato fu condannato in base alla Lex

Servilia, che presentava sicuramente un inasprimento della pena rispetto alla precedente

legge de repetundis, la Lex Acilia repetundarum del II a.C.214, -Cicerone sostiene imponesse la restituzione del doppio della somma sottratta215- poiché Rutilio era accusato di essersi impossessato di somme ingenti, la multa risultava elevatissima, e la restituzione del doppio della somma avrebbe provocato la totale confisca dei beni dell’imputato, che non possedeva grandi ricchezze, anzi aveva presumibilmente un patrimonio inferiore a quanto accusato di aver rubato. Di conseguenza l’imputato avrebbe scelto la fuga e l’esilio per impossibilità di sostenere il pagamento ed evitare conseguenze ancora più gravi della confisca del patrimonio.

Rutilio si ritirò quindi a Mitilene, sull’isola di Lesbo, nel mare Egeo, dove rimase per quattro anni. Si trovava a Mitilene quando nell’88 a.C. scoppiò la prima guerra

                                                                                                               

211 APP. Mithr. 60

212 La Lex Servilia Repetundarum, che avrebbe dovuto inasprire la precedente Lex Acilia Repetundarum, è nota soltanto attraverso le citazioni letterarie, tra cui CIC. Balb. 54, in cui è definita acerbissima. 213 Livio sostiene senza specificare che Rutilius in exilium missus est, “Rutilio fu mandato in esilio” LIV.

Per. 70, mentre Tacito attribuisce la sua condanna ad una pena stabilita per legge legibus pulsus TAC.

Ann. IV 43.

214 La Lex Acilia repetundarum aggravò il rigore dei giudizi per il reato di concussione, istituendo il primo vero tribunale permanente per giudicare l’operato illegale dei magistrati romani; tale legge, di cui è conservato il testo, testimonia l’imposizione della restituzione della cifra sottratta o supposta tale.

215 Mommsen ipotizza che questa legge comportasse anche l’infamia, ovvero l’espulsione dal senato e l’impossibilità di esercitare diritti politici, appoggiandosi a quanto sostenuto in Rhet. ad Her. I 11; Mommsen 1899, p. 705.

mitridatica; lasciò quindi subito dopo la città e si trasferì a Smirne216, dove fissò la sua dimora acquistando la cittadinanza locale217 e di conseguenza perdendo la cittadinanza romana. Sopravvisse al massacro dei cittadini romani ad opera di Mitridate218 e nell’85 a.C. militò nell’esercito in Asia sotto il comando di Silla come emissario al campo del generale rivale C. Flavio Fimbria. Dopo la vittoria di Silla rifiutò comunque di tornare a Roma, anche se richiamato dal dittatore, che gli offrì la possibilità di una revoca dell’esilio.

Benché in nessun testo si faccia riferimento all’aqua et igni interdictio, a differenza del caso di Metello219, il fatto che per il ritorno di Rutilio fosse necessaria una revoca da parte di un magistrato dimostra che il suo esilio non era volontario, come testimonia anche la motivazione del suo rifiuto a Silla, presente in Valerio Massimo ne quid

adversus leges faceret 220, utilizzabile inoltre come pretesto, perché da giurista Rutilio sapeva certamente che sarebbe stato possibile ottenere la revoca dell’esilio nel pieno rispetto della legalità, attraverso un plebiscito.

Rutilio passò in tranquillità il resto dei suoi giorni a Smirne, in un esilio che gli fu alleviato dal punto di vista finanziario dagli abitanti delle città di Asia, e sempre a Smirne nel 78 a.C. lo andò a trovare Cicerone, durante il suo viaggio in Oriente fornendone la descrizione cristallizzata221, e sottolineando in un breve ritratto la sua propensione intellettuale per l’elemento greco. Rutilio morì qualche tempo dopo il 75 a.C.; l’elemento decisivo è sempre fornito da Cicerone che nel De natura deorum sostiene che al tempo l’esule fosse ancora in vita.

Negli anni di esilio scrisse moltissimo222; oltre ad una storia romana in greco il suo lavoro più importante è un'autobiografia in latino -probabilmente una sorta di auto-                                                                                                                

216 Mitilene CIC. Rab. Post. 27, DIO CASS. XXIV frag. 97, 3-4; Smirne CIC. Balb. 28 TAC. Ann. IV 43; Carney 1958, p. 243-245.

217 A differenza di altre città scelte dagli esuli come nuove patrie, che erano civitates foederatae, come Nuceria in cui andarono a risiedere Q. Massimo, C. Lenate e Q. Filippo e Tarracona scelta da C. Catone, Smirne non sembra aver avuto nessun trattato di alleanza con Roma. Kelly 2006, p. 63.

218 CIC. Rab. Post. 27; DIO CASS. XXIV frag. 97, 3-4. 219 APP. Bell. Civ. I 29; LIV. Per. LXIX.

220 “Per non fare niente che andasse contro le leggi” VAL. MAX. VI 4, 4.

221 Doctus vir et Graecis litteris eruditus, Panaeti auditor, prope perfectus in Stoicis; quorum peracutum

et artis plenum orationis genus scis tamen esse exile nec satis populari adsensioni accomodatum “Uomo

dotto e erudito nella letteratura greca, allievo di Panezio, con una competenza pressoché perfetta nella dottrina stoica; eccezionalmente sottile e ricco di abilità tecnica è tuttavia, lo sai bene, arido e poco adatto ai gusti del popolo” CIC. Brut. 114

222 L’attività letteraria di Rutilio era già iniziata a Roma; era stato allievo di Panezio ed in contatto con gli esponenti dell’aristocrazia senatoria di educazione filosofica greca, specialmente stoica, come Muzio

apologia per difendersi dalle accuse per i reati politici-. L’opera di Rutilio si inserisce in quel filone della storiografia che vede la nascita dell’autobiografia, sotto forma di commentari, di numerosi uomini politici, tra cui anche Lutazio Catulo e Scauro, che potevano fornire materiale agli storici di professione.

Come nel caso di Metello Numidico, anche Rutilio fu accompagnato nel suo esilio da un liberto dotato di abilità letterarie, nel suo caso il grammatico Aurelio Opilio, con il probabile doppio ruolo di consulente per cercare di ottenere la revoca dell’esilio, così come è stato congetturato per Stilone nei confronti di Metello, e come compagno erudito per una lunga permanenza dedicata all’otium letterario.

Tuttavia l’assunzione della cittadinanza di Smirne da parte di Rutilio proprio durante le stragi di Mitridate dell’88 a.C. fece scandalo, come testimonia Cicerone con un certo imbarazzo, perché non soltanto Rutilio abbandonò la toga223, il simbolo stesso della

Romanitas, indossata dai Romani attraverso una cerimonia solenne che sanciva il

cambio di status a cives, ma si rese protagonista di un atto percepito come un tradimento polito, dando credito insieme alle critiche che volevano un suo schieramento dalla parte dei Greci agli ordini di Mitridate autori delle stragi dei cittadini italici in Asia minore.

La scelta di Lesbo Normalmente un esule che si apprestava a lasciare Roma tentava di vendere la maggior parte dei propri beni, per trasformarli in ricchezze trasportabili224. Tuttavia coloro che non si aspettavano di dover subire l’esilio e non si erano quindi preoccupati di avere beni mobili potevano trovarsi in difficoltà per il mantenimento all’estero. Per questo motivo Rutilio si ritirò in esilio sull’isola di Lesbo,                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    

Scevola e Scipione Emiliano. Benché siano rimasti soltanto i titoli di sette orazioni, a Roma Rutilio era stato un giurista apprezzato, e alla sua attività di pretore urbano sono dovuti la formula Rutiliana, con la quale l'acquirente dei beni d'un fallito poteva farne valere i crediti, e alcune limitazioni poste all'abitudine dei padroni di farsi promettere dai loro liberti prestazioni eccessivamente onerose. Nonostante l’opinione contraria del Mommsen, sembra si debbano attribuire a Rutilio le opinioni presenti in quattro luoghi dei giuristi dell'età dei Severi, e riprodotte nel Digesto e nei frammenti vaticani. Le citazioni sembrano attribuibili a una raccolta dei suoi responsi, di cui resta sconosciuto, il titolo e l'estensione; altro testo attribuibile a Rutilio sembrerebbe essere l'opera sui mercati (de nundinis), secondo la testimonianza di Macrobio (Sat. I 16, 34) .

223 Ille P. Rutilius qui documentum fuit hominibus nostris virtutis, antiquitatis prudentiae, consularis

homo soccos habuit et pallium “Un uomo come P. Rutilio, che è stato per i nostri contemporanei un

modello di virtù, di dignità d’altri tempi, di saggezza, ha portato lui, un ex console, i sandali e il pallio” CIC. Rab. Post. 27.

224 Augusto nel 12 a.C. impose agli esuli alcune restrizioni tra cui il divieto di avere più di una nave da carico di un tot carico o più di due piccoli vascelli a remi, più di 20 schiavi o liberti o di possedere più di mezzo milione di sesterzi, tutti elementi volti ad evitare che gli esuli portassero via l’intero patrimonio evitando le confische. Kelly 2006, p. 137.

e successivamente a Smirne, la città più grande della stessa provincia dove aveva esercitato la carica di legato e dove aveva certamente il sostegno della clientela con cui aveva intrecciato precedentemente rapporti. Infatti, non soltanto le città d’Asia lo accolsero trionfalmente, ma Dione menziona anche doni offerti dai βασιλεῖς dei regni clienti; l’entusiastica accoglienza e il supporto finanziario ricevuto da Rutilio da parte dei cittadini che era stato accusato di aver vessato deve servire come conferma della sua innocenza. La distanza da Roma di Mitilene e Smirne oltre a dimostrare la mancanza di interesse nei confronti del ritorno garantiva nello stesso tempo un luogo sicuro dalle persecuzioni degli avversari politici.

La possibilità della tranquillità finanziaria e l’assenza di ostilità politiche possono essere stati i motivi del suo rifiuto dell’offerta di ritorno di Silla, per cui rimase in esilio per il resto della vita. In ogni caso, il fatto che si fosse fatto accompagnare da Aurelio Opilio può suggerire che almeno inizialmente dovesse aver cercato di ottenere una revoca all’esilio. Benché le azioni di Rutilio non sembrino confermare questa tesi, tuttavia è necessario sottolineare la sua impossibilità di prendere misure straordinarie per ottenere la revoca dell’esilio non potendo contare su un sostegno familiare pari quello dei Metelli. La presenza di Aurelio Opilio era dunque probabilmente legata anche ad altre ragioni piuttosto che a far esclusivamente ottenere a Rutilio la revoca del suo esilio. È stato ipotizzato che Opilio possa essere stato vittima della probabile espulsione dei retori latini da Roma del 92 a.C.225; uomo erudito, dedito alla filosofia in aggiunta a retorica e grammatica, Opilio conservò anche in esilio i suoi molteplici interessi accademici e scrisse alcuni libri di vari argomenti. Visto che il marito della sorella di Rutilio apparteneva alla famiglia degli Aurelii-Cotta, come suggerito dal nome, Opilio era molto probabilmente un liberto della stessa gens; il liberto può quindi aver accompagnato Rutilio come compagno e amico di lunga data che condivideva i suoi stessi interessi letterari. Rawson226 ipotizza invece un declino del prestigio di Opilio a Roma e la sua necessità di trovare un nuovo patronus, forse in seguito alla morte del primo, elemento che può averlo indotto ad accompagnare Rutilio.

                                                                                                               

225 Grasmück 1978, p. 95 nota 213. In realtà non sono testimoniate espulsioni associate con questo editto dei censori; il documento proclama semplicemente il malcontento dei censori per le attività dei retori SUET. Gram. 25, GELL. XV 11. 2; Badian 1969, p. 489.

In ogni caso, non furono certo le dicerie sulla sua moralità il vero motivo del rifiuto di Rutilio di tornare a Roma ma molto probabilmente i sospetti sulla sua strana amicizia con Mitridate insieme allo sdegno per la condanna ingiusta che lo spinsero a dire: “ut malo, patria exilio meo erubescas, quam reditu maereat!” 227 e che nello stesso tempo lo