• Non ci sono risultati.

Biografia Quinto Cecilio Metello Numidico173, figlio di Lucio Cecilio Metello Calvo e fratello minore di Lucio Cecilio Metello Dalmatico, è stato uno dei membri più illustri della gens dei Caecili-Metelli. Tutte le fonti concordano nel presentarlo come esempio di uomo caratterizzato da estremo rigore morale,sia nella vita privata che nella carriera politica, irreprensibile nei confronti dei suoi uffici e assolutamente fedele ai principi della nobilitas.

Cominciò il cursus honorum ottenendo la questura nel 126 a.C., fu tribuno nel 121 a.C., edile nel 118 a.C., e probabilmente pretore nel 115 a.C. (l'anno della sua pretura non è indicato nelle fonti); assolto dall’accusa di estorsione nel processo subito dopo la pretura fu nominato successivamente governatore della Sicilia. Fu console nel 109 a.C. insieme al collega M. Giunio Silano e ricevette l’incarico di dirigere in Numidia la campagna contro Giugurta, in conseguenza del fatto che l'anno precedente l’esercito romano aveva subito una rovinosa sconfitta, sotto il comando del propretore Aulo Postumio Albino. Metello sconfisse ripetutamente Giugurta presso la città di Vaga e sulle rive del fiume Muthul, proseguendo la campagna in Numidia nel corso dell'anno successivo come proconsole. Mentre era impegnato nella fase conclusiva della guerra, presso la città di Cirta lo raggiunse dall’Italia la notizia che il comando della guerra sarebbe stato affidato al suo luogotenente C. Mario, tornato per breve tempo a Roma nel

108 a.C. per partecipare all’elezione per il consolato dell’anno successivo. Fu in questo frangente che l’ostilità tra Metello e Mario giunse al suo apice, rivelando

una rottura irreparabile che avrebbe successivamente prodotto numerosi risvolti in campo politico; l’ex console si vide infatti preclusa l’opportunità di concludere una guerra di cui aveva risollevato le sorti, il cui comando fu affidato ad un uomo di ceto inferiore, che era stato un cliente della sua famiglia (con forti probabilità suo fratello Metello Dalmatico ne era stato il patronus) e che aveva goduto del suo stesso appoggio nelle prime fasi della carriera politica. Tornato a Roma Metello celebrò comunque uno splendido trionfo nel 107 a.C. e ricevette il titolo onorario di Numidicus. Fu quindi                                                                                                                

173 Tutti i riferimenti a Quinto Cecilio Metello Numidico sono contenuti in APP. Bell. Civ. I 29-33; CIC.

Br. 206; Cluent. 95; De Orat. II 263, Dom. 82, 87; Leg. 3. 26; Planc. 69; Quir. 6; Sen. 37; Sest. 37, 101;

DIO CASS. Hist. Rom. XXVIII fr. 95 2-3; FLOR. III 21. 18; LIV. Per. 69; OROS. V 17. 4-11; PLUT. Mar. 29; Syll. 27; SUET. Gramm. 3, 3; VAL. MAX. IV 1, 13, V 2, 7; VELL. II 15. 4; Auct. Vir. Illust. III 62, 3.

censore nel 102 a.C. e in questa occasione tentò inutilmente di espellere dal senato L. Appuleio Saturnino e C. Servilio Glaucia. In seguito all’assassinio del candidato al tribunato della plebe, Saturnino ottenne per sé questa magistratura nel 100 a.C., lo stesso anno in cui Glaucia aveva ottenuto la pretura e Mario il consolato per la sesta volta.

Benché le fonti riportino che Mario abbia ottenuto il sesto consolato attraverso numerosi mezzi illeciti tra cui corruzione degli elettori e che quindi avrebbe compromesso l’elezione, non è testimoniato da nessun’altra parte, se non in Plutarco174, che Metello avesse aspirato ad un secondo consolato. Indipendentemente da quest’unica testimonianza, Evans175 sostiene che è molto probabile che Metello lo avesse fatto, essendosi reso evidentemente conto di due importanti fattori, in primo luogo che come collega di Mario avrebbe potuto bloccare le sue iniziative legali, e in secondo luogo che in mancanza di una posizione politica equiparabile a quella di Mario, avrebbe rischiato lui stesso di diventare una spettacolare vittima politica, coì come era accaduto a Cepione nel 104 a.C.; entrambi i pericoli sarebbero invece stati scongiurati se Metello avesse ottenuto la carica di console. L’elemento che sembra negare questa possibilità è il fatto che Metello nel 101 a.C. non sarebbe stato eleggibile secondo la Lex

Villa Annalis176; infatti, avendo esercitato la questura nel 102 a.C. non avrebbe potuto essere rieletto fino al 99 a.C. Tuttavia, considerando che lo stesso Mario aveva infranto tale legge nello stesso periodo, sarebbe stato probabilmente possibile anche per Metello ottenere una revoca della disposizione vigente.

Come collega di Mario fu invece eletto Valerio Flacco, anche lui uomo di parte mariana; la compresenza di tre magistrati che nutrivano un odio personale nei confronti di Metello e di un console apparentemente neutrale, ma comunque appartenente alla fazione dei populares, furono tutti elementi che misero in moto il corso degli eventi che porteranno all’esilio del Numidico.

                                                                                                               

174 PLUT. Mar. 28. 5; nel passo l’autore sostiene di aver tratto le sue informazioni dall’ex console P. Rutilio Rufo, legato a Metello da amicizia, che aveva servito sotto il suo comando in Numidia tra il 109 e il 107 A.C. e che era certamente a Roma nel 100 a.C., come riporta anche Cicerone nella Rab. perd. 21. 175 Evans 1987, p. 66-67.

176 La Lex Villa Annalis, fatta approvare dal tribuno della plebe L. Villio nel 180 a.C., la cui famiglia acquistò in questa occasione il cognome diAnnalis, regolarizzò l’accesso alle magistrature, introducendo per ciascuna un’età minima e rendendo obbligatorio interporre un intervallo di due anni tra l’assunzione di due cariche, senza però modificare le modalità a rielezione alla stessa magistratura, regolate da un plebiscito del 342 a.C.

I testi di Appiano e Plutarco non attribuiscono la principale responsabilità dell’esilio di Metello allo stesso personaggio; nonostante segua sostanzialmente il racconto di Appiano, Plutarco sostiene un po’ forzatamente che la triplice “alleanza” di Mario, Saturnino e Glaucia abbia avuto come principale obiettivo l’allontanamento di Metello da Roma177, ritenendo inoltre che, nonostante sia stato apparentemente Saturnino il principale responsabile dell’esilio di Metello, il promotore fosse stato Mario. A sostegno del racconto di Appiano sembra invece più probabile che la maggior preminenza nel procedimento debba essere attribuita a Saturnino e Glaucia, recentemente in lotta con il censore per la tentata espulsione dal senato.

In ogni caso, come tribuno della plebe, Saturnino propose immediatamente una legge agraria concernente la distribuzione di terre in Gallia ai veterani mariani, a cui aggiunse la clausola che tutti i senatori avrebbe dovuto giurare di sostenere tale disposizione entro cinque giorni dall’approvazione da parte del popolo; coloro che avessero rifiutato di prestare giuramento sarebbero stati espulsi dal senato e condannati a pagare una multa di 20 talenti. Metello fu l’unico senatore a rifiutarsi di giurare e come conseguenza subì l’espulsione dal senato. L’opposizione di Metello non fu soltanto dovuta alla clausola del giuramento ma anche al fatto che il provvedimento sarebbe stato approvato illegalmente per vim, causando di conseguenza una perdita di potere della classe senatoria e creando un pericoloso precedente che avrebbe vincolato le successive delibere alle decisioni dei tribuni. Metello si allontanò dalla città, fu colpito dall’interdizione e trascorse un breve esilio a Rodi178, durato dal 100 al 98 a.C., dopo il quale tornò a Roma dove rimase fino alla morte, avvenuta secondo Cicerone per avvelenamento179. Il colpevole della sua morte sarebbe stato Quinto Vario, tribuno della plebe nel 91.C. e violento nemico dell’aristocrazia; il fatto che Cicerone non faccia riferimento al cognome del Metello potrebbe indicare che si sia trattasse del personaggio più famoso della sua gens, ovvero di Metello Numidico, anche se il racconto presenta così pochi elementi da non apparire totalmente degno di fiducia.

                                                                                                               

177 PLUT. Mar. 28. 4-6.

178 L’esilio di Metello avrebbe dovuto essere oggetto specifico di una Vita di Metello da parte di Plutarco, che non è mai stata scritta PLUT. Mar. 29. 12.

Esilio Dopo il rifiuto a prestare giuramento, il tribuno rinviò a giudizio Metello; poco prima del processo l’ex console si allontanò da Roma e partì per un esilio volontario. La tradizione sostiene che Metello sia andato volontariamente in esilio per il rifiuto di sottomettersi alle sanzioni stabilite da Saturnino, ma apparirebbe perlomeno insolita la decisione di allontanarsi da Roma per dimostrare platealmente il suo dissenso contro la proposta di legge del tribuno; non soltanto Metello avrebbe perso lo status e i privilegi senatori, ma anche la possibilità di esercitare i normali diritti di un civis

romanus; un esilio volontario non gli avrebbe inoltre evitato il pagamento della multa. È

quindi evidente che il processo intentato da Saturnino dovesse riguardare un’accusa per la quale era prevista la pena capitale; essendosi opposto ad un tribuno della plebe è molto probabile che possa essere stato accusato di lesa maiestas180, secondo quanto sostenuto da Schur e Gabba181 e più recentemente da Gruen182. Secondo l’autore, il rifiuto di Metello di sottostare alla legge, ritenendola invalida perché passata per vim, e conseguentemente il rifiuto di sottostare alle pene imposte (espulsione dal senato e multa di 20 talenti) diede a Saturnino la possibilità di accusare l’ex console di lesa

maiestas, accusa per cui era prevista la pena capitale, evitando di citarlo davanti alla

corte di maiestas –temendo il sostegno degli cavalieri a Metello come era accaduto nel 102 a.C.- e processandolo direttamente davanti al popolo; in seguito alla partenza precipitosa di Metello a quel punto Saturnino propose e ottenne che venisse approvata l’interdizione nei suo confronti, rendendo di fatto il suo esilio una pena ed impedendone quindi legalmente il ritorno a Roma183.

L’esilio di Metello ebbe dunque inizio come esilio volontario e come tale la scelta della località fu esclusivamente personale. L’ex console andò quindi in esilio sull’isola di                                                                                                                

180  In età repubblicana, erano comprese nel crimen di lesa maiestas numerose manifestazioni di empietà nei confronti dello Stato, tra cui le offese alla res publica, alle divinità, l'uso di violenza contro i magistrati e la celebrazione di feste nei giorni nefasti. Nel 103 a.C. l’introduzione della lex Appuleia de

maiestate ad opera del tribuno della plebe Lucio Apuleio Saturnino andò ad ampliare il numero degli atti

ritenuti sacrileghi, fino a comprendere qualsiasi svilimento della dignità del popolo romano (maiestas

minuta populi Romani). Nell’81 a.C. Silla, in qualità di dittatore, introdusse la lex Cornelia de maiestate,

che connotava con il termine di lesa maiestas le ribellioni contro l'autorità di Roma. In età imperiale, con l’approvazione di un’ulteriore legge, la lex Iulia de maiestate, voluta da Augusto nell’8 a.C. la lesa maestà non fu più esclusivamente rivolta contro lo Stato, ma anche contro la persona stessa dell’imperatore.  

181 Gabba 1951 p. 21-23; Schur 1938, p. 316-318. 182 Gruen 1965, p. 578-560.

183 Appare dunque evidente che l’accusa di Servilio debba essere stata relativa ad un’altra imputazione e non al tentativo di sfuggire all'esclusione dal senato e alla pena pecuniaria, perché come riportato a p. 14 “ l’interdictio poteva essere inflitta esclusivamente a coloro che sfuggivano ad una pena capitale e non a quelli che sceglievano l’esilio perché sottoposti ad una pena pecuniaria”.

Rodi184, nonostante il fatto che nessun provvedimento sancisse la distanza che Metello avrebbe dovuto frapporre tra Roma e la sua residenza185, nonostante che l’esilio in Italia fosse legalmente ancora possibile e nonostante il possesso di una villa a Tivoli, da sempre un luogo tradizionalmente scelto dagli esuli romani, dato che la vicinanza con Roma permetteva una rapida comunicazione. Nel suo ritiro Metello fu accompagnato dal grammatico L. Elio Stilone, che in precedenza aveva già scritto per lui orazioni di tipo politico186. Durante il tempo dell’esilio l’ex console inviò a Roma alcune lettere, tra cui quelle dirette a Gneo e Lucio Domizio, due influenti rappresentanti della famiglia dei Domizi Enobarbi, lettere che esistevano ancora nel II d.C., come riportato da Gellio187, il cui apprezzamento nei confronti del loro stile rafforza la probabile ipotesi che siano state riviste da Stilone. Sono due i passi attribuiti a Metello, di cui non viene detto se fanno parte della stessa lettere o di lettere diverse. Nel primo passo si sottolinea il mantenimento dei rapporti dell’esule con chi è rimasto a Roma, rapporto garantito dalla loro fides e dalle virtutes, due degli elementi fondamentali della vita politica romana su cui è evidentemente fondato anche il rapporto di Metello con i Domizi188. Nel secondo brano polemizza apertamente contro Saturnino, Glaucia e Mario che lo hanno costretto all’esilio, attraverso un gioco di parole che riporta la formula dell’interdizione; benché sia Metello ad essere stato interdetto, e quindi escluso dalla

                                                                                                               

184 L’isola di Rodi è riportata come luogo di esilio da Plutarco e da tutte le altre fonti, ad esclusione di

Auct. Vir. Ill. III 62, 2 che cita Smirne, sovrapponendo probabilmente il luogo di esilio di Metello con

quello di Rutilio Rufo.

185 È questa una delle più importanti differenze con l’esilio di Cicerone, obbligato a risiedere a non meno di 400 miglia dall’Italia. L’oratore ricorre molte volte all’esempio di Metello paragonandolo alla sua situazione; sui 31 riferimenti a Metello, 22 trattano del suo esilio. Perché la tradizione degli ottimati rappresenta Metello come un “martire”, vedendo nel suo allontanamento un mezzo per preservare la pace pubblica, Cicerone giustifica nello stesso modo il suo esilio, come unico mezzo per evitare violenze dannose per la res pubblica, anteponendo dunque il bene dello stato ali vantaggi personali, sottolineando come ulteriore elemento di somiglianza con Metello lo scontro di entrambi con un tribuno della plebe, nel suo caso Clodio CIC. Dom. 76.

186 CIC. Brut. 206.

187 Dal testo di Gellio appare evidente che le lettere devono essere state pubblicate, anche se non è riportato se furono pubblicate durante l’esilio o dopo il ritorno di Metello.

188 Consolor quoque in partem alteram, praeterquam dici solitum est, scriptum invenimus in epistula Q.

Metelli, quam, cum in exilio esset, ad Cn. et ad L. Domitios dedit. At cum animum, inquit, vestrum erga me video, vehementer consolor et fides virtusque vestra mihi ante oculos versatur “Abbiamo trovato

scritto –consolor- anche nell’altro significato, salvo il fatto che è solito essere detto diversamente, in una lettera di Q. Metello, che essendo in esilio, mandò a Cn. e Lucio Domizio -Ma quando vedo il vostro sentimento verso di me sono grandemente consolato e la vostra fedeltà e virtù mi compare davanti agli occhi-” GELL. XV 13. 6.

comunità, sono i suoi persecutori che devono sentirsi esclusi dalla comunità civile, perché estranei alle condizioni di ius e honestas189.

Poco tempo dopo, nel dicembre del 100 a.C., dopo la morte di Glaucia e del tribuno Saturnino durante un tumulto, i sostenitori di Metello iniziarono una campagna per ottenere la revoca dell’interdizione e permetterne il ritorno a Roma. La prima fase di questa campagna non sortì nell’effetto sperato, a causa del veto posto dal tribuno della plebe P. Furio con il sostegno di Mario. Tuttavia il figlio di Metello, che si guadagnò l’appellativo onorifico di Pius per gli sforzi perpetrati nel tentativo di ottenere il ritorno del padre a Roma, supportato dai numerosi parenti della gens dei Caecili-Metelli e probabilmente anche grazie alle lettere dello stesso Metello, -che possono essere circolate come parte delle misure della campagna per il suo rientro- ottenne finalmente nel 98 a.C. la revoca dell’interdizione e il ritorno del padre grazie alla rogatio del tribuno Quinto Calidio. Metello ricevette per lettera la notizia della possibilità del ritorno a Roma mentre assisteva ai ludi a Tralles, antica città dell’Asia minore, situata nell’interno della regione, nella valle del Meandro, in cui si era evidentemente spostato da Rodi. In quell’occasione, secondo la testimonianza di Valerio Massimo, mostrò uno straordinario autocontrollo aspettando la fine dello spettacolo e non svelando la causa della sua gioia neppure a chi gli sedeva accanto, rivelando lo stesso imperturbabile contegno già dimostrato quando era stato esiliato. Il suo stile di vita irreprensibile rimase infatti tale anche in esilio, e nelle fonti e negli autori successivi venne ad assumere tutte le caratteristiche dell’exemplum stoico, per l’eccezionalità dell’imperturbabilità dimostrata.

Ritornato a Roma ricevette un’accoglienza trionfale, con l’acclamazione di tutta la città, così che un giorno interno non fu sufficiente per ricevere le congratulazioni di tutti coloro che avevano contributo al suo ritorno, così come scriverà Cicerone ricalcando la narrazione del suo ritorno su quello di Metello, descrivendolo come una marcia trionfale in direzione di Roma.

                                                                                                               

189 Q. Metellus Numidicus, qui caste pureque linga usus latina videtur, in epistula, quam exul ad

Domitios misit, ita scripsit: Illi vero omni iure atque honestate interdicti, ego neque aqua neque igni careo et summa gloria fruiscor “Q. Metello Numidico, che appare aver fatto uso della lingua latina in

modo corretto e appropriato, in una lettera, che quando era in esilio mandò ai Domizi, scrisse così: quelli invero sono interdetti da ogni legge e rispettabilità, io invece non sento mancanza (dell’interdizione) dall’acqua e dal fuoco e fruisco di gloria straordinaria” GELL. XVII 2. 7.

La scelta di Rodi L’esilio di Q. Cecilio Metello Numidico si inserisce nella tendenza degli esuli romani di trovare rifugio lontano dalla capitale, escludendo i luoghi vicini comprese le proprietà familiari per il probabile timore di rimanere vittima di nemici politici, differenziandosene perché si tratta del primo esule che sceglie un’isola lontana come sua destinazione.

Tuttavia nonostante Rodi fosse lontana da Roma, le comunicazioni erano consentite dalla presenza di una città portuale frequentata anche dai romani che avevano interessi commerciali in Asia minore e dalla presenza di magistrati presenti nella vicina Cilicia diventata nel 100 a.C. provincia romana.

Dal momento che in giovane età Metello aveva frequentato le lezioni del filosofo Carneade ad Atene190, era in amicizia con il poeta Archia ed era accompagnato nel suo esilio dal grammatico Elio Stilone, appare evidente che la motivazione della scelta di Rodi è legata alla possibilità di coltivare il proprio otium filosofico, secondo la testimonianza di Livio e di Plutarco191.

Nonostante la scelta di Rodi sia stata dettata da interessi filosofici, la lontananza del luogo potrebbe far nascere la supposizione che Metello non fosse molto interessato a ottenere la revoca dell’interdizione e tornare a Roma, visto che gli esuli che volevano essere richiamati tendevano a scegliere luoghi vicini alla capitale, facilmente raggiungibili dalle comunicazioni.

Appare dunque paradossale che Metello e la sua gens siano stati gli autori di una delle più imponenti campagne per consentire il ritorno dell’esule, paragonabile soltanto a quella in sostegno di Popilio Lenate192. L’enorme ascendente della gens dei Caecili- Metelli garantì una presenza massiva di familiari, amici e clienti che parteciparono pubblicamente alla campagna per consentire il ritorno di Metello, supplicando il ritorno dell’esule procedendo in processione, in lacrime e vestiti a lutto; secondo la                                                                                                                

190 Riferimento a Carneade CIC. De Orat. III 68; riferimento all’amicizia con il poeta Archia CIC. Arch. 6.

191 Ibi (sc. Rodi) audiendo et legendo magnos viros avocabatur “là si distraeva con la lettura dei libri e

con l’ascolto di uomini illustri” LIV. Per. 69; ἀλλὰ γὰρ ὅσης µὲν ἀπέλαυσεν παρὰ τὴν φυγὴν καὶ τιµῆς Μέτελλος, ὅν δὲ τρόπον ἐν Ῥοδῳ φιλοσοφῶν διῃτήθη, βέλτιον ἐν περὶ ἐκείωου γραφοµένοις εἰρήσεται “Ma di quale grande benevolenza e stima Metello ha goduto durante il suo esilio, e come ha trascorso il suo tempo in studi filosofici a Rodi, sarà meglio detto nella sua Vita” PLUT. Mar. 29. 8.

192 L’esilio di P. Lenate, il primo esule romano a trovare rifugio fuori dall’Italia e a poter tornare a Roma dopo la revoca dell’interdizione vide la partecipazione pubblica di numerosissimi appartenenti alla famiglia, comprese le donne e il figlio di Popilio che procedevano in processione vestiti a lutto, supplicando il ritorno del loro congiunto.

testimonianza di Cicerone193, che fornisce un elenco di personaggi famosi che vi presero parte, Metello ricevette il sostegno dell’ex censore L. Metello Diademato, del cugino ex console C. Metello Caprario, e dei loro rispettivi figli, di Q. Metello Nepote, candidato per il consolato del 98 a.C., degli appartenenti alle famiglie dei Luculli, dei Servilii, e degli Scipioni, legati ai Metelli da legami familiari. Inoltre lo stesso Metello partecipò in prima persona alla campagna per la revoca dell’interdizione attraverso le lettere inviate ai Domizi194, che rappresentarono la modalità attraverso cui poteva “parlare” a Roma pur essendone fisicamente lontano. L’elemento decisivo che gli permise di scegliere per l’esilio un luogo così lontano, e di conseguenza sicuro, dove poteva inoltre dedicarsi all’otium letterario, fu dunque la potenza della sua famiglia; soggiornando a