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La consacrazione degli ultimi anni

2. Galleria del Deposito, Genova (3 ottobre 1967)

Subito dopo la partecipazione a “Lo Spazio dell’Immagine”, Fontana, in occasione di una personale presso la Galleria del Deposito di Genova, realizzò un ambiente in una

Il foglio mensile della Galleria del Deposito - Gruppo Cooperativo di Boccadasse, documentò con un breve editoriale in italiano e in inglese, e una fotografia dellʼartista al lavoro su una scala con pennello in mano mentre realizza lʼAmbiente spaziale:

“Lucio Fontana ha realizzato un “ambiente spaziale” alla Galleria del Deposito tra le ore 11 e le ore 16 di martedì 3 ottobre 1967. Contemporaneamente è stato stampato questo notiziario, con la fotografia dell’artista al lavoro. L’apertura al pubblico è avvenuta alle ore 18,30 dello stesso giorno. (...)” 301

L’esecuzione dell’Ambiente spaziale fu peraltro documentata in una serie di scatti, rimasti finora inediti, che mostrano come l’opera di Fontana nella sala della Galleria del Deposito fosse stata concepita e realizzata senza soluzione di continuità.302 (fig. 97) Sulla scorta dei lavori pregressi (già a Foligno pensava di poter realizzare l’ambiente in un giorno) ma anche alla luce della diffusione delle esperienze americane, Fontana aveva maturato la consapevolezza di poter trasformare l’esecuzione dell’ambiente in uno happening, come ben colse il critico genovese Germano Beringheli:

“Sempre una suggestiva operazione di purezza come quella a cui abbiamo assistito ieri mattina mentre Lucio Fontana stava procedendo a dare vita a quel suo “ ambiente spaziale nero” che ha creato per la galleria del Deposito a Boccadasse. Un ʻhappeningʼ lirico quello che si è svolto sotto i nostri occhi, una definizione elementare di spazio e ad un tempo la proiezione di uno spazio che ha le profondità infinite del tempo. Un invito allʼocchio e al recupero delle qualità essenziali del segno e della materia. Un grafito (sic) di piccoli segni che localizza in una zona minima, tutte le convergenze delle progressioni spaziali. Il principio strutturale del linguaggio di domani, una ʻAltamiraʼ per le profondità del 2000”. 303

La tela nera che tappezzava la galleria venne quindi smontata a fine mostra e stoccata nel deposito della galleria e dopo vari passaggi di proprietà fu venduta nel 1984 al

301 “Bollettino Galleria del Deposito Gruppo Cooperativo di Boccadasse”, mostra n. 36, 3 ottobre 1967. Regesto dei documenti, cataloghi mostre, n. 72.

302 Regesto dei documenti, documenti fotografici, n. 71.

Musée d’Art Contemporaine de Lyon. Si tratta di fatto dell’unico ambiente di Fontana originale salvato alla distruzione.304

L’opera fu per un certo periodo proprietà di Edoardo Manzoni, titolare di un’altra nota galleria genovese, La Polena. Gli archivi della galleria di Manzoni conservano un disegno inedito a china e matita su carta firmato da Fontana, raffigurante una piantina con le dimensioni e il posizionamento dei segni di colore fluorescente dell’Ambiente spaziale realizzato per la galleria del Deposito.305 (fig. 98)

3. “Fontana+Vigo”,

Galleria La Polena, Genova (14 giugno - 9 luglio 1968)

L’interesse di Edoardo Manzoni a Fontana è confermato dal fatto che otto mesi dopo, il 14 giugno 1968, l’artista inaugurò alla Galleria La Polena la mostra “Fontana+Vigo”.306 In occasione della mostra vennero realizzati due ambienti cubici delle stesse dimensioni, allestiti in un’unica sala: un ambiente di Nanda Vigo, posto in prossimità dell’ingresso della sala, e un ambiente di Lucio Fontana collocato in posizione retrostante rispetto a quello della Vigo. I due ambienti avevano gli accessi posti agli antipodi mentre all’interno erano entrambi strutturati secondo un percorso labirintico. Il piccolo catalogo della mostra documentava i vari lavori realizzati in collaborazione tra i due: l’allestimento della personale di Fontana all’International Center of Aesthetic Research di Torino, i vari arredi d’interni disegnati dalla Vigo con opere di Fontana, l’ambiente rosso Utopie per la Triennale del 1964. Una sola pagina era dedicata agli

“Esemplificazione dei modi di relazione di una struttura precostituita attraverso una sua messa in situazione. Le strutture si evolvono interagendo in un duplice spazio. Una struttura costituita da lastre stampate in mezzo cristallo traslucido emette dal suo centro una intensa luce rosso ciclamino sulla struttura continua: questa è costituita da lastre opache e continue, nel suo centro il segno gesto-luce di Fontana. Due situazioni diverse, due spazi tropici collegati da un unico mezzo di comunicazione, il medium luminoso”.307

Il manifesto della mostra era illustrato dall’immagine grafica della falsa prospettiva di un ambiente tridimensionale che rendeva sinteticamente l’idea di due spazi antitetici e complementari. (fig. 99)

L’ambiente della Vigo, documentato da varie immagini fotografiche, era realizzato in lastre di vetro “Quadrionda” montate su una struttura di alluminio tubolare. All’interno, lungo il perimetro sul suolo, era posto un tubo di luce rossa al neon che illuminava in modo progressivamente più intenso lo spazio. (figg.100-101)

L’ambiente di Fontana non è stato documentato fotograficamente in quanto la sua collocazione in posizione retrostante e le dimensioni della sala permettevano di riprendere solo l’opera della Vigo.308 Le recensioni, di ambito locale, forniscono alcune informazioni utili per ricostruire l’aspetto dell’opera. Germano Beringheli, su “Il Lavoro” definì gli ambienti di Fontana e Vigo “environments determinati da un configurazione formale dell’insieme concentrante motivi decorativi e ragioni del racconto plastico. (...) Si trattava di due spazi tropici il cui collegamento era affidato ad un unico mezzo di comunicazione: il medium luminoso”.309

Una recensione apparsa nel giugno 1968 sul Secolo XIX, assimilando entrambi gli ambienti all’invenzione di Fontana e collegandoli all’Ambiente nero del 1949, forniva importanti dettagli sulla materia con cui erano realizzati: “[...] Le due grandi composizioni esposte a ‘La Polena’, allestite con la collaborazione dell’architetto Vigo, sfruttano tutti i possibili effetti dei materiali impiegati, secondo intuizioni che involgono conoscenze della pittura, della scultura e senso decorativistico. Strutture in acciaio e vetro costituiscono due diversi ‘ambienti-labirinto’ entro i quali il visitatore può entrare fino a giungere ad una sorgente luminosa di forte 307 Fontana+Vigo..., cit.

308 Lʼopera è priva di letteratura secondaria e non è documentata in Crispolti, Fontana, catalogo ragionato di sculture..., cit.

potenza. Le vetrate, dalle superfici variamente lavorate e colorate, consentono interferenze e rifrazioni di luce in un clima quasi da fantascienza, nel quale si verifica una diretta partecipazione emotiva dell’osservatore. Le opere non sono in vendita”.310

Una ulteriore recensione, comparsa su “Vita italiana”, descriveva i diversi effetti di luce tra i due ambienti, quello della Vigo illuminato da una luce che aumentava gradualmente e quello di Fontana connotato dal passaggio dal buio alla luce accecante:

“Quella di Lucio Fontana e Nanda Vigo è ovviamente una proposta, come proposta devono

essere intesi i prototipi di ambiente-luce presentati alla galleria ʻLa Polenaʼ. La mostra espone,

tra lʼaltro, due labirinti uno negativo e uno positivo, nel primo dei quali il visitatore viene

aggredito alla parte terminale del percorso da un fascio di luce violenta, nellʼaltro viene invece

avvolto da un programma di luce crescente”.311

La testimonianza di Nanda Vigo è stata determinante per completare il quadro parziale desumibile dalle recensioni. I due ambienti avevano le stesse dimensioni, circa 2m x 2m x 2m. La struttura esterna dei due ambienti era analoga (pareti in vetro su telaio di acciaio) ma l’opera di Fontana all’interno era oscurata da un rivestimento in stoffa nera. L’uso del termine labirinto, che ricorre più volte nelle recensioni (“Secolo XIX”, “Vita Italiana”) era dovuto al percorso interno dell’ambiente che seguiva tramite un corridoio il perimetro dello spazio per poi condurre a un cul del sac. Qui il visitatore veniva sorpreso da un faro di luce da 500 watt che si accendeva a intermittenza accecandolo.312

sfalsamento percettivo indotto nello spettatore - il corridoio nero Utopie, la riedizione dell’Ambiente nero di Minneapolis e la riedizione dell’Ambiente nero di Foligno.

Alla Polena, per l’ultimo ambiente che seguì in prima persona, Fontana ricorse all’effetto shock e destabilizzante di un fascio di luce intermittente, sulla scorta delle ricerche sulla luce del Gruppo T.313