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Gemellaggio con la Scuola agraria di Prijedor

Eliana Gruber

docente di Materie letterarie

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AL 22 AL 25 APRILE 2012 hO AVUTO LA FORTUNA, INSIEME ALLA PROFES- SORESSA DUChETTA, DI ACCOMPAGNARE LA II C ITA IN UN VIAGGIO D’ISTRUZIONE

che, vi assicuro non è la solita frase fatta, ha colpito profondamente e arricchito sia noi insegnanti sia i ragazzi.

Destinazione? Prijedor, una cittadina di circa 100.000 abitanti situata nel nord della Bosnia Erzegovina.

Perché? Perché il nostro Istituto, da più di 10 anni, collabora con quello di Prijedor ma, fino all’aprile 2012, le relazioni tra

le due scuole erano state solamente tra tecnici; gli studenti non erano mai stati protagonisti in prima persona di un con- tatto con questa realtà, simile sulla car- ta ma in concreto totalmente differente dalla nostra.

A questa motivazione si sono aggiunte la mia curiosità e anche la fortuna di cono- scere Francesco Mongera, un caro amico che ha lavorato in Bosnia per circa un anno e mezzo con l’associazione Proget- to Prijedor di Trento. quindi, grazie alla fiducia accordatami dal Dirigente scola-

stico e all’aiuto di Francesco che mi ha facilitato l’introduzione in questo mondo (lui aveva i contatti giusti), gradualmente ho organizzato il nostro viaggio e prepa- rato ragazzi e famiglie al grande passo. L’espressione “ho preparato ragazzi e famiglie” non è utilizzata a caso; per troppi la Bosnia è un posto lontano, peri- coloso, piegato da una guerra che ha fat- to arrivare nel nostro paese un branco di delinquenti in fuga da un luogo in cui quotidianamente si rischia di perdere la vita esplodendo su mine antiuomo.

INIZIALMENTE, INFATTI, I LORO PENSIERI erano i seguenti: “…non avevo mai pensato che il conflitto degli anni '90 avesse lasciato pericoli ma poi, navigando in rete, ho letto di mine e uranio impoverito, a quel punto la mia convinzione di partire non era più così forte…”, “…talvolta nei nostri discorsi si parlava di paura del diverso, della lontananza da casa, delle difficoltà linguistiche...”, “...nacquero i primi ripensamenti anche perché molti di noi erano spaventati dall’idea di essere ospitati da famiglie straniere e ogni scusa sembrava buona per svicolare…”.

Su questi timori e pregiudizi, nel corso dei mesi che ci separavano dalla partenza, ho cercato di lavorare attraverso incontri con esperti, confronti in classe, riunioni con i genitori, rendendomi conto che le paure, settimana dopo settimana, si trasformavano in curiosità e la voglia di partire era sempre più forte.

Il progetto che ho pensato, per limitare i costi e per poter vivere in modo più significativo l’esperienza, prevedeva che durante il soggiorno a Prijedor i nostri studenti risiedessero a casa dei loro pari età, selezionati dall’Istituto. “Selezionati” poiché per gli abitanti di

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Prijedor non è facile avere la disponibilità economica o lo spazio per ospitare qualcuno e, quindi, i docenti della scuola agraria hanno dovuto scegliere tra i loro studenti coloro i quali fossero in grado di offrire la sistemazione migliore per noi.

Una volta scelti i nostri ospitanti ho cercato di intrecciare delle relazioni. Con la mia clas- se ho creato del materiale audio e video da inviare in Bosnia e loro hanno fatto lo stesso. Molto prima che me ne rendessi conto alcuni ragazzi erano diventati amici in facebook e chattavano quasi quotidianamente. questa notizia mi ha ovviamente riempita di gioia, era come aver risolto parte di un problema estremamente complicato, iniziavo a pregu- stare il momento in cui avrei raggiunto il risultato.

La data della partenza però era ancora lontana e quando Nicholas Cage (così i ragazzi hanno soprannominato il nostro autista) è venuto a prenderci, non ci sembrava vero; il viaggio è durato circa una decina di ore “…abbiamo attraversato Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Slovenia, Croazia, fino ad arrivare a Prijedor in Bosnia. La città non era male anche se alcuni scorci non erano proprio paradisiaci: case sgarruppate, strade crivellate dai crateri come una fetta di Emmental. quella sera abbiamo conosciuto gli studenti che ci avrebbero ospitato e, dopo un imbarazzo iniziale, abbiamo iniziato a parlare in un linguaggio misto di inglese, italiano, tedesco, linguaggio dei gesti e frasi fatte come: “there is a party tonight”, “let’s go, follow me” e “the book is on the table”. Nonostante tutto, sorprendentemente ci capivamo e così abbiamo scoperto che sono ragazzi come noi.”

DURANTE LA NOSTRA PERMANENZA A PRIJEDOR ABBIAMO AVUTO LA POSSIBILITÀ DI VISITARE IL LORO ISTITUTO, le serre, passeg- giare sul monte Kozara e vedere l’imponente monumento che vi è stato eretto all’inizio degli anni ‘70 in onore dei partigiani che hanno perso la vita nel tentativo di salvare la libertà del loro Pae- se e una fattoria didattica; ma soprattutto di arricchire la parte strettamente culturale con una tutta umana, fatta di emozioni e condivisione, di amicizie che nascono e voglia di rafforzare questi sentimenti.

ho sentito i miei ragazzi, anche alcuni di quelli più scettici, dire: “Beh, i ragazzi di Prijedor sono simpatici”, ma ciò che mi ha riem- pito di più il cuore è stato rendermi conto che un po’ alla volta il termine “amici” sostituiva quello di ragazzi. A testimonianza dell’intensità di questi sentimenti ci sono state le lacrime versate il giorno dei saluti, il nostro viaggio in realtà non terminava, ci aspettava ancora una notte a Lubiana, ma tutti sarebbero rimasti un altro giorno a Prijedor per poter condividere altri momenti con i loro nuovi amici e le rispettive famiglie. Eh già, anche le famiglie che hanno ospitato i miei ragazzi sono state affettuose e hanno sostituito per qualche giorno i genitori lasciati a casa, coccolandoli e facendo loro un dono prima di partire.

in questa pagina

2. Produzione funghi nella scuola agraria di Prijedor.

3. Mulino ad acqua ancora funzionante nei pressi della fattoria didattica.

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COME DETTO PERò LA TABELLA DI MARCIA NON PERMETTEVA DI FERMARSI PER PIù TEMPO anche perché, prima di arrivare nella capitale slovena, volevo portare i ragazzi a visitare il campo di concentramento di Jasenovac, il più grande campo di concentra- mento costruito nei Balcani durante la seconda guerra mondiale, creato dallo Stato Indipendente di Croazia. Del campo, costruito tra l'agosto '41 e il febbraio '42, non rimane praticamente nulla, esiste solo una grande spianata verde al centro della quale si tro- va un gigantesco fiore in cemento, un fiore di loto slanciato verso il cielo, un simbolo di vita e di speranza che però è largamente e profondamente radicato nelle radici di quella terra.

TUTTI I MIEI RAGAZZI AVEVANO SEN-