Davide Bazzanella
docente di Ecologia applicata
IL VIAGGIO È PARTITO DA AREZZO E PRE- CISAMENTE DALLA BASILICA DI SAN FRAN- CESCO risalente al XIII secolo. La Basilica racchiude uno dei più bei capolavori di tutta la pittura rinascimentale, la Cap- pella Bacci con il ciclo di affreschi della Leggenda della Vera Croce, dipinti da Pie- ro della Francesca tra il 1452 ed il 1466. La visita alla città è proseguita verso la Cattedrale dei Santi Pietro e Donato che è anche il Duomo di Arezzo. Eretto sulla sommità del colle dove sorge la città è posto sul sito di una chiesa paleocristiana e forse nel luogo dove anticamente sor- geva l'acropoli.
Una prima cattedrale di Arezzo sorse sul vicino Colle del Pionta, nel luogo in cui era sepolto e venerato il santo martire Donato, decapitato nel 363. Nel 1203 papa Innocenzo III ordinò di trasferire la Cattedrale entro le mura cittadine sul sito in cui sorge oggi. Il Duomo però perse le spoglie del santo, trasferite presso la chiesa di San Donato a Castiglione Messer Raimondo, in provincia di Teramo. Cio- nonostante, il Duomo di Arezzo è ancora intitolato a San Donato. La costruzione del duomo di Arezzo odierno, avvenuta a partire dal 1278, ha avuto fasi diverse conclusesi solo nel 1511. La facciata fu costruita tra il 1901 e il 1914, sostituendo la precedente, incompiuta, del XV seco- lo.
Pur non sapendolo, siamo entrati nella storia di questa chiesa; abbiamo assistito infatti alla sostituzione dell’altare mag-
giore risalente al 1300; operazione decisa in occasione della visita di Papa Benedet- to XVI ad Arezzo.
Affascinati dalle opere del Vasari e di Pie- ro della Francesca abbiamo continuato il viaggio alla volta del centro città. Una delle cose più caratteristiche è sicu- ramente la Piazza Grande che si apre nel cuore della città medievale, suggestivo scenario della Giostra del Saracino e della fiera antiquaria.
I RAGAZZI, ATTENTI OSSERVATORI, NON hANNO IMPIEGATO MOLTO A NOTARE la somiglianza con la piazza del film La vita è bella di Benigni, ricordando il protagonista che in sella alla sua bicicletta si lanciava verso l’amata.
A proposito di sentimenti, amori e tradimenti, nel centro di Arez- zo ci siamo fermati al famoso pozzo nominato nella quarta Novel- la nel Decameron di Boccaccio: “Tofano chiude una notte fuor di casa la moglie, la quale, non potendo per prieghi rientrare, fa vista di gittarsi in un pozzo e gittavi una gran pietra. Tofano esce di casa e corre là, ed ella in casa le n'entra e serra lui di fuori, e sgridandolo il vitupera”.
Arricchiti dal sapere, abbiamo abbandonato Arezzo per raggiunge- re il Parco delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona, Campigna. Il parco copre un’area di circa 36.000 ha, equamente divisa fra l’Emilia Romagna e la Toscana, comprendente territori delle pro- vince di Forlì-Cesena, Arezzo e Firenze. Si estende lungo la dor- sale appenninica tosco-romagnola, scendendo rapidamente lungo le vallate parallele del versante romagnolo e in maniera più gra- duale nel versante toscano che si presenta con pendii più dolci fino all’ampio fondovalle formato dall’Arno.
Il paesaggio è caratterizzato dalle rocce sedimentarie, preva- lentemente arenarie sul versante romagnolo, mentre nella zona sud-est del Parco, con le rupi calcaree del Monte della Verna, si distingue un paesaggio con ampie pendici tondeggianti interrotte da erosioni calanchive, che rivelano la presenza di argille. Il Parco eccelle, dal punto di vista naturalistico, come una delle aree forestali più pregiate d’Europa, il cui cuore è costituito dalle Foreste Demaniali Casentinesi al cui interno si trova la Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, istituita nel 1959.
La piazza occupa con la sua caratteristica forma trapezoidale fortemente inclina- ta la parte più bassa dell’antica platea communis, sorta attorno al 1200 e dotata di un perimetro assai più esteso dell’at- tuale, dominato a monte dal palazzo del Comune e dal palazzo del Popolo. Nel cor- so del Cinquecento, abbandonato il primo dei due palazzi pubblici ad un progressivo degrado ed abbattuto il secondo, profon- damente modificato il sistema difensivo, la piazza fu ridotta alle dimensioni attuali con la realizzazione, sul lato NE, del log- giato vasariano.
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È ANChE UN TERRITORIO CON CENTRI ABITATI RICChI DI STORIA E DI TESTIMONIANZE artistiche e architettoniche: Badia Prataglia è uno di questi paesini di montagna ove abbiamo trascorso il nostro soggiorno.
Nei due giorni passati in questa meravigliosa cornice naturale, ricca di flora e fauna, abbiamo frequentato boschi e percorso sentieri alla scoperta di questo angolo d’Italia.
Oltre a boschi abbiamo visitato due poli di grande fascino ed importanza spirituale: il Santuario della Verna e l’Eremo di Camaldoli.
Il primo, donato a S. Francesco dal conte Orlando Cattani di Chiusi nel 1213 come luogo di eremitaggio, immerso in un bosco di abeti bianchi e faggi è stato conservato intatto per quasi otto secoli dai frati francescani. Il secondo, fondato nel 1012 da San Romualdo, è invece circondato da abetine vetuste permeate da un’insolita spiritualità. La cura del bosco si è infatti compenetrata nei secoli con la regola dell’ordine camaldolese. A tal proposito, riporto uno stralcio della regola che ci ha particolarmente attratti: “… se saranno gl’Eremiti studiosi veramente della solitudine, biso- gnerà che habbiano grandissima cura, et diligenza, che i boschi, i quali sono intorno all’Eremo, non siano scemati, nè diminuiti in nium modo, ma piu tosto allargati, et cresciuti.”
La regola mette in risalto il rapporto millenario che si è instaurato tra gestione e conservazione; tema caro a noi agrari e forestali. Prima di salutare gli eremiti, immersi nel loro silenzio, ci siamo soffermati nella farmacia dell’eremo: luogo ricco di profumi ine- brianti e suggestivi segreti, dove l’antico sapere si tramanda nel tempo.
Ormai il nostro viaggio stava per finire, ma prima di abbandonare in maniera definitiva questi luoghi di spirito e foresta ci siamo calati in una realtà più vicina al mondo agricolo: abbiamo infat- ti visitato un’azienda zootecnica che alleva vacche chianine nei pressi di Asciano.
L’ultimo giorno d’uscita, prima di riprendere la via di casa, ci sia- mo trovati in questo ambiente collinare, completamente diverso dal paesaggio agricolo a cui siamo abituati.
Immersi in queste dolci linee che segnano l’orizzonte, abbia- mo apprezzato il racconto del contadino che, con un simpatico accento toscano, ci ha disegnato il trascorrere del tempo su que- sta terra color dell’argilla e dal profumo di pane.
nella pagina a lato
11. I ragazzi delle III ITA nei boschi del Casentino. 12. Azienza zootecnica ad Asciano.