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Se oggi si lamenta la mancanza per gran parte del secolo XII di fonti documentarie che attestano l'attività di artefici di origine inglese in Italia e occorre quindi fare riferimento ai singoli manoscritti come prove di queste presenze alloglotte, esiste un centro nel quale questo quadro viene

436 «[…] ut bibliorum sacro rum exemplaria du, manu sua scripserit, quorum unum balneoregii in Ecclesia»; cfr. Alphonsus Ciacconus, Vitae et res gestae Pontificum Romanorum et S. R. E. Cardinalium, 1677, col. 195.

437 M. Bagnoli, San Francesco in Assisi, in Il gotico europeo in Italia cit, pp. 195- 206. 438 Parkes, The English Traveller cit., I, pp. 101-141.

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È probabile che l'ex libris quattrocentesco a f. 6r, oggi eraso e leggibile solo alla luce della lampada di Wood, fu apposto in concomitanza con l'ingresso dei Benedettini della congregazione di santa Giustina di Padova dopo il 1431, in occasione di una ricognizione del posseduto dell'antica fondazione bolognese. Analogamente, a Bobbio, i Benedettini provvidero nel 1461 a segnare tutti i volumi della biblioteca e a stilare il primo inventario noto; si veda, infra, Capitolo I.

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sovvertito. A Genova, e in ambito ligure più in generale, mancano del tutto notizie di codici importati da Oltremanica, così come mancano manoscritti di produzione italiana per i quali è possibile ipotizzare l'intervento di mani inglesi, ma negli archivi genovesi non sono certo rari i nomi di uomini e donne anglici.

Tra i documenti superstiti, alcuni si rivelano molto interessanti nella prospettiva di un possibile coinvolgimento di artigiani di origine inglese nella diffusione in parte del continente della carta come nuovo supporto scrittorio440. A Genova, nel giugno del 1235, prima quindi che Fabriano diventasse il noto centro di produzione cartiera che fu a partire dalla seconda metà del Duecento, un certo Gualterius englesius stringe un accordo commerciale della durata di un anno «causa faciendi papirum» con un lucchese, Mensis, con il quale si impegna a collaborare in qualunque commercio questi portasse avanti441

. Cosa più importante è che il commerciante lucchese si assicura tramite il contratto che Gualtierus non lavori con nessun altro e non riveli a nessuno la sua arte, «[…] promito e convenio […] alicui persone docere sive monstrare dictum misterium […]»442. Purtroppo la mancanza di sviluppi immediati di questa attività, che evidentemente si rivelò poco lucrosa per gli imprenditori genovesi, rischia di ridimensionare in parte l'importanza di questa presenza inglese, ma comincia a segnalare la strada dell'apertura di Genova agli artigiani e ai tecnici provenienti dalle altre regioni italiane, ma anche dal resto dell'Europa, come i due artigiani, un inglese Constantinus Constantinus, e un provenzale, Pons Emengaud de Montpellier, che nel marzo del 1286

440 R. Lopez, The English and the Manifacture of Writing Materials in Genoa., «The Economic History Review» 2 (1940), pp. 132-137. Il documento era già stato reso noto da Briquet, v. C. M. Briquet, Les papiers des Archives de Gênes et leurs filigranes, «Atti della Società Ligure di Storia Patria», 19 (1888-1889), pp. 270-394: 300.

441 Archivio di Stato di Genova- Cartulario di Gianuino de Predono e altri I, f. 304r, pubblicato; Briquet, Les papiers cit., nr. 300.

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siglano una collaborazione di dieci anni per la produzione di tavolette di cera443, utilizzate per la scrittura di documenti di poco valore.

Gualterius englesius e Constantinus Constantinus sono in realtà i rappresentanti più attardati di una comunità inglese che aveva trovato a Genova la base ideale per portare avanti i propri affari e per intraprendere un'attività.

Quando si considera la dimensione internazionale della produzione e della circolazione dei manoscritti medievali, è quasi scontato che il pensiero corra ai gruppi di forestieri organizzatisi in seno alle università, fossero questi studenti o artigiani del libro; è chiaro tuttavia che quelle comunità o gruppi sociali non si pongono come entità isolate dal più largo sistema di connazionali che si muovevano al di fuori dell'ambiente universitario. Basti pensare allo sviluppo della rete di albergatori e locandieri delle nazionalità di provenienza dei flussi migratori verificatosi nelle aree centripete444

. Né bisognerebbe considerare i manoscritti che attraversarono la Manica per giungere sul continente come delle schegge isolate nel panorama dei traffici tra nord e sud dell'Europa. La storia del commercio tra i secoli XIII e XIV insegna ad esempio che le rotte che collegavano le sponde inglesi ad alcuni dei più importanti centri economici italiani erano ben collaudate e che attraverso di esse si realizzavano proficui scambi di preziosi e di merci costose, grazie alla posizione preminente degli italiani nelle attività della zecca inglese in qualità di creditori e banchieri reali, nonché di alcuni mercanti e commercianti inglesi stabilitisi in Italia. Grande importanza rivestivano sin dai primi contatti con il mondo d'Oltremanica le importazioni e le esportazioni di pietre preziose, tanto che l'orafo Giovanni da Asti, nel 1214 investì una discreta somma «in adamantibus, rubinis,

443 Ibid., pp. 135-136

444 Per il caso di Genova, si veda ad esempio, G.. Petti Balbi, Presenze straniere a Genova nei secoli XII-XIV: letteratura, fonti, temi di ricerca, in Dentro la città cit., pp. 121-135: 129- 130. Per Bologna, si rimanda al relative paragrafo pp. 126-150.

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balaxiis et smaradinis» da negoziare in Francia o in Inghilterra445. Prodotti di oreficeria inglese arrivano in Italia grazie alla folta presenza di mercanti italiani Oltremanica, come quelle coppe, le brocche e i piatti donati nel 1300 ca. ai genovesi Janotus e Giotto Spynell da re Edoardo I (1272-1307) in persona, probabilmente come parte di un pagamento per la loro attività di mercanti di lana446. Purtroppo, per il segmento di anni che interessa la ricerca non è ancora stato svolto uno studio specifico sul volume delle importazioni e delle esportazioni dei mercanti italiani che operavano Oltremanica, ma le contabilità dei primi decenni del Quattrocento dimostrano che gli stranieri esportavano dal mercato inglese merci che in valore superavano nettamente i beni importati. E per quanto sia probabile che l'attività di molti mercanti-banchieri si concretizzasse nell'arte del cambio, non bisogna dimenticare che il divieto di esportare valuta447

, obbligava a investire le somme incassate in Inghilterra o in Irlanda nell'acquisto di beni di pregio e mercanzie. Tra i forestieri, gli italiani, e i

445 R. Doehaerd, Les galeres genoises dans la Manche et la Mer du Nord, «Bulletin de l'Institut Historique Belge de Rome» 19 (1938), pp. 5-76; L. Liagre de Sturler, Les relationes commerciales entre Gênes, la Belgique et l'Outremont d'apres les archives notariales génoises (1320-1400), II, Bruxelles-Rome 1969, p. 163, nr. 325.

446 M. Campbell, Oreficeria italiana nell'Inghilterra medievale. Con una nota sugli smalti italiani del XIV e XV secolo nel Victoria and Albert Museum, in Oreficerie e smalti traslucidi in Europa fra XIII e XV secolo. Atti del Convegno di Studi (Pisa, 7-8 novembre 1996) , cur. A. R. Calderoni Masetti, supplemento a Bollettino d‟Arte 43 (1987), Roma 1997, pp. 1-16: 2 e bibliografia ivi indicata.

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In Inghilterra era in vigore una normativa molto rigida in materia di circolazione monetaria, volta in massima parte a produrre un afflusso di metallo prezioso destinato alla monetazione e a ostacolarne il deflusso: oltre all'esportazione di valuta inglese, erano vietate in loco le transazioni commerciali effettuate con moneta straniera, v. J. Munro, Bullionism and the Bill of Exchange in England, 1272-1663: A Study in Monetary Management and Popular Prejudice, in The Dawn of Modern Banking, New Haven 1979, pp. 216-239; A. Nicolini, "Merchauntes of Jeane". Genovesi in Inghilterra nel Medioevo (secc. XII-XVI), «Atti della Società Ligure di Storia Patria» 123 (2009)/ 2, pp. 5-86: 34-35; nel 1310 proprio un mercante- banchiere genovese, Antonio Pessagno, viene colto in fallo per aver usato un totale di 12000 fiorini, v. Ibid., p. 15. Nel corso del Medioevo, non si svilupparono mai compiutamente sull'isola attività bancarie di deposito né una rete efficiente di agenti finanziari. L'Inghilterra era inoltre afflitta da un'endemica carenza di denaro circolante, la cosiddetta "bullion famine", a causa di una forte contrazione dell'estrazione d'argento, Ibid. pp. 10-13 e bibliografia ivi indicata.

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genovesi in particolare, emergono come i padroni del commercio di lusso448: questi mercanti svolgevano le loro lucrose transazioni nel porto di Londra, che nel corso del secolo XIII e della prima metà del XIV aveva guadagnato il primato nell'ambito del commercio di beni di pregio, grazie alla presenza della corte e della nobiltà, naturali committenti e consumatori di merci esotiche e costose449. Da quei porti, «quasi per un capriccio della moda»450, raggiunsero in gran numero i centri italiani i rinomati alabastri inglesi. Le sculture, rigorosamente a tema religioso451, ancora oggi conservate nelle chiese e nei musei italiani, andarono ad abbellire e arricchire le chiese e le collezioni italiane durante gli anni della Riforma protestante, quando le soppressioni dei monasteri inglesi misero in circolo in Europa una gran quantità di beni di lusso, tra i quali i circa duecento manoscritti posti in salvo proprio in Italia452

. Alcune fonti documentano tuttavia l'esistenza di un vero e proprio commercio istituitosi già nel corso del secolo XIV: è noto ad esempio che nel 1382 il collettore papale Cosmato Gentili ottenne un permesso per esportare da Southampton tre alabastri inglesi di grandi dimensioni, raffiguranti rispettivamente la Vergine, san Pietro e san Paolo, e una scultura di dimensioni più contenute della Trinità453. La descrizione delle statue di san Pietro e di san Paolo sembrerebbe combaciare con i due alabastri che si trovano oggi nel Museo di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, e che originariamente ornavano i lati dell'altare della cappella gregoriana454: di dimensioni davvero ragguardevoli e percorse nei volti e

448 Campbell, Oreficeria italiana op. cit., passim. 449

R. H. Britnell, The Towns of England and Northern Italy in the Early Fourteenth Century, «Economic History Review» 44 (1991), pp. 21-35: 22 e bibliografia ivi indicata.

450 R. Papini, Polittici d'Alabastro, «L'arte» 13 (1910), pp. 202-213: 202. 451 W. Cheetham, Alabastro, in EAM, I, Roma 1991, pp.

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Bannister, A Short Notice op. cit., pp. 124-141; Ker, Cardinal Cervini‟s cit., pp. 51-71; Fossier, Premières recherches op. cit., pp. 381-456.

453 W. L. Hildburgh, Some English Medieval Alabaster Carvings in Italy, «The Antiquaries Journal» 35 (1955), pp. 182-186: 186.

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Ibid, pp. 185-186; U. Middeldorf, Two English Alabaster Statuettes in Rome, «Art in America» 16 (1927-1928), pp. 199-203.

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nelle vesti da forti linee che ne denunciano la manifattura inglese, le due sculture simboleggiano ancora oggi i fortunati esiti degli scambi di beni di lusso tra mercanti italiani e inglesi. Già nel 1273 erano proprio gli italiani, dopo gli inglesi, il secondo gruppo per numero di licenze ottenute per l'esportazione laniera, pari a oltre il 24% del volume totale di traffici455. Certamente ancor prima dell'ottavo decennio del Duecento avevano cominciato a circolare sul continente i pregiati manufatti in opus

anglicanum che si trovano citati numerosi nei testamenti dei cardinali e nel

tesoro papale al tempo di Bonifacio VIII. Alcuni di questi furono commissionati dai pontefici in prima persona come quello descritto nell'inventario del 1361, ordinato da Niccolò III, con figure di santi su di uno sfondo lavorato in oro, altri furono elargiti in dono a importanti fondazioni, come la cattedrale di Anagni che fu omaggiata da Bonifacio VIII di un piviale con le Storie della Vergine. Nell'inventario del tesoro papale del 1295 sono descritti alcuni smalti che esibivano stemmi e imprese araldiche riconducibili ai sovrani inglesi, tali da far pensare che l'ingresso di quei preziosi manufatti tra le ricchezze del pontefice sia da ricollegare a regali da parte dei Plantageneti stessi456.

Il quadro delle importazioni di manufatti preziosi, benché brevemente delineato, dimostra con chiarezza che i manoscritti non furono i soli beni di pregio che venivano commercializzati e scambiati tra l'Inghilterra e l'Italia e, contestualmente, contribuisce a delineare una possibile via di acquisizione di quegli stessi manoscritti attraverso il commercio non specializzato457. In questa prospettiva è possibile inquadrare, ad esempio, il sistema di relazioni

455 T. H. Lloyd, The English Wool Trade in the Middle Ages, Cambridge 1977, pp. 40, 291; Nicolini, "Merchauntes of Jeane" cit., p. 13

456 M. Campbell, English Basse Taille Enamels, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia» 2 (1977), pp. 37-46: 39.

457 Il codice In I et II Sententiarum di Duns Scoto (Padova, Biblioteca Antoniana, ms. 178) fu acquistato da rigattieri ebrei a Venezia, v. Abate-Luisetto, Ms. 178 Scaff. IX, in Codici e manoscritti cit., pp. 205-206: 205.

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che unirono l'Inghilterra a Genova tra i secoli XII e il XIII e che si presentano come un caso particolare nel panorama che si viene delineando. Nel caso della città ligure, come detto, non è infatti possibile assumere come punto di partenza della ricerca i manoscritti importati da Oltremanica, poiché nelle biblioteche genovesi nessun codice inglese o franco- settentrionale databile al secolo XII o al XIII sembra essersi conservato, né manoscritti altrove conservati recano tracce di un passaggio per la città o per qualsiasi altro centro ligure. Eppure, Genova, centro relais secondo la nota definizione di Enrico Castelnuovo458, e le aree ad essa limitrofe non risultano affatto escluse da certe elaborazioni artistiche che nei secoli del Romanico e del Gotico unirono idealmente centri disseminati per l'Europa: lo dimostrano le miniature dei pochi manoscritti supersiti, come la serie di Bibbie conservate alla Bibliothéque Nationale de France (mss. N.a. l. 148; Lat. 180;

Lat. 4931; Lat. 16386), le sculture della facciata di San Lorenzo, le pitture

sulle volte di Santa Margherita. Genova rappresenta un caso unico nel panorama italiano anche perché, a differenza di altri centri, come Roma ad esempio, per i quali è andata perduta buona parte della documentazione notarile, e, conseguentemente, la possibilità di ricostruire il profilo di una comunità inglese prima dell'inoltrato Trecento, per Genova i cartulari dei notai attivi in città tra la fine del secolo XII e la prima metà del XIII confermano che la città riscuoteva interesse anche tra quei lavoratori che giungevano da terre lontane. Ripercorrere la storia dei rapporti tra l'Inghilterra e Genova, significa quindi dar conto delle molteplici occasioni di contatto che potevano verificarsi tra i due Paesi, oltre i canali principali dell'università e dei Mendicanti: per Genova e per la diffusione in area ligure delle forme del gotico europeo potrebbero aver avuto un ruolo due personaggi come i cardinali Ottobono Fieschi, divenuto nel 1276 papa con il

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E. Castelnuovo, Arte delle città, arte delle corti tra XII e XIV secolo, in Storia dell‟arte italiana, V, Dal medioevo al Quattrocento, Torino 1983, pp. 167-227: pp. 165-227.

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nome di Adriano V (luglio-agosto 1976), e Luca Fieschi459, ma in questo paragrafo non si incontreranno molti nomi di cardinali, studenti o professori, quanto di artigiani e mercanti. Una équipe di studiosi, in gran parte statunitensi, ha segnalato, sin dagli anni Trenta del secolo scorso, la presenza a Genova di una piccola, ma molto attiva comunità inglese di mercanti e artigiani inglesi stabilitisi in città nel periodo della terza crociata, tra il 1179 e il 1190, forse crociati essi stessi e le cui fila si sono gradualmente ampliate con il procedere dello spoglio delle fonti460. Se in altri comuni italiani, le società delle arti e le società delle armi gradualmente si chiusero all'ingresso di membri forestieri e stranieri, a Genova, la cui economia era essenzialmente fondata sul commercio, la presenza dei non genovesi nelle attività artigianali è sancita dagli statuti sin dalla metà del secolo XIII, tanto che fin oltre la metà del secolo XII l'attività artigianale è stata saldamente nelle mani di artigiani forestieri o immigrati dal contado461

. Grazie ai documenti genovesi si materializzano mercanti, commercianti e

artigiani inglesi che ruotano attorno a due "capofamiglia"462

, Robertus de Lundrex, mercante, e Johannes de Lundrex, commerciante. Il primo nel

459 Si veda, infra, Capitolo I.

460 F. Cervini, I portali della cattedrale di Genova e il gotico europeo, Firenze 1993, pp. 149- 154.

461 G. Petti Balbi, Apprendisti e artigiani a Genova nel 1257, «Atti della Società Ligure di Storia Patria» 20 (1980), 2, pp. 135-170: passim; Ead., Presenze straniere a Genova nei secoli XII-XIV, in Dentro la città. Stranieri e realtà urbane nell'Europa dei secoli XII-XVI, cur. G. Rossetti, Napoli 1989, pp. 121-135.

462 A Genova non era infrequente che famiglie potenti o che personaggi di spicco della società cittadina, anche di origine extra- genovese, offrissero la loro protezione alle comunità di artigiani o di mercanti immigrati, v. A. Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni tra la Liguria, la Toscana, e la Lunigiana ai tempi di Dante (1265-1321), «Atti della Società Ligure di Storia Patria» 31, 1 (1901), pp. 158-159. Per le forme di mutua assistenza fra comunità di forestieri, v. G. Rossi, Capitoli della Consortia delli forestieri della Chiesa delli ervi in Genova dell'anno 1393 editi dal prof. Girolamo Rossi, «Miscellanea di Storia Italiana» 11 (1871), pp. 331-344; A. Bassi, La consortia dei forestieri di M. V. della Misericordia, «Giornale storico e letterario della Liguria» 4 (1928), pp. 17-45; C. Da Langasco, La «Consortia de li Forestieri» a Genova, Genova 1957; C. Marchesani- G. Sperati, Ospedali genovesi del medioevo, «Atti della Società Ligure di Storia Patria» 21 (1981), pp. 216-223; Petti Balbi, Presenze straniere cit., p. 130; G. Casarino, Stranieri a Genova nel Quattro e Cinquecento: tipologie sociali e nazioni, in Dentro la città cit., pp. 137-150: 138-139.

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1179 e nel 1182 è testimone di diverse stipule di contratti e pochi anni dopo, nel 1186, acquista da un mercante genovese una grande quantità di pepe, da smerciare con tutta probabilità nei più importanti porti del nord Europa, dove le spezie erano merci molto ambite. Come fu per gli scriptores forestieri attivi a Bologna, anche i mercanti inglesi stabilitisi a Genova evidentemente trovarono conveniente unire le forze e consociarsi, così nel maggio del 1191 Johannes de Lundrex diede vita a una societas con Nicholas filius Enrici de Lundrex463. D'altra parte, questi individui negli anni di permanenza genovese avevano trovato il modo di inserirsi perfettamente nel tessuto sociale cittadino, al punto che talvolta decisero di mettersi in società con i membri delle più importanti famiglie genovesi del tempo: fece così Thomas, figlio di Robertus, che avviò nel dicembre del 1191 una collaborazione di tipo commerciale con il nipote di una delle più potenti famiglie genovesi nel commercio delle vesti. I registri notarili conservatisi per la città di Genova in questi anni ci presentano i membri di una comunità molto solida e unita, che aveva mantenuto stretti rapporti con la madrepatria. I documenti relativi alla comunità inglese si inoltrano nel Duecento e attestano l'espansione delle attività economiche dei due nuclei familiari464 e la loro crescita "demografica" accertata dai matrimoni che vedono protagonisti i vari membri, come quello celebrato nel Dicembre del 1191 tra la nipote di Robertus, Margarita, e un battiloro londinese, Robinus465. Questi sarebbe stato il primo di una lunga serie di orafi inglesi, e in particolar modo londinesi, che trovarono a Genova il luogo giusto per stabilirsi: nel 1205 un certo Enrico venne preso come aiutante dall'orafo inglese Gualtiero da Londra; ancora da Londra proveniva l'orafo Adamo che risulta impegnato anche nel commercio di oro e sete con l'Oltremare nel

463 Reynolds, Some English op. cit., p. 318; ASG, Not. Gugl. Cass., fol. 32.

464 Ad esempio, la moglie di Johannes assume una ragazza come apprendista, v. Reynolds, Some English cit., p. 318.

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1206 e ancora nel 1213 prima di lasciare tutti i suoi beni a un altro orafo inglese, Giovanni figlio di Bartolomeo da Londra; l'iscrizione alle arti era evidentemente aperta agli stranieri e così Guglielmus Anglicus sottoscrisse lo statuto dei battiloro nel 1248 e Richardus de Londres venne assunto nel 1257 per conto di un artigiano veneziano, Marco Trevisano di Marino che promette di corrispondergli un generoso stipendio466. Artigiani inglesi, in massima parte tessitori, rappresentavano ancora nel secolo XV una presenza "ingombrante" per i residenti, tanto che i juponierii genovesi (fabbricatori di calze) nel 1444 chiedono che sia fatto divieto agli stranieri, maxime Gallici,

Anglici et similes467, di aprire una bottega, a meno che con loro non si fosse trasferita in città anche la famiglia468. La presenza di una così connotata comunità di artigiani inglesi, negli anni in cui venivano poste le basi del nuovo progetto per la facciata della cattedrale di San Lorenzo, le cui sculture dell'ordine inferiore risentono profondamente delle esperienze maturate nell'ambito delle arti suntuarie di ascendenza nordica, potrebbe non essere una casualità e potrebbe non essere stato senza risvolti anche per la storia della miniatura genovese che sposò sin dall'inizio del Duecento tendenze culturali di impronta transalpina469.

Le relazioni mercantili, che senz'altro esercitarono un notevole potere di collegamento giocarono un ruolo di primo piano nello scacchiere politico e culturale internazionale e appare sempre più chiaro che il merito dell'apertura delle rotte commerciali tra Italia e Inghilterra non è da attribuire unicamente agli insediamenti italiani Oltremanica. È noto che le