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Manoscritti inglesi in Italia meridionale: una storia in assenza.

Se la partecipazione alla koinè decorativa settentrionale è affermata con chiarezza dalla storia della miniatura dell‟Italia meridionale, definire i possibili modelli e dare un volto ai tramiti di questa cultura risulta, soprattutto per il secolo XII, un lavoro poco fruttuoso151. La ricerca,

150 Il de‟Rossi venne in possesso di due delle quattro iniziali che originariamente decoravano il codice e che furono probabilmente asportate all‟inizio dell‟Ottocento; Marco Assirelli le a identificate con i due frammenti a f. 11r del ms. Ross. 1167 della Biblioteca Apostolica Vaticana, v. Assirelli, Manoscritti non italiani cit., pp. 59-62.

151 Eccezion fatta per i manoscritti di origine francese donati da Carlo II d'Angiò alla cattedrale di San Nicola di Bari nel 1296, v. E. Auricchio, I manoscritti miniati del XIII secolo conservati in Puglia, in I codici liturgici in Puglia, cur. G. Cioffari-G. Dibenedetto, Bari 1986, pp. 233-268. Poco si sa, al contrario, della circolazione di codici di origine non italiana in Calabria, nonostante la nascita di varie fondazioni cistercensi di poco

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d‟altra parte, è fortemente ostacolata dalla carenza di dati documentari ricavabili dagli archivi o dagli stessi manoscritti, cosicché la conoscenza dei modi e dei tempi della circolazione libraria tra i secoli XII e XIII risulta ancora molto frammentaria. Contribuisce a acuire la gravità di tali carenze, lo stato attuale della catalogazione delle biblioteche, che rende spesso del tutto casuale l‟individuazione di un esemplare di origine inglese152. Riuscire a documentare una eventuale precoce presenza a Napoli di manoscritti provenienti dall‟Europa settentrionale avrebbe un inestimabile valore storico, in quanto significherebbe acquisire dati certi in merito ai modelli ai quali le botteghe attive a Napoli, come quella guidata dal Maestro della Bibbia di Manfredi153, avrebbero potuto ispirarsi per dare forma a quel linguaggio così fortemente intriso di suggestioni settentrionali che le caratterizza. Le aspirazioni si scontrano però con la realtà documentaria, limitata sostanzialmente a pochi titoli e ad alcune date che testimoniano, ad esempio, di sei tra manoscritti e quaderni in

successive alla conquista di normanna: quest‟area del Mezzogiorno non vide mai, o almeno così sembrerebbe, la nascita di un centro di produzione di libri latini nel secolo XII, v. Magristrale, I centri di produzione libraria cit, p. 251. Sono invece da ritenere di origine calabra alcuni manoscritti risalenti al primo Duecento, per i quali v. A. M. Adorisio, Per la storia della scrittura latina in Calabria dopo la conquista normanna, «Scrittura e civiltà» 8 (1984), pp. 105-127; ID., Codici latini calabresi. Produzione libraria in Val di Crati e in Sila tra XII e XIII secolo, Roma 1986, pp. 15-41; F. Troncarelli-E. B. Di Gioia, Scrittura, testo, immagine in un manoscritto gioachimita, «Scrittura e civiltà» 5 (1981), pp. 149-186; F. Troncarelli, Nuove reliquie dello “scriptorium” di Fiore, in L‟età dello spirito e la fine dei tempi in Gioacchino da Fiore e nel gioachimismo medievale. Atti del II Congresso internazionale di studi gioachimiti (San Giovanni in Fiore, Luzzi, Celico, 6-9 settembre 1984), cur. A. Crocco, San Giovanni in Fiore 1986, pp. 319-329.

152 A. Poncelet, Catalogus codicum hagiographicorum Latinorum bibliothecarum Neapolitarum, «Analecta Bollandiana» 30 (1911), pp. 137-215; C. Cenci, Manoscritti francescani della Biblioteca Nazionale di Napoli, Firenze 1971; Tommaso d‟Aquino nei fondi della Biblioteca nazionale di Napoli: mostra bibliografica, Napoli 1974.

153 Oramai molto vasta la bibliografia su questo codice inaugurata dal contributo di A. Erbach Fürstenau, Die Manfredbibel, Leipzig 1910; per una bibliografia completa sulla bibbia sveva v. M. C. Di Natale, La Bibbia di Manfredi della Biblioteca Vaticana, in Federico e la Sicilia cit., pp. 397-403 (scheda di catalogo n. 109) e si veda, infra, Capitolo III.

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possesso nel 1117 della chiesa di San Pietro di Paterno154, e dei manoscritti che facevano parte nel 1281155 e nel 1282156del tesoro di re Carlo d'Angiò (1273- 1283). La storia che si cela dietro al piccolo nucleo di esemplari duecenteschi di origine inglese individuati nel fondo manoscritti della Biblioteca Nazionale di Napoli157, invece, sembra al momento destinata a rimanere oscura, in quanto nessuna data e nessun nome possono provare un arrivo in Italia prima del secolo XV158. Solo un manoscritto miscellaneo del primo quarto del secolo XIV, contente opere di Ockam e Kilwardby, conservato a Firenze (Firenze, Biblioteca Nazionale, ms. Conv. Soppr. B.IV.1618), reca a f. 94r l‟indicazione di una data topica e cronica che lo lega a Napoli nel 1331, e a f. 1r il nome dell‟ignoto possessore frater Robertus Ordinis predicatorum159

, mentre non fece il suo arrivo in Italia prima della metà del secolo XV, il Prisciano (Napoli, Biblioteca dei Girolamini, ms. CF.2.19)160 che faceva parte dei quasi diciottomila volumi che componevano il ricco fondo librario della collezione privata di Giuseppe Valletta, acquistata pressoché in toto dagli oratoriani di Napoli161. È tuttavia possibile ipotizzare che anche per i

154 Nebbiai, Bibliothèques en Italie cit., p. 38.

155 Napoli, Archivio di Stato, Reg. Angioini ? 1281, ff. 93-94. N. Barone, La ratio thesaurariorum della Cancelleria angioina: trascritta e annotata, Napoli 1885, pp. 428- 430; Nebbiai, Bibliothèques en Italie cit., p. 33.

156 Napoli, Archivio di Stato, Reg. Angioini 43 1282, ff. 1-2; Barone, La ratio thesaurariorum cit., p. 10; Nebbiai, Bibliothèques en Italie cit., p. 34.

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Si tratta dei manoscritti: ms. Branc. V. G. 5; ms. VII. C. 6 ; ms. VIII. C. 24; ms. VIII. C. 46; ms. VIII. E. 6; ms. VIII. E. 26 ; ms. VIII. F. 12 ; ms. VIII. G. 3 ; ms. VIII. G. 4. 158 È il caso ad esempio del codice aristotelico ms. VIII. E. 26 che reca a f. 107v una nota, apparentemente di mano italiana, con l‟indicazione dell‟anno 1465, v. anche C. Cenci, Manoscritti francescani nella Biblioteca Nazionale di Napoli, Firenze 1971, nr. 482, p. 843.

159 Il manoscritto è descritto in G. Pomaro, Catalogo dei manoscritti filosofici nelle biblioteche italiane, IX, Firenze 1999, no. 25, pp. 88-89.

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Il codice, come dichiarato dall‟explicit a f. 2r, fu acquistato a Londra da un membro della delegazione dell‟Arcivescovo di Ravenna, Bartolomeo Roverella Ferrarese, giunto Oltremanica per conto di papa Niccolò V (1447-1455). Vd. Scheda 2, in Codici miniati della Biblioteca Oratoriana dei Girolamini di Napoli, cur. A.Putaturo Murano-A. Periccioli Saggese, Napoli 1995, pp. 27-29.

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codici napoletani, molti dei quali tramandano opere di Aristotele e di teologia, gli ambienti universitari rappresentarono uno snodo strategico e possano aver incontrato un favorevole terreno di diffusione tra gli studenti dell‟università o tra quanti frequentavano lo studium dei domenicani. Il ms. VII. C. 6 della Biblioteca Nazionale di Napoli, ad esempio, è uno dei rari esemplari superstiti del commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, firmato da William di Alnwick, futuro vescovo di Giovinazzo tra il 1329 e il 1333, che dopo una parentesi bolognese, fu lettore a Napoli tra il 1323 e il 1329162. Significativamente, tutti gli esemplari noti del suo commento alle Sentenze sono conservati in biblioteche italiane e si tratta in tutti i casi di manoscritti di origine inglese che potrebbero essere giunti in Italia proprio al seguito di Alnwick163. Dopotutto, la composizione della popolazione studentesca che affollava lo studium napoletano, istituito da Federico II di Svevia nel 1224, nel corso degli anni, si aprì ad accogliere anche i non regnicoli i soli per i quali, all‟atto della fondazione, era previsto l‟accesso agli insegnamenti dello studium. Prima che nel 1943 andasse distrutto l'unico registro di cancelleria conservato, vi si leggeva un documento con il quale il 14 novembre 1239, Federico II concedeva l'accesso alla Studio ai regnicoli dei due Regni di Gerusalemme e di Sicilia, agli ultramontani e agli Italici, esclusi milanesi, bresciani, piacentini, alessandrini, bolognesi, faentini, ravennati e trevisani; esclusi anche i sudditi del papa. Fu così sancita una tripartizione degli studenti che fu mantenuta ancora nel 1266 quando Carlo I d'Angiò riformerà lo Studio di Napoli. Accanto allo studium napoletano, sorgevano i luoghi dell‟insegnamento legati agli Ordini mendicanti che richiamavano studenti da tutta Europa. Tra questi, Walter, frate francescano inglese amico di

162 Eccleston, 52-4. M. Robson, Padua and English cit., p. 150.

163 Si tratta dei codici. Assisi, Biblioteca Comunale, ms. 172; Napoli, Biblioteca Nazionale, ms. VII.C.6; Padova, Biblioteca Antoniana, ms. 291; vd. Courtenay, The Introduction cit., p. 21.

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Salimbene, aveva studiato con Giovanni da Parma intorno al 1247164. Negli stessi anni, a Napoli dimorava un altro francescano proveniente da Oltremanica, Richard Anglicus, mentre Richard of Middleton eletto ministro provinciale dell‟ordine per la Francia, raggiunse san Ludovico di Tolosa a Castel dell‟Ovo, dove risiedeva parte della corte angioina165

, senza dimenticare il lettore William of Alnwick166.

I codici degli studenti e dei predicatori non erano i soli a circolare negli ambienti napoletani, poiché tra le mura della corte dei sovrani angioini si tenevano i libri in gran conto e si leggevano, come mai prima di allora, romanzi cavallereschi e poesie di trovieri e di trovatori. Dagli ormai perduti registri angioini che, grazie alle parziali edizioni e ai regesti, possono ancora essere fare luce sul rapporto tra i sovrani e il libro, emergono i nomi di tre personaggi inglesi, con tutta probabilità laici, estranei all'ambiente di corte, che risultano impegnati in un lavoro di correzione ed edizione e che figurano in qualità di scriptores167. Pur senza enfatizzare eccessivamente il valore di queste presenze nella produzione libraria, è interessante notare che nella gestione della vita culturale della corte angioina abbiano trovato posto non semplici scriptores, ma magistri di origine inglese che ebbero l‟occasione di offrire il loro contributo, probabilmente anche al di là dell‟ambito librario, al circuito internazionale di Napoli.

Legate a doppio nodo alle vicende della corte e degli ambienti ad essa connessi furono anche la produzione e la circolazione librarie in Sicilia,

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Salimbene, 803.

165 Processus Canonizations et Legendae variae Sancti Ludovici O.F.M. Episcopi Tolosani, Firenze 1951, p. 14; Robson, Padua and English cit., p. 150.

166 Alcuni inglesi sono ricordati a Salerno impegnati negli studi di medina sin dall‟inizio del secolo XII, v. Parkes, The English Traveller cit., p. 132-133; F. Getz, Medicine in English Middle Ages, Princeton 1998, p. 31.

167 N. Barone, La Ratio thesauriorum della cancelleria angioina, in «Archivio Storico per le Provincie Napoletane», 10 (1885), pp. 413-434; Documenti delle relazioni tra Carlo I d'Angiò e la Toscana, cur. S. Terlizzi, Firenze 1950 (Documenti di Storia Italiana pubblicati a cura della Deputazione di storia patria per la Toscana, XII), p. 455, nr. 809.

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fucina della cultura nel Mezzogiorno normanno-svevo, nella quale furono messe a punto e incubate esperienze decorative e figurative che avrebbero ampiamente varcato i confini dell‟isola. La Sicilia si presentava ai normanni come un‟enclave a prevalente cultura e scrittura araba e greca. Al fine di realizzare il processo di latinizzazione i sovrani normanni, sin dal regno di Guglielmo I (1154-166) e con ancora più forza con il figlio Guglielmo II (1166-1189), favorirono l‟immissione dei manoscritti latini negli ambienti culturali isolani168: tuttavia, le testimonianze di cui oggi si dispone permettono di ricostruire un panorama ricco e articolato solo per Palermo, lasciando sostanzialmente in ombra le realtà dei centri orientali dell‟isola, che la perdita dei documenti conservati negli archivi, tra cui i più importanti registri notarili del secolo XV, tagliano fuori dalla ricerca, come Messina, Catania, Siracusa169. Un riflesso della sconfortante situazione documentaria al di fuori di Palermo si può leggere nella storia dei manoscritti inglesi noti oggi conservati in Sicilia, che recano, con la sola eccezione di un manoscritto conservato a Catania170, tutti le tracce di una vicenda palermitana. Sorprendentemente, sembra essere stata cancellata nelle biblioteche siciliane qualunque memoria della cultura libraria normanna “di importazione”, e sopravvive solo la Historia

scholastica di Pietro Comestore, conservata alla Biblioteca Centrale della

Regione Sicilia, ma proveniente dal Fondo Monreale (ms. F. Monreale 9),

168 Latin Monasticism, pp. 47-52.

169 Bresc, Livre et Société en Sicile (1299- 1499), pp. 14-16. Legato alla cattedrale di Sant‟Agata a Catania era uno scriptorium al quale non è stato possibile ancora ricondurre alcun manoscritto, v. Latin Monasticism, p. 70 ; Bresc, Livre et Société cit., pp. 13-16. 170 Il codice trecentesco (Catania, Biblioteca Regionale Universitaria, ms. 84. Arm. 3) contiene le Quaestiones in primum librum Sentetiarum e le Quaestiones in secundum librum Sentetiarum di Giovanni Scoto. A f. 12v, l‟explicit recita: «Explicit primus liber fratris Johanns scoti doctoris subtilis de ordine fratrum minorum scriptus a Galtero Anglico dicto Jazum […]». Ai ff. 12r e 69v vi sono delle note di possesso erase, vd. M. Fava, Codices Latini Catinenses, «Studi Italiani di Filologia Classica» 5 (1897), pp. 429- 440: 431-432; N. Grisanti, Manoscritti catanesi di opere francescane, in Francescanesimo e cultura nella provincia di Catania. Atti del convegno di studio (Catania, 21-22 dicembre 2007), cur. N. Grisanti, Palermo 2008, pp. 103-108: 103.

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confezionata tra la fine del secolo XII e gli inizi del successivo171.

Con i documenti e i manoscritti, sono andati perduti anche i nomi degli artefici dell‟ingresso in Sicilia del nucleo di manoscritti inglesi. Per l‟XI e il XII secolo, il pensiero corre naturalmente ai membri della corte normanna e alla nuova classe dirigente, laica e ecclesiastica, che infoltiva le proprie fila grazie a una continua immigrazione di alto livello dalla Francia e dall‟Inghilterra172

. Accanto ai numerosi vescovi di origine francese, figuravano l‟inglese Richard Palmer, oltre ai numerosi canonici di Agrigento e di Palermo173. Nel 1137, Robert di Selby sostiuitì alla guida della cancelleria di Sicilia Guarino, che aveva trovato la morte durante l‟assedio delle truppe di Lotario II (1075-1137) a Montecassino174

, mentre la carica di cappellano fu assegnato a un altro inglese, Thomas Brown175. Dall‟iniziativa dei singoli individui provenienti dall‟élite politica normanna, probabilmente dipendeva buona parte dell‟immissione dei manoscritti inglesi, come anche di quelli francesi, mentre appare penalizzato, soprattutto nella prima fase della dominazione dei Normanni, un canale di diffusione che altrove si era rivelato tanto determinante come quello delle fondazioni monastiche latine. In questi centri, solo più tardi, dall'epoca sveva in poi e quasi a compensare l'attenuarsi della cultura basiliana in seno alle corti, verrà sviluppata una consistente attività culturale. Furono i luoghi di studio creatisi intorno ai monasteri

171 I fogli del manoscritto esibiscono un repertorio di ornamenti geometrici e fitozoomorfi confrontabili con quelli dei manoscritti ricondotti alla biblioteca che fu di Thomas Becket e confezionati nel nord della Francia, v. A. Daneu Lattanzi, Manoscritti ed incunaboli miniati della Sicilia, Roma 1965, pp. 89-90.

172 C. Cahen, Le régime féodal de l‟Italie normande, Paris 1940 ; V. von Falkenhausen, I ceti dirigenti prenormanni al tempo della costituzione degli stati normanni nell‟Italia meridionale, in Forme del potere e struttura sociale in Italia nel Medioevo, cur. G. Rossetti (Europa Mediterranea. Quaderni 1), Napoli 1986, pp. 321-377.

173 V. von Falkenhausen, Il popolamento: etnìe, fedi, insediamenti, in Terra e uomini nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle Giornate normanno-sveve (Bari, 15-17 ottobre 1985), Bari 1987, pp. 39-73: 44-45.

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Ibidem; A. Bedina, Guarino, in Dizionario Biografico degli Italiani, 60, Roma 2003. 175 Von Falkenhausen, Il popolamento cit., p. 45.

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benedettini, infatti, come San Martino alle Scale di Palermo, e ai conventi degli Ordini mendicanti a infondere nella cultura libraria siciliana una impronta determinante, in assenza di uno studium universitario "indipendente". E infatti appartenevano a due monasteri benedettini, San Martino delle Scale di Palermo, appunto, e San Nicola l'Arena di Catania, le biblioteche delle quali disponiamo di maggiori informazioni, nonostante le numerose dispersione che le interessarono fin dal Cinquecento. Gli studi dedicati alla biblioteca del monastero di San Martino restituiscono almeno per i primi secoli di vita del monastero, successivi alla rifondazione del 1347, l‟immagine di una raccolta già numerosa che nel 1384 contava oltre quattrocento volumi. La presenza accanto ai manoscritti di argomento liturgico e a quelli biblici di numerosi testi di teologia, di grammatica e di diritto è la testimonianza diretta della vasta cultura messa a disposizione dei benedettini palermitani176. Per gli ambienti della biblioteca del convento sembrano essere transitati quasi tutti i manoscritti stranieri di cui si ha notizia in Sicilia177: tra questi, la Bibbia in due volumi, (Palermo, Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, mss. I.F.6 e I.F.7), sicuramente presente nel monastero benedettino almeno sin dal XVIII secolo, quando Salvatore Maria di Blasi redasse la sua relazione in occasione dell‟inaugurazione della nuova libreria nel 1768 e notò una Bibbia in due volumi, identificabile con il codice inglese. Già nell‟inventario del 1384, comunque, la biblioteca benedettina contava ben quarantacinque manoscritti biblici, rendendo concretamente possibile che il codice fosse conservato ab antiquo nel convento di San Martino.

176 Un nucleo cospicuo di ben quarantasette codici giuridici fu ad esempio donato al monastero da giudice Fazio de Fazio secondo le volontà testamentarie dettate nel 1383; cfr. C. A. Garufi, Il matrimonio «pro verba de futuro» di un siciliano studente leggi in Bologna nel 1349, «Il Circolo giuridico. Rivista di legislazione e giurisprudenza», 28 (1897), pp. 170-173; Collura, L‟antico catalogo cit., pp. 96-99; Bresc, Livre et Société cit., pp. 129-131; G. Bottari, Le antiche biblioteche delle comunità religiose siciliane, Messina 1972, pp. 42-43.

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Gli altri codici inglesi siciliani decorati, vanno a costituire un gruppo abbastanza omogeneo sia per contenuto, sia per datazione: si tratta infatti di altre due Bibbie duecentesche (Palermo, Biblioteca Centrale per la Regione Siciliana, mss. I.D.13 e I.E.5), ascrivibili alla metà del Duecento e appartenute entrambe, molti secoli dopo la realizzazione, a un esponente di una delle più importanti famiglie della nobiltà siciliana sin dal XIII secolo, Don Francesco Ventimiglia (+ 1676), prima di confluire nella raccolta libraria della Casa Professa di Palermo. Il formato e le caratteristiche codicologiche dei tre manoscritti biblici induce a ipotizzare una loro originaria destinazione alla devozione privata e solo successivamente il trasferimento, probabilmente in seguito a donazioni e lasciti, nelle fondazioni religiose alla cui memoria sono storicamente legate.

Se confrontato con quanto accadeva nelle provincie del resto d‟Italia, il quadro che si viene delineando per la Sicilia nel medioevo centrale sorprende per l‟assenza delle fondazioni mendicanti dal circuito internazionale del libro. In realtà, molto poco si conosce in merito alle biblioteche siciliane dei francescani e dei domenicani, avvolte come sono nel più completo silenzio delle fonti per tutto il Duecento e il Trecento. Una analoga penuria di documentazione riguarda l‟organizzazione di un insegnamento di livello universitario sull‟isola che ospiterà un primo

studium pubblico solo nel Quattrocento, con la fondazione dell'Università

di Catania nel 1434. Non estraneo al ritardo con cui si giunse alla istituzione di una università, fu probabilmente l'editto di fondazione dello

studium napoletano con cui il Federico II vietava che altrove nel regno

venissero aperte istituzioni di pari livello178. Eppure la cultura universitaria

178 Parallelamente sancisce anche il divieto per chiunque di andare a scuola, e di tenere scuola, “infra regnum”, in una sede che non fosse Napoli. Tale divieto fu ancora ribadito nel 1254 sotto il secondogenito di Federico II, Corrado IV, quando lo Studio fu trasferito a Salerno, ma attenuandolo nel senso di consentire il funzionamento di Studia particularia

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è largamente testimoniata da codici contenenti testi giuridici, di medicina, di logica, dalla grande diffusione che ebbe l‟opera aristotelica (meno quella dei suoi commentatori) che certamente venivano impiegati nelle centri di studio siciliani. Lo Studio teologico più importante fu quello domenicano che assurse a grande fama nel secolo XV, ma che doveva essere attivo già nel Duecento e nel Trecento, epoca per la quale si conoscono i nomi di lettori e bacellieri179. È probabile che anche i minoriti avessero fondato nel corso del Duecento un centro di pari importanza a Palermo, dove ricorrono occasionalmente, in documenti di vario tipo, i nomi di lettori e bacellieri del convento di San Francesco e almeno a partire dagli anni Quaranta del Trecento180, a Messina181. Si apprende inoltre dalle parole di Salimbene de Adam che Gerardo di Borgo S. Donnino, prima di giungere a Parigi, nutritus fuit in Sicilia dove

grammatica rexerat e probabilmente il viaggio nascondeva un progetto di

fondazione di uno studium di teologia almeno a partire dal quinto decennio del Duecento in quanto viene specificato che l'onore del soggiorno parigino di Gerardo fu ut studeret pro provincia Siciliae182. Quali fossero i volumi raccolti e messi a disposizioni dai conventi a supporto delle attività di studio e di insegnamento, rimane un interrogativo senza risposta. Nessun inventario o documento diretto o indiretto di altra natura precedente al secolo XV183 sembra essere sopravvissuto, cosicché può essere solo immaginata l‟esistenza e la struttura di biblioteche annesse

limitatamente all'insegnamento ai "novizi" dei "rudimenti della grammatica" e consentire l'insegnamento della medicina presso lo Studium particolare a Salerno prima del trasferimento ivi dello Studio, rinnovato quando poi nel 1258 Manfredi decretò il ritorno dello Studium universale a Napoli.

179 Bresc, Livre et société cit., pp. 17-21.

180 D. Ciccarelli, Studia, maestri e biblioteche dei francescani di Sicilia (sec. XIII-XVI), «Schede Medievali» 13 (1987), pp. 181-207: 184-191.

181 Ibid., p. 189. 182 Ibid., p. 191.

183 In alcuni lasciti testamentari quattrocenteschi, il convento di San Francesco e designato come beneficiario di donazioni librarie, mentre non si conoscono inventari prima del Seicento, Ibid., p. 198.

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ai conventi, sulla scorta di quanto è noto per le altre fondazioni francescane d‟Italia e d‟Europa. Qualche spiraglio si apre sulla sponda domenicana di Palermo, grazie a un documento che emerge dai fondi dell‟Archivio di Stato e nel quale viene ricordata la donazione di libri di