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Il mercato librario e i suoi protagonisti: Bologna tra Parigi e Londra.

La richiesta e il consumo di libri, cresciuti nel corso del Duecento secondo ritmi del tutto nuovi rispetto alle epoche precedenti, favorirono la nascita e l'espansione a Bologna di una infaticabile industria editoriale, ben documentata a partire dalla metà del secolo XIII. Qui, come nei più importanti centri del libro europei, si affermò nel corso del secolo XIII un modello organizzativo che proibiva agli artigiani del libro di costituirsi in corporazioni, al fine di accentrarne il controllo nelle mani del rettore degli scolari, e quindi di rafforzarne i vincoli con le Università. Caso unico nel panorama italiano è quello di Perugia, dove l'esistenza di un'arte dei miniatori, è documentata sin dai primi anni del Trecento321, nonostante la prima vera matricola dell'arte dei miniatori risalga solo al 1438322. A Bologna,

321 Walter Bombe menziona, ad esempio, un Maestro Venturella che fu camerlengo dell'Arte dei Miniatori in Perugia nel 1313, v. W. Bombe, Geschichte der peruginer Malerei bis zu Perugino und Pinturicchio, Berlin, 1912, p. 289, n. 28; M Subbioni, Pittura e miniatura nei corali di San Domenico di Perugia, p. 3.

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tra le professioni legate al mondo del libro, solo i cartolai compaiono come corporazione tra le ventuno società d'arti riconosciute negli statuti cittadini del 1250-1267323. Al di fuori dei cartolai quindi, collocati nel settore della lavorazione del cuoio, tutto il personale impiegato nell'attività editoriale universitaria era alle dipendenze dell'università, la quale li obbligava a prestare giuramento e li considerava come suoi membri, al solo scopo di mantenere uno stretto controllo su ogni fase di produzione e di commercializzazione del codice e di salvaguardare gli interessi degli studenti dai quali dipendeva la fortuna dell'ateneo, e quindi della città.

Testimonianze in questo senso sono offerte dagli statuti bolognesi, da quelli padovani324 e, al di fuori dell'Italia, da quelli di Parigi: anche lì infatti la produzione e il commercio si svolgevano sotto lo sguardo vigile dell'università e tutti, stazionari, miniatori, librai e venditori di pergamena, dovevano prestare giuramento325

. Nel 1316, a chi si fosse rifiutato di prestare giuramento, fu fatto divieto assoluto di vendere libri di valore superiore ai 10 solidi e di esercitare la propria attività all'interno di un negozio326

. Nessuna menzione nella pur ricca documentazione relativa all'università parigina di corporazioni o associazioni artigiane da riferire al mondo della produzione del libro. Tace a questo proposito il Livre des metiétiers composto per volere

quale curò nel Settecento lo spoglio di tutte le matricole delle corporazioni artigiane di Perugia (Perugia, Biblioteca Comunale Augusta, ms. 1230, ff. 148v-151v); la trascrizione della matricola è stata pubblicata da A. Rossi, L'Arte dei Miniatori in Perugia, «Giornale di erudizione artistica», 2 (1873), pp. 305-317.

323

R. Greci, Corporazioni e mondo del lavoro nell‟Italia padana medievale, Bologna 1988, p. 122.

324 A Padova infatti librai e anche i cartai, a differenza di Bologna, non potevano riunirsi in corporazione, mentre i pittori costituirono una propria fraglia nel 1441, v. M. Roberti, Le corporazioni padovane d'arti e mestieri: studio storico giuridico, Venezia, Ferrari, 1902. 325 R. H. Rouse- M. A. Rouse, The Book Trade at the University of Paris, ca. 1250-ca. 1350, in La production du livre universitaire au moyen âge. Exemplar et pecia, Actes du symposium tenu au Collegio San Bonaventura de Grottaferrata en mai 1983, cur. L. J. Bataillon-B. G. Guyot- R. H. Rouse, Paris 1988, pp. 41-113: 47.

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del revosto di Parigi, Étienne Boileau intorno al 1270327. Anche a Londra, benché non vigesse un esplicito divieto a dare vita a un organismo corporativo, la categoria dei miniatori tardò a organizzarsi: è del 1393 la prima menzione dei wardens of the mistery of the limners, che vigilavano sull'arte dei miniatori e che nel corso del Quattrocento furono più semplicemente denominati mistery of limners328.

Le figure dei miniatori e dei copisti già duramente colpite dagli statuti comunali, e in parte proprio a causa di quei provvedimenti, furono afflitte da una «tenue professionalità»329 che rende oggi difficile la distinzione fra quanti si dedicavano in senso stretto alla scrittura e alla correzione dei testi e quanti eseguivano filigrane, lettere decorate a pennello o figurate: difficilmente l'attività di copia poteva rappresentare una competenza esclusiva di uno

scriptor professionista, in quanto avrebbe potuto coinvolgere tutti coloro che

avevano dimestichezza con la scrittura e almeno in linea di principio anche colore che, convenzionalmente, sono ricordati dalle fonti esclusivamente come miniatori. Parole come quelle pronunciate dal giurista Odofredo che, nell'elogiare la bravura di quanti erano coinvolti nella confezione del libro, rimarcava proprio che «hodie scriptores non sunt scriptores sed pictores»330, non aiutano certo a chiarire quali fossero i compiti e le competenze di ciascuno in fase di produzione. In numerosi documenti si menzionano poi notai o scrittori contattati per eseguire lavori di miniatura, come Neri da Rimini, attivo nel primo Trecento, che si firma alcune volte con la doppia di notaio-miniatore; ma anche quello meno noto di fra Egidio degli Scalzi ricordato nel necrologio del convento di San Domenico di Perugia sotto

327

K. Fianu, Les Professionnels du livre à la fin du XIIIe siècle: l'enseignement des registres fiscaux parisiens, «Bibliothèque de l'École des Chartes» 150 (1992), pp. 185- 222 : 185. 328 C. P. A. Christianson, A Directory of London Stationers and Book Artisans, 1300- 1500, p. 16.

329

A. Conti, Problemi di miniatura bolognese, «Bollettino d'arte» 6 (1979), pp. 1-28: 2. 330 Coppi, Le università italiane cit., p. 163.

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l'anno 1283 quale pulcerrimus miniator et scriptor preclare fame331. Il nome di qualche miniatore si potrebbe celare quindi tra i notai, che per tutta la seconda metà del secolo XII e per i primi decenni del successivo, operarono in stretto contatto con gli ambienti universitari, ma difficilmente nelle matricole si potrà trovare traccia di notai forestieri, e quindi di inglesi, generalmente immatricolati nella città di origine332; o forse anche tra i pittori, poiché in diversi centri, a Firenze333 e a Bologna334 ad esempio, quando i pittori costituirono una propria confraternita o una matricola autonoma335, vi aderirono anche i miniatori. Poteva aver trovato un impiego, chissà se occasionale, o piuttosto abituale, come miniatore anche quel magister Iohannes Anglicus definito pictor che si dichiara soddisfatto del pagamento ottenuto da parte di due studenti che probabilmente gli avevano commissionato la decorazione di uno o più manoscritti, nel febbraio del 1287336

.

Per quanto difficili da reperire, le notizie relative agli scriptores e ai miniatori che lavorarono a Bologna tra il secolo XIII e la prima metà del XIV

331 M. Subbioni, Documentazione perugina per il significato del termine 'miniatura', «Commentari d'Arte» 7-8 (2001-2002), pp. 21-36. Per altri esempi si veda anche Medica, La città op. cit., pp. 111-112 e A. Conti, La miniatura bolognese. Scuole e botteghe 1270-1340, Bologna 1981, pp. 8-9.

332 G. Murano, Copisti a Bologna (1265-1270), Turnhout 2006, p. 21.

333 A Firenze i pittori erano, tradizionalmente uniti ai medici speziali poiché da questi ricavavano i pigmenti per le loro opere e quando nel 1348 formarono una propria confraternita dedicata a San Luca, anche i miniatori vi aderirono, v. R. Ciasca, L'arte dei medici e degli Speziali nella storia e nel commercio fiorentino (dal secolo XII al XV), Firenze 1927, p. 88.

334 A Bologna, nel 1410, anno per il quale possediamo la matricola dei pittori finalmente costituitasi autonomamente, compaiono anche un miniatore, Azzone Benelli e un cartolaio, v. R. Pini, Lo statuto del 1380 e la matricola dei pittori del 1410, «L'Archiginnasio» 97 (2002), pp. 92-150.

335 I pictores si riunirono in corporazioni autonome piuttosto presto in Italia: pioniera fu Venezia, nel 1271, Perugia 1286, Verona 1303, Siena 1355.

336 «D. magister Iohannes Anglicus pictor fuit confessus habuisse et sibi integre satisfactum esse a d. magistro Iacobo et a magistro Thomas fratribus de Anglia scolaribus Bononie…occaxione alicui laborerii sibi factum per ipsum magistrum Iohannem» Archivio di Stato di Bologna, Memoriali, 68, not. Antolino di Rolandino, c. LXVI-296/a; Filippini- Zucchini, Miniatori e pittori cit., p. 87.

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tratteggiano il panorama di una città aperta ai forestieri proprio in uno dei settori trainanti della sua economia: malgrado il confronto con la piazza parigina possa restituire l'impressione che a Bologna il commercio librario fosse saldamente nelle mani di imprenditori italiani337, manodopera più o meno specializzata proveniente dai centri e dai comuni limitrofi o persino da lontane regioni dell'Europa sicuramente non mancò, attratta dalla floridezza del mercato, ma anche dall'ampio spazio lasciato dai professionisti locali scoraggiati dalla rigidità delle leggi vigenti. Nelle fonti d'archivio si trovano infatti oltre centocinquanta copisti non bolognesi, padovani, milanesi, tedeschi, e, tra gli ultramontani, soprattutto uomini provenienti dalle isole britanniche, ben nove per l'esattezza, attivi negli ateliers cittadini tra il 1265 e il 1310. Proprio uno di essi è implicato in questioni giudiziarie relative alla trascrizione di un manoscritto: il notaio Symon Laurencii registra che nel luglio del 1312 Nicholaus Anglie fu tradotto in carcere poiché non aveva rispettato il contratto di scrittura relativo a un Digestus Novus338

. I nomi dei "compatrioti" di Nicholaus compaiono spesso nelle testimonianze relative a risse e aggressioni tra le Carte della Curia del Podestà, come nel caso di Adam de Schotia scriptor, che nel settembre del 1310 ferisce un certo Gilbertus di Robertus de Rocis de Ybernia, del quale non è specificata la professione, ma che probabilmente era coinvolto nella produzione del libro, dal momento che l'aggressione ebbe luogo nella bottega in qua moratur

Rinaldus de Ybernia, che incontreremo tra gli stationarii339; oppure come

337

R. H. Rouse- M. A. Rouse, Wandering Scribes and Travelling Artists: Raulinus of Fremington and his Bolognese Bible, in A Distinctive Voice. Studies in Honour of Leonard E. Boyle, O. P., cur. J. Brown- W. P. Stoneman, pp. 32-67: 33; Murano, Copisti a Bologna cit., pp. 37-38.

338

Mem. 125, f. 316; Orlandelli, Il libro cit., no. 200, p. 83.

339 La stacio è descritta di proprietà di Bertoluccio dei Preti, ma probabilmente il civilista era solo il proprietario della casa, v. Livi, Dante a Bologna cit., p. 76; Filippini- Zucchini, Miniatori e pittori cit., p. 1; F. P. W. Soetermeer, A propos d'une famille de copistes. Quelques remarques sur la librairie à Bologne aux XIIIe et XIVe siècles, in «Studi medievali», 30 (1989), pp. 425-478, p. 476; ID., Utrumque ius cit., p. 372.

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Bartolomeus e Stefano di Horstonhon, scriptores, accusati di aver percosso, nell'agosto del 1265, un loro connazionale340; o ancora, come magister Symon Erbraudo de Anglia, copista qui moratur in capella sancti Mami e che aggredì, nel maggio del 1291, Maestro Bellingerio di Pavia341.

L'opera di questi copisti, come è facile immaginare, veniva impiegata prevalentemente nel campo dell'editoria giuridica: grazie a pochi e preziosi contratti di scrittura, si apprende, ad esempio che Henrichus Scotus si impegnava nel 1268 con Raimondo di Sancio da Tolosa a trascrivere un

Digestum Vetus, con glossa, per 16 soldi a quaderno nel 1268342; Iohannes Anglicus, studente, assunse l'incarico di trascrivere l'apparato di Francesco Accursio per il collega tedesco Rodolfo de Argentina 343 e si è già fatto riferimento a quel Guillelmus de Anglicha scriptor della cappella di Sant'Antonino che promise di copiare «totum volume net Decretatum» per un suo connazionale. Anche al di fuori dell'ambiente universitario di Bologna, si può incontrare uno scriba inglese impegnato nella trascrizione della

Novellainquinque Decretalium libros commentaria di Giovanni d'Andrea,

commissionatagli dall'abate di San Pietro di Perugia, Ugolino II, nel 1339. Significativamente, i documenti superstiti si concentrano negli anni di maggior prestigio dello studium bolognese e, al di là degli episodi di violenza descritti, lasciano trasparire l'esistenza di una sorta di associazionismo, del tutto ufficioso, in base al quale scriptores provenienti da un medesimo luogo di origine o da regioni vicine stabilivano una sistema di contatti che costituiva senz'altro per loro una rete di sicurezza: uno scriptor inglese si trovava nella

340 Zaccagnini, La vita dei maestri cit., pp. 126 e 157; Filippini- Zucchini, Miniatori e pittori, pp. 16 e 22-223.

341 Zaccagnini, La vita dei maestri cit., p. 126; Filippini-Zucchini, Miniatori e pittori cit., p. 220.

342 Chartularium Studii Bononensis VIII (1927), p. 210 nr. CCCCXXV; Filippini- Zucchini, Miniatori e pittori cit., p. 66.

343 Chartularium Studii Bononensis cit., 23 luglio 1268, VIII, pp. 94-95, 209-210 nr. 184; Pagnin, Littera bononiensis cit., p. 1615; Filippini-Zucchini, Miniatori e pittori cit., p. 98; Soetermeer, A propo cit., p. 429; Murano, Copisti a Bologna cit., pp. 37 e 147.

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doppiamente debole condizione di straniero e di professionista non incluso in alcuna corporazione. Non andrebbe sottovalutato quindi il fatto che Gilberto di Roberto de Rocis de Ybernia fu aggredito da Adam de Schotia in una bottega nella quale viveva e lavorava lo stationarius Rinaldus de Ybernia o che gli scriptores Bartolomeus d'Inghilterra e Stefano di Horstonhon compirono insieme l'aggressione ai danni del loro connazionale.

Accanto ai copisti e agli studenti-copisti, compaiono anche i nomi di quattro

stationarii provenienti dalle isole britanniche, tra i pochi rappresentanti di

questa potente categoria professionale ricordati nei documenti notarili tra il 1265 e il 1330. Purtroppo, ancora una volta, Bologna risulta quasi un caso isolato, poiché dagli statuti universitari degli altri centri in cui è documentata l'attività degli stazionari, ossia Vercelli, Cremona, Treviso e soprattutto Padova dove il Comune si impegnò nel 1261 a stipendiare stazionari per venire incontro alle necessità di studenti e professori344

, non si ricava alcuna indicazione che possa far pensare a un'altrettanto importante presenza di

stationarii di origine inglese.

Lo stacionarius librorum era la figura cardine delle attività commerciali del settore librario: era un compratore, un venditore (almeno fino al 1317), e un vero capo bottega che avviava personali imprese editoriali e che svolgeva il fondamentale ruolo di mettere a disposizione le pecie e lo scriptor a chi ne facesse richiesta345. Nella normativa statutaria si distingueva tra stacionarii librorum e stacionarii peciarum, equivalenti rispettivamente agli stacionarii

che vendevano libri e noleggiavano exemplaria e agli stacionarii ai quali era consentito esclusivamente di prestare peciae. Allo stacionarius librorum, poi,

344 L. Gargan, Libri, biblioteche nelle università italiane nel Due e Trecento, in Luoghi e metodi d'insegnamento nell'Italia medievale, Atti del Convegno internazionale di studi (Lecce-Otranto 6-8 ottobre 1987), cur. L. Gargan- O. Limone, Galatina 1989, pp. 219-246: 224. Per Padova, si veda ad esempio A. Gloria, Monumenti della Università di Padova: (1222-1318), Bologna 1972; ID., Monumenti della Università di Padova: (1318-1405), Bologna 1972.

345

M. Bohàcek, Nuova fonte per la storia degli stazionari bolognesi, «Studia Gratiana» 9 (1966), pp. 409-460: 439-460.

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era consentito di svolgere anche l'attività di stacionarius peciarum, ma non viceversa. Con il progredire della normativa in materia di contratti di scrittura e di vendita dei libri, si giunse nel 1317 a proibire, da statuto, allo

stacionarius librorum di acquistare qualsiasi libro causa mercimonii346, limitandone così l'attività alla pur lucrosa intermediazione tra compratori e venditori347.

Se per la piazza parigina, le fonti che si rivelano più prodighe di informazioni sugli stationarii e sui librarii sono le liste di tassazione e i superstiti giuramenti prestati all'università (o, di contro, le "liste nere" di quanti si erano rifiutati di sottomettersi al controllo delle autorità universitarie)348, i dati riguardanti gli stationarii di origine inglese a Bologna sono da ricercare negli estimi, nei quali talvolta il notaio faceva menzione della professione del contribuente, e nelle venticinquine fatte redigere dal Comune e conservatesi sporadicamente per gli anni compresi tra il 1247 e il 1404. Con il termine

venticinquina indicava originariamente l'unità tattica di base in cui si

strutturava la fanteria comunale e passò in seguito a indicare l'elenco dei cittadini maschi, di età compresa trai 18 e i 70 anni, che appartenevano a una determinata parrocchia e che potevano essere chiamati alle armi. Le venticinquine avevano nel tempo sostituito le società delle armi e le società della arti, l'iscrizione alle quali costituiva uno dei requisiti indispensabili per partecipare alla vita politica; finirono così con l'iscriversi alle società armate quanti ai quali gli statuti comunali facevano espressamente divieto di formare una propria corporazione: così fecero gli addetti ai trasporti e al

346 Denifle, Die Statuten der Juristen cit., p: 293; R. Greci, Tra economia e cultura: il commercio librario nel Trecento, in R. Greci, Mercanti, politica e cultura nella societa' bolognese del basso medioevo, Bologna 2004, pp. 76- 131.

347

Già negli statuti datati al 1274-1276 e nuovamente in quelli del 1317, vengono attentamente precisati i compensi spettanti agli stazionari per questa attività, direttamente proporzionali al costo dei libri oggetto delle transazioni.; v. Greci, Tra economia e cultura, cit., p. 119.

348

M. A. Rouse-R. Rouse, The Book Trade at the University of Paris, in Authentic Witness. Approaches to Medieval texts and Manuscripts, Notre Dame 1991, pp. 258-338.

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vettovagliamento e coloro in vario modo legati alla vita dello studium cittadino e alla produzione del libro349. Le norme statutarie prevedevano che gli scolari cittadini e i magistri legum, pur dovendosi iscrivere nelle liste di leva, fossero esentati dal prestare servizio militare350. D'altra parte, in base a quanto si evince da alcune venticinquine, gli studenti e i magistri legum non erano i soli ai quali era consentito di scampare il servizio militare, ma condividevano questo privilegio con tutto il personale dello studium, ivi compresi gli stazionari, per i quali rimaneva valido l'obbligo di iscrizione alle liste di leva351. È questo il caso di magister Henricus de Anglia, il cui nome venne trascritto nel registro di leva della Parrocchia di San Iacopo dei Carbonesi del 1334 per poi essere cancellato in quanto egli era studente e svolgeva l'attività di stacionarius352. Nelle venticinquine trecentesche il numero di forestieri è piuttosto contenuto, il che, in parte, è coerente con l'andamento generale della popolazione nella città, che viveva in quegli anni una contrazione demografica e una sensibile crisi economica, ma soprattutto riflette le disposizioni contenute negli Statuti comunali che prevedevano l'obbligo di registrazione nelle venticinquine solo per i forestieri residenti continuativamente in città da più di due anni353. Quegli stationarii inglesi registrati nelle venticinquine quindi si erano trasferiti in città stabilmente, o almeno per diversi anni, e alcuni di loro, come accadeva tra i professionisti cittadini, avevano ereditato il mestiere dal proprio padre. Ecco che nelle liste del 1323 compare il nome di Andreucius de Ybernia, inglese di seconda generazione, figlio di quel Raynaldus Riçardi de Ybernia (1286-1324ca.) che, in base a un documento del 1310, prestat pecias et vendit libros, noleggia

349 A. I. Pini, L'associazionismo medievale: comuni e corporazioni, Bologna 1974, p. 13. 350

A. I. Pini, Una fonte per la demografia storica medievale: le venticinquine bolognesi (1247-1404), in ID., Città medievali e demografia storica. Bologna, Romagna, Italia (secc. XIII-XV), Bologna 1996 (Biblioteca di storia urbana medievale, 10), pp. 37-103: 60-61. 351 Ibid., p. 67.

352

Soetermeer, Utrumque ius in peciis cit., pp. 367-368. 353 Pini, Una fonte per la demografia cit., p. 61.

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exemplaria e svolge attività di venditore di libri quindi, in una bottega

giuridica nella parrocchia di Sant'Andrea degli Ansaldi, in società con il bidello Iacopo di Leone da Cardono354. Nel 1324 Andreucius venne menzionato nelle liste delle venticinquine con la qualifica di stationarius

librorum nella parrocchia di Sant'Andrea degli Ansaldi, probabilmente la

stessa dove lavorava il padre, e appare residente stabilmente a Bologna dato che, dopo il 1324, compare nelle liste del 1328, del 1330, del 1334, del 1342 e del 1354 e nel 1361 esercitava ancora la professione di stationarius

librorum355. Robertus de Anglea scriptor, anch'egli probabilmente inglese, viene registrato nella parrocchia di San Procolo356; Riçardus di Iohannis de Anglia, compare nel censimento del 1329-1330 come stationarius librorum e nei registri di leva della parrocchia Sant'Andrea degli Ansaldi del 1330 e del 1334, come stationarius357

. Suo cognato, Gualterius, figlio di Pietro Efficax Anglicus, accusato nel 1320 dell'omicidio di Monte di Neri miniator358

, era anch'egli uno stationarius peciarum e teneva una bottega giuridica, nella parrocchia di San Iacopo dei Carbonesi359

. I due probabilmente non erano legati esclusivamente da un vincolo familiare e l'impegno preso da Riçardus a

354

Rainaldus viene menzionato incidentalmente in un documento relativo a una rissa che coinvolse Gilberto q. Roberto de Rocis de Ybernia e Adamo de Schotia scriptorem, vd. Zaccagnini, La vita dei maestri cit., pp. 56; 126; 157; Filippini-Zucchini, Miniatori e pittori cit, p. 1; Soetermeer, Utrumque ius cit., pp. 86-89.

355

ASB, Venticinquine, Busta 7, reg. 8; Busta 8; Busta 16, reg. 6 e 8; Andreucius è citato anche da G. Livi, Dante a Bologna, Nuovi Studi e documenti, Bologna 1921, pp. 75-76; Orlandelli, Il libro cit., nrr.. 68, 115, 183, 188, 193, 194, 327, 331; Soetermeer, A propos cit., 430 ; Id., Utrumque ius cit., pp. 86-87.

356

ASB, Venticinquine, Busta 16, reg 13; Murano, Copisti a Bologna cit., p. 55.

357 Orlandelli, Il libro cit., nr. 263: Livi, Dante a Bologna cit., p. 76; Soetermeer, A propos d'une famille cit., p. 430; Id., Utrumque ius cit., p. 373.

358 Francesco Filippini ha proposto di identificarlo con il Mons de Bononia che si firma nella parete del transetto settentrionale del duomo di Trente, affrescata con storie di s. Giuliano, v. F. Filippini, Gli affreschi di Monte da Bologna nel Duomo di Trente, «Atti e Memorie della Regia Deputazione di storia Patria per l'Emilia e la Romagna», 5 (1939-1940), pp. 189-203: 189-191.

359

Zaccagnini, La vita dei maestri cit., pp. 57-58, 164-165 (in cui viene scambiato per uno studente); Soetermeer, A propos cit., p. 430.

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consegnare a un certo Fulchus de Pacibus360 1800 pecie361 «secundum formam compositionis Gualterii de Anglia»362 può essere interpretato come il segno di una collaborazione di tipo professionale. Da alcune delle 1800 pecie che Riçardus promise di trasferire a Fulchus, fu copiato il testo del Liber Sextus