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1. Lingue dei Segni e linguaggio: approcci teorici e direzioni della ricerca attuale

1.4. Per una semiotica sincretica dell’enunciazione vocale e segnata

1.4.1. I gesture studies

Se nelle pagine precedenti si è esplicitato come nelle lingue dei Segni sia presente un‘importante componente orale la quale svolge una funzione diversificata nei diversi livelli dell‘organizzazione linguistica, altre ricerche hanno parallelamente messo a fuoco la componente visiva delle lingue vocali. Il parlato, infatti, co-occorre sempre con altre tipologie di informazioni che, letteralmente, fanno l‘enunciazione linguistica, a partire dall‘insieme di quelle che sono state definite da visible bodily actions (KENDON 2004a): atti comunicativi gestuali dal carattere intenzionale, realizzati in un ―virtual word‖ (KENDON 2014), uno spazio di rappresentazione simbolico nel quale compiamo azioni, spostiamo oggetti, tracciamo diagrammi.

Questi studi sono stati in qualche modo inaugurati da McNeill (1985) con il famoso articolo So you think gestures are non-verbal nel quale ciò che viene messo in questione è, appunto, il carattere non verbale dei gesti, tradizionalmente concepiti come realizzazioni spontanee e inconsce, manchevoli, oltretutto, di un fondamentale tratto della lingua parlata, il suo poter essere trasposta in scrittura: «we tend to consider linguistic what we can write down, and

non-linguistic, everything else; but this division is […] an arbitrary limitation derived from a

particular historical evolution» (Ivi: 350). Lo studio, che non si concentra su quelli che erano già stati chiamati emblemi, vale a dire gesti che possono essere enunciati separatamente al parlato e che appartengono a un preciso codice sociale (EKMAN & FRIESEN 1969, MORRIS et al. 1979, KENDON 1981), analizza specificatamente i co-speech gestures, occorrenze non interpretabili in assenza del parlato. McNeill fa vedere come esse si caratterizzino per essere semanticamente e pragmaticamente legate al contenuto espresso oralmente appartenendo al medesimo processo cognitivo presupposto dall‘enunciazione e veicolando il significato delle parole che accompagnano in modalità non separate, ma come componenti di un processo integrato46.

46 Più in particolare, nei lavori successivi Mc Neill (1992, 2000, 2005) individuerà tre momenti

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Adam Kendon (2004a) riprenderà questa fondamentale idea di un‘intrinseca unità gesto/parola alla base del flusso del discorso orale, ampliando però il suo interesse a una gamma più ampia di modalità gestuali e, così facendo, contribuendo a intaccare la persistente immagine delle produzioni gestuali come improvvisazioni idiosincratiche47. La tesi dell‘autore è che i gesti intervengano, in diversi modi, all‘interno dell‘enunciazione linguistica e che soprattutto lo facciano «not as an auxiliary or an add-on, but as an integral part of how the utterance was constructed in that occasion of speaking» (KENDON 2014: 4). La tesi di questi autori è, cioè, che i gesti siano parte di ciò che viene prodotto, non solo un ausilio alla produzione propriamente verbale. Queste posizioni si differenziano dunque da altre che si sono ad esempio interrogate su come la gestualità co-verbale possa favorire la realizzazione vocale, sostenendo che aiuti lo

speaker a trovare le parole, a organizzare il discorso o a realizzare compiti mnemonici

(GOLDIN-MEADOW 2003), quindi su un generale ruolo cognitivo dei gesti (KIRSH 2011). Ciò che invece viene messa a fuoco è, specificatamente, la loro funzione linguistica: il sistema gestuale non viene analizzato come mero supporto a quello vocale poiché parola e gesto, connessi semanticamente e temporalmente, costituiscono delle ―multimodal meaning units‖ (KENDON 2008: 358), unità appartenenti allo stesso sistema comunicativo, coincidendo con due componenti che si interfacciano significativamente durante l‘enunciazione linguistica.

Questo preciso aspetto può essere presentato con un esempio dello stesso autore, riportato attraverso il disegno ricavato dal video di un signore che parla alla moglie e a un amico: l‘argomento è il formaggio che suo padre vendeva nella drogheria di famiglia.

intermedia coincida sempre, a livello temporale, con il momento dell‘enunciazione orale rispetto al quale ha una funzione significativa.

47 Si noti come tali prospettive si oppongano nettamente a quella proposta da Chomsky per il quale sebbene

sia possibile individuare collegamenti diretti tra gesti umani e comunicazione animale, il linguaggio umano è basato su principi completamente separati da essi (CHOMSKY 1972). Questi studi hanno invece indagato, contro una concezione modulare, come i gesti siano perfettamente interfacciati con la dimensione linguistica. Si veda a tal proposito anche KITA & OZYUREK 2003, PERNISS et al. 2015.

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(KENDON 2014)

Come sperimentato da Kendon con un gruppo di studenti, quando osservati in assenza del parlato questi gesti vengono interpretati come movimenti volontari descriventi la forma e la grandezza di qualcosa senza riuscire a carpirne l‘effettivo rimando. Se osservati, invece, nella loro normale condizione di realizzazione, quindi insieme al parlato, il significato e il ruolo di tali occorrenze diviene molto più chiaro, esplicitando come «soltanto analizzando il gesto in rapporto con il parlato è possibile analizzarne le funzioni, e attraverso un approccio multidimensionale è possibile descriverne il carico semiotico» (FONTANA 2009: 186-187).

Mediante questo ―approccio multidimensionale‖ è possibile notare non solo come il gesto co-occorra con la porzione esatta dell‘enunciazione vocale che va a esplicitare48, ma come la completi attuando un‘articolazione visiva della descrizione che la componente orale del messaggio non potrebbe mai realizzare con la stessa precisione: «In his words, thus, he talks about the length of the crates, and he describes the sort of shape they had, whereas his hand actions are now seen as showing the length and the shape» (KENDON 2014: 15). Si fa dunque riferimento a una fondamentale integrazione tra due tipologie di atti che, insieme, costituiscono quello linguistico, arrivando quindi a una visione molto vicina alla compresenza di un dire e un

mostrare che era stata evidenziata da Cuxac in quelle segnate: le azioni manuali hanno una loro

48 I gesti rappresentati nelle figure b e c vengono ad esempio articolati in un preciso momento della catena

enunciativa vocale che permette all‘enunciatario di capire che essi significano, in particolare, i contenitori e non il formaggio stesso.

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semantica la quale in qualche modo collabora con quella vocale accompagnando l‘atto del parlare e costituendo, assieme a esso, l‘enunciazione verbale vera e propria. È sulla base di considerazioni come queste che si propone una concezione interattiva e complessa della costruzione del significato, perché come accade nel caso considerato «the total meaning of what he is now saying is a product of an interaction between the meanings of his verbal phrases and the manually sketched illustrations that go with them» (Ibidem).

Più in generale, le ricerche di questo autore hanno rilevato un‘ampia varietà di funzioni semiotiche dei gesti, le quali dipendono da molteplici fattori tra i quali le circostanze dell‘uso e gli obiettivi della situazione comunicativa, che si riportano qui in un utile riassunto rielaborato da Kendon in un suo contributo successivo. I gesti, sintetizza,

«[…] veicolano la referenza deittica (vale a dire, ci indicano le cose); offrono immagini che aggiungono, rispetto a ciò di cui si sta parlando, rappresentazioni a carattere pantomimico o illustrativo – indipendentemente dal fatto che siano relative ad azioni e oggetti concreti, o ad azioni e oggetti utilizzate come metafore per concetti astratti […]. Molto frequentemente, esprimono la natura stessa dell‘atto linguistico in cui l‘enunciatore è impegnato, essendo inoltre anche strumenti atti a dare enfasi a qualcosa, fornendo una realizzazione cinesica dell‘organizzazione strutturale del discorso […]. Vi sono espressioni che hanno la funzione di menzione, quindi che svolgono lo stesso ruolo dei nomi co-occorrendo spesso, infatti, con le entrate lessicali vocali – un aspetto che sembra più frequente o manifesto in alcune culture (come, ad esempio, quella napoletana) che in altre […]. Vi sono anche strumenti gestuali atti a svolgere vere e proprie funzioni sintattiche, come quella di marcare gli elementi grammaticali subordinati o i contrasti topic-comment […]» (KENDON 2012: 314-315, traduzione mia)49.

Alla luce di questi aspetti, con il suo lavoro Kendon intende esplicitare come il termine ―gesture‖ sia non solo vago, usato cioè per coprire una gamma di fenomeni in realtà differenziati, ma sia in qualche modo dannoso per la ricerca, portando con sé la connotazione negativa di una modalità di comunicazione a statuto inferiore: questa ha impedito che fosse attribuita seria attenzione accademica a questo oggetto di studio, conducendo allo stesso tempo i primi studi sulle lingue segnate a preoccuparsi, prima di ogni altra cosa, di salvare questi sistemi da qualsiasi confusione con le realizzazione gestuali. Proprio per questi motivi la proposta terminologica dell‘autore è quella di riferirsi a ―visible bodily actions in utterance”, intese come azioni

49 Testo originale: «[…] give deictic reference (that is, they point to things); they serve to provide pictures

or illustrations that add pictorial or pantomimic representations of what is being talked about, whether these be concrete objects or actions or objects or actions being used as metaphors for abstract concepts […]. Very commonly, they are used in expressing the nature of the speech act a speaker is engaged in, and also as punctuating or parsing devices, providing a kinesic exhibit of the structural organization of the speaker‘s discourse […]. There are expressions that have noun-like or naming functions, which may be used in coincidence with spoken lexical – something that seems more common or conspicuous in some cultures (as in Naples) than in others […]. There are also devices that serve syntactic functions, such as marking grammatical subordination and topic-comment contrasts […]» (KENDON 2012: 314-315).

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utilizzate nelle produzioni enunciative, atti realizzati tra i partecipanti di un‘interazione comunicativa.

Questo termine serve per sottolineare come il dominio qui osservato sia quello degli atti

linguistici, in relazione ai quali si rivela la fondamentale coerenza tra l‘azione della mano e la co-

occorrente azione vocale, la quale porta a una più generale «rivalutazione del concetto saussuriano di piano sintagmatico» (FONTANA 2009: 132): essa intacca la linearità del piano espressivo vocale mostrando come di volta in volta venga aggiunto qualcosa di diverso, in una differente modalità, rispetto a ciò che viene ‗detto‘: «―Language‖ or perhaps it would be better to say the components of utterances, must be regarded as being semiotically heterogenous» (KENDON 2012: 313). Nel momento in cui si considera il linguaggio come qualcosa che si fa, le lingue parlate si basano tanto su una modalità enunciativa acustico-vocale che visivo-gestuale che va pertanto inclusa in ciò che definiamo ‗linguistico‘, che occorre cioè per l‘autore contemplare nel descrivere il funzionamento delle lingue di cui facciamo uso:

«[…] se ci si rivolge al ‗linguaggio‘ come qualcosa in cui i soggetti sono impegnati, quancosa che fanno, considerando le modalità con le unità degli atti enunciativi sono costruite, allora le risorse delle visible action usate sia dai parlanti che dai segnanti devono essere considerate come parte del linguaggio stesso e incluse nel dominio della ‗linguistica‘» (KENDON 2014: 18, traduzione mia)50

.

Il termine è cioè utilizzato, allo stesso tempo, anche per palesare la continuità tra gesti e segni, vale a dire per esplicitare come i medesimi atti manuali, esclusi nell‘approccio tradizionale dagli elementi propriamente linguistici per quanto riguarda le lingue vocali, siano parte integrante del sistema espressivo linguistico segnato e, per mezzo della modalità del loro utilizzo, assumano in esso un carattere socialmente stabilizzato, codificato e sistematico: «Sign languages emerge as one kind of manifestation of utterance visible action use [...] » (KENDON 2012: 315).

I cosiddetti gesture studies, qui brevemente presentati, non solo non vedono le lingue dei Segni come, in qualche modo, 'devianti' rispetto a un modello di lingua verbale coincidente con quella vocale ma, considerando gli articolatori visivi come parte integrante del messaggio

50 Testo originale: «[…] if we approach ‗language‘ as something that people engage in, something that they

do, and consider how units of language action or utterances are constructed, then the resources of visible action as used by speakers, as well as used by signers, must be considered as a part of it, and from this point view they may be included in the purview of ‗linguistics‘». Si aggiunge come la mancanza di questo tipo di proposte forse stia nel porre questa equazione tra sistema-lingua e staticità, contrapponendo alla proposta di considerare il linguaggio come qualcosa che ‗si fa‘ concretamente, nella situazione enunciativa, l‘idea di una ―abstract, quasi-static social institution‖ (KENDON 2014). Basta pensare al modello enciclopedico proposto da Eco per controbilanciare questa concezione.

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linguistico, contribuiscono a spingere la ricerca verso un‘estensione della nozione stessa di lingua, descrivendola più in particolare come un vero e proprio ―sistema di sistemi‖ (RUSSO 2004). Traendo le proprie premesse esattamente da questa concezione multimodale e multisensoriale del linguaggio verbale e degli usi linguistici, alcuni recenti lavori interessati a indagare il ruolo e la presenza dell‘iconicità nel linguaggio ne hanno approfondito il ruolo e la presenza anche nelle lingue vocali.

1.4.2. “What if”: una proposta sul ruolo dell'iconicità nel linguaggio

Con un atteggiamento teorico molto simile a quello di Kendon, Pamela Perniss, Gabriella Vigliocco e David Vinson si chiedono se la nostra stessa concezione del linguaggio umano sarebbe stata diversa avendo iniziato a studiarlo a partire dai Segni dei sordi invece che dalle parole degli udenti. Gli autori rispondono a questa fondamentale domanda, insistentemente posta nel loro articolo «What if the study of language had started from signed language rather than spoken language?» (PERNISS et al. 2014: 1-2), descrivendo il modo in cui il loro percorso di studi sia arrivato a concepire le lingue storico-naturali come un fenomeno inerentemente

multimodale, considerando, inoltre, l‘iconicità come proprietà che, accanto all‘arbitrarietà, svolge

un ruolo essenziale nell‘evoluzione, nell‘apprendimento e nell‘elaborazione linguistica.

Indagando empiricamente i modi mediante i quali il linguaggio viene prodotto e appreso, grazie cioè a un‘interazione faccia-a-faccia, queste ricerche hanno sempre più esplicitato la problematicità di separarne lo studio sia dalla dimensione contestuale che imprescindibilmente lo accompagna, sia da tutti gli altri sistemi che coesistono con esso. In tal senso, il linguaggio viene descritto in questi studi come qualcosa di inerentemente calato negli atti comunicativi che lo realizzano, all‘interno dei quali la costruzione del senso è realizzata attraverso una molteplicità di sistemi semiotici diversi: esso utilizza, anche nel caso delle lingue parlate, canali comunicativi simultanei sia vocali che visivi come le modulazioni prosodiche, le espressioni del viso, i movimenti del corpo e i gesti, molto spesso dotati di un carattere iconico e raffigurativo. Come si vede, queste due dimensioni messe in luce dalla ricerca sono strettamente interconnesse: è sulla base di una prospettiva che, osservando le condizioni concrete della situazione enunciativa linguistica, comprende nelle sue descrizioni «the whole package of spoken language communication» (PERNISS et al. 2017), che la visione tradizionale di una decisiva minor

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presenza di strumenti iconici nei sistemi vocali risulta sostanzialmente questionabile (PERNISS & VIGLIOCCO 2014).

Partendo da questa impostazione, Perniss e Vigliocco (2014) si pongono infatti in un atteggiamento critico rispetto a quelle posizioni che vedono l‘iconicità delle lingue segnate come un ―modality effect‖ unicamente causato da una deprivazione sensoriale e dal conseguente adattamento dei soggetti sordi. Questa caratteristica non può essere concepita come un''imperfezione' del sistema segnato, un fattore che in qualche modo degrada la sua linguisticità: essa viene piuttosto descritta come una tendenza che il linguaggio umano realizza accanto all'arbitrarietà, coincidendo con uno strumento espressivo che esso ha a disposizione e che viene anzi parzialmente inibito nella modalità orale – ciò a partire dal fatto che, come si osserverà meglio, il canale visivo di ricezione ed elaborazione dei messaggi nelle lingue segnate coincide con «lo stesso canale in cui viene veicolata gran parte dell'informazione contestuale in cui siamo immersi […]» (PIZZUTO 2002: 78) – giocando tuttavia un ruolo anche in quest'ultima.

La tesi esposta in questi lavori è che se si immettono nell‘orizzonte di ricerca le lingue segnate e si considerano inoltre le caratteristiche delle lingue non indo-europee51

– alla luce, come si è detto, di un più generale approccio che guarda alla molteplicità di strumenti semiosici utilizzati nella concretezza degli scambi comunicativi – è possibile riscontrare una presenza significativa di fenomeni iconici. La particolare proposta delle autrici, che si andrà a sviluppare nella sezione finale della seconda parte del lavoro, è che questa presenza possa essere spiegata suggerendo come essi offrano degli specifici vantaggi agli utenti delle lingue, giocando un ruolo fondamentale in «three fundamental features of human language», vale a dire: «the capacity for

displacement during human evolution, the capacity to establish referentiality during language

acquisition and the embodiment of adult language processing» (PERNISS & VIGLIOCCO 2014: 10).

Come si vedrà, sostenendo che i significati linguistici sono strettamente legati a esperienze percettive e agentive, le teorie embodied hanno indagato, negli ultimi decenni, le modalità attraverso le quali la comprensione linguistica di un certo contenuto implichi una simulazione senso-motoria (BARSALOU 1999, 2003), un rimettere in atto, da parte del nostro sistema nervoso, un‘esperienza passata e vissuta a esso strettamente collegata. In tal senso,

51 Se nelle lingue indo-europee elementi iconici come le espressioni onomatopeiche non costituiscono una

componente rilevante del lessico, altri sistemi linguistici come il giapponese e alcune lingue africane mostrano una presenza nettamente maggiore di questi fenomeni (KITA 1997).

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l‘iconicità linguistica fornirebbe, per Vigliocco e colleghi, uno strumento per la iniziale creazione di questa connessione, offrendo quindi una possibile spiegazione del perché del coinvolgimento stesso del sistema senso-motorio nel linguaggio: la rappresentazione iconica esplicita infatti, sul piano dell'espressione, le caratteristiche percettive di qualcosa o i modi in cui agiamo rispetto a essa. Ci occuperemo di queste tematiche in modo più dettagliato nella seconda parte, considerando in particolare queste ricerche sul ruolo dell‘iconicità nell‘apprendimento linguistico come approcci che fanno implicitamente riferimento al segno iconico come strumento conoscitivo.

Si andrà ora a considerare il modo in cui gli studi sull'iconicità dei sistemi segnati abbiano contribuito a sviluppare una concezione embodied del linguaggio, cercando di esplicitare le modalità in cui le ultimissime ricerche abbiano giustamente tentato di complessificare, allo stesso tempo, sia questa generale concezione, sia lo sguardo diretto su queste lingue, costituendo una prospettiva più articolata dei rapporti tra linguaggio ed esperienza che si svilupperà approfonditamente. Una delle critiche o obiezioni che possono essere difatti rivolte all'approccio di Vigliocco e colleghi, considerata dagli stessi autori come motivata, riguarda il fatto che, sebbene nell'evoluzione filogenetica e ontogenetica del linguaggio l'iconicità possa aver avuto un ruolo funzionale allo sviluppo di fondamentali capacità cognitive e rappresentazionali, «once this was initiated, the human ability to abstract from sensori-motor experience (hence to master arbitrary systems) took over and led the way to the development of our sophisticated linguistic system» (PERNISS & VIGLIOCCO 2014: 9). Come si vedrà, qualcosa di molto simile viene suggerito anche da altri studiosi che, occupandosi della stretta connessione tra la dimensione senso-motoria e quella linguistica, hanno insistito sul fatto che il possibile ruolo svolto dalla prima nell'edificazione della seconda non debba portare a schiacciare quest‘ultima e la complessità dei processi espressivi e semantici che la caratterizzano (ARBIB et al. 2014). La proposta di Vigliocco, pur considerando questo aspetto, punta tuttavia a una generale riconsiderazione del ruolo dell‘iconicità linguistica a diversi livelli e su differenti piani, partendo dal fatto che la realizzazione stessa, a livello evolutivo, di quei passaggi, la rende qualcosa di molto diverso da un fenomeno marginale.

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