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1. Lingue dei Segni e linguaggio: approcci teorici e direzioni della ricerca attuale

1.2. Gli sviluppi degli studi linguistici

1.2.2. Il movimento e l'uso dello spazio

Nel suo studio sulla fonologia della LIS, Luigi Lerose (2011) individua tre principali funzioni espressive del moto compiuto dalle mani dei segnanti:

i) arbitraria, la quale può essere chiarita offrendo come esempio il Segno MAMMA, nel quale non si rilevano collegamenti tra il moto tracciato dagli articolatori nella realizzazione dell‘occorrenza e il contenuto che essa veicola:

49 (https://www.spreadthesign.com)

ii) descrittiva, la quale corrisponde a quella che Taub (2001) rileva nell‘ASL come ―path-

for-shape iconicity‖, da lei illustrata attraverso l‘esempio del Segno DEGREE che può essere

affiancato dall‘entrata lessicale italiana ELEFANTE. In questi casi, infatti, il contenuto viene raffigurato mediante lo spostamento delle mani nello spazio segnico le quali costituiscono un tracciato che rimanda, da un lato, alla proboscide dell‘animale e, dall‘altro, alla forma di un diploma:

(TAUB 2001)

(https://www.spreadthesign.com)

iii) predicativa, collegata «alla maniera e/o all‘azione effettuata realmente» (LEROSE 2011: 47). Il termine scelto dal ricercatore può portare a un certo grado di confusione poiché anche nella tipologia precedente il movimento degli articolatori manuali svolge una funzione predicativa: tracciando un percorso nello spazio segnico esso può essere utilizzato per predicare

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qualcosa dell‘entità menzionata descrivendone determinate proprietà, come ad esempio la forma o la lunghezza. Attraverso questa terza tipologia, però, il movimento delle mani del segnante descrive specificatamente un evento o meglio un‟azione compiuta compiuta dall‘oggetto o su di esso realizzata. Rispetto a questo caso è difatti possibile distinguere analiticamente due possibilità basilari, sulle quali si tornerà meglio in seguito: il movimento degli articolatori può rappresentare, da un lato, il movimento proprio della manipolazione su di un oggetto, come nel caso dell‘uso del classificatore Handling nell‘esempio di Mazzoni (2008) prima riportato o, dall‘altro lato, può tracciare un percorso che descrive l‘azione compiuta dall‘oggetto esplicitando, ad esempio, la direzione o la maniera del suo muoversi. In quest‘ultimo caso verrà più plausibilmente usato un

entity classifier, come ad esempio nella descrizione del moto di una macchina, solitamente

realizzata attraverso la configurazione 3 o B, atte a rappresentare la classe dei veicoli di terra, o il volo di un aereo, rappresentato attraverso il classificatore Y.

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(VALLI & LUCAS 2000)

Ogni variazione del movimento in questa terza tipologia è non solo possibile ma, soprattutto, significativa, una peculiarità che viene utilizzata dai segnanti per realizzare le modificazioni aspettuali dei verbi e articolare avverbi, aiutandoli inoltre ad attuare descrizioni di eventi di moto dal carattere particolareggiato e olistico. In quella ora presentata il movimento del veicolo potrebbe essere predicato mostrandone, ad esempio, la minore o maggiore velocità o un suo percorso rettilineo invece che curvo. Un esempio di Geraci (2009) è funzionale a chiarire esattamente questa peculiarità: nella descrizione dell‘evento ―Un aereoplano vola da Roma a Milano‖, realizzato attraverso l‘osservanza di precise regole sintattiche che portano a enunciare prima i Segni ROMA e MILANO aggiungendo poi l‘appropriato classificatore per il veicolo in questione. Una turbolenza potrebbe colpirlo in diversi punti, ad esempio all‘inizio, a metà e alla fine del viaggio:

(GERACI 2009)

Come si vede, ogni possibilità può essere rappresentata in LIS attraverso l‘appropriata modificazione del movimento del classificatore:

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Come sottolinea l‘autore, le variazioni possibili non sono solo le tre riportate poiché il segnante, modulando il moto della mano, potrebbe arrivare a indicare molto più finemente la durata e l‘intensità dell‘alterazione nel volo dell‘aereo: in questo senso, i differenti movimenti considerati creano un numero infinito di coppie minime le quali non possono plausibilmente far parte di un repertorio fonologico limitato della lingua così come esso è da sempre stato concepito dalla ricerca linguistica, un aspetto che rimane valido per le lingue dei Segni escludendo questi predicati classificatori. Nei casi considerati, cioè, la realizzazione graduale di cambiamenti sul piano dell‘espressione comporta corrispondenti e altrettante modificazioni sul piano del contenuto: la domanda che molti studiosi si sono posti è se si possa parlare di componenti effettivamente linguistiche in riferimento alle tipologie di moto degli articolatori e alle loro relative localizzazioni nello spazio in virtù del loro variare infinitamente.

Come si è visto, gli studi di Emmorey si sono interessati esattamente a questi aspetti: in un‘altra sua ricerca interessata a indagare le caratteristiche delle costruzioni classificatorie (EMMOREY & HERZIG 2003) si evidenzia come mentre il cambiamento da una configurazione all‘altra venga giudicato dai segnanti come discreto – vale a dire i segnanti non sembrano percepire la variazione da una configurazione manuale a un'altra come un continuo corrispondere alla variazione di ciò che viene descritto – le modificazioni di luogo, quindi le differenze, anche se minime, nella localizzazione del classificatore che veniva utilizzato nello spazio segnico sono giudicate come significative: il movimento – e, relativamente ad esso, il punto in cui l'occorrenza è articolata – presenta una ―proprietà di gradiente‖. È a partire da questo aspetto che Emmorey propende per un uso dello spazio il quale, sebbene vincolato da costrizioni linguistiche, è ―gestural, rather than morphemic‖ (Ivi: 244).

Più in generale, le analisi che si sono concentrate sulle similarità e le differenze tra lingue vocali e lingue segnate nella rappresentazione linguistica dello spazio (TALMY 2003, EMMOREY et al. 2000, PETITTA 2010) hanno esplicitato come, al di là di alcuni aspetti che accomunano le due modalità, nel sistema vocale la descrizione di eventi di moto e locazione è affidata a un numero limitato di strutture morfologiche fisse, come preposizioni o affissi: «per esempio, in italiano non ci sono forme diverse della parola ―china‖ per indicare una china di 45 gradi, una china di 46 gradi, una china di 47 gradi, e così via (benché, come si vede, è possibile usare espressioni complesse per trasmettere queste informazioni relative alla pendenza)» (CECCHETTO & ZUCCHI 2006: 364). Non essendo presenti elementi per esprimere variazioni continue esse articolano una variabilità di eventi possibili minore rispetto alle lingue segnate,

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nelle quali invece «such spatial information is depicted by where the hands are placed» (EMMOREY & HERZIG 2003: 244): non c‘è, nei sistemi segnati, l‘uso di preposizioni e ogni differenza espressiva è significativa a fini descrittivi, alla luce di una «mappatura schematica e isomorfa tra la locazione delle mani nello spazio segnico e la locazione dell‘oggetto descritto» (CUCCIO & FONTANA 2011: 136).

Una riflessione di Liddell (2002) sempre relativa all‘uso dello spazio fa riferimento a questi elementi come difficilmente analizzabili in termini linguistici: ogni traiettoria realizzata dalle mani, così come ogni direzione indicata, possono essere modificati infinitamente comportando ogni volta una variazione di significato, per quanto minima. La proposta dell‘autore è quella di interpretare questi fenomeni, in particolare la direzionalità, come strategie di

riferimento a entità che vengono rese presenti attraverso il puntare verso un punto dello spazio

segnico come se essa fosse materialmente presente, oppure renderla tale mediante l‘uso di un classificatore atto a rappresentarla. Come è stato notato (EMMOREY & HERZIG 2003), il dibattito sui questi specifici fenomeni ha dato luogo a due fondamentali atteggiamenti delle ricerche linguistiche: se da un lato, alcuni autori hanno sottolineato le regolarità e il comportamento morfologico dei predicati classificatori (SUPALLA 1978, 1982, NEWPORT 1982), altri, tra i quali Liddell, hanno iniziato a descriverli come delle ‗forme miste‘ composte da una componente linguistica e una extra-linguistica, più specificatamente gestuale. In virtù di questa impostazione, l‘approccio dell‘autore si caratterizza, in particolare, per una lettura prettamente ―pronominale e referenziale‖ (FONTANA 2009: 139) di questi elementi del lessico dei sistemi segnati, offrendo un modello piuttosto riduttivo rispetto alle molteplici funzioni e capacità espressive delle costruzioni classificatorie che invece altri modelli, come quello di Cuxac che si presenterà a breve, tentano di esplicitare.

Una proposta simile a quella dell‘autore americano e, più in generale, vicina alle riflessioni ora presentate, è stata articolata da Carlo Cecchetto e Sandro Zucchi (2006). Gli autori descrivono i predicati classificatori come composti da due componenti: le configurazioni manuali, che rientrano nel repertorio fonologico della lingua avendo un carattere discreto e propriamente linguistico, e il movimento, dotato invece delle proprietà che si sono esplicitate. Chiedendosi come sia possibile che «la stessa costruzione esibisca sia tratti linguistici che non linguistici» (Ivi: 365), gli autori propongono di considerare questi fenomeni delle lingue segnate come un analogo dei predicati indicali delle lingue vocali. In questi casi il movimento del Segno svolge lo stesso ruolo del gesto che accompagna il parlato per disambiguare un enunciato come

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―si muove in modo simile a quello‖: l‘elemento deittico ha bisogno, per essere interpretato, di un gesto – un dito puntato sull‘entità che sta realizzando quel particolare movimento, oppure un movimento riprodotto dalla mano che ne realizza il modo – il quale pur non facendo parte degli elementi linguistici veri e propri, risulta necessario all‘interpretazione complessiva della frase. In modo simile, il movimento dei predicati classificatori delle lingue dei Segni non corrisponde a un morfema linguistico e non è analizzabile in quanto tale, realizzando piuttosto un gesto che illustra e indica il tipo di moto descritto dal predicato stesso. Si noti come a essere posto in questione, in queste ricerche, sia non solo il carattere fonologico degli elementi presi in considerazione alla luce della loro significatività ma, più radicalmente, il loro stesso statuto morfologico-linguistico, in virtù del loro aspetto graduale e del loro poter variare infinitamente.

Un‘analisi che si sviluppa mediante un atteggiamento teorico affine è quella fornita da Carlo Geraci (2009), il quale fa riferimento allo statuto fonologico del movimento nei predicati classificatori descrivendolo come frutto di un processo di epentesi. Se normalmente nell‘evoluzione diacronica delle lingue vocali con questo fenomeno si dà l‘aggiunta di default di un suono all‘interno di una parola, ad esempio per facilitarne la pronuncia, nella proposta dell‘autore, nei classificatori il movimento inserito è quello attribuito all‘oggetto classificato. È possibile notare come sebbene a differenza di Zucchi e Cecchetto, si propenda qui per un atteggiamento che guarda a queste costruzioni come fenomeni squisitamente linguistici, in entrambe le analisi italiane riportate «[…] i predicatori con classificatore sono visti come strutture analizzabili con categorie, come quella di epentesi o di dimostrazione, che non sono un unicum nelle lingue segniche» (BRANCHINI et al. 2014: 385). La complessiva, seppur assolutamente variegata, direzione di ricerca che si è finora illustrata, può cioè essere inquadrata attraverso la comune volontà che contraddistingue le sue molteplici voci di individuare nelle lingue dei Segni aspetti universali del linguaggio i quali sembrano, però, essere coincidenti con le strutture e le caratteristiche che l‘analisi linguistica ha finora rilevato nelle lingue vocali.

Riprendendo le analisi sul movimento come esempio del generale funzionamento dei sistemi segnati, il quale coinvolge non solo un uso linguistico dello spazio dal carattere gradiente e significativo ma, più in generale, anche le fondamentali modulazioni della postura del corpo e dell‘espressione del viso, le quali, come notato da Slobin (2008), «[…] are expressed on continua that cannot be broken up into discrete categories» (Ivi: 119), è invece possibile evidenziare come questo approccio dia vita ad alcune problematicità, legate al fatto che le caratteristiche semiotiche di questi sistemi sembrano ‗sfuggire‘ a un‘analisi i cui strumenti siano rigidamente tratti da quella

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delle lingue parlate. Si considererà a questo punto la visione di altri autori che intende invece considerare – e escludere o non sottodeterminare – le peculiarità semiotiche dei sistemi segnati sostenendo che «such phenomena are called ‗gradient‘ or ‗gestural‘ but are nevertheless to regarded as integral to the grammar of a sign language […]» (KENDON 2008: 350), mostrando inoltre come essi siano parte integrante di una più generale nozione di linguaggio verbale dal carattere multimodale, complesso e integrativo.

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